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capitolo 5

I giorni cominciarono a susseguirsi tutti uguali per la giovane Manha che in costante viaggio verso sud, oltrepassava un villaggio dopo l'altro senza sosta, facendo lavoretti qua e là; non riuscendo, tuttavia, a trovare un motivo o un'occasione per fermarsi più di una notte o due.

Certe sere, mentre alloggiava in una locanda o sotto le stelle, desiderava con tutta sé stessa tornare indietro per portare in salvo la madre, ma sapeva che da sola non sarebbe riuscita in quella folle impresa e questa consapevolezza la faceva sentire impotente e sopraffatta, come chi sta annegando ed è consapevole che nulla potrà impedirlo. Tuttavia si prometteva che un giorno lo avrebbe fatto, doveva soltanto trovare un aiuto. La presenza della principessa era sempre stata indispensabile per lei, il suo unico punto di riferimento e l'averlo perso le toglieva quasi il fiato.

La mattina del suo diciottesimo compleanno arrivò alle porte di una città commerciale che si affacciava sulle calde coste del mare del sud, ultimo lembo di terraferma prima del vasto oceano.
Dopo aver passato il breve controllo all'ingresso della porta nord, s'immise lungo una bella via lastricata sulla quale s'affacciavano moltissimi edifici, ognuno dei quali esponeva la propria mercanzia sull'uscio.

Percorrendo la strada rimase incantata dalla brulicante vita che le passava innanzi.
Giunto mezzogiorno riuscì, grazie a qualche indicazione, a trovare una taverna da tutti conosciuta per la sua ospitalità. Un po' intristita dal fatto di trovarsi in una terra sconosciuta il giorno del suo compleanno vi entrò.

Con passo lento ma armonioso andò nella direzione di un tavolo accanto ad una finestra, in fondo alla sala. Tolse il mantello e si sedette in attesa che l'oste venisse a prendere la sua ordinazione. Curiosa cominciò a scrutare l'ambiente in cui si trovava.

La locanda non era certo lussuosa ma pulita ed arredata con gusto. Era costituita da un'unica grande stanza con le pareti rivestite di legno scuro. Dall'ampio ingresso si poteva vedere: a sinistra il bancone, dietro il quale stava l'oste; davanti al bancone, alcuni sgabelli per i commensali che desideravano consumare il loro pasto velocemente; a destra dell'ingresso erano disposti i tavoli, sistemati su due file, ognuno dei quali poteva accogliere quattro persone. Una fila di questi era appoggiata alla parete in corrispondenza di ogni finestra, l'altra distava dalla prima circa due metri. In fondo alla sala vi era un grande tavolo di legno scuro usato per accogliere le comitive di viaggiatori che volevano festeggiare. Le lunghe panche poste ai suoi fianchi potevano ospitare fino a venti persone.

Accanto al tavolo una porticina con l'arco di pietra conduceva nel retrobottega. Subito a sinistra dell'ingresso, lungo il muro accanto al bancone un grande arco di legno dava sulle scale che portavano al piano superiore dove un povero viandante stanco poteva prendere una camera in affitto e riposare.
Il bancone in legno lucidato ed incerato aveva la forma di una lunga elle e permetteva all'oste di vedere bene tutta la sala ed avere la situazione quasi sempre sotto controllo.

Dopo circa dieci minuti d'attesa le si avvicinò una giovane con in dosso un corto grembiule, allacciato al giro vita, ed in mano quello che avrebbe dovuto essere un foglio per le ordinazioni dei commensali. "Benvenuta nella Taverna di Arduino, cosa desidera che le porti?" Il tono cortese ed educato ben si sposava all'aspetto composto e semplice della cameriera che strappò un sorriso a Manha.

Era sicuramente un essere umano, a giudicare dal suo aspetto; portava i capelli castani legati in un pratico chignon, gli occhi erano nocciola e la carnagione lievemente abbronzata di chi ha passato parte della propria vita a lavorare sotto il sole. I lineamenti delicati, nonostante il mestiere praticato, la facevano sembrare una dama capitata lì per puro caso e non una cameriera.

"La ringrazio- le rispose la mezza concentrando l'attenzione sulla ragazza che attendeva paziente- ma essendo appena arrivata in questa città, non saprei cosa ordinare".

La giovane le regalò un dolce sorriso e con la stessa cortesia di poco prima cercò di farla sentire a proprio agio, vedendo il suo sguardo spaesato.

"Appena arrivata" trillò contenta, "sono lieta di essere la prima a darle il nostro più caloroso benvenuto in città, milady. Il mio nome è Elisabeth, spero vi troviate a vostro agio qui da noi e se lo desiderate potrete alloggiare nella nostra bella locanda per la notte."

Manha annuì lieta di quell'accoglienza. "Siete in città per far visita a qualcuno?" chiese curiosa la cameriera.

"No, per rifarmi una vita." Rispose sincera Manha.

"Allora vi auguro di riuscirci, questo è un luogo dove le opportunità non mancano ve lo assicuro".

Disse divertita Elisabeth; poi restò in silenzio per un paio si secondi, come a riflettere su qualcosa ed alla fine un grosso sorriso le apparve in volto. "Tornando al vostro pasto, ho appena sfornato qualcosa che potrebbe piacervi, aspettatemi solo un istante."

Manha annuì nuovamente, ormai a proprio agio, "spero che tutte le persone qui siano gentili come voi. Il mio nome è Manha e voi già mi siete simpatica." Riflette' un istante, "sarebbe offensivo se ci dessimo del tu? Mi sembra di conoscerti da tanto..."

la giovane annuì, "d'accordo Manha, oltretutto anche tu mi sei già simpatica. Torno subito con il tuo pasto."

Si allontanò canticchiando diretta al bancone, vi si infilò dietro e scomparve oltre una porta che prima la mezza non aveva notato, ma che certamente conduceva alle cucine della locanda.

Il locale era abbastanza affollato, forse a causa dell'ora; i commensali erano disposti in piccoli gruppetti di due o tre ed il ritrovarsi sola ad un tavolo la intristì. Si sentiva triste e vuota come la sedia che aveva di fronte, la mancanza della madre era quasi soffocante.

Tuttavia, non passò molto tempo e fece il suo ingresso una bionda creatura che sarebbe divenuta molto importante nella vita di Manha.

Ritta e decisa, questa, si diresse al bancone e sedette ad uno degli sgabelli, facendo segno all'oste di avvicinarsi; tutto di lei emanava sicurezza e sfacciataggine.

Manha la osservò con attenzione fin dal suo ingresso nella sala, per tutto il tragitto fatto, soffermandosi su ogni suo particolare e restandone colpita.

Aveva le labbra non troppo carnose ma rosee, la carnagione chiara e delicata, il bel naso piccolo e proporzionato, gli occhi cobalto che risaltavano sul perfetto ovale del viso incorniciato da lunghe orecchie elfiche. Era alta circa centosessantotto centimetri, indossava un lungo mantello scuro fermato da un fermaglio a forma di lambda che aveva tolto poco dopo essere entrata e poggiato sul braccio destro; sotto quello portava un corpetto viola aderente che le esaltava le forme e metteva in risalto le bianche braccia leggermente muscolose, a causa dei tanti allenamenti ai quali erano state sottoposte, che non avevano ugualmente perduto la loro femminilità; le gambe erano fasciate da pantaloni di pelle scura ed i piedi da stivali del medesimo colore; alla cinta aveva alcuni pugnali nei propri foderi di cuoi, un piccolo sacchetto ed una spada dall'elsa finemente intarsiata.

La mezza non riuscì a staccarle gli occhi di dosso neppure dopo ch'ella s'era seduta ed aveva ordinato il proprio pasto, cercando d'immaginare cosa costei facesse nella propria vita che certamente doveva essere molto avventurosa. Quasi sobbalzò quando riapparve Elisabeth con in mano un piatto, una brocca ed un bicchiere che le pose innanzi sorridendo. Si trattava di una grossa fetta di torta salata ripiena di formaggio cremoso di pecora, accompagnata da un odoroso vino.

"Buon appetito" aggiunse, notando l'oggetto della curiosità di Manha.

"Helena fa sempre quest'effetto su chi non la conosce, ma quando sei riuscita a catturare la sua fiducia ti rendi conto che non esiste amica migliore di lei", le spiegò ridacchiando divertita.

"Spero ti piaccia, l'ho fatta io con le mie mani" le indicò la pietanza che le aveva servito, Manha annuì

"ti ringrazio, sarà certamente ottima".

La giovane sorrise arrossendo leggermente "buon pranzo allora" le augurò per poi allontanarsi per andare ad occuparsi di alcuni avventori che cercavano di attirare la sua attenzione.

Rimasta sola, osservò il suo pasto, una novità per lei; il profumo invitante della sfoglia la tentava. Diede un primo morso e restò piacevolmente colpita dalla morbidezza della ricotta, dal profumo pungente e ricco e si sentì come avvolta da un caldo abbraccio dimenticando tutto il resto. Per un attimo di sentì quasi felice, sensazione che non provava da tempo ormai.

L'idillio venne interrotto dal suono sgradevole di una risata sguaiata, seguita da un altra dello stesso stampo.

Manha alzò lo sguardo dalla sua torta ormai quasi finita e notò due giovinastri che dopo aver accerchiato una giovane ragazza dalla chioma corvina, la pelle rosea e gli occhi neri ed impauriti, si divertivano a spintonarla ridendo e schernendola con insulti pesanti.

"Sporca mezzosangue come ti permetti di venire a mostrare qui il tuo brutto muso, in questa onesta e rispettosa locanda? Vattene" urlò uno dei due nell'orecchio della povera giovane che totalmente terrorizzata non riusciva a pronunciare parola o a difendersi dai due malintenzionati che erano certamente due umani.

I due erano alti, con capelli castani legati in un codino alla nuca, il viso abbronzato e segnato di chi lavora per molto tempo sotto il sole ed un abbigliamento che collocava i due tra i pescatori ed i venditori di pesce.

"Lasciatemi stare, io non ho fatto nulla", riuscì a dire la vittima con un filo di voce tremante, ma i due continuavano imperterriti, sghignazzando.

"La tua sola esistenza è già un affronto per madre natura e per i nostri occhi" le gridò uno di loro in faccia,

"dovresti nasconderti e non mostrarti mai più in società o meglio ucciderti".

Aggiunse l'altro scoppiando in una risata cattiva ed irritante.

Manha non poteva più ascoltare quelle calunnie, che tanto le ricordavano ciò che lei aveva dovuto subire tempo addietro e si alzò di scatto dal suo posto pronta a dar una lezione a quei due sbruffoni.

Tuttavia venne anticipata da qualcun altro.

"Smettetela! Se non volete grossi guai."

Una voce femminile, decisa e risoluta, un tono che non ammetteva repliche, seguito da uno sguardo di ghiaccio.

I due si zittirono e spostarono la loro attenzione dalla povera creatura in lacrime verso colei che aveva appena proferito parola, interrompendo il loro divertimento.

"Stai parlando con noi?" Disse uno dei due con tono di sfida.

"Perché a me ed a mio fratello sembra proprio così", aggiunse l'altro indicando il vicino che aveva appena parlato e dando un'occhiataccia alla bionda.

"Se guardo voi, sto parlando con voi o questo è troppo complicato per i vostri piccoli cervelli?" Rispose a tono Helena, fulminandoli con lo sguardo.

"Piantatela di fare gli stupidi, gli unici che dovrebbero sparire dalla società siete voi." Indicò ciascuno dei due con l'indice.

Lo sguardo infiammato e pronto alla sfida di chi ha coraggio e non sopporta i soprusi e le ingiustizie.

"La gattina è arrabbiata", cominciò uno dei due ridendo divertito.

"Non sa con chi ha a che fare" aggiunse l'altro in ton arrogante.

Entrambi erano un po' brilli e non avevano notato che Helena era armata e fecero l'errore di uscire un grosso coltellaccio usato per sventrare il pesce e brandirlo innanzi a lei.

"Torna a farti gli affari tuoi, biondina, altrimenti per te saranno guai!" Il primo brandiva l'arma come a volerla colpire ed intanto continuava a ridere.

Manha osservava la scena pronta ad intervenire, ma Elisabeth le si avvicinò con aria tranquillizzante,

"non preoccuparti, quei due non hanno alcuna possibilità; sono solo troppo stupidi per rendersene conto. Goditi la scena." Le suggerì tornando al proprio lavoro.

Helena li osservò e rise a propria volta con ilarità, "siete patetici" disse soltanto ai due che non sembravano voler demordere, ma si preparavano ad aggredirla. Tuttavia, prima che potessero fare qualcosa lei portò il braccio verso l'alto e con un colpo deciso del palmo destro riuscì a disarmare colui che brandiva il coltello ed altrettanto velocemente assestò una vigorosa gomitata con il braccio sinistro allo stomaco dell'altro.

Entrambi vennero presi alla sprovvista dal fulmineo attacco; il primo si ritrovò disarmato e con una mano dolorante ed il secondo piegato in due, con le lacrime agli occhi, per il forte colpo subito. Il loro sguardo sbalordito e spaurito fu la conferma del fatto che i pescatori avevano sottovalutato la ragazza che non era una semplice fanciulla indifesa, ma un'agguerrita amazzone.

Dopo qualche minuto per riprendersi dall'umiliazione subita, i due non avevano più la loro precedente aria di tracotanza. Il primo cercava il proprio coltellaccio, finito ad un metro e mezzo da lui, il secondo si massaggiava il ventre dolorante.

"Ne avete abbastanza?" Urlò Helena divertita dalla scena che aveva di fronte. Nessuno aveva il coraggio di rispondere.

Tuttavia all'improvviso fecero irruzione nel locale quattro guardie del regno chiamate da uno dei commensali.

"Cosa sta succedendo in questo luogo?" La voce imperiosa e decisa fece quasi sobbalzare Manha che fino ad allora era rimasta in disparte convinta dalla cameriera e dal comportamento della ragazza che sembrava avere la situazione sotto il proprio controllo.

"Qualcuno si decida a parlare, altrimenti sbatteremo tutti in cella finché non avremmo delle risposte".

Nessuno sembrava voler collaborare, tutti si erano come tramutati in statue di sale.

"Questa donna ci ha aggrediti, arrestatela", urlarono in coro i pescatori indicando l'amazzone che continuava ad osservarli con sguardo torvo e glaciale.

"Le loro parole corrispondono al vero?" Chiese una delle guardie ad Helena,

"cosa avete da dire in vostra difesa?" Non ottenne nessuna risposta da costei.

"Il vostro tacere è la conferma della vostra colpa?" la esortò con tono autoritario. Le labbra della bionda restarono ugualmente sigillate.
Si limitò a spostare lo sguardo su colei che aveva difeso e che ancora terrorizzata non riusciva a pronunciare sillaba, limitandosi a restare appollaiata su uno sgabello e guardare tutti con timore.

"Allora, non avete proprio nulla da dire, confermate le loro accuse?" Le urlò la guardia spazientita e nuovamente non ottenne risposta.

Helena continuava a tacere, scuotendo il capo e guardando colei che per paura non proferiva parola.

"Arrestatela, ci ha attaccati senza alcun motivo e ci ha anche minacciati di morte". Ripresero a dire i due mascalzoni contenti di come stessero andando le cose.

"Siete in arresto" ordinò allora la guardia e due dei soldati si accostarono all'amazzone per portarla via con loro, mentre gli accusatori ridacchiavano a bassa voce.

Manha si rese conto di aver visto abbastanza, che la ragazza sullo sgabello non avrebbe mai parlato e che doveva fare qualcosa per impedire quell'ingiustizia. Si diresse a passo svelto verso il gruppetto,

"quei due stanno mentendo!"

Esordì con tono deciso rivolta al militare, "questi due stavano aggredendo la ragazza che si trova seduta su quello sgabello- indicò la corvina che tremò tutta- e costei l'ha solo difesa", concluse.

"Bugiarda, è d'accordo con la nostra aguzzina, noi eravamo venuti qui per una bevuta dopo una lunga giornata di lavoro massacrante e siamo stati presi di mira senza aver fatto niente di male."

I due cercarono di difendersi, mentendo palesemente.

"Siete dei bugiardi!" Continuò la mezza, decisa a non far passare impunita quest'ingiustizia,

"ho visto ogni cosa e non potete continuare a dire falsità. Tutti vi hanno visto", finì alzando la voce.

"Voi chi siete?" Le domandò la guardia a discorso concluso, dopo averle dato un'occhiata attenta,

"presentatevi e riferite con ordine ciò che avete visto, altrimenti sarete accusata di complicità".

"Il mio nome è Manha, sono da poco giunta in codeste regno- cominciò la sua deposizione, mentre Helena silente non le toglieva gli occhi di dosso- sono entrata in questa locanda ed ho ordinato il pasto."

Riprese fiato, ricambiando lo sguardo della bionda per poi spostarlo alla ragazza impaurita, passando per i due mascalzoni, alla cameriera che annuì sorridendo e poi nuovamente alla guardia, riprendendo il discorso.

"All'improvviso la loro voce- li indicò con la mano destra- mi ha distratto dall'assaporare l'ottimo pasto. Questi avevano preso di mira costei- indicò la fanciulla dalla chioma corvina- lei si è limitata ad accorrere in sua difesa, tutto qui".

Fece qualche passo, diretta nella direzione nella quale era certamente finito il coltellaccio che trovò in breve, tornò sui suoi passi e lo consegno ad una delle guardie che lo osservò sorpresa e si rivolse nuovamente a quella con la quale aveva parlato.

"I due hanno minacciato prima la giovane e poi la sua soccorritrice con questo coltello e lei si è limitata a disarmarli, prima che provassero ad aggredire lei o qualcun altro. Sono loro quelli che devono essere arrestati, non lei che tace solo per permettere a questa fanciulla di parlare. O in questo regno non esiste la giustizia?"

Concluse osservando i presenti con sguardo acceso di sfida, si sentiva come animata dalla fiamma della giustizia.

La guardia pose al proprio superiore il coltello datole, questo riconobbe il genere e guardò i pescatori con aria arrabbiata, scuotendo il capo in segno di disappunto. Scoperti i mascalzoni restarono muti con il capo basso per la vergogna.

L'ufficiale si volse verso la giovane seduta sullo sgabello, come se l'avesse vista per la prima volta.

"Le parole di costei sono vere? Siete stata oggetto di aggressione?" Le chiese direttamente, senza giri di parole.

Vedendo che la ragazza tremava vistosamente scosse ancora il capo, sospirò e cercò di sembrare meno duro, per tranquillizzarla.

"Milady, non vi accadrà nulla, siamo qui per proteggervi, dovete solo dirmi se la versione raccontatami da questa straniera è corretta o se è accaduto ciò che affermano i due giovani qui presenti".

La fanciulla si guardò intorno, passando in rassegna tutte le facce dei presenti ed incrociando quella di Elisabeth che sorridendo le andò incontro.

"Fatti animo, andrà tutto bene", la incoraggiò e questa annuì, raccolse tutto il suo coraggio e parlò.

"La straniera dice il vero, costoro mi avevano preso di mira e lei mi ha soltanto difeso."

Appena la sua voce si spense, con entrambe le mani si coprì il volto ed iniziò a singhiozzare, mentre la cameriera cercava di consolarla come poteva.

"Arrestateli!" fu l'ordine della guardia che venne subito eseguito dai due che poco prima si erano accostati ad Helena con il medesimo intento. I pescatori vennero immobilizzati e trascinati fuori dal locale ed a nulla servirono le loro proteste.

"Lei, signorina deve venire con noi per formalizzare l'accusa davanti al giudice, nulla di che, solo una piccola formalità".

La giovane, che intanto aveva smesso di piangere, restò titubante per qualche istante ad osservare il militare che con cordialità le porgeva la propria mano guantata.

"Andrà tutto bene", le suggerì Elisabeth riuscendo a convincerla a scendere dallo sgabello, porgere la propria mano alla guardia ed a seguirla. Il militare si fermò poco prima di varcare l'ingresso, si girò verso Manha ed Helena e con l'indice della sinistra le indicò entrambe,

"voi due restate a disposizione per eventuali testimonianze".

Detto ciò scomparve, accompagnato dalla timorosa dama e dalla quarta guardia, rimasta in disparte per tutto il tempo.

Manha alzò lo sguardo al cielo, sospirò e tornò al proprio posto per terminare il pasto ormai certamente freddo, ma Helena la seguì e si parò davanti al tavolo impedendole di sedersi.

"Non dovevi intervenire per forza, non credevi che me la sarei cavata da sola?"

Lo sguardo incollato a quello di lei, il tono offeso. Manha si limitò ad osservarla, fingendo noncuranza mentre le passava accanto, si accomodava nella sedia di fronte alla propria ed avvicinava il piatto a se. Non sapeva il perché ma le ispirava simpatia e ricordava qualcuno che in quel preciso istante non riusciva a rammentare, data la situazione. Diede un morso alla torta ormai fredda e poi la spinse di lato, mentre l'altra continuava ad osservarla in attesa di una risposta.

"Sono convinta che saresti stata capace di cavartela benissimo da sola, ma non riuscivo più a sopportare l'irritante voce di quei due sbruffoni, l'incompetenza di quei damerini travestiti da soldati e la lagna di quella bambolina appollaiata sullo sgabello, tutto qui. Ti servono altre spiegazioni?" concluse versandosi un po' di vino e bevendolo in un sorso.

Le sue parole colpirono Helena che le sorrise enigmatica appoggiandosi al tavolo.

"Se non ricordo male, hai detto d'essere arrivata da poco nel regno", una constatazione più che una domanda, "se non sai dove stare, allora seguimi."

Le lanciò un ultimo sguardo, carico di suspense e si diresse verso l'uscita. Incuriosita dall'offerta Manha si alzò velocemente, pagò il conto all'oste ed uscì dalla locanda.

Appena fu fuori si rese conto che Helena la stava aspettando accanto all'ingresso con le braccia incrociate ed un'espressione furba stampata in volto.

"Stammi dietro e cerca di tenere il passo, non torno indietro a cercarti se ti perdi".

Detto ciò s'incammino diretta al proprio accampamento. Manha non se lo fece ripetere e con passo lesto le fu quasi subito accanto.

"Dimmi almeno il tuo nome e qual è la nostra meta." Le chiese cercando di non rallentare la propria andatura.

L'amazzone si limitò ad una risatina divertita, "hai ragione, il mio nome è Helena e sono un'amazzone; ci stiamo dirigendo verso il mio accampamento. Ti basta come risposta?"

Le si parò davanti e Manha quasi le finì addosso,

"spero che delle donne guerriere non siano troppo per una dolce damigella come te".

Il tono e lo sguardo di chi si sta divertendo palesavano l'ironia delle parole appena pronunciate.

"L'apparenza inganna", rispose stando al gioco, ma arrossendo leggermente.

"Non sono né di vetro né impressionabile ed il mio nome è Manha, non damigella".

La risposta e lo sguardo deciso convinsero l'amazzone che le diede una pacca sulla schiena e rise divertita.

"D'accordo sei un tipo tosto, ma adesso andiamo".

Seguirono il sentiero che portava fuori città e dopo esserne uscite, voltarono in direzione di un fitto bosco che si stagliava scuro in lontananza. Attraversarono un ponte sotto il quale scorreva un placito fiume che dopo qualche curva ed ansa sfociava nell'azzurro mare.

Manha osservava ogni cosa attorno a se con la curiosità, sempre crescente del viandante e provava a memorizzare il percorso che l'avrebbe eventualmente ricondotta in città.

Passato il fiume proseguirono fino al punto in cui il sentiero si divideva in due: a destra v'era una strada battuta che lo costeggiava risalendone il corso e conducendo verso un piccolo gruppo di edifici in lontananza; a sinistra il sentiero era poco battuto e dopo qualche metro veniva ingoiato dal manto erboso per poi inoltrarsi nel fitto bosco di querce scomparendo del tutto.

"Da questa parte", Helena ruppe il lungo silenzio indicando il percorso alla loro sinistra,

"cerca di starmi dietro, perdersi non è difficile per chi non conosce la strada e gli incontri non sono piacevoli da queste parti".

Manha annuì ed entrambe ripresero il cammino con il suo solito passo svelto.

Appena immerso nella foresta il sentiero diveniva difficile da vedere e poco dopo svaniva. L'unica cosa saggia da fare era osservare bene ciò che la circondava e non perdere di vista, per nessuna ragione al mondo, l'elfo che la guidava. Gli alberi si ergevano alti come torri, facendo apparire il cielo lontano ed irraggiungibile ove era possibile riuscire a scorgerlo, avvicinabile solo da una creatura che fosse dotata d'ali.

Con il passare del tempo Manha cominciò ad avere qualche difficoltà a restare al passo con l'amazzone bionda che sembrava perfettamente a proprio agio in quell'ambiente. Più volte tentò di non finire lunga distesa al suolo ed almeno mezza dozzina di volte si ritrovò a dover saltellare come un cerbiatto con l'intento di evitare le grosse radici che sbucavano improvvisamente lungo il cammino. Alla fine cominciò ad avere reali problemi nel seguire il passo della sua guida che svelta ed agile come un felino cominciava a distanziarla sempre di più. Avrebbe urlato a costei di fermarsi un attimo, ma tutte le sue forze erano concentrate sul cammino e non vi riusciva. Annaspando si chiedeva se mai fosse riuscita a ritornare indietro se si fosse persa in quel luogo.

Helena si rese conto della difficoltà di colei che scortava fece un sorrisetto divertito ammirando il fatto che  non si fosse lamentata, così decise di rallentare il passo ed aspettarla.

Il sole filtrava tra i rami e le fronde creando bei giochi di luce dal fascino misterioso ed arcano, accompagnati da ombre tremule ed inquiete che avrebbero incantato e disorientato chiunque avesse dedicato loro del tempo, soffermandosi ad ammirarle.

Le due viaggiatrici proseguirono il percorso, vicine ed in silenzio. Manha non sapeva cosa dire alla sua nuova amica che appariva distante ed irraggiungibile e non voleva disturbare, con il suono della propria voce, il silenzio quasi magico del bosco.

Tutt'intorno, tra le fronde e sui rami, aleggiava un'energia mistica emanata da spiriti, dormienti o vigili, protettori della foresta che con il loro influsso riuscivano a far perdere la via a chi non era loro grato. Questa era la sua impressione mentre continuava a camminare accanto all'amazzone; la foresta appariva ai suoi occhi come inviolabile e sacra, convinzione che in seguitò si rivelò errata.

Dopo un'ora il bosco cominciò a diradarsi ed apparve una radura ampia ed illuminata dal sole; questa era situata non lontano dai margini estremi della foresta, non distante dalla costa ed al suo centro sorgeva l'accampamento delle amazzoni.

Manha ed Helena si fermarono davanti ad un pesante portone di robusto legno a due battenti, rinforzato da borchie di metallo ai lati che proteggeva l'ingresso di un campo a pianta circolare chiuso da un'alta cinta muraria costruita con della terra scura, dei pali e delle grosse pietre; il cosiddetto «murus gallicus». La costruzione fortificata era alta circa sei metri e spessa altrettanti; sollevata da un terrapieno collinare di circa tre metri, incuteva timore e rispetto in chiunque vi si trovasse di fronte, inclusa Manha.

Gli spalti ed i camminamenti, attorno alla sommità, permettevano alle amazzoni arciere di percorrere celermente l'intera circonferenza del campo e scorgere per prime gli eventuali visitatori.

Furono, infatti, due voci femminili che accolsero l'arrivo delle due davanti al portone. "Helena chi è costei e come ha fatto a seguirti fino a qui? L'hai rapita?"

Ridacchiarono le arciere di guardia all'ingresso osservandole, non viste, da una feritoia posta nella palizzata.

"Non dite sciocchezze!"

Le redarguì la bionda elfa, "piuttosto aprite e fateci entrare alla svelta!" Il tono perentorio e lo sguardo minaccioso ottennero l'effetto desiderato ed in breve Manha si ritrovò oltre il cancello, all'interno del campo.

Voltandosi indietro verso le mura, che partivano attaccate all'alto portone, vide che raggiungere la cima e le passerelle, dove si trovavano le sentinelle, era possibile grazie ad un sistema di scale di corda e piattaforme mobili che permettevano l'eventuale trasporto di materiali, utilizzati per la difesa del fortino.

Notò anche come le amazzoni che avevano aperto il pesante portone riuscissero a richiuderlo in fretta utilizzando una serratura composta da quattro chiavistelli di ferro ed un asse centrale di legno rivestito anch'esso di ferro.

L'ingresso era collegato all'accampamento vero e proprio da un piccolo ponte mobile dalla larghezza di un carro fatto di robuste assi di legno, sotto di esso vi era un fossato profondo circa sei o sette metri e largo una decina. Il fossato ed il ponte mobile servivano come estrema difesa in caso di un attacco nemico particolarmente difficile da gestire, poiché bruciando il ponte o sollevandolo si bloccava la carica all'avversario e l'ingresso forzato.

Oltrepassato il ponte Manha ed Helena si ritrovarono in un ampio spiazzo circolare: partendo dall'estrema destra e proseguendo con lo sguardo verso sinistra si potevano ammirare le stalle che permettevano di contenere una dozzina o più cavalli, accanto ad esse le tende appartenenti alle ipparche (amazzoni cavallerizze che si occupavano degli animali), proseguendo si passavano in rassegna le tende delle novizie, seguite da una tenda molto grande che veniva utilizzata come spazio comune di ristoro e conversazione.

Appena dietro di questa vi era una capanna di legno, rialzata dal suolo una trentina di centimetri, che fungeva da dispensa. Accanto alla tenda comune, al centro dell'accampamento, affacciata sullo spiazzo e lievemente sollevata sul resto degli edifici, vi era la dimora della regina; vicino ad essa la tenda del consiglio, utilizzata durante le riunioni delle amazzoni, i riti di passaggio, per l'accoglienza di delegazioni e per ricevere tutti coloro che chiedevano consiglio.

Entrambe le costruzioni erano più grandi delle altre e ben riconoscibili.

Andando oltre, sempre verso sinistra, vi erano alcune tende utilizzate per i pochi ospiti che riuscivano ad essere ammessi all'interno delle mura, seguite dall'abitazione della teurga (la consigliera personale della regina), delle addestratrici, delle arciere e delle amazzoni semplici. All'estrema sinistra si trovavano un piccolo orto ed un grande recinto per gli addestramenti, con accanto una baracca di legno utilizzata come deposito per le armi.

Tutte le tende, di forma circolare, possedevano una pavimentazione lignea per proteggerle dall'umidità del suolo ed erano decorate in base al gusto personale delle occupanti o all'uso fattone all'interno della comunità. Ogni alloggio possedeva una propria entrata, chiusa da una porta robusta; la struttura di ogni tenda era foderata da pelli, imbottiture e tessuti uniti tra loro che riuscivano a rendere l'habitat impermeabile all'acqua, caldo in inverno e fresco in estate.

Nell'osservare la perfezione di ciò che la circondava, Manha restò impressionata ed intimorita, tanto da non riuscire a proferire parola alcuna.

"Hai perduto la favella?" Le chiese divertita Helena dandole una piccola spinta in avanti per farla muovere e ridendo sonoramente.

"Non venirmi a dire che no hai mai visto un accampamento in vita tua?" Non credeva ai propri occhi, chissà se aveva fatto la cosa giusta a portsrla con se.

La mezza annuì un po' imbarazzata, si sentiva nervosa ed un po' intimorita e questo divertì ancora di più la bionda elfa.

"Allora, principessina, devo farti fare un bel giro turistico", continuò prendendola in giro ed iniziando a muoversi,

"prima devo condurti dalla nostra regina, lei decide chi può restare all'interno delle nostre mura. Se il suo parare sarà negativo dovrò ucciderti perché conosci l'ubicazione del nostro accampamento".

Manha si sentì gelare e si bloccò di colpo, confusa e ciò fece quasi piegare in due Helena dalle risate.

"Scherzavo, scherzavo, rilassati un pò", alzò gli occhi al cielo. Quella micina cominciava a starle simpatica.

Cercando di darsi un contegno riprese a camminare velocemente e Manha dovette faticare non poco per tenere il passo e non restare indietro.

Nonostante i suoi modi a Manha quella giovane diventava sempre più simpatica e si accorse che durante la visita guidata cominciava a sentirsi quasi a casa, una parte di lei era davvero stanca di non avere un luogo in cui fermarsi.

Alla fine le due varcarono la soglia della tenda reale, trovando la regina seduta ad uno scrittoio di legno scuro intenta a scrivere una missiva, o qualcosa di simile, la mezza non riuscì a vedere bene.

Non appena la silvana si accorse dell'arrivo della sua pupilla in compagnia di una sconosciuta dall'insolita capigliatura viola si alzò ed andò loro incontro.

"Helena, chi è costei e perché l'hai condotta qui?" Una voce ammaliante quella della regina, capace di catturare l'attenzione di chiunque l'ascoltasse.

"Il nome della fanciulla è Manha, è appena arrivata in città e non sa dove andare così le ho proposto di restare da noi per un po'", un sorriso enigmatico le adornava il viso.

La mezza osservava la regina in reverenziale silenzio e non notò lo strano scambio d'occhiate d'intesa che le due si scambiarono.

L'elfa era all'apparenza una fanciulla dall'aspetto fragile e delicato, che doveva certamente essere di nobili natali; alta poco più di centosettanta centimetri, aveva il capo ornato da una lunga chioma rosso fuoco sciolta sulle spalle che ad uno sguardo più approfondito si poteva notare quanto fossero ben allenate, stessa cosa per le bianche braccia e le lunghe gambe.

Tutta la figura sembrava contraddirsi: da un lato un fisico femminile dall'incarnato chiaro e le orecchie a punta degli elfi; dall'altro un corpo ben addestrato, racchiuso in uno stresso corpetto nero ed argento, un gonnellino di ugual colore e degli stivali di pelle.

Ciò che più di ogni altra cosa colpì Manha fu lo sguardo indagatore e sospettoso di costei; le iridi erano di un ipnotizzante vede smeraldo, il taglio degli occhi particolarmente bello e le ciglia lunghe e ben proporzionate.

"Dimmi cos'hai fatto di tanto speciale da convincere Helena a portarti con se?"

Il tono inquisitore la fece quasi sobbalzare. Non sapeva cosa rispondere, non considerava il proprio comportamento alla locanda un'azione particolarmente di rilievo.

Tuttavia la regina non si fece fermare dal silenzio e con uno strano sorrisetto, sulle labbra rosse e carnose, continuò.

"Una creatura di poche parole..." la schernì,

"sai, questo non è un ricovero o una locanda, ma un accampamento di guerriere pericolose".

La squadrò da capo a piedi girandole attorno come un avvoltoio sulla propria cena, mentre Helena sogghignava di nascosto sicura che l'atteggiamento della sua superiore avrebbe ottenuto una reazione dalla giovane; lei aveva visto qualcosa di particolare in quella strana creatura e non le capitava mai di sbagliare.

"Non vorrei vederti fuggire impaurita nel cuore della notte come la donzelletta che siete".

Infierì la rossa fermandosi, incrociando le braccia e restando ad osservarla con un atteggiamento di sfida.

Manha, che si era trattenuta a stento per tutto il tempo, sbottò innervosita da quell'atteggiamento.

"Primo, non credo d'aver fatto qualcosa d'eccezionale, in quella locanda, ma solo ciò che chiunque con un minimo di cervello avrebbe fatto; secondo, so benissimo che questo non è un rifugio o una locanda, ma un accampamento; terzo, non sono mai fuggita di mia iniziativa da nessun luogo; quarto il mio nome è Manha, non donzella o fanciullina o altro e non ho certo intenzione di farmi intimorire dalle vostre minacce." Come si era permessa, si trovò a pensare infuriata.

Ogni parola era scandita con decisione, i pugni serrati e gli occhi fissi su quelli dell'accusatrice.

La regina si limitò ad annuire, per nulla scomposta da quel modo di fare, sorridendo divertita ad Helena che sembrava dello stesso avviso.

Nonostante l'apparenza le due erano rimaste piacevolmente colpite dall'atteggiamento della straniera, capace di tener testa ad una guerriera amazzone e lo dimostrarono scambiandosi un altro velato sguardo d'intesa.

"Bene, bene, hai una lingua e non hai paura d'usarla. Ma mi chiedo cosa ci fai qui? Noi non ospitiamo stranieri."

La trappola era piazzata, gli occhi puntati. Manha prese il coraggio a due mani, quella donna le metteva soggezione, ma era anche capace di tirare fuori la sua grinta e così d'un fiato rispose.

"Vorrei diventare un'amazzone e non me ne andrò via con un no come risposta; farò tutto ciò che serve per dimostrare che ho la stoffa ed il carattere necessario, promesso".

La sua decisione era definitiva. Quell'idea le era cominciata a frullare in testa appena entrata nel bosco; desiderava riprendere ad allenarsi, essere capace di combattere nel migliore dei modi e tornare dalla madre per portarla via dalla prigione in cui si trovava.

All'inizio del suo vagare era riuscita, in qualche modo, ad ottenere notizie della principessa Iavanna grazie all'aiuto degli amici del maestro centauro, ma da alcuni giorni non aveva incontrato nessun folletto, questo perché non si era fermata in un luogo abbastanza a lungo o vi erano altri motivi? La domanda la perseguitava e quello le sembrava un buon modo per trovare una risposta.

"Vuoi diventare un'amazzone, bene, dimostrami che è davvero ciò che vuoi e che sei degna di esserlo".

Riprese la regina che si aspettava una richieste simile e voleva saggiare la determinazione della novellina.

La mezza non se lo fece ripetere e subito si mise in posizione di guardia, pronta ad affrontare la sua avversaria.

"Il coraggio non ti manca, questo è certo!" esclamò soddisfatta Helena, interrompendo l'azione,

"credo che per il momento possa bastare, domani dimostrerai le tue capacità nell'arena".

Manha si ricompose ed annuì "come vuoi".

"Helena ha ragione, se passerai la prova di domani potrai considerarti un'amazzone novizia a tutti gli effetti. Il coraggio non ti manca", poi rivolata alla bionda

"come sempre il tuo fiuto non si è sbagliato".

Manha si sentì soddisfatta, aveva passato quella prima prova e le bastava superare quella del giorno dopo per considerarsi una di loro; l'adrenalina era quasi scomparsa e cominciava a sentirsi stanca e desiderosa di riposo.

"Il mio nome è Nineria Torr, ma puoi chiamarmi Ninè." Si presentò finalmente la rossa, poi diventando seria aggiunse,

"se diventerai una di noi, sappi che le amazzoni sono una famiglia, un credo da difendere da ogni avversità, un focolare nel quale scaldarsi nelle notti fredde dell'anima; rappresentano la forza della libertà, il coraggio di spezzare e superare ogni vincolo ed ostacolo, una determinata scelta di vita e d'identità da non abbandonare mai. Chi è amazzone lo è per sempre".

Concluse con tono imperioso e solenne.

"Aut amazon aut nihil", aggiunse Helena con la stessa serietà.

Manha stette in silenzio ad ascoltare attentamente ogni suono e le ci volle del tempo prima di riuscire a proferire nuovamente parola; il discorso l'aveva realmente impressionata.

"Non vi deluderò, mantengo sempre ciò che dico". Entrambe annuirono.

"Adesso potete ritirarvi", le congedò Ninè, Helena annuì e fece cenno alla mezza di seguirla fuori.

Fuori dalla tenda della regina, avvolta dal tramonto, Manha si sentiva come galleggiare mentre la futura sorella la faceva entrare nella tenda dove avrebbe alloggiato.

"Adesso riposati, domani dovrai essere in piena forma", detto ciò andò via chiudendosi la porta alle spalle.

Rimasta da sola si sedette sul letto che da allora avrebbe occupato ed ancora incredula cominciò a guardarsi intorno.

Partendo dalla porta ampia di legno scuro e resistente, cominciò a fare un piccolo giro della stanza, dirigendo le celesti verso sinistra. Accanto all'uscio vi era un piccolo divanetto rivestito di pelle, oltre vi era una postazione per la toletta con tanto di specchio e seggiola dotata di morbido cuscino. Accanto, sempre andando verso sinistra, un piccolo separé di legno decorato adibito con ogni probabilità a spogliatoio. Dietro di questo una porticina, dello stesso colore di quella dell'ingresso, conduceva ad un piccolo bagno ricavato da un capanno di legno quadrato con il necessario per lavarsi. Di fianco alla porta del bagno una finestra ed accanto ad essa il letto sul quale stava seduta la mezza, a sinistra di questo un'altra finestra che chiudeva il cerchio ch'era la stanza.

Il giaciglio sul quale si trovava era ampio e coperto di pelli morbide e lanose. Ai suoi piedi vi era un baule nel quale poter mettere le proprie cose e sotto di esso un tappeto blu.

Si alzò in piedi ed andò a prendere la sacca che aveva poggiato sul divano non appena entrata, la raccolse e l'appoggiò sul letto. L'aprì e ne uscì tutti i suoi averi; i vestiti li ripose nel baule, mentre la spazzola, il profumo ed alcune essenze li mise sulla postazione da toletta, solo allora sibrese conto di avere così poco a farle un'identità. Scosse il capo, da quel momento sarebbe stato tutto diverso.

Si sbalordì nel trovare dentro il baule, dal coperchio intarsiato, un corpetto di pelle chiuso da legacci di cuoi, un gonnellino, un paio di stivali, un paio di braghe in pelle chiara ed un bustino del medesimo materiale; l'abbigliamento base di ogni amazzone.

Dopo aver sistemato ogni cosa andò ad osservare da vicino il bagno. Oltrepassata la porta di legno che conduceva al cubo ligneo attaccato alla tenda, si fermò ad ammirare la tondeggiate vasca, poco oltre un tripode di ferro scuro sorreggeva una bacinella di ceramica bianca con la sua brocca per l'acqua, sormontata da uno specchio ed adibita al lavaggio del viso; vicino a questo un porta asciugamani ne sorreggeva un paio di lino bianco. In quella costruzione vi era tutto il necessario per la pulizia personale e non solo.

Dopo essersi sciacquata il viso e le mani tornò nella tenda, sentendosi improvvisamente estremamente stanca, si distese sul letto e provò a chiudere gli occhi.

Per un istante l'avvolse il pensiero che presto sarebbe andata a salvare la madre, dandole un luogo sicuro in cui vivere felicee questa speranza le scaldò il cuore.

Desiderava riuscire a farsi ben volere dalle amazzoni e chiedere loro di appoggiarla nella sua impresa. Erano forti guerriere, numerose e avrebbero certamente aiutato una sorella in difficoltà. Già immaginava il viso radioso e sorridente di Iavanna, la loro nuova vita in quel regno e si sentì quasi felice.

Immersa in questo genere di pensieri scivolò, senza accorgersene, in un sonno profondo e tranquillo di quelli che ristorano la stessa anima.

La mattina seguente si svegliò presto, di buon umore e dopo essersi lavata e pettinata decise d'indossare uno dei completi in dotazione nel baule. Mise il corpetto di pelle color tabacco con i laccetti celesti di cuoio e le braghe di pelle chiara, con rifiniture celesti; sopra vi indossò gli stivali e ne allacciò i vari legacci. Soddisfatta del risultato si rimirò nello specchio per qualche secondo, legando la chioma in una coda di cavallo, con un nastrino celeste. Dopo di ciò lasciò la tenda e si ritrovò in quello che si potrebbe definire «cortile» dell'accampamento.

Cercando di rammentare la descrizione fattale il giorno prima da Helena si diresse verso il recinto adibito all'addestramento, ma a metà strada il suo stomaco cominciò a brontolare convincendola che sarebbe stato meglio fare una capatina alla sala comune per la colazione, sperando di non sbagliare tenda.

Lungo il camminò incontrò diverse giovani alle quali donò uno dei suoi dolci sorrisi; queste restarono un po' confuse nel vedere una mezz'elfa con i capelli viola, gli occhi celesti e dolci ed i tratti delicati abbigliata come un'amazzone, ma non sapendo come comportarsi ricambiarono il saluto con un cenno perplesso della mano, per poi proseguire chiedendosi chi costei fosse e da dove fosse arrivata.

Fortunatamente Manha trovò presto la tenda comune e vi entrò quasi in punta di piedi, sentendosi leggermente agiata e spaesata.
Su un lungo tavolo stavano disposte in ordine una decina di ciotole tonde di ceramica bianca, accanto ad ognuna un cucchiaio di legno ben cesellato. Al centro un paio di brocche bianche contenevano il latte, tre canestri porta-pane erano colmi di biscotti tondi con un piccolo foro al centro dall'aria appetitosa, buoni per essere inzuppati nel latte. Non mancavano due vassoi colmi di fette di profumato pane con sopra dell'invitante confettura di fragole.

Tutto era preparato con cura da un'amazzone che si occupava del vitto delle sorelle, che in seguito Manha imparò a conoscere ed il cui nome era Rosa. Ogni cosa su quel desco era appetitosa ed invitante e faceva sentire i commensali come a casa.

Per un istante ripensò alla propria infanzia, che nonostante non fosse stata delle più quiete, aveva avuto dei momenti felici; uno di questi era quello di mettersi a tavola con la madre e chiacchierare con lei dell'avvenire che aveva in mente, fantasticando su ciò che potevano fare insieme. Le parve di vedere la scena e fu quasi come se ogni altra cosa attorno a lei sparisse per lasciare posto ad una bimba dai capelli viola che rideva seduta ad un tavolino con la bionda madre intenta a versarle il latte in un bicchiere ed a ridere con lei. Una risata cristallina che quasi le lacerò il cuore dal dolore. Ma la visione non durò a lungo, ad interromperla fu la voce decisa e canzonatoria di Helena che aveva appena varcato la soglia della tenda e la osservava incuriosita.

"Hey tu, sei rimasta incantata? Non ti lascerai impressionare da così poco, vero?" L'amazzone entrò e si accostò alla mezza ridendo divertita,

"sveglia bella addormentata, vieni a fare colazione che oggi devi dimostrare il tuo valore in campo".

Manha annuì, tornò in se, scacciò il pensiero agrodolce dalla stanza, sorrise ed andò a sedersi su una delle panche di legno poste accanto al tavolo.

"Scusami ero sovrappensiero", si giustificò mentre Helena la imitava.

"Non farlo più, in un combattimento ti saresti trovata morta".

"Hai ragione, scusami ancora".

"Adesso mangia, hai bisogno di forze" fu la risposta.

Le due cominciarono a fare colazione, la prima un po' intimidita, l'altra in modo spavaldo ed affamato. La sala cominciò a riempirsi di amazzoni affamate e schiamazzanti che quasi non si accorsero della presenza della nuova arrivata.

"Dai, non fare complimenti o cerimonie", sbottò la bionda, schizzando un po' di latte sul tavolo

"non sei a corte, le amazzoni non sono tipe da cerimonie e smancerie simili; se vuoi qualcosa prendila e basta ed in fretta, altrimenti le altre non ti lasceranno nulla".

Accompagnò la parole con una sonora risata che contagiò la stessa Manha, tanto era genuina e che lei avrebbe sempre ricordato pensando, in futuro, ad Helena.

Si servì, cercando di non fare convenevoli ed ottenendo l'approvazione della silvana. Cominciava davvero a sentirsi a proprio agio in quel luogo, sensazione che avrebbe riprovato solo un'altra volta durante la sua vita.

Mentre assaporava i biscotti con il latte o dava un morso al fragrante pane, non perdeva di vista né Helena né le altre; tutte apparivano sicure, tranquille, forti ed allegre mentre chiacchieravano tra loro.

Nulla mostrava il difficile trascorso che ognuna di loro portava nel cuore.

Terminato il pasto Helena condusse Manha nel recinto degli allenamenti, la fece entrare e la seguì.

"Quali armi sai usare?" La mezza rifletté un attimo,

"so usare la spada e tirare con l'arco".

Rispose in modo più deciso possibile. Intanto al centro del cerchio due amazzoni si affrontavano in un duello corpo a corpo e Manha restò ad osservarle ammirata per qualche istante.

"D'accordo mostrami ciò che sei capace di fare con l'arco, seguimi."

Detto ciò la bionda si diresse verso l'armeria con passo svelto, afferrò un robusto arco di legno di frassino ed una faretra di cuoi conciato con all'interno una mezza dozzina di frecce dall'impennaggio corvino e dopo essere arrivata nella parte adibita all'esercitazioni di tiro, le lanciò a Manha.

"Vedi quel bersaglio, voglio che lo centri da trenta passi. Hai tre tentativi, se ci riesci puoi considerarti una di noi".

Incrociò le braccia ed in silenzio restò ad osservare la scena con sguardo serio ed attento.

"Ma la regina non verrà?" Chiese la mezza mentre sistemava la faretra alla spalla destra e ne sfilava una freccia posizionandosi di fronte al bersaglio, in modo da lasciare tra se ed esso i trenta passi chiesti.

"No, queste faccende sono di mia competenza, non ti fidi?" Il tono leggermente ironico, ma divertito,

"adesso tira e basta chiacchiere". Frase che non ammetteva repliche, detta con un tono non irritato, ma quasi canzonatorio; come se l'amazzone non volesse mai far capire agli altri cosa realmente pensasse o provasse dentro.

Manha, in seguito, capì che quello era il suo modo per proteggere sé stessa dalla sofferenza, che in passato la sua vita non era stata semplice e che soltanto grazie alla grande forza di volontà ed a quello strano modo di fare che possedeva era riuscita ad andare avanti e non arrendersi mai.

Senza replicare si preparò mentalmente alla prova che l'avrebbe resa amazzone, non poteva fallire lo doveva alla madre. Prese dei profondi respiri e si concentrò su ciò che doveva fare.

Spostò la gamba sinistra lievemente in avanti, non molto distante dalla destra e si assicurò di avere entrambi i piedi paralleli al suolo. Si pose perpendicolarmente al bersaglio ed in modo da averlo appena, appena alla propria destra; assunse una postura ben eretta, con spalle dritte e viso puntato e concentrato alla mira ed al bersaglio.

Con un gesto fluido della mano destra portò la cocca della freccia sulla corda dell'arco tenendola tra l'indice, il medio e l'anulare; con la sinistra strinse con decisione l'arco.

I respiri si susseguivano profondi e lenti, mentre agiva con disinvoltura. Con un movimento deciso tirò indietro la corda piegando il braccio destro, fino a portare il gomito dietro le spalle ed a far quasi toccare le scapole tra loro.

La corda dell'arco le distava qualche millimetro dal naso e tutto il suo corpo appariva teso e concentrato, come se non ci fosse stato altro al mondo, lo sguardo era fisso, come incantato ed i respiri regolari. Il braccio sinistro distese al massimo, pronta a scoccare. Poco prima si assicurò, con la coda dell'occhio che non ci fossero ostacoli lungo il percorso della freccia; calcolò l'incidenza del vento, la giornata era soleggiata e l'aria era ferma. Fatto ciò chiuse l'occhio destro per inquadrare meglio il bersaglio, prese un ultimo respiro, trattenendolo, tese al massimo la corda e lasciò la freccia.

Questa si diresse sibilando e fendendo l'aria dritta alla meta e vi si conficcò al centro permettendo a Manha di espirare tutto il fiato accumulato.

Dopo aver lasciato andare il dardo portò il braccio destro verso il basso, lasciando scivolare la mano sulla guancia come una carezza.
Visto il risultato del tiro sorrise sollevata e diresse lo sguardo su Helena che sembrava soddisfatta, tanto da dedicarle un piccolo applauso.

"Brava, vedo che non te la cavi male, ma adesso sei un'amazzone devi essere capace di combattere anche senz'armi ed a quello ci penserò io".

Sghignazzò divertita ed enigmatica come al solito.

Manha annuì, "sarò all'altezza, non ti deluderò". Promise, più a sé stessa che alla novella sorella.

La sera stessa vi fu una splendida cerimonia d'iniziazione alla quale parteciparono tutte le donne guerriere dell'accampamento. Festa che, tra danze frenate attorno al fuoco, un lauto banchetto ed un rito propiziatorio al chiaro di luna, si protrasse oltre l'alba.

Nota dell'autrice

Vorrei tanto sapere cosa ne pensate del racconto, inviatemi i vostri commenti.
In alto un possibile ritratto di Helena.

P.S. La "H" di Helena è muta e quindi è come se il nome iniziasse per "E"

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