DAFNE
«Ma secondo voi, chi è?».
Manuel solleva lo sguardo quando ode quella domanda posta da Luna. Vede la ragazza seduta sopra il banco di Aureliano, in seconda fila.
La lezione della quarta ora sta per iniziare, ma la professoressa Girolami non è ancora arrivata; nelle ultime settimane, comunque, la donna è sempre giunta tardi in classe e con poca voglia di fare.
Chissà come è finita con suo marito, a volte se lo chiede ancora.
«Secondo me qualcuno che ha finito da qualche anno e che si diverte così» attesta Giulio, in piedi e con le braccia incrociate. Annuisce alla propria affermazione.
Luna non è d'accordo e scuote il capo vigorosamente. «Nah, è sicuro qualcuno che sta ancora qua», esclama «tipo— secondo me è Pin!».
Colui appena nominato, in prima fila, si affretta ad alzare la testa e a strabuzzare gli occhi.
«Perché io?» balbetta.
Luna ridacchia. «Beh, sei sempre silenzioso, sulle tue, vedi e senti tutto» spiega «e poi sei uno dei pochi che non è mai stato nominato là sopra».
«Perché, chi è stato nominato non può essere?» interviene Aureliano, con la bocca piena di crackers al sesamo che ha appena addentato, appoggiato con la parte bassa della schiena alla cattedra. «Oh, ma non le vedete le serie? Il primo passo è scrivere pure robe su sé stessi, così da depista' la gente. È roba da manuale».
«Ah, allora è facile così: è Simone!».
Simone, accomodato al proprio banco in ultima fila, accanto a Manuel, solleva di fretta la testa quando viene nominato, lasciando da parte gli appunti dei logaritmi e un esercizio a casa che non gli è venuto.
«Non ho tempo da perdere con 'ste robe» taglia corto - non vuole un cenno di attenzione.
«Sai chi direbbe una cosa del genere?» Aureliano lo rimbecca, tentando di pulirsi i palmi dalle briciole battendoli sui pantaloni «Il colpevole».
«In effetti c'ha ragione, eh!» rincara la dose Luna «Su di te ha insistito tanto e potresti averlo fatto di proposito così nessuno avrebbe mai sospettato di te».
Simone vorrebbe rispondere con qualcosa - qualsiasi cosa, in effetti, che poi non può considerare una minaccia quel sospetto, alla fine non ha creato lui tutto quello. Schiude le labbra e sta per farlo, se non fosse che Manuel lo precede: «Perché invece de parla' tanto non ve impegnate a farlo chiudere? Tu...» indica Pin con un cenno «n'eri 'n genio dell'informatica pe' farlo cancellare?».
Il ragazzo interpellato si chiude nelle spalle. «C'ho provato», attesta «ma usa un sistema di sicurezza impeccabile, è più difficile del previsto».
«Magari non te stai a impegna' tanto».
«Si sta impegnando, lo stiamo facendo insieme» Laura, dal lato opposto accanto a Simone, si intromette «è davvero difficile, non è roba da niente».
Manuel schiocca la lingua sul palato. «Seh, immagino» commenta «e comunque portate i vostri sospetti der cazzo lontano da qui». Rivolge uno sguardo a Simone, come se potesse rassicurarlo in tal modo.
Quest'ultimo si affretta ad abbassare lo sguardo - perché sta risultando più arduo mentire e, soprattutto, farlo con lui.
A volte pensa che vorrebbe dirgli tutto, di quando e come ha ottenuto le credenziali del blog, di come ha pubblicato dei post per difendersi, per difendere entrambi e poi ha smesso.
Ecco, di recente, ad esempio, non ha messo più niente lì sopra, nonostante le centinaia richieste in anonimo - e avrebbe potuto.
Si è fermato poiché ha visto Matteo - e lo sta vedendo ancora - sgretolarsi lentamente e ciò è stato sufficiente.
Sono arrivati anche a lui degli screen di sue conversazioni su Instagram o WhatsApp, dove il compagno di classe inviava foto non richieste o disturbava ragazze, più piccole, tra parentesi; non è stata una cosa ben accetta, tanto che hanno cominciato a piazzare commenti poco carini sotto ai suoi post.
Ad alcuni, Simone avrebbe addirittura voluto mettere mi piace, ma si è trattenuto.
Lo può osservare anche adesso, Matteo, in disparte al suo banco in fondo all'aula, che non si rende partecipe della conversazione, tiene il capo basso e si tortura le dita.
Non gli dispiace nemmeno un po'.
«Vabbè, può esse' davvero chiunque» dice Luna ad un tratto «che poi se fosse per me, io metterei molta più roba, più post al giorno».
«Puoi distruggere la vita delle persone così» la riprende Laura.
«Non se selezioni le cose. Chiunque ci sia dietro, ce va giù pesante. Io sarei più discreta, giusto qualche dramma risolvibile».
A tal punto, Laura alza gli occhi al cielo.
È l'ultima frase che viene pronunciata e che conclude quel dialogo corale, dal momento che la professoressa Girolami giunge in classe e la lezione deve cominciare.
***
Nell'intervallo, Simone resta seduto su una delle panche di legno in corridoio, nel via vai degli studenti e il loro chiacchiericcio. Da quella posizione, può scorgere Matteo, in piedi dentro alla 4^B, vicino alla cattedra, da solo e col telefono in mano, che fissa con occhi spenti.
Chissà che ha ricevuto, pensa, sebbene, forse, una risposta già la possiede.
«Tutto okay?».
Manuel si accomoda al suo fianco e gli porge il caffè espresso con tre pallini di zucchero, già girato.
Simone annuisce e raccoglie tra le dita il bicchiere pieno. «Credi stia male?» replica e indica il compagno di classe in aula con un cenno del capo.
Manuel beve un sorso del suo cappuccino che ha troppa schiuma e ci impiega qualche secondo a comprendere il soggetto della frase. «Può esse'», replica «m'hanno detto che negli ultimi giorni ha ricevuto dei messaggi un po' così, lo stanno pure riempiendo de commenti poco carini su Instagram».
«Sì, li ho visti».
«È un coglione, 'o sappiamo, ma non so quanto se meriti 'sta gogna, ner senso— 'sta roba non se la merita nessuno».
«Perché no? Ha fatto delle cose brutte, glielo stanno facendo notare».
«Ce so' modi e modi pe' fa' notare le cose, questo è quello più sbagliato, 'o sai. Sai pure come ce se sente quando t'attaccano sui social, no?».
«Sì, ma...».
«'Ste cose poi sfuggono de mano e succede er bordello, dico solo questo».
Simone tace, alla fine. Vorrebbe esternare altro, ma Manuel sembra essere fermo nelle sue convinzioni, ci discuterebbe e non gli va. Manda giù tutto d'un fiato il suo caffè, rischiando di ustionarsi la lingua, anche perché il segreto che si porta dietro lo logora alquanto.
Il fiato, poi, gli viene comunque meno quando abbassa lo sguardo e nota come Manuel abbia appoggiato una mano sul proprio ginocchio.
Si guarda attorno e decisamente non sono in disparte, ma sotto gli occhi di tutti.
A lui non dispiace, anzi, ne è lieto e prova l'impulso di fare intrecciare le loro dita in quell'esatto punto.
Non compie quel gesto soltanto perché Manuel si ritrae dopo pochi secondi e non gliene dà l'occasione. Lo vede alzarsi in piedi e bere l'ultimo goccio del suo cappuccino.
Simone rimane fermo sulla panca, mordendosi il labbro inferiore. «Vieni da me questo weekend?» dice – e, come sempre, non suona al pari di una domanda.
Manuel sposta il peso del corpo da un piede all'altro. «Pe' studia', immagino».
«Certo».
«Vengo pe' le otto».
Come sempre.
***
Come sempre, Manuel anticipa ed è a casa di Simone alle sei di pomeriggio.
Trova addirittura Dante ad aprirgli la porta: lo saluta con un ampio sorriso e il professore non fa nessun commento, gli indica soltanto di salire le scale verso la camera del figlio, lasciando dietro l'eco di un «Studiate, mi raccomando!».
A studiare ci provano davvero, per quel che vale: si ritrovano sdraiati in posizione prona sul letto ad una piazza e mezza, con le lenzuola tirate e una trapunta grigia sopra.
Hanno davanti un libro aperto di letteratura italiana.
Manuel tiene un braccio piegato a reggere la testa, intanto che legge ad alta voce la biografia di Torquato Tasso, con gli occhi fissi su delle pagine evidenziate di giallo.
Quel che dice non viene davvero ascoltato.
Simone ha lo sguardo sul profilo dell'altro ragazzo: scruta la linea della sua mandibola, il naso che ha la punta che verge in maniera impercettibile verso il basso, la fossetta che si forma sulla sua guancia quando accenna un lieve sorriso.
Quindi, lasciandosi oltremodo inebriare dalla voce di Manuel, si sporge nella sua direzione finché non appoggia le labbra sulla sua pelle, appena sotto lo zigomo; non è un bacio, forse un principio di tale più simile ad un leggero sfregamento con la bocca e la punta del naso.
Per reazione, Manuel ride. «Simò?» dice.
«Mh-m?».
«Stiamo studiando».
Simone annuisce – più o meno, è un assenso un po' sconclusionato – e adesso mordicchia la sua guancia, gli provoca solletico.
Manuel ridacchia di nuovo, cerca di sottrarsi a quel minuscolo contatto, sebbene manco lo voglia.
«Simo...» cantilena.
«Tanto non ti interroga, Laura si offre volontaria».
«Seh? Lo ha detto a te?».
«No», Simone sussurra e si sposta con le labbra più vicino a quelle dell'altro ragazzo – ma ancora nessun bacio «ma fa sempre così».
Manuel socchiude le palpebre, a tal punto. Poi gira il capo di qualche centimetro, così da far collidere le loro bocche.
Soltanto allora, per davvero, un bacio si verifica: è un contatto che comincia come delicato, in seguito viene approfondito.
Lo spinge piano, lo fa sdraiare sul materasso, rischiando di stropicciare le pagine del libro di letteratura, lo stesso che cade a terra a causa dei loro movimenti.
Manuel si ritrova sdraiato in parte sopra Simone, con le loro labbra che si cercano e trovano e una mano che si intreccia e impiglia nei suoi ricci scuri.
Quando si stacca, lo fa unicamente per riprendere un po' di fiato, ma rimane abbastanza vicino al suo volto per recepire il reciproco respiro addosso. Sfiora la punta del suo naso con la propria.
Simone curva le labbra in un lieve sorriso, intanto che prende a sfiorare con i polpastrelli una minuscola porzione di pelle dietro l'orecchio dell'altro ragazzo.
Gli piace guardarlo da quella prospettiva, sotto di lui.
Gli piace guardarlo da ogni angolo, ad essere onesti.
«Gliel'ho detto a mio padre» sussurra ad un tratto.
«Cosa?» domanda Manuel, che ha preso a giocherellare con i suoi capelli, lasciandoli scorrere tra le dita.
«Di me», mormora allora Simone «cioè... più che altro gliel'ho urlato e non ho mai immaginato il mio coming out con mio padre in questo modo, pensavo sarebbe stato più tranquillo come è successo con mia madre, però... però gliel'ho detto».
Manuel accenna un sorriso. Con i polpastrelli, adesso, accarezza la linea delle sue sopracciglia – c'è una piccola cicatrice a stento visibile in corrispondenza della coda di peli scuri, ma si sente al tatto; non ci ha mai fatto caso e si chiede come se la sia fatta, deve essere qualcosa di molto vecchio.
«È stata una cosa molto coraggiosa» dice, sottovoce.
«Non così tanto».
«Lo è. Io a mia madre non l'ho detto, non—non direttamente, anche se credo abbia capito. Lei capisce sempre tutto».
«Come mio padre».
«Seh, per questo si so' trovati, no?».
Un po' come me e te.
Simone fa cenno di sì col capo, lo stesso che solleva leggermente per potersi sporgere nella direzione dell'altro e incontrare le sue labbra per un ennesimo bacio.
Conserva sulla punta della lingua una confessione che vorrebbe esternare, a lui direttamente, qualcosa che vorrebbe urlare a squarciagola. Tuttavia, ancora si trattiene come fosse troppo presto.
E non sa che dall'altra parte avviene la medesima cosa.
Entrambi tacciono quel sentimento che li abbraccia e culla.
«Mia nonna ha fatto le lasagne per stasera» allora Simone cambia del tutto il discorso, si butta su qualcosa di generico che possa smorzare ogni ipotetica tensione.
Manuel ridacchia e gli schiocca un bacio sulla guancia. «Bona la lasagna» soffia.
«E a lei piaci».
«Alla lasagna? La cosa è reciproca».
«Cretino».
Non è una bugia perché nonna Virginia adora Manuel, tanto da riservargli la porzione più generosa di lasagna a cena.
Ed è un buon momento, quello, conviviale insieme alla donna e a Dante che non fa nessuna battuta, non dice nessuna cosa strana.
Simone si sente bene durante quell'occasione, qualcosa che non riteneva possibile.
Sarà che ha Manuel accanto a sé che è sereno, che allunga la mano sotto al tavolo e gli accarezza una gamba con una naturalezza disarmante, quella che non si aspetta e che apprezza.
Non si preoccupa del fatto che Dante o Virginia vedano quel gesto – non lo fa neppure Manuel, come se ciò non avesse importanza o che potesse esser scorto senza problemi.
Loro non sono i nemici.
Simone si rende conto che per davvero a Manuel non interessa che qualcuno li veda, soprattutto quando, ultimato il pasto, si dirigono nuovamente al piano superiore e, mentre salgono i gradini delle scale, l'altro gli pone un palmo sul fianco, alla perenne ricerca di un minimo contatto che li unisca.
Tornano ad esser soli in una stanza, la porta chiusa a chiave e un secondo materasso ad una piazza accanto al letto principale che tanto neppure useranno perché fanno appena in tempo a varcare la soglia della camera che si stanno già baciando, toccando e spogliando.
La maglietta di Simone cade sul pavimento quando sono uno di fronte all'altro, in piedi. Il livido sul suo fianco è ancora visibile, sebbene abbia cambiato colore e tenda di più al giallo.
Manuel ne sfiora i contorni disomogenei con la punta delle dita. Lo analizza, preoccupato. «Te fa male?» chiede.
Simone si affretta a scuotere il capo, in cenno di diniego. «Sto bene», attesta «sto bene».
Sta bene e stringe il suo volto tra le mani, lo bacia sulla bocca e lo tira verso di sé fino a che non riesce a sedersi sul bordo del materasso; mantiene le gambe appena divaricate per poter permettere ai fianchi dell'altro ragazzo di incastrarsi nel mezzo.
«Tu stai bene?» soffia.
Manuel annuisce. «Sto benissimo» dice, con uno dei sorrisi più veri e sinceri che abbia mai indossato.
Se la felicità provocasse un rumore, è convinto che equivarrebbe al fruscio prodotto dagli ultimi indumenti che si depositano sulle mattonelle, quello delle lenzuola del letto quando ci si sdraiano sopra o la pelle dei loro corpi che sfrega e crea un piacevole attrito.
Simone tiene una boccetta di lubrificante alla vaniglia e una confezione di preservativi nel secondo cassetto del comodino di legno color verde menta accanto al letto; è il piccolo mobile che raggiunge allungando un braccio per raccattare ciò che gli serve, ossia i due oggetti che dopo appoggia sul letto e spinge un po' in direzione di Manuel.
Di norma, quest'ultimo li prenderebbe, toglierebbe il tappo al contenitore del lubrificante, si impiastriccierebbe le dita e poi...
Non fa nemmeno mente locale di quei gesti che nell'ultimo periodo ha compiuto con spontaneità, piuttosto assume una posizione supina, accasciando il capo sul cuscino.
«Fai tu» sussurra.
Simone rimane immobile. Fissa il tubetto trasparente e l'involucro quadrato blu metallizzato come se li vedesse per la prima volta, col cuore che appena gli sussulta.
«Non—non l'ho mai fatto» biascica.
Non con un ragazzo, ha sempre lasciato fare, pure in Scozia con Thomas, per quanto abbia sperimentato.
Per reazione, Manuel sbuffa una flebile risata.
«Nemmeno io quella volta», attesta, riferendosi a loro due, sotto le luci rosse «ma tu te sei fidato comunque».
Solleva di poco la testa solo per depositare un bacio sulla linea della mandibola dell'altro ragazzo.
«E io mo' me fido de te».
«Ti faccio male».
«Non me fai male» ribadisce e afferra il lubrificante «basta usa' tanto de questo. Davvero parecchio de questo».
«Manuel...».
«Simo».
Simone tentenna ancora una volta. È davvero agitato, sebbene abbia immaginato e sognato in più occasioni come potesse essere fare sesso - fare l'amore - a parti invertite, a sentire Manuel nello stesso identico modo in cui viene sentito lui, non più solo dentro, ma in ogni centimetro, in ogni fibra del proprio corpo.
«Okay, ma... ma se ti faccio male...» rimane incerto.
«Te lo dico se succede».
Solo a quel punto, annuisce. Prende tra le dita il tubetto, lo stesso che apre con non poca fatica; si impiastriccia i polpastrelli con quel liquido denso, ne mette forse più del necessario, ma la quantità giusta non la conosce - ci pensano gli altri, di solito.
Per annegare rinnovati dubbi e paure che non riesce a cacciare, preme le labbra su quelle di Manuel, intanto che conduce una mano tra le sue gambe appena divaricate. Va un briciolo a tentoni per trovare il giusto punto da stimolare, ma poi ci riesce a stuzzicare il sensibile anello di muscoli senza provocare troppo attrito - la quantità di lubrificante usata si rivela ottimale.
«Va bene?» domanda, sulla sua bocca, quando lo ha penetrato con solo il dito meglio che prende un ritmo lento e cadenzato: dentro, fuori, dentro, fuori.
Manuel fa cenno di sì col capo. Passa un palmo sulla sua schiena. «Va bene, va bene» afferma.
Con quella rassicurazione che un po' lo tranquillizza, Simone procede. Dopo qualche minuto, osa inserire pure un secondo dito; va avanti con i medesimi movimenti, più regolari, più profondi, tanto che alle orecchie gli arrivano dei gemiti sommessi e trattenuti da parte di Manuel, che continua a baciare, per distrarsi e per distrarlo.
«Simó?» mormora quest'ultimo.
«Mh?».
«Puoi—puoi andare».
Simone deglutisce a fatica. Estrae le dita con delicatezza. Non se ne è nemmeno reso conto che, nel frattempo, si è eccitato - lo hanno fatto entrambi - il suo corpo ha reagito e adesso ha una erezione pulsante e turgida che necessita di essere soddisfatta.
Vorrebbe toccarsi, ma invece recupera la confezione del profilattico, cerca di scartarlo sebbene gli scivoli a causa delle falangi unte; deve aiutarsi coi denti per avere successo.
Tuttavia, l'agitazione non passa troppo presto e lui trema ancora, anche quando srotola il preservativo sul proprio membro.
È in quel momento che Manuel, comprendendo la sua apprensione, stringe il suo viso tra le mani. «Oh, guardami» sussurra «è tutto okay».
Lo vede annuire, nonostante stia ancora tremando.
«Vuoi che mi giro?».
«No», si affretta a rispondere Simone «no, ti voglio guardare».
Voglio che tu mi guardi.
Manuel schiude le labbra, passa una mano tra i suoi capelli ricci. Lascia che l'altro sposti uno dei due cuscini che ha dietro alla testa e lo piazzi appena sotto al suo bacino per tenerlo leggermente sollevato; dopo lo osserva massaggiare la sua erezione per rinvigorirla.
Simone appoggia la fronte su quella di Manuel. Lascia che i loro respiri si fondano e abbraccino quando lo penetra per quella loro ennesima prima volta.
Comincia a muovere i fianchi in modo sinuoso e attento, non si trattiene da baciare ancora e ancora il compagno, in qualunque punto riesce a raggiungere: le labbra, le guance, il naso, il mento, ogni centimetro di pelle.
A Manuel sfugge una risata di pura felicità e benessere, che ha come sorgente il centro esatto del cuore.
Capisce in quel momento che non è solo la voce ad essere bella, ma è tutto ciò che riguarda Simone ad esserlo.
È Simone a rendere bella la sua esistenza, a fargli capire che ne vale sempre la pena, oltre ciò che dice la gente, oltre le paure, oltre il dolore.
Oltre la luna.
***
Quando Manuel apre gli occhi, la mattina dopo, si trova ancora nella camera di Simone, nel suo letto.
Vede il suo volto sorridente, i capelli arruffati e la sua espressione ancora sconvolta dal sonno.
«Buongiorno» lo sente mormorare.
Subito il sorriso si dipinge sulle sue labbra.
«Buongiorno».
Incurante del fatto che non si sia ancora lavato i denti o fatto una doccia, Simone si sporge nella sua direzione, fa scontrare le loro bocche in un bacio, mentre sono ancora tra le lenzuola che si sono sgualcite, in una stanza con la porta chiusa.
Non hanno fatto troppo baccano quella notte, perlomeno spera.
Ma, anche se fosse, non gli importa molto. Potrebbe persino sopportare l'imbarazzo con suo padre o con sua nonna, se mai avessero udito qualche suono.
La visione dei tratti rilassati e beati di Manuel accanto a sé lo ripagano di ogni cosa.
«Ti voglio portare la colazione», dice, con voce impastata «caffè, latte, biscotti, spremuta».
«Non mangio così tanto».
«Ti porto quel che vuoi», lo bacia sulla punta del naso «che vuoi?».
«Mh-m» Manuel borbotta e sfrega il viso sulla guancia del ragazzo che gli sta parzialmente sopra «caffè e... pane tostato».
«Spero di non bruciarlo».
«Va bene pure bruciato».
Gli andrebbe bene per davvero.
Lo lascia andare qualche minuto dopo, nonostante non voglia.
Neppure Simone vorrebbe, anzi, resterebbe lì per ore, in quel letto. Invece si alza, indossa i boxer, un paio di pantaloncini blu e una felpa grigia col cappuccio.
A piedi scalzi, esce dalla stanza, della quale richiude la porta alle proprie spalle e scende le scale di legno fino alla cucina.
La trova vuota, a differenza di quanto pensava, ma è sabato, quindi deduce che nonna Virginia sia uscita presto per le sue compere e suo padre— chissà, potrebbe essere ovunque.
A lui interessa recuperare la moka, prepararla e metterla sul fornello, dopo il pane in cassetta da una delle credenze più in alto e infilare due fette del tostapane.
Sistema ogni cosa su un vassoio bianco che ha un manico rotto - fa niente, può reggerlo da sotto.
Riesce a non bruciare il pane, ma a farlo dorare al giusto punto; lo mette su di un piatto, mettendoci sopra un velo di burro e marmellata di mirtilli.
«Se volevi portarmi la colazione a letto, dovevi avvertirmi. E avvertire pure i media, se per questo».
Simone solleva lo sguardo quando ha in mano la moka e versa il caffè in due tazze di ceramica azzurre. Vede suo padre sulla porta, con gli occhiali abbassati sul naso e un quotidiano retto da un braccio piegato al petto.
«Non è per te» risponde, senza indugi.
«E per chi è?».
Tace e trattiene il respiro: la risposta è abbastanza scontata e sarebbe facile esporla, dirla ad alta voce.
Prima che possa parlare, in effetti, Dante accenna una risata e muove qualche passo dentro alla stanza. «No, no, non ti preoccupare», esclama «lo so per chi è».
Si avvicina ancora. Sul tavolo, oltre al vassoio imbandito, c'è anche un vaso di Dafne con tanti fiori rosa - Virginia è patita di giardinaggio e ha riempito la casa di fiori in ogni angolo.
Il professore ne stacca uno da metà gambo e lo posiziona accanto al piatto con il pane tostato.
«Ecco», dice «so' sicuro che gli piacciono i fiori» accenna un finto colpo di tosse «per chiunque sia la colazione, s'intende».
Simone osserva quel gesto senza sapere come reagire. Finisce di versare il caffè e abbandona la moka di nuovo sul fornello. «Grazie» sussurra.
Dante annuisce e accenna un sorriso. «Significa non ti vorrei in alcun altro modo» attesta.
«Cosa?».
«Il fiore di Dafne» spiega «ha un significato. Tua nonna lo sa spiegare meglio, di sicuro, e ne conosce molti di più, ma questo mi è sempre rimasto impresso».
Anche Simone, adesso, fa piegare le labbra nel medesimo sorriso. «Grazie» ripete ed è sincero.
Basta quello, senza aggiungere qualcosa che sarebbe di troppo.
Si capiscono con uno sguardo, padre e figlio.
Ne è grato.
È felice.
Prende il vassoio tra le mani e si allontana con il cuore decisamente più leggero.
Quando torna in camera, trova Manuel seduto sul letto a gambe incrociate, al di sopra della trapunta; si è rivestito in parte, indossando i boxer blu e la sua t-shirt rossa.
Simone si chiude la porta alle spalle, spingendo l'anta con un piede. Appoggia il vassoio con la colazione sul materasso e poi prende posto sullo stesso, cercando di non smuovere troppo per non far cadere nulla.
«Non l'ho bruciato» annuncia, fiero.
«Eh, te posso iscrive a Masterchef, allora» scherza Manuel. Abbassa lo sguardo e va ad afferrare subito la fetta di pane imburrato con la marmellata, dandogli un morso. Ha ancora la bocca piena quando nota il fiore accanto al piatto.
Non esita a prenderlo, rigira il gambo tra le dita. In seguito, con un gesto fluido, va a portare quei petali dietro ad un orecchio dell'altro ragazzo; incastra la dafne tra il lobo e i capelli e sorride, nel frattempo.
Le guance di Simone si tingono di un pallido rosso. Si chiude nelle spalle come meccanismo di diversa dall'imbarazzo che lo sta cogliendo - ma è una di quelle sensazioni che dovrebbero risultare spiacevoli e invece gli provocano le farfalle nello stomaco.
«Sei caruccio così».
Ecco, quell'affermazione fa proprio precipitare ogni cosa e danzare più forte, in un vortice, quelle farfalle.
Per far cessare quel movimento, per placare i battiti del cuore che si fanno troppo forti, Simone si protende in avanti col busto così da far collidere le loro bocche in un bacio che sa di burro e marmellata di mirtilli.
«Te vojo dì 'na cosa» sussurra Manuel, ancora sulle sue labbra.
«E dimmela».
Si scosta, si tira indietro. Passa una mano tra i suoi capelli, dalla parte opposta rispetto a dove ha sistemato il fiore.
«Non adesso» soffia.
«Perché no?».
«Perché te la vojo dì domani sera».
«Che succede domani sera?».
«Ce sta la luna piena».
Simone aggrotta la fronte. Vorrebbe sapere tutto e subito, ma decide di accordare quel suo desiderio, per cui annuisce e gli lascia un ultimo bacio sull'angolo della bocca.
Più o meno.
«Nemmeno un indizio?».
«Ah-ah, no» ride Manuel. Si tira di più indietro per poter finire di mangiare il suo toast. Butta giù anche il caffè in due sorsi solo, mentre Simone non è nemmeno a metà.
Batte le mani sulle cosce per togliersi qualche briciola tra le dita, che inesorabilmente finisce sul lenzuolo.
«E dai, manco mezzo?» insiste l'altro ragazzo.
Manuel schiocca la lingua sul palato. Fa cenno di no con la testa e si alza dal letto. Non replica a quel nuovo tentativo.
Piuttosto «Posso mette 'n po' de musica?» cambia il discorso ed indica il computer portatile chiuso sulla scrivania.
Così, Simone è costretto per davvero ad arrendersi. Lo fa con un sospiro che, però, viene subito sostituito da un sorriso. Rimuove il fiore da dietro all'orecchio, posandolo con delicatezza sul vassoio - pensa lo conserverà, gli piace il colore.
Annuisce. «Sì, certo».
Intanto, Manuel apre il portatile. Clicca un tasto casuale. «La password?».
«Paperella210, tutto minuscolo».
Gli rivolge un'occhiata divertita e scuote il capo.
Digita ciò che gli è stato detto per sbloccare il computer. Pensa che sia una password ridicola, un livello di sicurezza facilmente violabile, ma poi anche al fatto che paperella è la moto che gli ricorda la sua infanzia, il legame col padre Dante, che, in qualche modo, si collega al suo defunto fratello Jacopo e, allora, non potrebbe immaginare qualcosa di diverso.
È curioso persino di sapere cosa mai possa avere come sfondo e attende con una leggera tensione per chissà quale aspettativa.
La voce di Simone sta ancora riecheggiando nella stanza, parlotta riguardo a domani sera, facendo ancora domande sulla luna e dopo cambiando argomento, comprendendo i fiori, il loro significato e linguaggio.
«Magari poi chiedo meglio a mia nonna» è la sua frase conclusiva. Si aspetta una risposta, una reazione - forse - o magari una battuta di spirito, un ma pensa te.
Andrebbe bene.
Eppure, dall'altra parte ottiene un silenzio surreale, che stona con i momenti appena vissuti, legati alla calma, alla dolcezza, alla pace.
Simone si rende conto di quel gelo che d'improvviso è calato nell'ambiente e non ne capisce il motivo.
Non capisce perché ci sia del gelo mentre il caffè nella sua tazza è ancora caldo.
Osserva le spalle di Manuel, la sua figura immobile.
Si trascina giù dal materasso, incerto. «Manuel?» osa mormorare.
Nessuna risposta e tutto diventa ghiaccio.
Sulla luna fa freddo?
«Manuel?» ripete «Che—che succede?».
Forse non vorrebbe saperlo.
Forse non avrebbe dovuto chiederlo.
Perché, a quel punto, Manuel si gira e la sua espressione è ben diversa dalla maschera di tranquillità che lo ha caratterizzato negli ultimi giorni è soltanto qualche minuto prima.
È scomparso il sorriso, lasciando il posto ad occhi vuoti, vitrei, rabbia e rancore.
Basta poco, una frazione di secondo a Simone per comprendere il motivo, che non è nemmeno così difficile da fare.
È qualcosa che ha scordato poiché al proprio computer è l'unico ad accedere e non pensa mai a ciò che lascia aperto.
L'ultima volta non ha controllato e non ha chiuso il browser.
Non ha chiuso quella pagina, la stessa che Manuel può vedere adesso, con tutti i comandi di modifica del blog mappadellavergogna.
E Simone capisce che ha appena compiuto uno degli errori più grandi, probabilmente, della sua vita.
Schiude le labbra, non sa cosa dire.
Non sa nemmeno più come parlare, come articolare una frase di senso compiuto.
Dovrebbe spiegare ciò che è successo, sarebbe semplice, del resto: potrebbe dire che ha ricevuto le credenziali a posteriori, che ha pubblicato qualcosa soltanto un paio volte e per difendere loro due.
Però ogni giustificazione gli sembra inutile e vana.
Non c'è neanche il tempo di esternare qualcosa.
Il silenzio continua ad esserci ed è opprimente.
Manuel tace, il suo sguardo deluso parla per lui. Fa cenno di no col capo e raccatta i propri vestiti sparsi sul pavimento. Li indossa alla rinfusa, di fretta, perché l'unica cosa che vuole è andare via da quel posto.
Simone non prova a fermarlo, non subito.
Lascia che le cose scorrano come sabbia tra le dita. Riprende il contatto con realtà solo quando Manuel esce dalla stanza e, quindi, si decide ad andargli dietro.
Lo ferma, tenendolo per un braccio, quando l'altro è sceso solamente di un gradino - quest'ultimo si libera dalla sua blanda presa con uno strattone.
«Manuel—Manuel, ti... ti prego, lasciami...» balbetta Simone.
«Lascio che? Te lascio che, Simó?».
Manuel non si sforza di tenere un tono di voce basso. Può essere sentito, ma non gli importa.
Di nuovo, però, le parole si bloccano nella gola di Simone e non riesce ad emettere suono diverso da uno stentato: «Mi dispiace».
«Non lo devi dì a me» sentenzia Manuel.
Quel che fa più male corrisponde ai suoi occhi, alla delusione che dilaga e massacra.
Simone strizza le palpebre, trattiene qualche lacrima che lotta per poter uscire e scivolare lungo le guance.
Prova ancora a frenarlo, afferra di nuovo il suo braccio, ma, esattamente come prima, Manuel si libera e scende un secondo gradino.
«Puoi—puoi restare, per favore? Ti posso spiegare, possiamo...».
«Non voglio sentì nessuna spiegazione, Simó» lo interrompe bruscamente l'altro ragazzo «non me interessa, non...» fa cenno di no con la testa.
Sono nella penombra, in cima ad una rampa di scale, con un'assenza di suono dilaniante.
«Il problema è solo mio» riprende, tirando su col naso «mio, che me so' innamorato d'una persona che non esiste».
Simone registra quella frase nella propria testa ed è assurdo perché ha sognato un'infinità di volte di sentire tali parole, ha fantasticato su un momento del genere, solo che non si sarebbe mai immaginato di udirla in una situazione simile, non pronunciata con quello sguardo e astio.
Vorrebbe morire.
Ora, subito.
Resta immobile, con il cuore e l'anima che si riducono a brandelli.
E allora Manuel si allontana, scende in fretta le scale e il tonfo della porta coincide con la sua fuga e con la solitudine desolante che inghiotte Simone come un mostro nero.
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