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Capitolo 4

Rimase incosciente per un periodo impreciso che a lei parve un'eternità, tormentata e quasi intrappolata in un incubo.

Si trovava nella sua dimora ed osservava la madre su una piccola seduta di legno, il viso tra le mani, disperata. Ne udiva i singhiozzi ma non poteva far nulla per dirle che era lì con lei, voleva urlare ma la voce si rifiutava di uscire dalla gola. Si sentiva disperata ed allo stesso tempo furiosa, ma non riusciva ad esprimere nulla.
All'improvviso notò che la madre non era sola, delle guardie la osservavano e, dai movimenti delle labbra, le parlavano e questo faceva aumentare i sussulti dovuti al pianto. Lei non li udiva e ciò la faceva solo star peggio.
Le stavano comunicando ciò che era accaduto?
Non era stata tutta colpa sua o si?
Avrebbero potuto dire ciò che volevano e lei non poteva discolparsi, non sapendo dove al momento si trovava.
Si sentì le gote bagnate da rabbiose lacrime e provò ancora ad urlare, invano.

Si svegliò all'improvviso gridando e la prima cosa che vide fu il maestro centauro che la osservava, calmo come al solito, con uno sguardo che non le lasciava trapelare nulla.

Balzò a sedere e provò anche ad alzarsi, non riuscendovi e ricadendo distesa.
Una fitta al braccio le ricordava la ferita, ora coperta da una benda di panno come quella sulla fronte.

"Calmati, sei ancora piuttosto debole, hai avuto la febbre alta per giorni ed adesso devi recuperare le forze.".

Non disse nulla sul modo in cui l'aveva trovata, né le chiese il perché si trovasse lì.

"Devo andare da mia madre, devo spiegarle cos'è realmente accaduto.- provò ancora a mettersi seduta e poi ad alzarsi in piedi, ottenendo lo stesso esito di poco prima - lei deve sapere."

Riuscì a dire tra le lacrime.

"Non ti agitare, non otterrai nulla in questo modo - le ordinò con la sua voce imperiosa il centauro - adesso pensa a guarire, penserò io ad avvertire Iavanna".

La risposta sembrò, per un istante, quietare la giovane che tuttavia con un balzo si precipitò giù dal letto, ma finì lunga distesa al suolo dopo pochi passi, perdendo i sensi. Il maestro si limitò a scuotere il capo ed ad andarla a recuperare, riponendola nuovamente nel giaciglio dal quale voleva disperatamente fuggire. Ormai conosceva bene la sua testardaggine.

Il giorno seguente dopo aver lasciato Manha addormentata in fidate mani, il centauro si diresse al trotto verso l'abitazione della principessa Iavanna sperando di poterle parlare per rassicurarla su quanto accaduto alla figlia.

Sfrecciando tra sentieri nascosti e poco praticati arrivò velocemente alla piccola dimora, ma si accorse subito che era disabitata. Si accosto all'uscio per accertarsi della cosa e lo trovò aperto.
Cercando di fare il meno rumore possibile scostò la porta ed entrò, fermandosi poco oltre l'uscio. Vide che tutto era stato gettato alla rinfusa, senza ritegno.
Si guardò intorno circospetto ed uscì nuovamente con un brutto presentimento dentro.

Dove si trovava la principessa e perché quel caos? Doveva tenere calma Manha e lontana da lì finché non ci avesse capito qualcosa ed avesse trovato e parlato con Iavanna.

Si allontanò, quindi, com'era venuto lasciando dietro di sé solo un lieve rumore di zoccoli.

Si avviò verso casa, doveva controllare come stesse la propria allieva, non doveva perderla di vista o far in modo che qualcuno la trovasse. Tuttavia, prima fece una piccola deviazione.

Velocemente raggiunse una radura nascosta, dalla quale partiva un sentiero semi occultato che imboccato portava ad un piccolo villaggio.
A chi era alto come lui il minuscolo borgo sembrava un nonnulla, ma gli abitanti non lo avrebbero cambiato per nulla al mondo.

Dopo aver osservato le basse abitazioni con sicurezza, si diresse verso una posta al centro del villaggio, alla quale bussò.
Mentre attendeva che gli aprissero si guardava intorno, un pò imbarazzato.

Tentando di testare serio oltrepassava con lo sguardo i tetti a cupola delle casette, alti poco più di un hobbit e mezzo. Tutt'intorno udiva il rumore di piccoli esseri che restavano nascosti al sicuro, timorosi e guardinghi come sempre.
Non era la prima volta che andava a trovare quello che ormai da anni era divenuto uno dei suoi pochi amici, anche se il villaggio in cui abitava era difficile da trovare anche per lui.

Non passò molto tempo che la porta di legno scuro si aprì facendone uscire uno gnomo di circa settanta centimetri. Portava uno strano cappello a punta color verde bosco, che sembrava fatto di grosse foglie; da questo spuntavano selvatici riccioli biondo cenere che cadevano quasi sui furbetti occhi celesti, grandi ed espressivi; le orecchie a punta spuntavano dal cappello, delicate e chiare come tutta la sua carnagione; completavano il quadro un delizioso nasino all'insù ed una spruzzata di lentiggini sulle rosee gote.
Un po' più robusto rispetto ai suoi simili, aveva un panciotto e delle braghe abbinate verde foresta ed ai piedi strane scarpe legnose.

Aprì al suo ospite allegro, sarebbe stato difficile trovarlo di umore diverso in quanto era un tipo sempre di ottimo umore, Altarie non era riuscito mai a capire come vi riuscisse.

Erano diventati amici dal giorno in cui il centauro lo aveva salvato da morte certa.

"Altarie, lieto di vederti, cosa ti ha spinto ad arrivare al mio villaggio, deve essere importante - disse osservandolo con l'aria di chi sa -normalmente sono io che vengo a trovarti".

L'altro annuì, facendogli segno di seguirlo e poco dopo si diresse al passo verso l'uscita del villaggio, seguito dallo gnomo trotterellante.
Non appena si fu fermato si rivolse serio allo gnomo.

"Ethius, sai che non è mia abitudine venire a chiederti favori - prese fiato, come a voler comporre ciò che doveva dire - ma vorrei che tu scoprissi dove si trova la principessa Iavanna e se i suoi hanno intenzione di tendere una trappola alla giovane figlia - altra pausa - tu conosci quasi tutti nel bosco, soprattutto quelle bamboline alate che tutto sanno".

Lo gnomo ascoltava ed annuiva ad ogni parola con serietà. Sapeva riconoscere quando il suo amico era preoccupato e in quei casi non ci era nulla di cui scherzare.

"Capisco, potrei chiedere - il tono amichevole e poi preoccupato - loro sanno dove si trova adesso?" chiese al tacere del centauro.

"Non credo, ma Manha non è tipo da sottovalutare e temo possa fare qualche sciocchezza e farsi scoprire o peggio". Concluse preoccupato lasciando intuire ciò che temeva.

"Dammi notizie al più presto… al più tardi domani - poi fece qualche passo, come preludio al suo congedarsi - adesso torno da lei, anche se non sta molto bene, non mi fido. A presto".

Lo gnomo si scostò per farlo passare. "Entro domani sarò da te, promesso".

Il centauro si limitò ad annuire, facendo un cenno di saluto e galoppando via veloce. Ethius restò un attimo ad osservare l'amico che si allontanava, la faccenda era davvero seria se si era spinto nel suo villaggio per chiedergli aiuto. Senza perdere tempo corse a cercare chi potesse aiutarlo.

Tuttavia non sempre i buoni propositi e le ottime idee risolvono i problemi.
A volte accade per mancanza di vera volontà o per una serie di sfortunate coincidenze che ne ritardano il corso.
La nostra storia rientra nella seconda delle ipotesi.

Nonostante la volontà del centauro e la velocità dello gnomo nessuno dei due poté impedire il precipitare degli eventi.

Altarie arrivato alla propria dimora venne accolto da una brutta sorpresa, annunciatagli dall'uscio spalancato. Entrato trovò il custode, al quale aveva lasciato la mezza, privo di conoscenza. La cosa gli mise addosso un atroce dubbio, confermato dal giaciglio vuoto.
Scalciò irritato per l'accaduto e si precipitò dallo svenuto, scuotendolo per farlo destare. Questi riprese i sensi e fu abbastanza in sé per raccontargli di come quel demonio dai capelli viola lo aveva prima fatto avvicinare con una scusa e poi stordito. L'attacco era stato tanto repentino che non si era reso neppure conto di cosa gli fosse arrivato in pieno capo.

La vicenda era avvenuta dopo un'ora o due dalla sua partenza, forse la gracile fanciulla aveva deciso di seguirlo ed era quello che temeva Altarie.

Esperta nel seguire le tracce Manha aveva trovato presto il sentiero utilizzato dal maestro e percorrendolo era anch'ella giunta a quella che era stata la sua quieta dimora.
Appena entrata, si era molto allarmata nel vedere ogni cosa messa a soqquadro, era uscita di corsa, ma qualcuno la stava aspettando nascosto nell'ombra. Un gruppo di guardie era sbucato come dal nulla ed in breve l'aveva circondata.

Presa alla sprovvista, non poté fare altro che arrendersi, maledicendo la sua avventatezza che non le aveva permesso di escogitare un piano o portare con sé un'arma.

"Sei in trappola."

gridò uno di quelli che  la circondavano.

"Non provare a muoverti o a fare mosse false, bastarda mezzosangue." disse un altro puntandole la sua balestra in direzione della gola.

"Assassina" aggiunse un altro ancora, che doveva essere il capo, con lo sguardo carico di odio, mentre le andava vicino e la colpiva in pieno viso con una sonora sberla.

Per nulla intimorita, con una guancia rossa e dolorante, cercò di non darsi per vinta.

"Brutto vigliacco, non faresti tanto lo spavaldo se non fossi armato ed in compagnia"; le uscì di bocca mentre, visto uno spiraglio, pensava al modo di poter imboccare la libertà.

Quello, piccato nell'orgoglio, stava per darle un'altra ripassata, quando la giovane si abbassò di scatto e con un movimento laterale della gamba destra gli fece lo sgambetto cogliendolo alla sprovvista, facendogli perdere l'equilibrio e rovinare a terra.

Quindi ne approfittò per prendergli l'arma che aveva perso e correre a perdifiato verso la via di fuga, dopo aver ferito ad una gamba una delle guardie che le sbarrava la strada.
Contava sull'effetto sorpresa e sul fatto che tutti sarebbero stati occupati nel soccorrere il loro capo.

Il braccio che si era ferita al fiume le doleva un pò, ma stringeva i denti mentre correva.

Dove era la madre? Si chiedeva piena di rabbia.

Tuttavia la sua fuga non riuscì, poiché lo sgambettato ripresosi presto afferrò la balestra di uno dei suoi e con sorprendente velocità e mira, riuscì a colpire Manha di striscio ad una gamba. Il colpo le fece perdere l'equilibrio e cadere al suolo. Subito gli altri le furono addosso e la immobilizzarono dandole persino qualche calcio, mentre il loro furioso capo ordinava di portarla al proprio cospetto.

Quattro guardie la tirarono su di peso, una di loro era ancora piegata in due per il dolore alla gamba ferita, conducendola innanzi al loro capo che soddisfatto osservò prima la ferita che le aveva procurato e poi inaspettatamente le diede un colpo di balestra in capo facendole perdere i sensi.

"Portiamola via, forza, alle prigioni!" ordinò. Due l'afferrarono, chi dalle braccia e chi dai piedi mentre gli altri due aiutarono il compagno ferito.

"Presto, prima arriviamo e prima questo abominio pagherà il fio delle sue colpe". Dopo aver raccolto armi, prigioniera e ferito, si diressero lesti alle prigioni del castello.

Tuttavia la scena non era sfuggita ad un testimone particolare che solo per un caso si trovava a passare per quel luogo: il riccioluto gnomo Ethius che con i suoi piccoli occhi azzurri aveva visto ogni cosa.

Egli subito dopo la visita dell'amico era corso dalle sue conoscenze fatate che avevano l'abitudine di girare attorno alla reggia ed erano molto curiose ed informate su ogni cosa. Aveva appreso da loro, dopo qualche minuto sprecato in convenevoli, che la principessa Iavanna si trovava chiusa in una delle torri ed era appunto occupato ad andare ad informare Altarie della sua scoperta, quando aveva udito le grida che lo avevano condotto a quella casa, dove nascosto aveva assistito sbalordito alla cattura di Manha, senza poter fare nulla.

Appena scoperto il luogo dove le guardie intendevano condurre la loro inerme prigioniera, lo gnomo si precipitò dall'amico per avvertirlo.

Nel medesimo tempo, Altarie si stava dirigendo al galoppo verso il regno e quasi non vide e superò lo gnomo che si accorse di questi e gli urlò di fermarsi. Il centauro rallentò e con un gesto rapido afferrò Ethius dal panciotto e lo fece sedere sulla sua groppa senza fermarsi.

"Dimmi - disse secco, intuendo che l'amico sapeva qualcosa d'importante - Dov'è Manha? L'hanno presa?"

La voce cercava di nascondere, non riuscendovi, la preoccupazione e la paura per la sorte della sua protetta. Continuò a galoppare veloce, mentre Ethius gli raccontava cosa aveva visto e scoperto. Si fermò solo nei pressi del grande arco che fungeva da ingresso alla cittadina elfica, notando che era sorvegliato da due guardie.
Si diresse entro un folto cespuglio che permetteva ai due di non essere visti, per studiare la situazione.

"Ci stanno aspettando - affermò deciso osservando con i suoi occhi grigi lo gnomo - non dovremmo farli attendere."

Troppo serio per essere preso per uno scherzo il suo dire. "Cos'hai intenzione di fare? - chiese lo gnomo preoccupato per l'amico - Vuoi affrontare le guardie?"

Il centauro osservò meglio l'ingresso al villaggio, dal quale si poteva scorgere una parte della casa della sua protetta, sorvegliata da una sola guardia.

"Mi hanno sottovalutato - sbuffò a voce bassa, in modo da essere udito solo dallo gnomo - posso metterli fuorigioco in poco tempo, ma tu corri da Iavanna, liberala dalla torre, raccontale tutto e conducila dalla figlia."

L'altro annuì e stava quasi per correre via, quando Altarie lo fermò.

"Aspetta, dà questo a Iavanna, potrebbe esserle utile."

Porse allo gnomo uno stiletto di circa venti centimetri con l'elsa d'argento intarsiata alla cui sommità faceva capolino la testa di un drago dagli occhi di ghiaccio il cui corpo si attorcigliava lungo tutta l'impugnatura, con la coda che si chiudeva ad anello appena sotto la fine dell'elsa.

"Corri!" Lo gnomo non si lasciò dire altro, nascose l'arma sotto il verde panciotto e rapido saltellò via.
Piccolo e veloce cercò un altro punto, che non fosse l'ingresso principale, per arrivare dalla principessa non visto e ben presto trovò un albero che cresceva accanto alle mura.
Si arrampicò, sgattaiolò sui rami e fu sulle mura.
Riuscì ad evitare lo sguardo delle sentinelle ed arrivò in città.

Ancora non visto si diresse verso la torre in cui era rinchiusa la principessa. La costruzione svettava all'orizzonte e rapidamente la raggiunse arrampicandosi sui suoi fianchi. Arrivato in cima, trovò una piccola finestra semiaperta e cercando di vedere al suo interno vi entrò.
Dei lievi suoni di singhiozzi sommessi lo accolsero. Qualcuno piangeva nella lieve penombra della stanza circolare. Ethius si guardò intorno e notò che i suoni provenivano da un elegante letto a baldacchino in fondo alla stanza.
Si avvicinò al giaciglio e si accorse che su di esso vi era una fanciulla lunga distesa che singhiozzava mestamente.

Con un leggero colpo di tosse cercò di annunciare la propria presenza.
Dapprima  gli sembrò che la creatura non lo avesse udito; ma dal suo interrompere il pianto, rizzarsi a sedere e girare gli occhi per la stanza attenta, comprese che la principessa lo aveva certamente scorto.

"Chi c'è? Chi siete? Cosa volete da me? Come siete entrato?"

La voce della principessa suonava afflitta e come avvolta da un alone di stanchezza ed immensa tristezza.

"Lasciatemi stare." Nonostante la penombra lo gnomo sapeva che l'elfa lo vedeva benissimo e cercando di darsi un contegno le rivolse la parola. Quella povera creatura stava certamente soffrendo per la sorte della figlia e questo lo rese triste.

"Milady, non volevo spaventarla o farle del male - la voce suonava un po' incerta - sono uno gnomo, il mio nome è Ethius e sono un amico del centauro Altarie."

Fece una piccola pausa cercando di vedere la reazione di Iavanna.

"Il maestro di vostra figlia Manha."

Indugiò un istante sul nome vedendo una piccola reazione dell'elfa che lo fece sperare.

"Mi ha inviato da voi per farvi uscire da questa torre ed andare a liberare la sua allieva che adesso è detenuta nelle segrete di questo castello - accelerò il discorso vedendo che Iavanna si agitava - mi ha dato questo, vi servirà."

Le mostrò lo stiletto, porgendoglielo con estrema delicatezza ed osservandola mentre sembrava riflettesse sul da farsi.

"Mia… mia figlia è qui?" Affermò con l'arma bianca tra le candide mani tremanti e la voce rotta per le lacrime che cercava di ricacciare in gola.

"Mi avevano… pensavo… si… ero certa che l'avessero…" Non riuscì a continuare mentre copiose gocce salate le rigavano il perfetto incarnato. Come avevano potuto farle pensare che la figlia fosse morta. Come si può arrivare a tanto. Si chiedeva sconvolta.

"Vi hanno mentito, milady, vostra figlia è viva - cercò di consolarla lo gnomo con voce calma ed accogliente - ma dovete liberarla dalle segrete nella quale è stata rinchiusa, altrimenti potrebbero farle davvero del male."

Concluse in attesa. La principessa annuì, vi era ancora speranza dopo tutto e tenendo con la destra lo stiletto, con la sinistra si asciugò gli occhi bagnati e si alzò.

"Dobbiamo fare in fretta - disse risoluta mentre si avviava verso la porta di legno che si trovava alla loro sinistra - potremmo usare questo e forzare la serratura."

Ethius annuì ed in poco tempo i due riuscirono a lasciare la stanza.

Prima di avanzare si scambiarono un cenno che equivaleva al dire: cerchiamo di non farci scoprire da nessuno.

Cominciarono a scendere i circolari gradini della torre ed arrivando alla loro fine aprirono lentamente e con cautela l'uscio che portava in un corridoio del primo piano del palazzo reale.
Dopo essersi accertati che la via fosse libera Iavanna fece segno allo gnomo di seguirla, adesso era lei la guida. Oltrepassarono corridoi lunghi ed illuminati, stanze ben arredate silenziosi e guardinghi, attenti ad ogni rumore.
Alla fine, dopo una trentina di minuti, trovarono al termine di un ennesimo corridoio poco illuminato, una porta incassata nella parete, spostata la quale furono inghiottiti dall'oscurità che annunciava la discesa nel ventre segreto del castello.

Cominciarono a scendere gli scivolosi ed umidi gradini che portavano alle celle della prigione adagio per paura di far rumore o cadere. Il silenzio avvolgeva e copriva ogni cosa come un invisibile manto. A spezzare il buio solo qualche torcia qua e là che impediva ai due di inciampare ad ogni passo.

Pur molto diversi per razza, sesso, carattere ed origini lo gnomo e l'elfa erano ora accumunati da un unico sentimento e scopo. Entrambi si sentivano il cuore in una morsa gelida ed ad ogni passo temevano di essere scoperti.

Fortunatamente non incontrarono nessuno ed arrivati in fondo si guardarono intorno pronti a difendersi dalle eventuali presenze. Camminando striscianti il muro, cominciarono a cercare la cella di Manha. Non ci volle molto, in quanto la prigioniera cercava in tutti i modi di farsi sentire strillando contro la guardia e provocandola in ogni modo.

Iavanna ed Ethius, cercando di non fare rumore, si avvicinarono alle spalle di questo che non poteva prestare loro ascolto occupato a cercare di calmare la reclusa con le buone o con le cattive maniere.
Manha li vide arrivare e continuò a far il diavolo in quattro per permettere ai suoi soccorritori di giungere indisturbati alle spalle della guardia e stordirla.

Arrivata alle spalle del carceriere, l'elfa rimase tentennante ad osservarlo, non voleva ferire con la sua lama un soldato che eseguiva semplicemente un ordine e dovette intervenire il lesto gnomo che sfilò dalla cinta il suo bastone da passeggio e ne assestò un colpo deciso alla schiena del malcapitato che colto alla sprovvista perse l'equilibrio e cadde al suolo venendo nuovamente colpito e mandato definitivamente ko da un altro colpo di bastone.

Non appena vide la guardia perdere i sensi, restando immobile distesa al suolo, Iavanna le si avvicinò tremante e  le sfilò dalla cinta le chiavi della cella che passò allo gnomo che riposto il suo bastone le afferrò ed in breve tempo riuscì a far uscire Manha che corse ad abbracciare la madre. Avrebbe voluto dirle mille cose, chiederle scusa per il proprio comportamento, ma non riuscì a farlo. Entrambe piansero per la gioia dell'essersi ritrovate e rimasero l'una tra le braccia dell'altra per un tempo che allo gnomo, visto il luogo nel quale si trovavano, sembrò un'eternità.

"Non vorrei sembrare scortese ed interrompere il vostro abraccio di ricongiungimento- le interruppe con voce che lasciava trapelare una vena di tensione e paura per la precaria e strana situazione in cui si trovavano- ma sarebbe meglio andar via di qui prima che qualche altra guardia decida di scendere in questo postaccio e ci scopra".

Annuirono e cercarono di ricomporsi, asciugandosi le lacrime e tornando concentrate sulla pericolosa situazione.

"Andiamo" le incoraggiò Ethius che si mosse per primo, le due lo seguirono in silenzio.
Mentre il trio si avviava a retroso lungo la strada che Iavanna ed Ethius avevano fatto all'andata, Manha si bloccò di colpo

"un attimo- fece cenno di fermarsi ed accostarsi a lei- quando mi hanno condotta in questo luogo lo hanno fatto da un ingresso che dà su una stradina che costeggia una parte delle mura della città, potremmo usare quella via per fuggire."

Propose ai due che annuirono e la seguirono lungo un corridoio che conduceva nella parte sud del castello, zona che costeggiava le mura di confine.
Il percorso si bloccava all'improvviso contro una parete e l'unica via era una scala a chiocciola di pietra che saliva verso l'alto. Il trio si fermò ad osservare l'unica via di fuga dalla quale proveniva il bagliore di tante piccole torce poste ad illuminarla per qualche istante.

"Siete sicura che sia questa la via?" chiese dubbioso lo gnomo,

"si sono sicura" rispose Manha riprendendo il cammino che li avrebbe condotti in superficie.

Dopo alcuni minuti sbucarono all'interno di un piccolo cortile circondato da alte mura e chiuso da un cancello di ferro. Si avvicinarono ad esso con molta cautela scoprendo con sollievo che non era sorvegliato. Con parsimonia e l'aiuto dello stiletto lo gnomo riuscì a violare il catenaccio, ad aprire il portone ed a permettere loro di lasciare quel posto che cominciava a fargli venire uno strano senso di claustrofobia.
Tutto attorno a loro taceva, cosa insolita, i tre cominciarono a chiedersi come mai non avessero incontrato nessuno lungo il percorso. Anche se nessuno di loro disse apertamente ciò che pensava, sapevano che non era normale.

Cercando di ignorare il proprio istinto, quatti quatti si diressero verso la porta sud, la seconda entrata della città, il più velocemente possibile.
Tutto faceva sperare che sarebbero riusciti a raggiungere la tanto agognata libertà e Manha cominciava a intravedere un futuro felice con la madre, lontano da quel luogo di sofferenza.

Purtroppo, a volte, la cattiva sorte ci mette lo zampino e quando par che le cose si siano messe al meglio e la felicità sembra essere a portata di mano, la sfortuna sfila un asso dalla manica riuscendo a ribaltare ogni cosa a proprio favore, rovinando i piani di chiunque.

Improvvisamente come dal nulla sbucarono una dozzina di guardie armate d'arco che circondarono e presero di mira i fuggitivi, ormai a pochi metri dalla salvezza, bloccandoli. Stanchi ed amareggiati i tre si dovettero fermare.

"Lasciateci andare immediatamente!"

Tuonò la principessa agli arcieri visibilmente irritata, con le guance rosse.

"Non avete il diritto di impedire il nostro passaggio!" La voce le tremò per un istante.

"Dite, Vostra Altezza?" Una voce dal tono sarcastico sbucò dal gruppo di arcieri, voce che apparteneva al capo squadra, nonché comandante dell'esercito reale.
Un elfo alto, avvolto dall'armatura che lasciava scoperto solo il viso bianco, dal quale spiccavano due occhi neri e la chioma corvina.

"Come potremmo noi far fuggire un'assassina dalla nostra città? Giustizia deve essere fatta, quindi consegnatecela." Ordinò con voce tonante.

"Non avete nessuna prova che sia stata lei ad uccidere quella guardia" replicò determinata Iavanna in difesa della figlia

"dov'è la giustizia in tutto ciò?".

Il suo sguardo era pieno d'indignazione e di disgusto, anche se l'ira non la privava della sua innata grazia e del suo portamento regale.

"Siamo certi che sia lei l'assassina della guardia scelta Heleg, in quanto l'arma usata per commettere il delitto è il pugnale di costei", urlò il comandante in risposta all'affermazione della principessa,

"nessuno in città ha un pugnale come quello usato dall'assassina qui presente." Concluse indicando Manha che non riuscì neppure ad emettere un fiato, sentendosi come schiacciata da un senso di colpa che le succhiava la stessa aria che respirava.

"Come vi permettete d'insinuare che quel pugnale appartiene a mia figlia" continuò imperterrita Iavanna che non sapeva davvero che Manha possedesse un'arma,

"quell'arma può essere di chiunque. Heleg non era ben visto da molti, era orgoglioso, prepotente ed aveva tanti nemici." A queste parole l'altro rise sonoramente.

"Abbiamo testimoni che confermano di aver scorto costei- indicò con ribrezzo la mezz'elfa- impugnare l'arma in questione mentre si esercitava nei boschi ed altri ancora l'hanno vista fuggire dalla scena del crimine".

Ogni parola era come un macigno per Manha che sapeva che le accuse erano vere e non poteva far altro che ascoltare in silenzio, come in apnea.

"Basta, abbiamo discusso anche troppo Vostra Altezza!" Sbraitò spazientito.

"Fatevi da parte e consegnateci l'assassina, senza altri indugi, affinché paghi per la sua colpa", concluse pronto a dar l'ordine di procedere ai suoi sottoposti.

"Sono certa che le cose non stiano nel modo in cui le affermate voi, mia figlia è innocente, non è un'assassina." Nulla le avrebbe fatto dubitare di Manha

"Pretendo che le sia fatto un processo equo, libero da qualsiasi pregiudizio." Concluse decisa.

Manha restava immobile e non riusciva a proferire parola, cosa sarebbe successo se la madre avesse saputo la verità? L'aveva delusa. Continuava ad osservare ciò che stava accadendo come chi si trova all'interno di uno spaventoso incubo e non riesce a muoversi o ad urlare per quanto si sforzi in tutti i modi di farlo.

Ancora una volta la madre si batteva per lei e nonostante i suoi anni e le conoscenze acquisite nel tempo, si sentiva come quando era piccola ed indifesa e ciò la rendeva furente.
Avrebbe dovuto essere lei il difensore della madre, non il contrario.
Neppure lo gnomo sapeva cosa fare in una circostanza simile, non essendo abituato a fronteggiare guardie armate, ma ad evitare di incontrarle.

"Non ho intenzione di sentire altro, prendeteli!" sbraitò il comandante ai suoi.

Alcune guardie si avvicinarono con aria minacciosa ed intenzioni non amichevoli.

"Fermatevi o sarete la causa della mia morte!"

Urlò all'improvviso Iavanna che in un istante era riuscita a sfoderare lo stiletto che portava alla cinta e puntarlo con entrambe le mani alla propria gola.

"Se avete almeno un briciolo di considerazione nei miei confronti vi ordino di lasciare andare mia figlia o vi macchierete la coscienza con il mio sangue innocente!"

La voce della principessa risuonava quasi disperata, come quella di chi trovatosi con le spalle al muro tenta il tutto per tutto pur di trovare una via d'uscita.
I soldati si bloccarono all'istante e cominciarono a guardarsi tra loro per poi volgere lo sguardo dubbioso al comandante.
Iavanna era pur sempre la loro principessa ed era loro dovere far in modo che non le capitasse nulla di male. Anche Manha ed Ethius erano rimasti scioccati da quel comportamento e rimanevano immobili e confusi come statue. Persino il comandante appariva disorientato ed avvicinando uno dei suoi gli sussurrò all'orecchio di andare ad informare il sovrano dell'avvenimento; questi annuì e scomparve correndo il più velocemente possibile.

Fatto ciò, l'elfo volse la sua attenzione nuovamente ai tre.

"Vostra altezza non fate sciocchezze, in questa maniera non otterrete nulla, ragionate vi prego!"

Il tono pacato cercava di nascondere la tensione. Voleva prendere tempo in attesa del sovrano, sperando non volesse realmente togliersi la vita per un essere come Manha.

"Non ho intenzione di cambiare idea, lasciate andare mia figlia o ve ne pentirete!" minacciò nuovamente la principessa più decisa che mai.

" Ti prego mamma non fare così, mi consegnerò a loro, basta!" Gridò Manha come chi si desta da un lungo sogno e si rende conto di ciò che accade attorno a sé è vuol fare la cosa giusta.

"Ascoltate le sue parole Vostra Altezza", aggiunse l'elfo facendo qualche passo in avanti.

"Non fate un altro passo o mi uccido" fu la risposta della principessa che fece un pò di pressione sull'impugnatura causandosi un lieve taglio alla gola e facendo gridare Manha dal terrore. Il comandante si fermò ed alzò le braccia in segno di resa.

"Farò come dite, ma non uccidetevi."
La situazione sembrava stagnare, poiché la principessa non aveva alcuna intenzione di cedere e le guardie troppa paura per compiere qualunque azione.
Neppure Manha, in lacrime o lo gnomo riuscivano a pensare ad un modo per risolvere la situazione. Forse solo il re avrebbe potuto far ragionare la figlia.

Passarono i minuti, che ai presenti sembrarono un'eternità, quando la guardia che prima si era allontanata fece il suo ritorno in compagnia del sovrano e del centauro Altarie.
Tutti continuarono a restare immobili ed ammutoliti per la sorpresa di vedere i due insieme, persino Iavanna, che tuttavia non mollò il suo proposito, anzi partì prevenuta.

"Padre non riuscirete a farmi cambiare idea, lasciate andare mia figlia o assisterete alla mia morte!"
Gridò disperata ma lucida.

Il sovrano osservò la figlia, la nipote immobile ed in lacrime e lo gnomo confuso nel vedere il centauro. Sospirò stancamente,

"d'accordo centauro fate ciò che abbiamo pattuito."

Disse rivolto ad Altarie che annuì e si incamminò verso il gruppetto con passo deciso.

"Fermatevi o mi toglierò la vita!" Nuovamente spinse sulla lama tagliandosi un altro pò, ma il padre riuscì a farla fermare prima che si facesse realmente un danno fisico.

"Faremo come desideri figlia mia, il centauro porterà Manha fuori dal nostro regno."

La voce chiara ed autoritaria celava ansia, nonostante le apparenze amava la figlia e se fosse dipeso soltanto da lui avrebbe accettato persino la nipote. Tuttavia, il consiglio aveva molta influenza e quella era l'unica cosa che al momento poteva fare.
Il comandante osservò il sovrano con aria scettica e scosse il capo.

"Una volta partita costei non potrà più tornare" aggiunse

"questo è il massimo che io posso fare", concluse.

Attese la risposta della figlia che sembrava voler cedere alla proposta, permettendo ad Altarie di compiere qualche passo in avanti.

"Chi mi assicura che nessuno le farà del male?" Il tono di voce della principessa non lasciava trapelare alcuna insicurezza, era l'amore materno che la spingeva a fare tutto ciò.

"Come posso fidarmi di tutti voi?"

"Fidatevi di me." Intervenne il centauro,

"porterò vostra figlia lontano da qui in un luogo che nessuno di loro conoscerà mai, è una promessa!"

Iavanna annuì e sorrise verso Manha.

"Ti vorrò sempre bene figlia mia, sii felice!"

Lesto il centauro si avvicinò alla mezz'elfa che in lacrime cercò di indietreggiare.

"Non voglio, non lascerò mia madre da sola in questo luogo, non potete costringermi!"

Urlò piangendo, avrebbe voluto fare qualcosa per fermare gli eventi, ma aveva il cervello bloccato.
Altarie non stette ad ascoltare le sue parole e con un movimento rapido la afferrò per la vita e la caricò sulla sua groppa, lo gnomo seguì l'esempio e saltò su anche lui.

"Aspetterò il vostro ritorno con la notizia che mia figlia si trova al sicuro, altrimenti la farò finita, dovessero passare anche secoli."
Minacciò ancora Iavanna verso i soldati immobili.

"Adesso correte!" ebbe appena il tempo di dire, prima che il centauro sfrecciasse via al galoppo verso la porta sud e scomparisse oltre.
La principessa restò ancora ferma con lo stiletto puntato alla gola, in attesa che il trotto in lontananza cessasse.

Un silenzio imbarazzante scese tutt'intorno, solo il comandante si mosse avvicinandosi al re con aria interrogativa e confusa. Il sovrano lo osservò accostarsi ed immaginando la domanda prese parola.

"Meglio così", tagliò corto

"dopo aver discusso con il quadrupede sono giunto alla conclusione che mia figlia non avrebbe permesso in alcun modo che fosse fatta giustizia".

Il soldato sgranò gli occhi pronto a protestare, ma il re lo zittì con un cenno di chi sa.

"Sono consapevole che l'assassina del nostro Heleg merita di morire, ma questa soluzione le ha comunque inflitto una dolorosa punizione ed impedito a noi di perdere la nostra principessa. Questo è quanto e non tollererò né discussioni né inseguimenti; anzi non voglio più sentir parlare di Manha, chiaro?" concluse con un tono che non ammetteva repliche.

"Agli ordini Vostra maestà" fu la risposta del comandante che tornò al proprio posto borbottando a voce bassissima, in modo da non essere sentito da orecchio alcuno.

Il rumore del galoppo ormai non si udiva quasi più e presto tutto sarebbe tornato come prima: Iavanna avrebbe posato la sua mortale arma e lui l'avrebbe riportata al castello, sperando di dimenticare presto la nipote indesiderata. Questo era il pensiero del re.

Tutto sfrecciava veloce e confuso agli occhi di Manha che ancora in lacrime osservava il bosco allontanarsi, assieme al suo passato. Il pensiero di non poter più vedere la madre le sgraziata l'anima.

"Lasciami scendere!" Urlò

"Credevo fossi mio amico, non in combutta con il nemico!" La voce carica di rabbia e frustrazione.

"Non essere stupida", le rispose il centauro non accennando a rallentare,

"ti avrebbero condannata alla pena capitale e tua madre ne sarebbe morta di dolore o peggio si sarebbe uccisa con le sue stesse mani. Desideravi questo per lei?" la redarguì accelerando.

"Era l'unico modo per salvarti." Manha non ribatté ed il centauro continuò,

"in questo modo lei sa che potrai avere una vita migliore e per una madre ciò è importante. Adesso non puoi capire, ma quando sarai genitore tutto ti sarà chiaro." Poi non disse più nulla e l'unico rumore che li accompagnò per il resto del viaggio fu quello dei suoi zoccoli contro il terreno.

Dopo diverse ore di corsa frenata, per vie che solo il centauro conosceva, uscirono in una vasta pianura a sud del regno e fuori dai suoi confini. Altarie finalmente rallentò puntando ad una città il cui profilo si stagliava netto a poca distanza.
A passo non troppo svelto raggiunsero le sue porte e le oltrepassarono immettendosi nella via centrale in cerca di una stazione di posta, per procurare un cavallo a Manha.

Durante il tragitto, verso la loro meta, notarono diversi umani intenti a contrattare con dei nani il prezzo della loro mercanzia e diversi curiosi che lanciavano loro occhiate esterrefatte prima di tornare ai loro affari.
Alla stazione di posta Altarie prese un cavallo baio maculato bianco a chiazze marroni e tirandolo per le redini lo condusse appena fuori la piccola città. Ethius, che era saltato giù per qualche minuto, tornò con un sacchetto e lo porse a Manha

"qualcosa per il viaggio" le disse con tono dolce e comprensivo.

Oltrepassate le ultime case di quello che appariva come un villaggio di mercanti, frequentato da viaggiatori di ogni razza, il Centauro si fermò accanto alla riva di un fiume di fronte al ponte di legno usato per oltrepassarlo che proseguiva lungo un sentiero verso sud.

"Siamo giunti alla fine del nostro viaggio, adesso tocca a te proseguire. Prendi questo cavallo ed imbocca il sentiero, senza voltarti. Io tornerò indietro e rassicurerò tua madre." Il tono non ammetteva nessuna replica.

Manha scese mesta dalla groppa del maestro, sulla quale era stata l'unica creatura alta ad avere l'onore di poter salire e afferrò la cavalcatura per le briglie.

"Adesso cosa dovrei fare?" Urlò sconsolata

"Per colpa loro non ho più una famiglia; dove dovrei andare?" La voce spezzata dalla rabbia e dal pianto, gli occhi rossi e lo sguardo confuso.

"Ovunque tu desideri, da adesso in poi sarai tu a decidere per te stessa ed a dover badare a te e sono certo che ci riuscirai benissimo, ho fiducia nelle tue capacità" Il maestro era serio ed il suo tono di voce lo confermava.

"Ricorda solo che in questo mondo nessuno ti deve nulla, anche se tutti pretenderanno qualcosa: tu non lasciarti mai scoraggiare e vai sempre avanti per la tua strada. Adesso lasciati tutto alle spalle e comincia una nuova vita."
Le indicò il sentiero.

Ethius annuì e rapido montò nuovamente sul dorso del centauro, pronto a ripartire.

"E mia madre?" Urlò nuovamente la giovane,

"io non la rivedrò mai più?" Scosse il capo, per lei il solo pensiero era assurdo.

"Lei soffrirà?- urlò - e la colpa sarà solo mia che non ho fatto nulla per impedire ciò che è accaduto. Mi sono illusa di poter avere il tempo per prepararmi a difendere mia madre; non ho condotto via da quel luogo l'unica creatura che mi amasse. Cosa dovrei fare? Adesso non mi rimane nulla, solo il rimpianto". Pestò i piedi al suolo e sospiro, mentre lacrime amare le solcavano il viso.

"Tu, mettitelo bene in testa, non hai nessuna colpa. Non potevi fare niente per impedire ciò che è accaduto". Cercò di quietarla il centauro vedendola in quello stato e comprendendo il dolore che stava provando.

"Adesso basta, vai." La esortò.

"Grazie alle mie conoscenze sarò sempre in grado di sapere dove ti trovi e dare notizie a tua madre e portarne di lei a te, non temere". Poi notando che Manha non si decideva a partire,

"vedrai, riusciremo a far lasciare il regno alla principessa Iavanna. Devi solo avere pazienza, trovare un luogo sicuro in cui poter ricominciare una vita nuova e fidarti di me". Quelle parole la tranquillizzarono.
Si asciugò le lacrime ed annuì speranzosa salendo in groppa al suo cavallo.

" È una promessa?" Chiese come una bambina, ingenuamente.

"Farò come dici ed attenderò tue notizie, mio maestro." La speranza riuscì a farle accennare un timido sorriso. Il centauro annuì

"sì, te lo prometto; ma adesso vai e fai in fretta." Le ordinò. Manha annuì spronò il destriero e partì. Non sapeva dove sarebbe andata, ma una cosa era certa: avrebbe trovato un modo per tornare e portare in salvo sua madre. Era la sua missione.

Altarie la vide scomparire oltre la linea dell'orizzonte e sospirò sconsolato per quello che aveva detto e promesso, ma non poteva fare altro al momento e ciò lo feriva.
Iavanna non sarebbe mai stata libera di lasciare il regno e questo lui lo sapeva.

Durante il viaggio di ritorno né lui né Ethius dissero una parola, ma in cuor suo lo gnomo sapeva che l'amico aveva agito in buona fede e non poteva certo giudicarlo per questo. Avrebbe mandato qualcuno dei suoi per sapere dove si trovava l'allieva del maestro appena possibile.

Angolo autrice:
In alto un possibile ritratto di Ethius, lo gnomo amico di Altarie.
Che ne dite?

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