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Prologo: L'inizio di tutto ✔️

Me ne stavo in camera mia, sdraiata a pancia in giù sul letto. Era agosto; faceva molto caldo, nonostante il Sole fosse già calato da un pezzo e il ventilatore in funzione stesse generando un rinfrescante venticello nel suo fisso muoversi da destra a sinistra, scompigliandomi malamente i capelli, donandomi un aspetto trasandato e scomposto, come la mia postura in quel momento. Dalla finestra aperta penetrava una fievole luce, nata dal lampione che si elevava per una decina di metri all'altro lato della strada.

Spensi la luce, dopo aver passato le ultime due ore a leggere avidamente uno dei miei libri preferiti per l'ennesima volta. Chiusi il volume, andando a coprirmi la bocca per nascondere un poco elegante sbadiglio; riposi il concentrato di parole ed emozioni sullo scaffale, in mezzo alla fila che mentalmente l'avevo impostata "dei preferiti", ognuno dei quali frutto di un'accurata selezione avvenuta in ore e ore di maniacale ricerca passate accollata a quella prima pagina che introduceva il mondo immaginario costruito dall'autore, facendo attenzione a non strisciare il pezzo sullo scaffale per non rovinarne le pagine né la variopinta copertina.

Mi addormentai molto velocemente, probabilmente per aver stancato troppo gli occhi e la mente dopo l'assidua lettura, e iniziai a viaggiare con la fantasia in luoghi lontani, oltrepassando quel confine che divideva realtà da un'illusoria utopia.

Sognavo di volare, librandomi libera nell'aria sopra la grande metropoli Newyorkese e poi perlustrando le vaste pianure asiatiche e i folti boschi scandinavi, perdendomi nella fitta vegetazione, saltando di ramo in ramo con l'abilità di un ninja –o di una scattante scimmia, avrebbe scherzato mio padre. Sognavo poi di combattere, per cosa non mi era dato sapere, spesso però l'obiettivo ripiegava su qualche amica, ospite a sorpresa delle mie proiezioni oniriche, dalla prigione di qualche psicopatico criminale.

Una volta, lo ricordavo bene, uno dei luoghi di prigionia in questione era un covo dell'Hydra, la temuta organizzazione risalente alla Seconda Guerra Mondiale delle storie fumettistiche sui supereroi, dovei era infiltrata assieme a qualche rinomato X-men, anch'essi in realtà solo dei comunissimi attori hollywoodiani, o della volta in cui mi ero trovata faccia a faccia col Dottor Octopus mentre ero nelle vesti di un'aitante Spider-girl allo scopo di proteggere la mia famiglia dalla tirannia del criminale tentacolare.

Ciò che più mi stupiva era proprio questo: tutte le mie illusioni notturne non erano altro che quello che apparivano, sogni irrealizzabili, ognuno dei quali si ricollegava indiscussamente alla Marvel e a quei tanto idolatrati eroi di cui ammiravo in continuazione le inventate gesta in quelle spettacolari rappresentazioni cinematografiche.

Davvero bizzarro, pensavo, ma in fondo non chiedevo altro: mi rendeva la vita più esaltante compiere grandiose imprese almeno in quel posto esclusivamente mio, perché la realtà era dolorosa come un pugno allo stomaco e assolutamente schifosa come la brodaglia con cui si sfamavano i senzatetto, ma il peggio era la monotonia. La mia vita era grigia, se non per quelle concessioni che mi regalavo per non annoiarmi; non ero nessuno, solo una piccola ingenua umana appassionata di fantascienza ed eroi, nulla più. Non ero l'animo della festa, quella persona che tutte in classe ricercavano per la sua solarità e grinta; ero quella ragazza che passava quel quarto d'ora di ricreazione con le consuete tre ragazze ogni giorno; ero quella ragazza solitaria e riservata che preferiva fare l'asociale –o come talvolta apparivo ad occhi esterni, di coloro che non mi conoscevano, la superiore- anziché inserirmi in inutili battibecchi fra galline urlanti, come le definivo amichevolmente, o scervellarsi per ricordare come si chiamasse quel cosmetico o quell'altra marca o ancora quella nuova borsa che ora tutte volevano comprarsi.

Io apparteneva a quella categoria di soggetti che vivevano di fantasia, sopravvivevo grazie ad essa, e di realtà inesistenti e abilità e poteri che mai e poi mai sarebbero esistiti, perché rifiutavano la legge universale della normalità. Era un sogno irraggiungibile il mio: essere speciale non era parte di me, o almeno così pensavo, perché quando ormai finivo per ricercare ciò che non avevo ed essere ciò che non ero nella mia immaginazione, accadde l'impensabile. Oltre i limiti del possibile e del plausibile, contro ogni legge matematica o spiegazione scientifica, io divenni ciò che avevo sempre sperato: qualcuno di cui tutti avevano bisogno, la spalla su cui piangere, l'appoggio di cui necessitavano; divenni quella che salvava sempre la situazione, la salvatrice del mondo, qualcuno il cui nome era sulla bocca di tutti. Non cercavo notorietà, mi andava a genio la mia invisibilità, fino ad un certo punto s'intende, ma certo era che aspirassi a un minimo di riconoscenza per quei piccoli gesti di altruismo che facevo e di quelle piccole vittorie personali che nessuno notava, come quando segnavo un punto a pallavolo per quel pizzico di bravura che possedevo e non semplicemente per la mia abituale fortuna sfacciata.

Quella notte feci uno dei soliti sogni, dove l'azione e le battaglie erano all'ordine del giorno, o per meglio dire, della notte: ancora una volta mi ritrovai a lottare al fianco dei valorosi Avengers per difendere il mondo, in modi che sembravano programmati per la loro efficienza, quando in realtà la mia creatività guidava quei gesti improvvisati, mossi dal desiderio di aiutare chi in difficoltà e dal bisogno incessante di sentir salire l'adrenalina nelle vene.

E in mezzo al caos di quelle guerriglie mi ritrovavo talvolta armata, di armi da fuoco quali pistole o addirittura mitra o di strumenti di morte più silenziosi e affilati, ma i momenti migliori e più elettrizzanti, quelli per cui rivivevo quelle battaglie per ore, erano quelli in cui ero più di una semplice umana: certo, da sveglia non potevo fare quelle cose straordinarie, perciò me le godevo al massimo quando mi capitava, perché mi elettrizzava allungare a suo piacere braccia e gambe, scagliare palle incendiare contro qualche furgone o plasmare la materia a mio piacimento, crearla e distruggerla.

Anche quella notte la mia sfrenata fantasia non mi deluse, prova l'intensità di quel viaggio onirico, che venne però bruscamente interrotto. Mi svegliai di soprassalto nonostante stessi dormendo profondamente, totalmente coinvolta dall'inventiva del mio inconscio. Non ne trovavo motivo; solo una strana sensazione di pizzicore al cervello mi era rimasta, ma nulla che mi spiegasse il mio risveglio, se non per la sensazione di essere stata destata da qualcosa.

Nella stanza regnava il silenzio assoluto. Compreso che non avrei ripreso sonno, scostai le coperte e mi alzai, andando ad affacciare alla finestra; posai lo sguardo in alto, dove il cielo sgombro da nuvole permetteva di vedere le stelle, abitudine che avevo sin da quando era piccola.

Passarono diversi minuti nei quali non smossi mai lo sguardo dal luminoso cielo stellato. Da sempre quella misteriosa distesa tinta di ogni possibile gradazione di blu e punteggiata da miliardi di stelle, piccole e grandi, gialle e bianche,  mi attraeva e affascinava come poche cose riuscivano. Cercavo di visualizzare con la mente i pianeti del Sistema Solare immaginandoli lì, a un palmo dal naso.

Siamo davvero fortunati a poter godere di questo spettacolo notturno, dove la Luna è la protagonista di quell'immenso palcoscenico che è lo spazio, pensai assolta mentre ammiravo l'astro biancastro. Si poteva vedere Marte, intento a nascondersi tra le stelle ma riconoscibile per il suo inconfondibile colore rossiccio.

Abbassai un po' lo sguardo, girando la testa laddove poche ore prima il Sole era tramontato portando via con sé i ricordi di quel giorno. Tornai a osservare le stelle, notando fra di esse cinque scie luminose che sfrecciavano veloci nel cielo. A una prima occhiata mi parse una comune pioggia di stelle cadenti, dato che il periodo era quello giusto, ma dopo poco mi accorsi della loro inusuale traiettoria, dando però poco peso alla cosa. Ero come incantata, troppo concentrata su di esse per pensare razionalmente; erano così luminose, così colorate che sembravano formare un arcobaleno.

Fu proprio quel dettaglio a scuoterò. 

Le stelle non dovrebbero essere colorate!

Guardandole meglio mi accorsi che si stavano dirigendo verso la Terra. In un brevissimo lasso di tempo si avvicinarono a tal punto che divenne facile calcolarne il percorso: stavano per arrivarmi addosso, allora indietreggiai istintivamente ritrovandosi il letto dietro, a causa del quale ricaddi su di esso. Alzai le braccia davanti a me con fare protettivo, nella vana speranza che mi fossi sbagliata, che non fossero dirette verso di me, ma rimasi sorpresa che, quando sarebbe dovuto scoppiare l'inevitabile, quelle luci che fino ad un attimo prima stavano cadendo in picchiata alla folle velocità degna di una multa stratosferica, si erano fermate davanti a me e adesso fluttuavano leggere una accanto all'altra.

Che meraviglia!

Sussultai spaesata, non spiegandomi la situazione. Non avevo mai visto nulla di simile. Quelle luci erano abbaglianti e ognuna di esse risplendeva di un colore proprio; assomigliavano a delle piccole pietre, ruvide e lievemente deformi, un po' mi ricordavano dei meteoriti al cui centro si trovava una minuscola lampadina che le faceva brillare, ma ero sicura si trattasse di qualcosa di sconosciuto al mondo.

Una  vocina nella testa mi suggeriva di scappare, o di spingerle fuori dalla finestra, che quelle cose erano pericolose e, a parer mio, di provenienza aliena.

Le squadrai con occhio critico, dubbiosa sul da farsi, rilevando una certa analogia con le Gemme dell'Infinito.

Non può essere, mi starò sognando tutto, pensai assai scettica.

Spinta dalla tentazione di toccarle per assicurarmene la consistenza e la materialità tesi la mano verso di esse, come un bambino curioso in un negozio di giocattoli, ed esse improvvisamente si misero a ruotarmi attorno, come i pianeti col Sole, ed io ero il loro sole; non mi sentivo affatto spaventata da quella strana reazione, piuttosto stranita e stupita.

Poi, una dopo l'altra, entrarono nel mio petto, creando delle onde di luce ogni volta che una di esse si introduceva in me, come le increspature che si formano quando in una piatta pozza d'acqua viene lanciato un sasso.

Io ancora non lo sapevo, ma quelle erano davvero le Gemme dell'Infinito.

Ero appena diventata il nuovo Avatar.










Spazio autrice

Dopo quasi un anno, rieccomi qui cari lettori!

Ho ri-revisionato il prologo, decidendo di tenere la narrazione in prima persona.😉

Aspettatevi da qui in avanti la revisione di tutti i capitoli, non cambierò la trama ma può essere che modifichi leggermente qualche capitolo qua e là, perciò vi consiglio di dargli un'occhiata quando lo ripubblico.

Detto questo, scusate per la lunga attesa ma non temete, questa fornace di idee non si è ancora spenta e la storia riprenderà con nuove avventure!

Buon proseguimento, amati lettori.🤗

🌟🦋vostra Fra🦋🌟

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