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SEGRETO




Manuel sgrana gli occhi e, in successione, strizza le palpebre, come se questo dovesse aiutarlo a mettere più a fuoco la situazione - o a dimenticarla.

Ma questo fa parte delle cose che non si riesce a cancellare.

Le immagini su quel telefono non vanno via, neppure le voci nel corridoio che tornano ad aleggiare nell'aria.

Capisce perché li guardavano tutti.

Capisce il motivo delle loro espressioni scioccate, perplesse.

E lui vorrebbe morire.

Non era pronto a quello.

Non adesso.

Un conto è scendere a patti con sé stessi, provare a capirsi ed esplorarsi, un altro essere costretti a dimostrarlo alla gente con forza, per forza.

Percepisce le gambe deboli, ogni fibra del suo corpo, debole.

Manco ci prova a cercare e trovare lo sguardo di Simone, certo non gli sarà d'aiuto in quel momento - anzi, il contrario.

Chicca, invece, continua a fissarlo quasi volesse una spiegazione, una reazione— qualcosa.

Come se le fosse dovuto, mentre Manuel pensa che non deve un cazzo proprio a nessuno.

Scuote il capo e decide di allontanarsi, di camminare spedito attraverso quel corridoio pieno di gente che bisbiglia, che riprende a fissarlo e a fissare lo schermo dei loro cellulari.

Non vuole sentirli, non vuole vederli.

Aumenta il passo finché non si ritrova nei bagni deserti dell'istituto, che hanno le mattonelle bianche piene di scritte col pennarello indelebile e le cabine dei gabinetti color blu chiaro dalla vernice scrostata; non sa neppure perché siano aperti, dato che serve la chiave per entrare, ma presuppone che i pavimenti bagnati siano già una risposta.

Si appoggia al lavandino. Cerca di contare fino a dieci, poi venti, senza osservare il proprio riflesso allo specchio rettangolare che ha davanti.

Sa già che Simone lo ha seguito - fa sempre così - quindi non si sorprende quando sente la sua voce riecheggiare nell'ambiente. Un flebile «Manuel?» che irrompe nei suoi timpani.

Non gli rivolge lo sguardo, mantiene il capo basso a fissare le gocce del lavandino che perde.

Una, due... Tre.

«Mó che neghiamo, Simó?» la domanda pare quasi retorica poiché la risposta già esiste, è palese, evidente.

Cosa neghiamo?

Simone sospira sommesso. Osa compiere un passo nella sua direzione, ma si ferma a poco più di un metro di distanza, stringendo i pugni lungo i fianchi.

«Non ce stava nessuno, abbiamo chiuso la porta, che— come hanno fatto?» Manuel sta annaspando.

«Non lo so».

«Perché lo hanno fatto?».

Perché le persone sono così cattive?

Perché sono così meschine?

Perché godono della sofferenza altrui?

«Non... Non lo so». Simone è inerme. Riesce a cogliere ogni sfumatura della fragilità di Manuel - ed è strano, perché non lo ha mai visto in quel modo.

Non ha mai pensato che quello che ha sempre definito il più stronzo della scuola potesse mai cadere a pezzi.

Gli è sempre parso come un menefreghista, con quei sentimenti troppo forti ed estremi, espressi male.

Muove ancora un passo, per ridurre la distanza che li separa, anche se ancora non riesce a scorgere il suo viso, il suo sguardo.

«Ascolta, noi...» si morde la lingua a quel pronome. «Lo affrontiamo insieme, mh? Chiunque abbia fatto questo sapeva che avrebbe ferito qualcuno, che— ci sarebbero state delle conseguenze, ma possiamo...» si interrompe.

Non gli sembra di essere credibile, visto che lui è stato il primo a non voler dire niente, a continuare ad affermare di essere etero davanti a tutti, quando ha capito da tempo che non è così.

Risulta un incoerente del cazzo, in pratica.

«Non sei solo» sussurra - e vale per il ragazzo che gli si sta sgretolando davanti e pure per sé stesso.

A tale frase, Manuel solleva la testa. Ha gli occhi lucidi, ma non sta piangendo. Scruta l'altro, col petto che un briciolo gli trema.

«Non sei solo» ripete Simone, con più fermezza. Allunga una mano, va a posarla sulla sua spalla. Si aspetta che venga scansato, ma ciò non accade, così osa di più, sfregando un pollice al lato del suo collo.

Quel contatto pare sanare, almeno in parte, entrambi.

Non sono soli.

***

Delle sguaiate risate riempiono la palestra: una delle più forti appartiene a Matteo, in seconda fila quel giorno.

Il professor Coverti lo guarda, con un sopracciglio inarcato e «C'è qualcosa di così divertente di cui vuoi renderci partecipe?» domanda.

Il ragazzo si passa le mani sul viso. «Professó», esclama «ce stanno tre cazzi sur tavolo, che devo fa', me metto a piagne?».

In effetti, sulla cattedra sono appoggiati - attaccati con una ventosa, per la precisione - tre dildo fucsia, di dimensioni diverse, piccola, media e grande.

L'insegnante, in piedi, scrolla le spalle e infila le mani nei pantaloni beige che indossa. «Se ti fanno così ridere dei peni a questa età, direi che abbiamo dei seri problemi» è il suo commento.

Chicca, sistemata a gambe incrociate nella sedia davanti a Matteo, si gira per fargli la linguaccia e «Vedi che sei 'n cretino» borbotta. Il compagno di classe alza gli occhi al cielo e biascica qualcosa di a stento comprensibile.

Dall'ultima fila, Simone osserva la scena a braccia conserte. Se ne andrebbe in quel preciso istante perché non sopporta gli sguardi addosso, le risate di sottofondo che lo accompagnano da due giorni quando cammina per la scuola.

Gli unici occhi che incontra sono quelli di Laura, seduta al fianco di Chicca, con accanto Pin - rientrato quella settimana a scuola; la ragazza lo scruta e abbozza un sorriso nella sua direzione. Simone tenta di replicare, seppur con scarsi risultati.

Prova a cercare il volto di Manuel, sistemato a due posti di distanza da lui, ma non ci riesce.

«Allora, c'è un motivo per cui oggi abbiamo tutti questi cazzi, visto che vi piace il termine, sulla cattedra» esordisce il professore.

Muove qualche passo che lo conduce ad essere più vicino alla sedia dietro al tavolo, dove è appoggiato un sacco di tessuto bianco. Da esso, ne estrae una piccola confezione quadrata, blu metallizzata.

La solleva a mezz'aria e «Non serve che vi spieghi cos'è questo» esordisce - e no, non è necessario spiegare che sta reggendo un profilattico.

«Siete per la maggior parte tutti sessualmente attivi, almeno a quanto mi ha illustrato la vostra preside, quindi potrebbe essere scontato che tutti voi sappiate come utilizzarlo» inizia a spiegare «e devo anche ricordarvi che va sempre indossato, in particolar modo se non avete un partner fisso. Protegge voi, protegge l'altro, ma soprattutto, se un ragazzo vi dice che lui non vuole usarlo perché così non sento niente, è una cazzata. Fateglielo mettere, sempre. E ora...». Strappa l'involucro di carta e ne estrae l'oggetto in lattice.

«Chi vuole venire a farci vedere come va messo?».

Sulla classe cala il silenzio, tra sguardi attoniti e un ripetuto scuotere la testa da parte della maggior parte dei presenti.

«Manuel? Vieni tu, per favore?».

Manuel nemmeno stava prestando attenzione. Le parole dell'insegnante gli sono arrivate alle orecchie di sfuggita e non ha neppure opposto resistenza alla richiesta di un volontario. Pertanto, sbatte le palpebre, confuso e «Perché io?» borbotta.

«Perché lo scopo di queste lezioni è imparare. Lo farete tutti, in qualche modo. Vieni qui?».

Non ha davvero voglia di alzarsi. Non ha voglia di essere al centro dell'attenzione - come se non lo fosse stato negli ultimi due giorni.

Nella sua mente frullano le voci di tutta la scuola, quelle foto che hanno scattato a lui e Simone e piazzate sul web.

Hanno scoperto che esiste un blog creato appositamente per quello, chiamato La mappa della vergogna: riporta ciò che è stato scritto sul muro e cancellato, più quelle foto.

Non sanno chi lo ha creato, chi lo gestisce. Potrebbe essere chiunque e questo lo manda in tilt. Potrebbe essere persino una delle persone sedute in quella stanza in quel preciso momento.

«Allora, Manuel? Ci muoviamo?».

Sa che non può sfuggire a tale richiesta. Se lo facesse, sarebbe peggio. Allora si sforza di alzarsi, di peso trascina i piedi sul pavimento fino ad arrivare alla cattedra. Il professor Coverti gli porge il preservativo ancora intatto, invitandolo con un cenno del capo a infilarlo ad uno dei dildo riposti sulla superficie piana.

Manuel sa perfettamente come sistemare un profilattico, lo ha fatto tante volte su di sé; lo ha sempre utilizzato, conosce persino i vari tipi presenti sul mercato, eppure, in quel momento, si sente ignorante, quasi non ne avesse mai visto e utilizzato uno, come fosse un ragazzino di quattordici anni alle prime armi.

È una sensazione così schiacciante che le mani gli tremano e il respiro un po' gli manca.

Forse è l'idea di compiere quel gesto davanti ai compagni che sono due giorni che bisbigliano cattiverie alle sue spalle, forse è la confusione che gli annebbia il cervello, forse è quella fragilità che cerca di celare da tutti, ma per tutti è ben evidente.

«Oh, Manuè! Te sei incantato?» è Giulio, in terza fila, a schiamazzare.

Manuel solleva lo sguardo per vederlo con un ampio sorriso stampato in volto, mentre tira un colpetto col gomito al ragazzo seduto al suo fianco, Aureliano. «Sei abituato a usare i preservativi, no?» esclama quest'ultimo.

«Sur cazzo degli altri de sicuro!» interviene Matteo, suscitando le risate di quasi tutti i presenti.

A non ridere sono soltanto Simone, Chicca, Pin e Laura.

Manuel vorrebbe rispondere a tono. Vorrebbe urlare, sbraitare, persino tirargli uno di quegli oggetti fallici dietro. Però qualcosa lo tiene bloccato, col profilattico tra le dita tremanti.

L'insegnante tenta di riportare quiete nell'ambiente, battendo un pugno sulla cattedra.

È in quel frangente che Laura scatta in piedi. Tira via il preservativo dalle mani del compagno di classe e piano, con la punta delle dita, lo fa scivolare sul dildo di dimensione media; trova un po' di attrito a causa del materiale con cui è fatto, ma, alla fine, ha successo.

«Visto?» esclama, inarcando un sopracciglio. Rivolge un sorriso rassicurante a Manuel, poi rivolge l'attenzione al resto della classe.

«Si mette così, è semplice. Tu lo sai, Matteo, no? O presto dobbiamo fare una colletta per la povera ragazza che metterai incinta perché non sai usarlo?».

Il ragazzo a cui è indirizzata l'accusa ha intenzione di rispondere per le rime, ma il professor Coverti placa la sua reazione, borbottando un «Okay, tornate a posto».

Manuel crede di ricominciare a respirare soltanto in quel momento. Ricambia allora il sorriso a Laura, in un silente ringraziamento. Lei gli dà una pacca sulla spalla e torna a sedersi accanto a Pin.

***

«Stai bene?».

Manuel ode la voce di Simone mentre recupera il casco da sotto la sella della sua moto. Soppesa l'oggetto tra le mani e annuisce.

È una menzogna, non sta davvero bene: non dorme da quei due giorni, è stanco e gli sembra di camminare sui vetri rotti.

Seppur quel malessere sia taciuto, Simone lo comprende: è il medesimo che attanaglia lui, per cui sarebbe impossibile non farlo. Si guarda intorno, il resto della classe si è diramato, fuggendo verso casa.

«Non si è ancora scoperto chi ha messo quelle foto», esclama «sicuro qualcuno che stava alla festa, ma c'era il mondo quella sera, pure di un'altra scuola, quindi...». Lascia la frase in sospeso, fingendo un colpo di tosse.

«I prof non sanno nulla» continua dopo «nemmeno la preside, se per questo. Non sappiamo se farlo presente o no... Cioè, forse dovremmo, ma ne uscirebbe ancora di più un affare di stato dopo la faccenda del muro, non— ci stiamo pensando».

Manuel schiocca la lingua sul palato. «Bene, quando troviamo 'sto stronzo, posso prenderlo a pizze 'n faccia, mh?».

«Immagino di sì». Simone abbozza una risata, per smorzare la lieve tensione che aleggia un po' su tutto durante quei giorni.

Nel frattempo, Manuel infila il casco sulla testa, si posiziona in sella alla moto, per poi rilasciare un lungo sospiro, socchiudendo gli occhi. «Vale ancora quella cosa?» bisbiglia, così piano che l'altro ragazzo ha difficoltà a sentirlo e ci impiega qualche secondo a replicare: «Cosa?».

«Quella— cosa dell'altro giorno, venire da te per il non pentimento».

Oh.

Ora Simone comprende. Si tortura le mani, conficca le unghie nei palmi. «Sì, vale» conferma.

«Pure stasera?».

«Uhm, sì. Devo convincere mia nonna a non esserci, ma non credo avrò problemi».

Manuel annuisce. «Allora ci vediamo dopo».

Si congeda in tal modo, mettendo in moto il suo mezzo e partendo rapido.

Simone rimane lì in piedi, a fissare l'asfalto lasciato vuoto. E pensa che quello sia una sorta di appuntamento - velato, ricoperto di scuse, ma pur sempre un accordarsi di proposito ed è partito tutto da Manuel.

Un sorriso gli sfugge al pensiero, mentre già prende il telefono dalla tasca per chiamare nonna Virginia.

***

Alla fine, non ha molta difficoltà ad avere casa libera.

Sa essere molto persuasivo, Simone.

È una delle cose che gli ha sempre fatto notare sua madre Floriana, che lui sa convincere tutti di qualcosa, facendola cadere dall'alto, elencando ogni aspetto positivo di una determinata decisione e, in aggiunta, sgranando gli occhi.

Quindi, alle 8:30 di sera, villa Balestra, quell'abitazione dalle mura dalle mura giallognole ha soltanto lui come ospite.

Lui, che attende l'arrivo Manuel, il quale gli ha scritto poco prima che sta arrivando.

Non sa esattamente cosa aspettarsi, cosa fare, se si tratta di un incontro dedito soltanto al sesso - il non pentimento - oppure se c'è dell'altro.

Nel pomeriggio, ha dato per scontato fosse pure per altro, ha costruito castelli di carta, volando sulle nuvole con insegne che recitavano ho un appuntamento con Manuel - ma forse dovrebbe volare più in basso, non forzare le cose e non vederle per come non sono.

Deve ridimensionarsi.

Manuel si presenta alla porta alle 8:52, reggendo su di un palmo aperto due cartoni con dentro delle pizze.

Simone manco ce la fa a dirgli che ha già cenato, che non erano d'accordo anche per mangiare insieme, che lo ha colto alla sprovvista, che quantomeno poteva avvisarlo e...

Alle 9:05 sono accomodati sul divano davanti alla televisione accesa.

Simone tiene in equilibrio sulle gambe la sua seconda cena, una pizza con salamino piccante - ed evita persino di far presente che lui non mangia il piccante, che poi la lingua continuerà a bruciargli per giorni e non lo sopporta.

Manuel è accanto a lui, nella medesima posizione, con il mento sporco d'olio, intento a fissare quella serie Netflix che hanno messo su.

È in lingua spagnola, tanto che Simone non sta seguendo bene la maggior parte delle scene. Tuttavia, immagina sarebbe stato uguale se quel telefilm fosse stato in italiano: è troppo distratto da particolari differenti, tipo quella goccia d'olio che vorrebbe leccare via dal mento dell'altro ragazzo, gesto che potrebbe pure fare, del resto, oppure no.

Insomma, lo ha deciso Manuel di essere lì, no? Glielo ha proprio proposto, ragion per cui, se adesso allungasse una mano e gli passasse un pollice su quel dannatissimo rivolo d'olio, non avrebbe problemi.

Già.

Però non fa nulla. Piuttosto, torna a fissare la propria pizza, della quale ha mangiato una sola fetta.

Si sforza di buttarne giù metà, dopo va a conservare il resto mettondola in un piatto e in frigo - che immagina che la pizza scaldata non sia un granché, ma gli dispiace buttarla.

Sono le 9:43 e sono ancora seduti su quel divano, ancora davanti alla serie tv in spagnolo che Manuel pare apprezzare e seguire con attenzione.

Invece, Simone no. I suoi occhi sono incollati al profilo dell'altro ragazzo, sul mento che è stato - per sua fortuna - ripulito.

Esita.

Per cosa?

È tutto un casino.

Il muro a scuola che è stato ricoperto, il blog con le loro foto.

Dovrebbero pensare a quello, soprattutto a quello.

Ma in quel momento nemmeno le immagini sotto gli occhi di tutti paiono avere importanza, come se in quel salotto ogni elemento esterno si fosse dissolto.

Sono soli. Il resto è irrilevante.

È meno irrilevante ciò che accade poco dopo, quando Simone si concede di distrarsi per mezzo secondo, frangente nel quale Manuel allunga una mano, piano, in maniera impercettibile, va a sfiorare con la punta delle dita il ginocchio di chi gli è accanto, al di sopra del tessuto leggero della tuta blu che ha addosso.

Simone trattiene un sussulto. Volta nell'immediato il capo nella sua direzione, ma lo vede con gli occhi incatenati allo schermo. Schiude le labbra, per poter dire qualcosa, tuttavia tace poiché quel contatto è troppo lieve, troppo appena accennato per poter proferire parola.

«Simó?».

A quanto pare non occorre interrompere il silenzio, ci pensa Manuel.

Simone fa appena in tempo a girarsi verso di lui, che lo vede aver fatto la stessa cosa e i loro sguardi si incontrano per un breve istante.

«Posso provare a fa' 'na cosa?» biascica Manuel.

«Cosa?».

«Una cosa», non specifica «però devi chiudere gli occhi».

«Mi vuoi uccidere?».

Ride, un po' nervoso. «Non t'avrei detto nulla in quel caso».

«E allora cosa?».

«Chiudi gli occhi» glielo ripete, con la voce che si fa più profonda, che richiama una supplica.

Simone non sa il motivo per il quale dovrebbe obbedire e, anzi, si agita un briciolo. In seguito, però, decide di accordarlo e fa calare le palpebre.

«Prometti di non aprirli» lo sente dire.

«Se sapessi il perché, potrei...».

«Tienili chiusi e basta».

Annuisce ancora. In via preventiva, sa che sarà difficile non sbirciare nemmeno un po', non provarci neppure. Si dovrà impegnare parecchio.

Prende un respiro profondo, cerca di utilizzare gli altri sensi: l'udito per primo, il tatto per quanto possibile.

Percepisce Manuel alzarsi dal divano perché il suo peso sui cuscini viene meno. Passa poco tempo che avverte il tocco delle sue dita su entrambe le gambe: sulle cosce prima, poi più su, fino all'elastico dei pantaloni che viene tirato.

A tal punto, Simone ha l'istinto di sollevare le palpebre; finisce per strizzarle così da non irrompere quella velata promessa.

Di non vedere ciò che, forse, ha sempre sognato, almeno da qualche mese.

Nel salotto di villa Balestra, con un dialogo in spagnolo in sottofondo, c'è Manuel che si è inginocchiato davanti a Simone, seduto sul divano, tra le sue gambe leggermente divaricate; gli tira giù una parte della tuta, ciò che è sufficiente a scoprire i boxer neri che porta sotto.

Manuel è stato con un ragazzo quell'estate. È successo e ci ha fatto cose, ma non quello.

Se lo è fatto fare, sì, per capire se potesse tollerarlo, se gli desse fastidio in qualche modo, ma non è stato così. Gli è piaciuto.

Gli è piaciuto e ha desiderato fosse qualcuno di ben preciso a fargli la medesima cosa. Ha pensato ad una sola persona, anche se in quell'attimo ha capito un aspetto di sé che lo atterriva, che era oscuro, che si è divenuto nitido in tale istante.

Al contrario, però, non è accaduto, come se dovesse cimentarsi in quel gesto solo con lui.

Sta rendendo poetico il desiderio di voler provare a fare un pompino, ma tant'è.

Alla fine, magari, la poesia è ovunque, basta saperla vedere.

Ad ogni modo, preme con un palmo aperto sopra il membro ancora rilassato di Simone, scaturendo in lui un leggero grugnito.

«Non guardà» gracchia ancora, lo prega ancora, frattanto che tira giù pure il tessuto di cotone dei boxer.

Simone non crede di poter continuare ad obbedire: ha sospinto il bacino in avanti di riflesso, è scivolato più in basso con la schiena. Piega un braccio così da essere in grado di coprirsi gli occhi in qualche maniera nel caso in cui si trovasse a sollevare le palpebre seppur nolente.

Manuel si assicura che sia stato ascoltato. Prosegue lentamente con le carezze, con le dita che cominciano a massaggiare l'erezione di Simone, inizia a farlo reagire al proprio tocco.

Non crede di essere bravo perché non ci si è mai cimentato, ha sempre e solo ricevuto e dato poco.

Quando abbassa il capo, schiude le labbra sul suo membro che è divenuto più turgido, presume di non esserne in grado. Pensa addirittura di essere incapace nel momento in cui spinge la testa troppo e rischia di soffocare. Si tira indietro, tossisce.

Subito la sua attenzione guizza su Simone, il quale, però, ha tenuto il braccio a coprire il viso e non ha infranto la loro fiacca promessa. Ode soltanto la sua voce, che gentilmente chiede: «Tutto okay?».

«Sì», si affretta a replicare Manuel «continua a non guardare». Ringrazia il fatto che l'altro ragazzo stia esaudendo la sua richiesta, per quanto possa sembrare - forse - stupida.

Ci riprova. Va più lento, manda giù della saliva. Prova dapprima a massaggiare la base con la punta delle dita, per poi succhiare con lentezza solo l'estremità e non spingersi oltre troppo in fretta.

Stavolta va un po' meglio. Prende il ritmo con la testa, con la lingua che sfiora le nervature su una erezione ormai presente.

Simone sta faticando a tenere le palpebre ben serrate. Ha capito cosa sta accadendo e - Dio - vorrebbe vedere tutto.

Pagherebbe per vedere Manuel così, poiché è accaduto soltanto nei suoi sogni e la realtà, seppur circoscritta a due soli sensi, è decisamente migliore.

Tuttavia, cerca di non farlo. Stringe un pugno, con l'altra mano prova a raggiungere la testa di chi si trova in mezzo alle proprie gambe, ma viene fermato.

Manuel afferra il suo polso e lo tiene lontano.

Quindi Simone desiste e si tira indietro.

L'atto prosegue, va avanti incalzante, con Manuel che succhia, incava le guance, fa di tutto per non mettere in mezzo i denti e finire per morderlo.

E Simone si lascia andare a lunghi sospiri, a gemiti che si lascia scappare schiudendo le labbra. Percepisce il piacere crescere sempre di più - non ci crede, sta succedendo. Così «Manuel...» pigola «Manuel, to-togliti, sto per...».

Sto per venire.

Ciò nonostante, Manuel non lo ascolta: continua e aumenta il ritmo, gli viene da soffocare, da tossire, però è una sensazione che tiene sotto controllo e che gli piace, per cui non si tira indietro.

Non lo fa neppure quando l'orgasmo travolge Simone, che si lascia scappare un urlo e, a tal punto, non è più in grado di mantenere alcuna parola data: il braccio gli sfugge, spalanca gli occhi.

Lo spettacolo che gli si presenta davanti è— paradisiaco: c'è Manuel coi capelli scompigliati, con un riccio che si è appiccicato alla fronte a causa del sudore, le sue labbra sono gonfie e umide, ha il fiatone.

«T'avevo detto de non guardà».

Simone manco lo sta ad ascoltare. Coi fumi dell'orgasmo che ancora lo annebbiano, si protende in avanti, pone una mano dietro alla sua nuca e tira l'altro verso di sé, per far collidere le loro bocche. Lo bacia con veemenza, lo bacia come se dovesse rubare il suo ossigeno, come se potesse essere vivo soltanto così.

Lo bacia incurante del fatto che le sue labbra siano sporche di quel liquido bianco e appiccicoso, lo bacia senza chiedere alcun permesso - che è soltanto tacito.

Si stacca per non affogare. «Vieni di sopra» dice. Non è una domanda, non è una supplica.

Vieni di sopra e basta.

Ed accade pure quello, perché Manuel annuisce, senza esitare, senza inventare scuse che, ormai, non servono.

***

È la seconda volta che si ritrovano in un letto nudi, coperti solo da un lenzuolo dalla vita in giù, dopo aver fatto sesso.

Anche se, questa volta, Simone la reputa un po' diversa: per le sensazioni che prova, per le vibrazioni che sente.

Per il fatto che non si frena neppure per un momento e, con le loro gambe che si intrecciano, lo bacia sulle labbra ancora e ancora, e gli accarezza i capelli.

Manuel lo lascia fare, anzi, abbozza addirittura un sorriso quando l'altro si stacca.

«Che c'è?» domanda Simone, con ancora le dita tra i suoi ricci.

«Che c'è» sospira Manuel e porta gli occhi al soffitto per una frazione di secondo. «Che stamo a fa'?».

«Che intendi?».

«Che— semo appena finiti ner mezzo d'uno scandalo co' mezza scola, dovremmo... Stare lontani. Io dovrei starti lontano».

«Vuoi starmi lontano?».

No.

Non risponde subito, anche se la replica sarebbe piuttosto immediata, scontata. Facile.

Si limita a fissarlo con le palpebre socchiuse, stanche. Poi scuote il capo, in cenno di diniego.

«Allora non farlo» pigola Simone.

A Manuel sfugge una risata, un briciolo isterica. «E che facciamo?» mormora «Ce imboschiamo da qualche parte de tanto in tanto come du' pischelli, non...».

«Perché no?».

«Non so' bono co' 'ste cose, non... E cosa saremmo poi?».

«Non dobbiamo per forza definirlo, possiamo solo— vedere come va e provare a farla funzionare, senza che interessi a qualcuno».

Butta giù a fatica della saliva. A parlarne, sembra qualcosa di così facile, qualcosa privo di ogni ostacolo - quando, in realtà, ce ne sono parecchi.

«Me fa 'n botto de paura 'a gente» confessa, allora «quello che fa, quello che dice. Ce só parole che te possono rovina' a' vita, 'e voci che girano, quello che se dice che è vero, che è falso, non è importante. 'A voce della gente te può fa salì in alto, ma soprattutto te fa precipità 'n basso, te può spigne nell'abisso. 'A gente e 'a voce sua sono il vero mostro».

Le voci che stanno già girando, quelle che sente come bisbigli nei corridoi, quelle che gli urlano in faccia, le battute infelici, le insinuazioni.

Simone lo ascolta in religioso silenzio. Ha abbassato lo sguardo, ha preso a tracciare piccoli e invisibili cerchi sul suo petto con i polpastrelli. «Le voci non posso fermarle», sussurra «ma possiamo renderle più basse, noi— Te l'ho detto che non sei solo». Annuisce e solleva nuovamente il capo.

«E se tu vuoi, questa cosa, qualunque cosa sia, rimane tra me e te. E le voci possono dire quel che vogliono».

«Simó...».

«Nemmeno io ho mai detto niente, nessuno lo sa. E non ho intenzione di— farlo, di fare coming out, non voglio, non con quei deficienti che sono costretto a sopportare ogni giorno, non adesso. E mi va bene così, mi sta bene. Ti sto chiedendo se va bene pure a te».

Manuel si morde piano il labbro inferiore. Piega un braccio, in modo da andare a spostare un riccio dalla fronte del ragazzo che ormai è finito per essergli sdraiato sopra. «Vuoi— provà a sta' 'nsieme de nascosto?».

Simone accenna una risata. «Avrei detto provare a frequentarci senza farlo sapere a nessuno, ma suona bene pure così».

«Dovemo migliorarla quella parte, del non farlo sapere».

«Ci ingegneremo». Un sorriso si delinea sulle sue labbra. «Vuoi farlo? Con— me?» è un po' timoroso quando pronuncia tale quesito, ma ogni incertezza svanisce nel momento in cui Manuel fa cenno di sì con la testa.

E non gli pare vero.

Gli sembra di volare, di poter toccare il cielo con un dito che, per un attimo, si scorda della mappa, del muro, del blog, delle foto e delle voci, le stesse che possono essere meno forti se affrontate insieme.

Che, però, continuano ad esistere.

***

Note autore:
Se cercate mappadellavergogna su Tumblr, potete trovare il blog menzionato nella storia e vedere prima i post pubblicati.

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