5. Nuove regole
26 Novembre 1970, Vezza D'Alba (Langhe), Piemonte.
L'impazienza sta costringendo Valeria a fissare più volte in direzione della stanza di Diego, ma nonostante lo scorrere delle lancette nessuno sta uscendo da lì.
Preoccupata, pensa di bussare alla camera solo per un attimo. Affacciarsi con la testa per poco, all'interno. Non l'ha nemmeno mai vista, non sa di che colore abbia le pareti, di che lenzuola il letto...
Diego apre la porta, uscendo da quel contenitore di misteri, con tanta foga da far sobbalzare una Valeria distratta e mettere così in guardia la sua stessa attenzione.
Chiudendosi i polsini della morbida camicia sui toni dei beige, spia di sottecchi ogni ulteriore movimento di lei.
«Ti ho spaventata?»
«No... ma possiamo parlare?»
Pochi istanti dopo si trovano nel soggiorno, o meglio nei pressi del tavolo da pranzo. Valeria vi è posata con le anche, tiene le gambe distese dinanzi a se mentre Diego le è in piedi di fronte, con le braccia intrecciate tra loro, nella sua posa rilassata. Aspetta che sia lei la prima a farsi avanti. Dopo aver pensato bene a quali frasi utilizzare, resa più calma dalla vicinanza di lui, Valeria affronta l'argomento che si era promessa.
«Volevo discutere con te di alcune regole» sussurra, cercando una reazione che non giunge e ricevendo un assenza che la costringe a continuare. «Ieri notte sono venuta di fronte alla tua stanza e ti ho parlato...»
«Lo so. Ti ho sentita.»
«Lo hai fatto?» Le fa richiedere la vergogna, ma lui non sembra turbato dal suo essersi aperta in modo spudorato, con quella faccenda della leggenda sul toro e sul drago, nei suoi riguardi. Si domanda cosa possa destabilizzarlo. Si domanda che genere di pensieri possa avere in merito alla sua proposta riguardante Giulia e così avanza richiesta di una spiegazione solo su quest'ultima. «E che cosa ne pensi?»
«Va bene.»
«Sul serio?»
Diego annuisce appena e la testa di Valeria vortica nel vuoto.
«Ci sono problemi?» Chiede lui, al che Valeria si carica di forza per poter avanzare richiesta.
«Vorrei che fosse reciproco. Cioè, per entrambi.»
Diego è in silenzio e la sta fissando. Sguardo fisso, corpo immobile... certe volte crederebbe che sia quasi incapace di respirare.
«Ogni nostra regola lo è per cui è scontato che anche questa lo sarà.» Sentenzia, facendo diminuire di colpo l'ansia di Valeria.
«Grazie.»
«Sembri soddisfatta.»
«È così.»
«Perché?»
La sicurezza di Valeria si inclina ancora nel proprio asse, ma decide di essere sincera come lo è sempre se si tratta di lui.
«Non ho un altro, solo che... è un matrimonio il nostro e non vorrei mai mancarti di rispetto.»
«Se riuscirai a farti una nuova vita con un altro uomo allora non mi mancherai mai di rispetto. Sarei felice per te, Valeria.»
Non era quello che intendeva. Voleva dire che parlare con lui, certe volte, era come camminare su dei carboni ardenti, ma una risposta simile supera di gran lunga le aspettative della conferma richiesta.
«Grazie» sussurra, per poi chiudere un istante gli occhi, sperando di non poter mai perdere nella mente queste dolci parole.
C'è così tanta rabbia in lei che in certi momenti teme possa assorbire tutto, specie i ricordi buoni.
«C'è altro che vorresti aggiungere?» Domanda Diego.
«La questione... di condurre delle vite parallele. Mi va ancora bene il vivere da soli, credo sia corretto per entrambi ma... potremmo tornare a mangiare insieme, se ti va.»
Tutto si aspettava Diego tranne che una simile richiesta. Magari qualche nuova regola, un nuovo ordine che lo conducesse ad allontanarsi altri mille passi da lei, ma questo mai.
«Mi piacerebbe» sussurra, in un tono troppo debole per essere considerato distante ma Valeria non ci fa caso.
«D'accordo, allora.»
Il silenzio sospeso che la loro conversazione lascia dona modo a Diego di chiedersi da dove le sia giunta una simile idea ma la risposta gli viene offerta tramite una considerazione mormorata.
«Tuo fratello è tornato e stavolta vuole restare.»
«Immaginavamo entrambi che lo facesse.»
«Speravo che il nostro piano gli impedisse di rimanere per sempre.»
Questa è la prima volta che glielo confessa spudoratamente, eppure Diego aveva sempre saputo che nei suoi silenzi, la notte, avendola vicina ma distante in soggiorno mentre lui era occupato in cucina, Valeria lo gridava a se stessa, augurandosi che una simile speranza diventasse possibile.
«Ce lo eravamo detti fin dall'inizio che questa fase sarebbe stata complessa: privarlo di tutte le quote dell'azienda avrebbe richiesto anni.»
«E sono trascorsi, no?»
«Mancano ancora delle quotazioni.»
«Di chi?»
«Mia madre, Maurizio, due dei suoi soci e Claudio.»
«Maurizio e Claudio sono dalla nostra parte?»
«Non ho ancora parlato con loro ma possiedono quote minori, il problema è convincere mia madre.»
Immaginava che fosse questo il punto della questione e non poter intervenirvi senza peggiorarla drasticamente la rende furiosa.
Diego inclina lo sguardo, in modo da poter cercare il suo.
«Qualcos'altro?»
«Tu vuoi aggiungere altro?»
Stavolta Diego tace per parecchio, tanto da far credere a Valeria di aver appena forgiato una nuova regola.
«No.»
«D'accordo, allora...»
Diego scioglie le braccia, afferra il cappotto piegato sulla sedia affianco. È pronto per andarsene.
Con la sua tipica ed insolita calma, parte alla ricerca delle chiavi della macchina, raggiungendo l'ingresso della soglia di casa. Lo stesso punto in cui, solo la sera precedente, era rimasto immobile desistendo appena dal correre subito verso le lacrime di lei. Lo stesso identico punto in cui la voce di Valeria lo richiama.
«Un'ultima cosa» sussurra, sollevandosi dal tavolo e procedendo con esitazione verso di lui. Lo guarda a fatica negli occhi quando riprende a parlare. «Vorrei discutere del primo punto, se a te sta bene.»
Ohh, ma il primo punto è roba da uscirci pazzi! Da rimanere svegli per delle notti! Vorrebbe replicare lui ma lascia perdere, mettendo da parte il proprio fastidio.
«Che cosa, del punto uno?»
Ha già vissuto una situazione simile in passato: la convocazione di una delle regole e poi la voce di lei che, con indifferenza, la faceva a pezzetti, usando le labbra come un paio di cesoie.
«Quando sono venuta nel tuo ufficio, ieri mattina, ho visto la nostra foto sul tavolo.»
«Apparenza, lo faccio per il nostro matrimonio di facciata.»
«Ma il primo punto non parla di quello, quanto del contatto...» gli ricorda, ma Diego lo sa bene, per cui può forgiare con precisione, nella sua mente e con ricchezza di particolari, la domanda successiva prima ancora che Valeria gliela ponga e la risposta è presto servita, preparata da mesi. «Perché mi hai stretto la mano, quel giorno?»
«Eravamo con la mia famiglia, ci è concesso toccarci se ci guardano.»
«Ma nessuno ci stava guardando, erano tutti sulla pista da ballo. Perché lo hai fatto?»
«Metti in dubbio il mio attenermi alla regola numero uno?»
«Dico solo che sette anni di matrimonio non sono pochi, pur vivendoli come li stiamo vivendo. Se mi hai stretto la mano perché quel giorno tua madre è andata contro di me, o per qualsiasi altra ragione, allora dovresti dirmelo. Vorrei saperlo... per favore.»
Diego, in piedi a pochi passi dalla porta, con una mano avvolta attorno al cappotto, alla stregua di una presa di palla sul campo da rugby, rimane immobile per diversi attimi prima di pronunciare la risposta in grado di garantirgli l'uscita.
«Ci stavano solo fissando. Se fosse stato qualcos'altro implicherebbe un momento intimo tra di noi e nonostante questo sia un matrimonio che si approccia al decennio un istante simile non c'è mai stato. Stai tranquilla, Vale... la tua regola è intatta.»
Non appena Diego esce senza fretta, senza aggiungere nient'altro, e Valeria rimane sola, per un momento lo sguardo di lei si sofferma a terra, su un punto del tappeto in moquette bianca di fronte al tavolo da fumo del divano ed ancorata ad esso rimane, perdendosi nei propri pensieri.
Vede quel punto del tappeto e ripensa a quelle parole.
Quando si riscuote decide quanto sia importante dimenticare.
-
La solitudine in ufficio per Diego era sempre stata una buona cosa; lo aiutava a pensare, assieme al ritmico movimento della punta del dito sulla gobba sporgente del naso.
Sfortuna vuole che al momento niente di tutto questo serva. Aprendo gli occhi di tanto in tanto, distraendosi dai suoi stessi pensieri, Diego vede la loro fotografia e questa lo traina a se e lo allontana per sempre in un circuito infinito. Non sa che cosa fare, almeno fino a che la voce di Emma non giunge ovattata dall'interfono.
«Signore, suo fratello è qui fuori, chiede di vederla.»
All'ipotesi di quella condanna, prende un profondo respiro e getta la testa all'indietro sulla spalliera della morbida poltrona, fissando il soffitto per ricavare il giusto spirito con cui sorreggere quello scompenso.
Dopodiché apre uno scompartimento della scrivania e vi nasconde la foto con Vale, per poi rispondere alla sua segretaria digitando un semplice tasto.
«Fallo entrare, Emma.»
«Proprietario maggioritario dell'azienda e ancora devo chiedere il permesso ad una segretaria per entrare in un ufficio! Ciao, gemello, come ti va?»
Mattia è sopraggiunto sulla scena poco dopo il consenso da telefono, riuscendo così in un attimo a passeggiare con tranquillità per la stanza prima di sedersi di fronte al diretto interessato.
«Non è un ufficio qualunque ma il mio. E non stai chiedendo permesso alla segretaria ma a me. »
«Uhh, vedo che siamo adirati... il mio ritorno non sembra aver reso felici molte persone...»
«Si tratta solo di una giornata stressante. Non darti troppe arie.»
Mattia sorride in una sorta di scherno, scorrendo gli occhi lungo suo fratello a caccia di indizi. È curioso, inutile negarlo, per cui cerca in ogni dettaglio della sua figura un motivo per il quale cessare di essere persino sospettoso.
«Come sta tua moglie?»
«Dovresti saperlo. Ieri vi siete parlati.»
«A questo proposito, volevo scusarmi. Non era mia intenzione farla arrabbiare. Credevo fosse possibile tornare a parlarsi tranquillamente, dopo tutti questi anni.»
La frase non possiederebbe alcuna malizia se solo Mattia tentasse di celarla nella propria espressione.
«C'è altro?» Replica Diego, esausto di tutti quei confronti aventi vita in una sola giornata.
«Volevo solo sapere come ti era sembrata, a seguito del nostro confronto.»
O meglio, Mattia sta chiedendo chiaramente, almeno nella sua testa, che cosa avesse visto il fratello dalla posizione che sapeva aver occupato all'ombra di quell'albero nel giardino, che cosa diavolo ci facesse lì senza intervenire, ma Diego cambia la direzione della risposta in meno di un attimo, dimostrando un'astuzia non indifferente.
«Sta solo a Valeria decidere quando sarà trascorso il giusto tempo, non certo a noi.»
«Ma certo...»
«C'è dell'altro? O volevi solo sapere di mia moglie?»
Mattia sorride, divertito come è sempre in presenza di suo fratello. In fondo, il gemello è anche l'unico che non si sforza di celare i trucchi che mette in atto.
«Sono passato solo per vedere come fosse il tuo ufficio adesso, oltre che per dirti che sono stanco di viaggiare. Ho deciso di rimanere e tornare a lavorare con voi. Sono il capo in fondo, non è vero? È il caso che torni ad occuparmi dei miei dipendenti.»
I gemelli si osservano con reciproco interesse ma mentre quello di Mattia è acceso dall'impazienza quello di Diego è astratto, quasi intangibile. Stanco della situazione che si sta creando.
«Nemmeno una foto della tua famiglia?» Commenta Mattia, fissandosi intorno e soffermandosi poi sulla scrivania. «Qualcuno potrebbe credere che tu non abbia affetti.»
Mattia si sofferma solo per un attimo sulla fotografia del levriero scozzese che per anni avevano tenuto, allontanandosene al ricordo della dipartita.
«Sì...» commenta Diego, sfidando il fratello a contraddirlo «... verrebbe da pensarlo.»
Due anni sono molti, se trascorsi lontano da casa. Mattia non ha idea di cosa stia accadendo ma si assicura di scoprirlo, volendoci vedere chiaro.
«Sarà il caso tu torni al lavoro, altrimenti si prenderanno tutti una pausa...»
Mattia accenna un breve sorriso prima di annuire mestamente. «D'accordo, fratello. Ho capito l'antifona.»
«Bene.»
Affondate le mani nelle tasche del pesante cappotto con cui era entrato, Mattia si solleva dalla sedia così da avvicinarsi alla porta ma guadagna tutto il tempo che gli occorre lungo il tragitto per lasciar scorrere gli occhi ovunque mentre Diego non ha il desiderio di domandarsi cosa cerchi. Preferisce piuttosto che si allontani, terminata quella sorta di perquisizione. Fargli raggiungere in fretta la porta appare come un miracolo eterno.
«Oh! Mi scusi, non sapevo che stesse uscendo qualcuno.»
La porta si è aperta concedendo la grazia a Diego ma manifestando a Mattia il volto fin troppo noto dell'avvocato Giulio Ruggeri. Avevano studiato insieme al college, inoltre Giulio era da sempre uno degli amici più stretti di Diego oltre che l'avvocato penale dell'azienda.
«Giulio!»
«Signor Grimaldi...»
«Giulio era passato giusto per un saluto» spiega Diego al fratello, sfidandolo con lo sguardo e rimanendo seduto al suo posto. «Vuoi rimanere con noi, in memoria dei vecchi tempi?»
Stanno tramando qualcosa, Mattia ne è certo.
«È il caso che torni a lavoro. Ci sarà modo di ricordare il passato...»
L'ospite nella stanza osserva Mattia andarsene, accompagnato come è anche dallo sguardo del fratello che lo segue. In un tono vivace, scollegabile al mutismo dei suoi occhi, quest'ultimo parte a parlare in direzione dell'avvocato prima ancora che il fratello abbandoni la stanza.
«Raccontami tutto, Giulio, come sono andate le ferie? Difficile il rientro a lavoro?»
«Non appare mai sufficiente una vacanza...»
«Lo credo bene. Come era il posto?»
«Assolato.» Replica l'avvocato, cambiando ben presto di tono. «Pieno di persone che già conoscevo.»
Diego solleva una mano e a quel gesto l'uomo tace, consentendo all'altro di compiere un rituale piuttosto frequente se è il fratello ad averli appena abbandonati a se stessi: affacciarsi in corridoio a verificare la sua dipartita, dopodiché voltarsi con quella preoccupazione che governa la maggior parte degli incontri con Giulio.
«Mostrami che cosa hai.»
L'avvocato recupera dalla ventiquattrore pochi fogli spillati tra loro che tende nella sua direzione. Diego li legge con attenzione prima di porgere la propria domanda.
«Ritieni che sia affidabile?»
«Dicono sia il migliore sul campo.»
«Digli di venire qui entro un paio di giorni e di essere prudente, non voglio che Mattia abbia dei sospetti.»
«Non vuole venire. Non accetta il lavoro.»
Diego spalanca gli occhi, all'idea dell'esorbitante cifra che era arrivato a proporre.
«Come?»
«A detta sua, agire lasciando all'oscuro Mattia è sbagliato. Ha rifiutato per questo, dicendo di non conoscerlo abbastanza da poter prevedere eventuali ripercussioni ma sono riuscito a ricavare l'indirizzo del suo studio ed ho fissato un appuntamento, a mio nome, per questo pomeriggio.»
«Ti ringrazio, Giulio. Sei un amico.» Diego afferra il biglietto che l'avvocato gli porge con su scritto l'indirizzo di quella misteriosa figura sospesa tra loro.
«E riguardo all'altra questione? Vuoi parlarne?»
Per un istante, lo sguardo di Diego sembra tergiversare ma poi una sorta di professionalità distaccata lo porta a reagire. Libera il primo bottone dall'asola della giacca, tornando a sedersi alla propria scrivania.
-
Mani troppo piccole si posano sugli occhi di Vale, accompagnate da una canterina voce.
«Chi sono?» Le domanda, al che la donna, seduta alla sua noiosa postazione di lavoro, sorride di puro divertimento avendo appena ricevuto la svolta della giornata.
«Se me lo chiedi lo scopro, non pensi?»
«Allora dimmelo se lo sai!»
«Sei la Masca più dispettosa di tutto il Piemonte!»
Ed una volta enunciate simili parole, Vale ruota sulla sedia girevole in fretta in modo da stringere Gaia tra le braccia prima che possa scappare.
La piccola scoppia a ridere tanto forte da far ruotare la testa ad altri dipendenti.
«E c'è pure sua madre...» commenta Valeria, notando la posa fiera di Silvia, dinanzi a loro, mentre tiene il suo secondogenito di appena due anni tra le braccia. Ne manca uno all'appello, il neonato appena aggiuntosi alla famiglia ma a quest'ora deve essere stato affidato alla sorella di Silvia.
«Eccome... mentre qui abbiamo il tormento di tutto il Piemonte» commenta ironica la diretta interessata, lasciando sporgere il piccolo in direzione di Valeria, pronta a lasciargli una carezza dolce lungo la guancia.
«Ciao, bel giovanotto.»
«Allora? Che si racconta da queste parti? Sono sparita per troppo tempo» commenta Silvia, lasciando ripristinare al piccolo il proprio equilibrio contro il suo seno.
«Claudio non ti ha detto niente?»
«Mio marito è fuori da tutti gli affari, non si era capito?» La mano della madre finisce a picchiettare in un leggero sbuffo il naso del piccolo, di nome Edoardo, tanto da provocargli un sorriso capace di stemperare l'espressione afflitta rivoltole. «È un Grimaldi solo di nome. Sono in molti qui a considerarlo il ramo malato dell'intero albero. Non puoi capire la fierezza che ho provato quando per primo mi ha proposto di tenere il mio cognome, Agnelli, su tutti i documenti di proprietà.»
«Claudio è il Grimaldi più buono di tutti.»
«Per questo è considerabile come il bastardo che è, perché non ha interamente il loro sangue. Figlio di una tresca con la segretaria... mi chiedo come fosse possibile che il Grimaldi padre possedesse un cuore, o come fosse possibile cadere in un simile cliché.»
«Non tutte le segretarie cercando di trarre profitto dalla loro famiglia. Ce ne sono di buone.»
«Stai parlando della giovane Emma che sorveglia come un cane la porta dell'ufficio di tuo marito?» Il boccone di gossip risulta tanto succulento da far pentire Valeria di aver emesso una simile riflessione e da far convincere Silvia di quanto non fosse il caso di lasciarselo sfuggire. «Ho saputo che l'hai avvicinata, alla macchinetta del caffè, e che vi siete parlate. È in quell'occasione che hai stabilito quanto fosse meritevole?»
«Mio marito ha avuto non poche amanti ed anche a me è capitato. Mi sono solo chiesta cosa potesse piacerle di lei. Mi era parsa troppo giovane e troppo bionda.»
«Già... perché lui preferisce le more?» Le domanda Silvia, lanciandole uno sguardo impertinente. Fortuna che la piccola Gaia è distratta nel parlare con un'altra delle donne presenti dietro le scrivanie di compravendita, altrimenti avrebbe fatto non poche domande su quella strana conversazione. Come stava facendo la madre, in fondo. «E...? Che cosa ti sei detta?»
«L'ha assunta solo perché è brava nel proprio lavoro.»
«Allora c'è da star tranquilli. L'intelligenza non ha mai fatto fantasticare un uomo» commenta con ironia Silvia, continuando a stringere suo figlio a sé e osservando con giudizio l'intorno. Lei si che era sempre stata una donna astuta, Valeria l'aveva da subito ammirata per questo ed anche ora non riesce a credere a come possa essere donna, madre e figura in carriera al tempo stesso. Non sarà tornata al lavoro per conto dei Grimaldi ma Silvia non era rimasta con le mani in mano, odiando da sempre il vivere per casa propria.
«Ho saputo che anche quel demonio è tornato...» sussurra, lasciando scorrere lo sguardo intorno a caccia di quel volto troppo noto. Ne riemerge, con sorpresa di entrambe, dal corridoio uno altrettanto simile.
Persino Gaia si riscuote a quella vista e corre verso di lui che si inginocchia a terra, pronto per prenderla tra le braccia.
«Zio!»
«Ciao, tesoro, è una vita che non ti vedo» sussurra Diego chiudendo gli occhi, mentre stringe la piccola di sette anni a se, creando delle pieghe sul suo rossastro vestito.
La dolcezza di simili parole fa allontanare la testa di Gaia che, posandogli le mani sul viso, lo analizza per bene. «Sei cambiato.»
«Tu dici?»
«Non assomigli più all'altro zio. La barba è più lunga e anche i capelli!»
Diego rimane in silenzio, covando una forte emozione all'interno dello sguardo ma non allontanandolo dalla bambina, alla quale accarezza lento i castani capelli.
«Spero non sia solo per questo...»
«Non lo è» interviene Silvia, avanzando pochi passi fino a loro. «Tu hai più fascino» commenta con provocazione, richiedendo la sua attenzione non appena è pronto per liberare sua figlia.
Diego si solleva con un sorriso e la madre prende il posto della piccola tra le sue braccia, secondogenito compreso.
«Ciao, Silvia. Claudio è con te?»
«Subito a pensare a lavoro, non mi chiedi neanche come sto?»
«Sei bellissima, lo vedo.»
«Adulatore. Non sarò mai bella quanto tua moglie.»
Richiamata in causa, Valeria è costretta a sollevarsi dalla sua postazione. Poggia le mani sulle ginocchia, esitante nel sollevarsi, e poi cammina piano fino a Diego che, accortosi di lei, non le stacca gli occhi di dosso.
Li raggiunge, continuando a far giocare le unghie curate con la fede all'anulare, per poi congiungersi a suo marito, una volta separatosi da Silvia.
«Ero venuto a cercare te.»
«Perché?»
Tre quarti della famiglia Agnelli diviene spettatrice curiosa della scena, pronta a spostare l'attenzione da un volto all'altro con accuratezza di dettagli.
«Che cosa ne dici, per oggi, di lavorare nel mio studio? Puoi portarti dietro il tuo telefono di centralino se vuoi, lo attaccheremo vicino al mio.»
«Non me lo avevi mai chiesto, prima» sussurra Valeria, cercando di contenere l'angoscia al quale quel mutamento la condanna.
«Non mi ero mai stancato di lavorare così in solitaria, prima di adesso» la avverte lui, ma Valeria sa che c'è dell'altro.
«Ho saputo che tuo fratello è venuto a farti visita, poco fa» interviene Silvia con un'irriverenza che la contraddistingue. «È passato dal tuo ufficio, per caso?»
Quindi è per questo. Valeria lo capisce tramite l'indagine dell'amica. Diego le ha richiesto di essergli vicina ospitandola nell'unico luogo che il fratello aveva già visitato. Non sapendo a che postazione era stata attribuita anni prima avrà da cercarla per molto prima di capire dove si trova.
«D'accordo» sussurra Valeria al cambiamento, spiando negli occhi di Diego per poter capire che cosa comporti.
«D'accordo...»
Rimangono in stallo, finché non è Valeria la prima a muoversi e con lentezza, a testa china, Diego ne imita il passo, seguendola a distanza e proteggendola con la sua altezza alla vista di chiunque.
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