Capitolo 19
Nulla al mondo avrebbe reso più felice Manha che vedere Evion attenderla nella dimora accanto al porto e nell'attimo in cui i loro sguardi s'incrociarono lei gli corse incontro, dimentica delle mancate notizie e della sua assenza, proprio nel momento in cui si era sentita più vulnerabile.
Aveva bisogno di essere consolata, abbracciata, di credere che ogni cosa potesse andare per il meglio e che ciò che aveva visto quel giorno non era stato altro che il frutto marcio di un incubo dal quale alla fine era riuscita a destarsi.
Avrebbe voluto poter essere arrabbiata con lui in eterno, ma avrebbe mentito a sé stessa: lo amava.
Non appena ebbero varcato la soglia di casa si baciarano appassionatamente: un bacio lungo e disperato di due amanti rimasti troppo tempo divisi dal fato che alla fine si sono ritrovati.
Rimasero l'uno tra le braccia dell'altro in silenzio, consci della loro esclusiva esistenza.
Nel tepore di quelle braccia le difese di lei vacillarono e quel muro inviolabile che le aveva impedito di crollare, dopo aver visto scomparire colei che più d'ogni altra aveva amato come una sorella o forse più, venne meno e si ritrovò a singhiozzare disperata stringendosi sempre più ad Evion che continuò a non dire niente, limitandosi ad accarezzarle il capo con dolcezza ed a guardarla comprensivo.
Il suo amore per lei era davvero immenso e vederla in quello stato gli faceva provare odio per sé stesso: non sarebbe dovuto partire, era stato uno stupido. Adesso rischiava persino di perderla: sarebbe stato capace di fare la cosa giusta?
L'unico suono nell'intera casa proveniva dall'amazzone: una nenia lacrimosa accompagnata da sussulti che scuotevano l'anima e l'intero essere di quella povera creatura. Lui la lasciò sfogare completamente prima di sciogliersi delicatamente dalla sua stretta, osservando per qualche istante quel bel faccino rigato dalle lacrime e gli occhi gonfi per il troppo pianto.
Prese un fazzoletto e con amore le asciugò il viso per poi prendere le sue mani tra le proprie e baciarle con dolcezza.
"Scusami se sono stato assente proprio nel momento in cui avevi più bisogno di me", s'interruppe cercando gli occhi di lei che sembravano vagare smarriti come quelli di un cerbiatto di fronte ad un cacciatore.
"Sono tornato appena ho potuto ed ho appena saputo... non ho scusanti" disse stringendola nuovamente a sé, e ringraziando gli dei che non si fosse trovata all'accampamento la notte dell'attacco degli stregoni.
"Sono stato uno sciocco, spero tu possa perdonarmi ma qualunque cosa tu decida, io ti starò accanto e capirò" le sussurrò sciogliendosi dall'abbraccio. La sua volontà vacillava, come doveva affrontare l'argomento?
Manha taceva, limitandosi ad osservare gli strani occhi color magenta di lui, come se li avesse visti per la prima volta. Cominciava a sentirsi meglio e non le importava d'altro.
Un dolce silenzio li avvolgeva entrambi: immobili al centro della stanza, occhi negli occhi, mentre le mani si erano nuovamente allacciate tra loro ed i cuori battevano all'unisono.
"Le amazzoni non ci sono più- sbottò all'improvviso la mezza- gli stregoni neri hanno invaso l'accampamento e non hanno risparmiato nessuna di loro", mentre parlava tutto il suo corpo s'irrigidì sempre più caricandosi d'ira furente.
"Avrei dovuto essere lì con loro, combattere fino alla fine e cadere con fierezza", il tono si era alzato,
"perché è successo? Perché?" Urlò pestando i piedi; una domanda che non si aspettava nessuna risposta poiché lei la conosceva già ma che era soltanto un amaro sfogo.
"Purtroppo ne sono a conoscenza, la notizia si è diffusa ormai" disse approfittando del suo silenzio.
"Chiamami egoista ma sono felice che tu ti sia salvata, non so come avrei fatto senza di te". Manha venne colta da un forte senso di colpa, per le parole dette poco prima. Non aveva pensato né a lui né a Lorenne.
"È solo che... ciò che è accaduto... è ingiusto" riuscì a dire soltanto, abbandonandosi nuovamente tra le sue braccia e ricominciando a singhiozzare sommessamente.
Evion la strinse a sé, permettendole di sfogarsi ancora un po' e poi non appena i sussulti che la scuotevano terminarono, la condusse nella sala da pranzo.
Con una delicatezza infinita la fece sedere al tavolo e le porse un bicchiere d'acqua, che lei bevve con avidità, e cercò qualcosa da mangiare poi si sistemo al suo fianco.
Voleva darle modo di raccontargli tutto quello che le era capitato dal momento in cui si erano separati. Era convinto che questo l'avrebbe fatta sentire meglio: gli serviva tempo.
Un fiume in piena che non interruppe neppure per un istante lo avvolse.
Ascoltò ogni parola sentendosi sempre più dalla parte del torto.
Non poteva dirle la verità, ma mentire sarebbe stato peggio: prima o poi lo avrebbe saputo. Non era capace di nascondere ciò che pensava o provava a chi amava: era un libro aperto e non era mai riuscito ad impedire che accadesse.
Se ne stava lì ad osservarla con lo sguardo di chi non sa come dire qualcosa di importante che potrebbe peggiorare la già brutta situazione e si limita a prendere tempo in attesa di un'illuminazione.
Improvvisamente, quasi al termine del proprio racconto, Manha s'interruppe come se si fosse rammentata di qualcosa e gli occhi dell'amato le confermarono il dubbio che le era nato.
"Perché sei stato assente per così tanto tempo?" Chiese diretta.
"Avrei voluto averti vicino. Cos'è accaduto di tanto importante da farti fuggire in quel modo e non darti neppure un momento per dirmi nulla? Parla con me Evion, non lasciarmi all'oscuro". D'impeto afferrò le sue mani e le strinse forte.
"Sono stanca di vagare nell'oblio della menzogna. Se mi ami devi dirmi la verità". Gli occhi tornati lucidi, fissi su di lui che si sentì sprofondare ed arrossì per la vergogna che lo stava assalendo e lo divorava. Era troppo presto.
Per alcuni minuti tacque, il battito del cuore gli rintronava nelle orecchie come un martello su un chiodo. Raccolse tutto il coraggio, sollevò le mani di colei che sola era cara al suo cuore portandole per un istante sulle labbra e guardando dritto nei suoi bei occhi celesti cominciò. Le avrebbe raccontato ogni cosa, a costo di perderla: meritava la verità.
Il solo pensiero delle conseguenze delle sue parole lo faceva stare male, ma per l'amore che provava non poteva tirarsi indietro: non lo aveva mai fatto, costasse quel che costasse.
"Quel giorno alla locanda, riconobbi subito il messo venuto a cercarmi e lo stemma impresso sulla pergamena che mi consegnò. La cosa mi procurò un tuffo al cuore, riportandomi alla mente alcuni eventi del passato ed i dolorosi ricordi ad essi legati". Manha ascoltava in silenzio con aria preoccupata.
"Devi sapere che nel mio paese natio, un isola a sud di qui, io..." s'interruppe non sapendo come articolare le parole che stava per pronunciare ma ugualmente deciso ad essere sincero fino in fondo verso colei che amava.
"Ero sposato con una giovane di nome Seraphine ed aspettavamo il nostro primo figlio, quando sull'isola scoppiò un enorme incendio". Arrossì ed il cuore prese nuovamente a battergli come un tamburo di guerra.
Scosse il capo e continuò,
"i miei ricordi a riguardo sono molto confusi e poco chiari ma sono convinto d'aver cercato di salvarle la vita, invano" un sospirò gli sfuggì e cercò d'inumidire le labbra come un assetato consapevole che attorno a lui non vi è una goccia d'acqua.
"Il resto è avvolto da una fitta nebbia colma d'urla. Ricordo d'essermi risvegliato su di una nave diretta a nord. Il capitano di bordo mi disse che l'isola era andata completamente distrutta e che io e pochi altri eravamo riusciti a scampare a quel flagello divino". Lasciò le mani di Manha e serrò le proprie a pugno sospirando nuovamente.
"Ho vagato per molto tempo fino al giorno in cui conobbi te, il mio cuore riprese a battere ed io a sperare che il mio passato si fosse per sempre dissolto. Tuttavia ciò non è accaduto e quel giorno alla locanda, quella dannata missiva mi ha risucchiato indietro ed io stupidamente l'ho seguita". Diede un colpo sul tavolo facendolo tremare.
"Nel mio inconscio volevo capire. Capire cosa fosse accaduto il giorno di quel terribile incendio, far luce su quella parte del mio passato che non mi lasciava vivere..." Manha capì che doveva aver sofferto molto, ma le faceva male sapere che non si fosse confidato con lei.
"Non mi rendevo conto di cosa fosse realmente importante: il presente e tu". Mentre parlava i suoi occhi presero a luccicare ed istintivamente Manha gli afferrò la mano, abbandonata sul tavolo, serrata, per dargli un po' di conforto.
Tuttavia lui la ritrasse velocemente come chi viene colto da improvvisa paura.
"Voglio che tu sappia cosa vi era scritto sulla pergamena che mi è stata consegnata quel giorno", detto ciò prese un foglio piegato dall'interno di una piccola sacca che portava legata alla cinta e lo porse alla mezza che lo spiegò e dopo aver ricevuto il consenso del pari razza lo lesse ad alta voce.
"Caro Evion se stai leggendo queste parole, significa che alla fine la mia missiva era riuscita a raggiungerti ed il mio messo ha assolto il compito che gli era stato affidato: scovarti. Credo fermamente che tu debba sapere cos'è realmente successo il giorno dell'infausto incendio che ha drasticamente mutato le nostre vite. Se desideri conoscere la verità, torna sulla nostra isola, è stata riportata al suo antico splendore, subito dopo averla ricevuta.
Io ti aspetterò ogni tramonto accanto alle caverne sussurranti, luogo in cui anni fa ci giurammo amore eterno.
Ti attenderò fino al solstizio e spero tu decida di venire da me e di non lasciarmi nuovamente ad aspettare invano.
In fede S.".
Finito di leggere, Manha pose la lettera sulla superficie liscia del desco ed osservò attentamente il viso contorto dal dolore di colui che amava e provò una strana fitta al petto, come una pugnalata.
Perché si sentiva in quel modo? Voleva davvero sapere?
"Con quelle poche righe tra le mani partii; forse convinto di poter rivedere Seraphine, non avrei dovuto farlo" scosse il capo addolorato e pieno di rimorso, la voce incrinata da un pianto trattenuto a fatica. Quanto avrebbe voluto poter tornare indietro nel tempo e non farlo.
"Andai a quell'incontro dimentico di tutto, avido di sapere, con l'animo in subbuglio. La vidi, mi stava aspettando, era esattamente come me la ricordavo: una fragile creatura dalla chioma color del grano, gli occhi verdi e la carnagione olivastra. Lei mi riconobbe ed attese che mi avvicinassi. Le corsi incontro come colto da un'improvvisa ubriacatura dell'anima e la baciai senza darle neppure il tempo di emettere fiato". A quelle parole lo sguardo della mezza s'incupì e le sue mani si ritrassero intrecciandosi tra loro, in una morsa. Avrebbe voluto urlagli di fermarsi, ma non riuscì ad emettere suono.
"Lei ricambiò il mio bacio con altrettanta passione, come se nulla fosse accaduto tra noi ed il tempo che ci aveva divisi non fosse mai esistito. Mi invitò a bere qualcosa a casa sua. Frastornato dalla vista di quella donna che avevo amato e creduto d'aver perduto non feci caso alla stranezza della cosa e la seguii" si fermò ancora a prendere fiato portandosi entrambe le mani a sostegno del capo divenuto troppo pesante da sorregge.
Non riusciva più a guardarla negli occhi. Ancora si domandava perché aveva agito in quel modo sconsiderato.
"Quella notte ci amammo e non fu l'unica volta..." riprese fiato per non soffocare, perché raccontarle persino i particolari? Perché non riusciva a smettere? Voleva davvero solo essere del tutto sincero o vi era dell'altro?
"Mi sentivo come ebro di un nettare divino che m'impediva di ragionare, di pensare e comprendere che vi era qualcosa che non andava in quello che mi stava accadendo..." s'interruppe perché intanto Manha si era alzata di scatto ed altrettanto velocemente aveva colpito con la destra il volto del pari razza, lo aveva fatto con tanta forza da farlo diventare rosso.
Questi, in reazione all'attacco, balzò in piedi a sua volta, in tempo per schivare e poi bloccare un altro sonoro ceffone che la mezza stava per assestargli.
Con un po' di fortuna riuscì ad afferrarle l'avambraccio destro ed a trattenerlo; a quella mossa Manha provò a divincolarsi mentre gli occhi le si riempivano di lacrime disperate.
"Come hai potuto? Perché sei tornato?" Urlò riuscendo a liberarsi con uno strattone per poi voltarsi e fare qualche passo verso la porta d'ingresso. Evion le corse dietro cercando di fermare i suoi passi.
"Ti prego, lasciami finire, permettimi di spiegare", la voce ricolma del senso di colpa di chi ha sbagliato e vuol redimersi.
"Cosa c'è da spiegare ancora?" Gridò lei, diretta all'uscita che appariva sempre più sfocata a causa delle lacrime di rabbia e dolore che le rigavano le guance ed annebbiavano la vista.
"Ti supplico, permettimi di chiarire e dopo potrai andare... se lo vorrai. Ti chiedo solo cinque minuti, per favore". La supplica acquietò Manha che si fermò, asciugò il viso ed attese. Perché non riusciva ad andar via? Perché si ostinava a voler sapere? Perché voleva ancora farsi del male?
"Quella donna mi aveva ingannato. Ne fui certo quando chiedendole del figlio che aspettava, lei in risposta rise maligna: non era Seraphine ma qualcuno che voleva soltanto vendicarsi su di me facendomi soffrire. Sapeva di te e godeva nell'essere riuscita a rovinare la felicità che pensavo di aver conquistato". Sferrò un pugno al muro.
"Una strega era riuscita a farmi credere d'essere la mia defunta moglie solo per un suo capriccio ed io ero caduto ingenuamente nella sua trappola". Anche lui scoppio in lacrime, asciugandole con foga tanto da rendere gli occhi più rossi e gonfi di quanto già non fossero. La mano gli doleva, ma era nulla in confronto all'abisso che si era aperto nel suo cuore.
"Quando le chiesi il motivo di tanta cattiveria, mi rispose che dovevo pagare per il torto che le avevo arrecato ma di cui io non ho memoria", scosse il capo, sbuffò avvilito e si poggiò contro il muro, sconfitto.
"Mi sentii disgustato da me stesso e mi resi conto che ciò che avevo creduto di provare non era reale: quella dannata strega si era approfittata del rimorso che ho provato per la fine di Seraphine. Mi aveva lanciato un sortilegio non appena mi aveva visto ed irretito i sensi con del vino drogato. Sconvolto le vomitai addosso tutto il mio odio e l'aggredii riuscendo a farla fuggire. Riuscivo a pensare soltanto al male che avevo fatto a te, con il mio egoistico comportamento".
La guardò con sguardo supplice che Manha evitò.
"Ti avevo abbandonata nel momento in cui avevi più bisogno, mi odio per questo. Ho capito che sei l'unica creatura che conta per me e non appena ho avuto l'occasione ho lasciato per sempre quel luogo.-fece una pausa-Ho deciso di raccontarti ogni cosa perché tu sei migliore di me e meriti la verità". La giovane fissava un punto indefinito, assente.
"Qualunque sarà la tua decisione l'accetterò ma sappi che non smetterò mai d'amarti", s'interruppe ancora una volta e la osservò conscio di averla, forse, perduta per sempre.
"Spero, un giorno, tu possa perdonarmi per ciò che ti ho fatto" aggiunse per poi tacere.
Manha tornò in sé e scosse il capo, gli occhi lucidi, pronta a colpirlo nuovamente ma un istante prima di agire si bloccò.
Restò in quella posa per qualche attimo, lo sguardo carico di rabbia e compassione.
Non piangeva più.
Abbassò la mano e senza dire una parola andò verso l'uscio, l'aprì ed uscì lasciando quella casa per sempre.
Come aveva potuto farle questo? Fu l'unico pensiero che riuscì a concepire prima di cominciare a correre a perdifiato.
Evion corse alla porta gridando il suo nome, invano: non sarebbe tornata sui suoi passi.
La guardò allontanarsi sotto la pioggia che cadeva copiosa e sembrava volerla proteggere dallo sguardo di chi l'aveva fatta soffrire.
Tuttavia non voleva darsi per vinto.
Uscì correndo continuando ad invocarla, una cascata d'acqua lo sommerse facendogli quasi perdere l'equilibrio.
Andò ancora avanti ma una forza misteriosa lo balzò indietro, facendolo finire lungo disteso al suolo.
Cercò di rialzarsi, ma si ritrovò in ginocchio, privo di forze. Batté i pugni al suolo, disperato.
Non vi era nulla da fare: l'aveva persa, aveva rovinato ogni cosa.
Angolo autrice:
Scusate il ritardo, spero che questo colpo di scena vi piaccia.
In alto, Manha che corre sotto la pioggia.
Lasciate le vostre impressioni.
A sabato.
Capitolo revisionato.
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