PROLOGO - LA MAPPA DELLA VERGOGNA
[Questa storia nasce da un'idea di modchlmt esposta su Twitter basata sulla serie Heartbreak High - la mappa, ma sviluppando insieme le vicende che si discostano poi dalla serie; di base, abbiamo preso in prestito solo la mappa, ecco.
Durante le varie parti, troverete sue illustrazioni - vi consiglio di seguirla!
TW: la storia contiene scene smut, linguaggio volgare, fword, insulti misogini, comportamenti moralmente scorretti, scene di violenza, probabilmente pure un po' di sangue - non muore nessuno, ahimè]
A Simone sembra di essere finito in una dimensione parallela o, quantomeno, in un posto di cui non sa decifrare le coordinate.
Ha ancora le esclamazioni di ragazze e ragazzi della scuola che acclamavano a gran voce «Dovete venire a vedere! Dovete venire!». In quel momento, soltanto tre minuti prima, si è chiesto cosa mai ci fosse di così importante ed eccitante per essere così su di giri.
Sarà che lui in quel modo non ci si sente mai, quindi non comprende.
Ad ogni modo, si è lasciato trascinare dalla moltitudine di studenti del liceo Da Vinci e quell'immotivato entusiasmo e, dunque, ora si trova davanti ad un muro dapprima bianco, adesso pieno di scritte, linee e frecce.
Scorge dei nomi in maiuscolo, alcuni li conosce, altri un po' meno.
Tipo c'è un certo Lorenzo della 4^A che ha una freccia che lo unisce ad un fan del dirty talk - non conosce questo Lorenzo, ma buon per lui, immagina; dopo seguono persone che sono nella sua stessa classe come Chicca+Matteo, con una linea curva che li conduce a a letto insieme, con tanto di cuore disegnato male.
C'è qualunque cosa: informazioni che conosce - suo padre Dante con la Girolami matematica?, purtroppo per lui lo sa, come sa della storia di Luna con il figlio del loro professore di italiano.
Di certo non vorrebbe essere nei panni di un Davide di 3^H con Stefania che ha finto l'orgasmo.
Per certi aspetti, le scritte lì riportate potrebbero anche far ridere, perlomeno finché Simone non vede impresso anche il proprio nome e non con una sola freccia.
Esso, infatti, risulta collegato a Laura e ad un rimarcato sesso scadente e noioso.
Potrebbe addirittura offendersi, ma non ne ha tempo poiché la sua attenzione viene catturata da altro.
Dalla seconda freccia che riporta Simone collegato a Manuel, uniti da un bacio+sesso a luci rosse.
Ed è in quel momento che Simone desidera sul serio non saper decifrare più nulla perché quel muro con tanti graffiti colorati potrebbe segnare l'inizio della fine.
O la fine di qualcosa che non è mai potuta iniziare.
Gli occhi di Simone sono ancora fissi sul bacio+sesso a luci rosse quando si porta entrambe le mani tra i capelli, nervoso, incredulo.
Nessuno poteva saperlo.
Nessuno li ha visti, se ne sarebbe accorto.
Sono passati mesi, eppure per lui quel ricordo è ancora molto vivido, di pari intensità alle labbra di Manuel sulle proprie, le sue dita sotto la maglietta, il modo in cui ha sbattuto le ginocchia a terra ed è rimasto coi lividi per settimane.
Si ricorda ogni cosa, dalla memoria non può aver cancellato un particolare del genere.
Gli manca il fiato.
Ci sono tanti nomi su quel muro dell'edificio, forse gli altri non hanno notato il suo, forse stanno cercando qualcosa che riguardi loro.
Del resto, delle disgrazie altrui ci si preoccupa poco quando si è protagonisti di qualcosa in prima persona.
Ognuno si focalizza sulla propria tragedia e le altre perdono ogni tipo di rilevanza.
Sa che deve allontanarsi il prima possibile da quel posto prima che il chiacchiericcio lo sovrasti, prima che Chicca, l'amica che gli è in piedi accanto gli chieda qualcosa.
Non saprebbe come rispondere.
Compie mezzo giro su sé stesso, con l'intento di fuggire via - che sono ai primi giorni del nuovo anno scolastico e già sta andando tutto male. Eppure non riesce a compiere nemmeno un passo che viene bloccato.
Paralizzato dalla figura di Manuel che gli è davanti, che ha gli occhi spalancati, che ha di sicuro già visto i loro nomi collegati da una stupida freccia.
È una scritta sul muro, non vuol dire niente, pensa Simone e vorrebbe dirglielo.
A lui e sé stesso.
Ma Manuel gli fa un cenno col capo - uno soltanto - per invitarlo, no, obbligarlo a seguirlo.
Gli va dietro, remissivo, provando l'impellente desiderio di sparire in quel preciso istante - vorrebbe gettare un colpo di spugna sulla propria esistenza e cancellarla, insieme a quelle scritte sul muro.
Cerca di stare al passo dell'altro ragazzo di cui adesso scorge soltanto le spalle larghe - che sono più ampie rispetto a quella sera di mesi prima, se ne è accorto - i suoi ricci appena più corti sulla nuca e il suo giubbotto verde militare che un po' si è consumato sui gomiti e che, forse, dovrebbe cambiare.
Manuel si ferma d'improvviso e Simone rischia di sbatterci contro. Hanno superato il portone della scuola, svoltato l'angolo in fondo alla strada, così da essere lontani dal resto degli studenti del liceo, concentrati sulla mappa della vergogna - o muro, quel che è.
Manuel lancia un'occhiata nervosa oltre allo spigolo dell'edificio che hanno superato, giusto per accertarsi che nessuno sia andato dietro loro.
«A chi lo hai detto?».
È una domanda che si abbatte su Simone come un fulmine a ciel sereno, tanto da portarlo ad aggrottare le sopracciglia, confuso, perplesso e allora «Cosa?» gracchia.
«Di quella notte», Manuel lo dice a denti stretti «di me e te, a chi cazzo lo hai detto?».
«A nessuno!».
«Ce stanno i nomi nostri collegati su quella mappa, come fanno a saperlo?».
A tal punto, a Simone sfugge una risata, isterica. Vorrebbe saperlo pure lui, si è posto il medesimo quesito.
Si passa una mano sul volto. «Ho tenuto la bocca chiusa perché te l'ho promesso» lo rassicura «e non ci sono soltanto i nostri nomi, ognuno cerca il proprio là sopra».
«O cercano quello degli altri per togliere l'attenzione da sé stessi!» infierisce Manuel. Pone entrambe le mani sui fianchi. «'O dobbiamo cancellà subito, deve sparire».
«Lo vogliono tutti» replica Simone. Si stringe nelle spalle e incrocia le braccia al petto. «Non ho detto niente davvero, non—».
La sua frase non trova risoluzione, né una replica. Con ultimo sguardo truce, Manuel si è allontanato, a passo svelto, lasciandolo solo oltre un angolo.
***
Simone cerca di non pensare alle scritte sul muro, prova a far finta che esso non esista.
Si è prefissato un buon proposito per quell'anno, che lo avrebbe vissuto meglio del precedente, che avrebbe accordato la richiesta di Manuel di far finta che la notte al cantiere, quella del loro bacio+sesso, non sia mai esistita e amici come prima.
Un po' folle il fatto che lui non si è mai considerato suo amico e tale non vuole essere.
Non ora, perlomeno.
Per tutta l'estate, è andata bene: loro due si sono visti poco e niente - Manuel ha lavorato in un bar come cameriere per mettere da parte qualche soldo e lui è stato per oltre un mese in Scozia dalla madre Floriana, visto che lì ci vive.
Quindi, per quel periodo, è stato facile.
E Simone ha pensato che lo sarebbe stato anche al ritorno a scuola.
Purtroppo per lui, Manuel è il suo vicino di banco - in ultima fila - e i loro nomi sono impressi su un muro, uniti da una freccia, nero su bianco.
Rosso su bianco... vabbè, quel che è!
Preme due dita sulle tempie, mentre alle orecchie gli arrivano le voci dei compagni - che tale anonimo evento non scemerà in poco tempo e ne sentirà parlare per giorni, per settimane.
«Oh, regà! Ma ce sta de tutto là sopra! Secondo voi chi è?» esclama Chicca, sbuffando una risata.
«Chi importa chi è! Di sicuro una persona crudele» commenta Laura, stringendosi nelle spalle. Sono tutti seduti al loro banco, attendendo l'inizio della lezione di matematica.
«E poi non sei preoccupata?».
Chicca schiocca la lingua sul palato. «No, quel che ho fatto io è già de dominio pubblico, sai che me frega».
«Ma voi credete a quella roba pe' davero?».
Con enorme sorpresa da parte di Simone, è stato Manuel ad intervenire nella discussione. Gli lancia un'occhiata furtiva, prima di tornare a fissarsi le dita che sta sfregando le une con le altre, rischiando di consumarle.
«Sarà stato 'n ragazzetto annoiato che voleva er momento suo de gloria».
«Ma se non se sa chi è stato, Manuel» lo rimbecca Chicca. Si accascia sul poggiaschiena della sedia e accavalla le gambe. «N'è che sei preoccupato?» lo provoca «Er nome tuo ce sta e un collegamento è proprio 'no shock!».
Sull'ultima frase, fa cenno col capo verso Simone, il quale si accorge soltanto dopo di esser stato messo in mezzo a quel discorso e crede di annaspare. I suoi sensi entrano in allarme. Camuffa un colpo di tosse, per fingere indifferenza.
«Só un botto de stronzate» borbotta. Rivolge lo sguardo agli amici, a Chicca che lo fissa con occhi spalancati, a Matteo dietro di lei che ha entrambe le mani sui fianchi e attende una eventuale replica - come tutti.
Simone manco vuole voltarsi per scoprire l'espressione che si è dipinta sul viso di Manuel, gli sono sufficienti quelle dei compagni.
«Oh, ma ve pare?» dice, con voce stridula e smorzando una risata a tratti isterica. «Può mai essere vero?».
«Beh, durante 'a festa tua siete spariti per 'n po' tutti e due», fa presente Matteo «tutto può esse».
«Non sono gay!» Simone si mette sulla difensiva e tale esternazione gli causa una fitta al petto - evita lo sguardo di Laura che sa, ma non dice nulla. «Sarà davvero solo un ragazzetto annoiato che vuole creare drammi inutili». Cerca di tagliare di netto il discorso.
La sua speranza che tutto scemi in poco tempo si affievolisce.
Con la coda dell'occhio, scorge la figura di Manuel; lo vede abbassare il capo, come a tentare di nascondersi e lo capisce perché vorrebbe fare lo stesso.
Ode ancora un chiacchiericcio provenire dagli altri compagni, ma è lo stesso che tace quando nell'aula fa il suo ingresso la professoressa di matematica, Girolami.
La donna sembra nervosa, ha le gote arrossate, gli occhi stralunati e i capelli raccolti in uno chignon basso, ma spettinato.
Probabilmente ha pianto, pensa Simone.
Di sicuro ha pianto, il suo nome appare sul muro, la collega a Dante Balestra, che di sicuro non è il marito.
È un cazzo di casino.
«Bene, uhm— prendete il volume B, facciamo... Un ripasso oggi» balbetta la professoressa. La sua voce trema.
Lo fa per tutta la lezione, quella che nessuno ascolta.
Gli alunni della 4^B sono troppo impegnati a commentare le scritte della mappa della vergogna.
Hanno scattato delle foto per analizzarla meglio, se le scambiano tramite AirDrop.
Una arriva pure a Simone, che il discorso della Girolami sui logaritmi cerca di ascoltarlo.
L'immagine che gli giunge sul telefono, ovviamente, ritrae il proprio nome connesso a quello di Laura e Manuel.
Niente di nuovo, insomma, niente che non lo tormenti. Eppure riesce di nuovo a tramortirlo, come fosse la prima volta.
Soprattutto, si sente impotente perché vorrebbe scoprire l'artefice di tutto ciò.
Chiunque sia, in grado di rovinare vite intere tra studenti e insegnanti.
***
Il suono della campanella che segnala il primo intervallo pone quasi fine ad una tortura.
Simone si precipita al distributore di caffè posto al fondo dell'ampio corridoio di quel piano, con delle monete in mano, prima che si formi la coda abituale che non sopporta. Il nervosismo non gli è passato.
Continua a guardarsi intorno, furtivo, mentre inserisce i soldi nell'apposita fessura.
Osserva i volti di chi li circonda, formulando quel pensiero che potrebbe essere chiunque e questo lo agita ancor di più.
«Ma quindi te e Manuel ve siete paccati?».
La voce di Luna lo fa sussultare. Per reazione, si passa un palmo sul volto. In seguito, seleziona la bevanda 15: caffè lungo, con tre pallini di zucchero.
La ragazza lo fissa con i grandi occhi azzurri sgranati, vispi e bramosi di confessioni.
Simone corruccia le labbra in una smorfia. «Te pare?» tergiversa.
Luna incrocia le braccia al petto, non s'arrende. «Ce stanno scritti i nomi vostri» afferma «e ho analizzato ogni collegamento e me risulta che è tutto vero. Perché er vostro non dovrebbe esserlo?».
«L'ho detto il perché».
«Guarda che non ce sarebbe nulla de male. Cioè, non te ce vedo a' esse gay, però non sarebbe 'n problema».
«Se non è un problema, perché stai qui a dirmelo?» Simone replica in modo più piccato. Il suo caffè è pronto, recupera il bicchiere di plastica dall'apposito vano.
«Quindi confessi? Avete fatto roba?» no, manco quello serve a fermare la ragazza.
Simone alza gli occhi al cielo e decide di non rispondere più. Piuttosto si allontana, mescolando la sua bevanda calda con un bastoncino di cartone che non sa come faccia a non sciogliersi.
Ha compiuto soltanto qualche passo distratto in mezzo alla confusione e tante persone quando Manuel lo affianca; quest'ultimo ha lo stesso sguardo attento e vigile quasi fosse spiato in ogni movimento.
«Stanno a rompe er cazzo pure a te?» sibila.
«Seh».
Camminano uno accanto all'altro, con pochi centimetri a separare le loro spalle.
«Vabbè, noi continuiamo a negare», attesta Manuel «tanto nessuno sa cosa è vero e cosa no là sopra. Poi fa tutto 'sto rumore mó che è 'na cosa nuova, tempo du' settimane e nessuno ne parla più».
Nessuno sa cosa è vero tranne Luna, a quanto pare, c'ha fatto le analisi, c'ha fatto.
«Come vuoi». Nella testa di Simone, la sua coscienza ne parla ancora e sono passati mesi, ma tant'è. Beve un sorso del suo caffè e rischia di ustionarsi la lingua.
«Non te volevo attaccà prima, comunque» Manuel abbassa un po' il tono di voce. «Me só agitato pe' 'sta storia, ma 'o so che mantieni le promesse».
«Eh, meno male».
«Dovemo solo aspettà e ave' pazienza».
«Seh».
Manuel accenna un flebile sorriso, frattanto che si fermano davanti alla porta della loro classe. Gli dà una leggera pacca sulla spalla; non aggiunge null'altro e rientra in aula.
***
Però no, il peggio non è ancora passato.
La situazione peggiora quando, due giorni dopo, l'intero istituto viene convocato nella palestra più grande dell'edificio. Nemmeno ci stanno tutti nelle sedie che hanno predisposto come fosse un'aula magna, tanto che la gran parte della 4^B - Simone e Manuel compresi - rimane in piedi, in fondo alla stanza.
Ci sono tutti i professori raccolti dietro due cattedre di legno poste una accanto all'altra per creare una superficie più lunga, insieme alla preside Smeriglio.
La donna ha l'espressione più seria che possa mai assumere: preoccupata, ma severa e semplicemente terrificante.
«Perché c'hanno fatto venì tutti qua?» domanda Luna, una delle poche che è riuscita a prender posto in una delle sedie di plastica rigida blu in ultima fila.
«Sarà pe' la faccenda del muro, sicuro» replica Chicca, in piedi dietro di lei.
«Ne stanno a fa' 'na questione de stato, che palle, oh!» commenta Matteo, accanto alla ragazza.
Simone gli rivolge un'occhiata distratta, poi la sua attenzione fugge su Manuel che gli è accanto. I loro sguardi si incrociano per una frazione di secondo, ma è un attimo effimero.
Tanto non avrebbe neppure il tempo di cominciare una eventuale conversazione, dal momento che la preside Smeriglio, dopo essersi schiarita la voce un paio di volte, inizia a parlare alla sala attraverso un microfono - che ogni tanto fischia, però nessuno pare darci troppo peso: «Bene, uhm— sappiamo tutti perché ho convocato tutto il corpo studentesco e i docenti quest'oggi».
Fa una breve pausa, sistemandosi gli occhiali sul naso. Dopo ricomincia: «Sono consapevole che la maggior parte di voi ha una vita sessualmente attiva— per carità, non mi aspetterei diversamente al giorno d'oggi, ma nulla giustifica l'oscenità di quel muro e il modo volgare in cui avete interpretato e descritto le vostre relazioni. Ciò che avete scritto dimostra la visione errata che avete del vostro stesso corpo e del corpo dell'altra persona, nonché il poco rispetto con cui lo trattate. Prenderò provvedimenti anche per i miei colleghi» e insorgono delle risate da parte dei ragazzi che, per un attimo, sovrastano la sua voce.
La preside batte la mano sulla cattedra per richiamare silenzio e attenzione.
«Finché il colpevole non si prenderà la colpa di ciò, è stato deciso che tre volte alla settimana sarete costretti a seguire un corso di educazione sessuale, per noi, soprattutto per voi e per il buon nome di questa scuola».
Durante quel discorso, Matteo ridacchia e sussurra all'orecchio di Chicca «Come se non le sapessimo 'ste cose» e la ragazza fa una smorfia.
Simone li sente e pensa che il compagno di classe sia quello che forse ne sa meno sull'educazione sessuale, ma sorvola; gli direbbe che è un coglione, solo che non è il caso.
«Sono costretta a inserire questo corso per farvi capire quanto sia importante studiare e conoscere il mondo del sesso sotto occhi attenti, il modo in cui voi lo avete descritto è totalmente sbagliato. Non tollererò mai più una cosa del genere. Per i bagni, da oggi in poi, si chiederà la chiave ai bidelli che trovate fuori la vostra classe; per le lezioni, il minimo allontanamento senza permesso del docente vi costerà l'espulsione dalla scuola».
Un grosso sbuffo e disappunto aleggia sulla palestra.
Simone osserva lo sconforto che cala sui compagni di classe e sugli altri ragazzi del liceo.
Su quel muro è stato scritta qualunque cosa, dalle persone coinvolte, ai luoghi coinvolti - come i bagni della struttura.
Per certi aspetti, i provvedimenti della Smeriglio hanno addirittura un senso.
Non sa neppure se lui debba sostenere un simile rimedio o meno, ma un po' si trova d'accordo - a differenza di chiunque altro.
«Che gran rottura de cojoni» esclama Manuel, mentre le parole della preside vanno avanti, suggerendo che riceveranno circolare interna con l'indicazione degli orari dei corsi obbligatori, classe per classe, in orario pomeridiano.
Ecco, forse dover rimanere a scuola oltre le due, a Simone costa un po': significa avere meno tempo libero.
Non che lui faccia qualcosa di produttivo, ma non gli è mai dispiaciuto stare semplicemente a letto a fissare il soffitto.
Deduce che d'ora in poi cambierà tutto, una lezione alla volta.
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