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Under the same Sky

Temple Bar, Dublino, 26 febbraio 1992

"Buonasera, benvenuta!"
Éibhleann salutò con un elegante cenno del capo la cameriera che l'accolse, ricambiando il sorriso così gentile con uno dei suoi, sottili ma colmi di fascino.
La ragazza tentennò allo strano charme della donna e, cercando di farsi coraggio stropicciando nervosamente tra le dita l'angolo del grembiule rosso, le domandò timidamente dove volesse accomodarsi.
La garda sfilò la fedora dal capo e sbottonò il pesante soprabito nero scrutando attenta l'interno del locale, tra i tavoli in noce e la sottile coltre di fumo che si levava da pipe e sigarette.
"Capo!"
Murray sollevò un braccio, agitandolo per richiamare l'attenzione della collega.
"Accompagno quei cafoni laggiù, come vedi."
Si scusò a fior di labbra e superò la giovane biondina, sfiorando lievemente il dorso della sua mano con quello della propria.
"Cosa le hai fatto? Ha cambiato colore." rise Seoige, spostando i cappotti dei colleghi dalla sedia accanto a sé per far posto a Éibhleann.
"Magia." rispose lei con un ghigno soddisfatto stampato in viso.
Levò il paltò umidiccio, slacciò la fibbia della scomoda fondina e sedette con uno sbuffo affaticato con i tre uomini, iniziando ad arrotolare svogliatamente i polsini della camicia.
"Come mai qui? Non scegliamo mai The Oak dopo il lavoro, troppo elegante."
"Murray ha una notizia per noi." chiarì Samuel lanciando l'ennesima occhiata sognante alla cameriera bruna dietro il bancone.
"Deduco quindi non si tratti di indagini." un sospiro di sollievo lasciò le labbra della detective. Seguendo lo sguardo di Morrison, invece, si fece sfuggire una breve risata: così sfacciato eppure così disperatamente timoroso.
Afferrò con decisione il suo braccio e lo tirò a sé.
"Perché non le vai a parlare?"
"Perché non sono te." rispose lui con un certo rammarico.
O'Gallagher rise di nuovo, battendo un colpetto sulla spalla dell'amico nel tentativo di confortarlo. "Quindi, Murray?"
"Beh, ecco..." attaccò emozionato Lawrence abbassando lo sguardo. "Olivia è incinta."
Un applauso si levò al tavolo, insieme a risate leggere e molti auguri.
Olivia e Lawrence erano la coppia peggio assortita dell'intera Dublino: lei dolce e timida, nata con un cuore buono per prendersi cura degli altri, lui vivace e pettegolo, sempre troppo preso dal proprio mestiere.
Si conobbero durante l'adolescenza, prendendo ogni giorno lo stesso autobus per rincasare dopo la scuola.
Il loro fu un vero colpo di fulmine, anche se l'animo -molto nascosto- tenero e impacciato di Murray impiegò anni per chiedere ufficialmente alla bella Olivia di uscire.
I due cercavano un figlio da molto tempo, ormai, sin dai primi anni di matrimonio. Il fatto che stesse arrivando proprio in un momento tanto difficile risollevò l'umore dell'intera squadra.
Amici, prima che colleghi.
Una famiglia.
"Sarete genitori magnifici."
"Il pensiero mi spaventa, lo devo ammettere." aggiunse Murray. Vederlo così emozionato fu davvero insolito.
"Per questo ora si brinda, no?" urlò quasi Samuel, levandosi in piedi. "Ehi, gente! Il nostro amico aspetta un bambino!"
Seguì un lungo e imbarazzante attimo di silenzio. Chiunque tra personale e avventori del pub si voltò verso il loro tavolo.
I poliziotti scoppiarono in una fragorosa risata e Lawrence si sentì in dovere di specificare: "Mia moglie, Sam. Mia moglie aspetta un bambino."
Dal fondo sino al banco del locale, un vivace applauso contagiò presto la maggior parte dei presenti. Lawrence alzò trionfante le braccia al cielo, ridendo.

-

"Non serve che mi accompagni a casa ogni volta, sai?"
"Perché? Ho un'automobile e tu sei ancora troppo piccola per prendere i mezzi pubblici da sola a quest'ora."
"Davvero, ispettore Seoige?"
Una risata lasciò le labbra di Éibhleann, che si accartocciò fiacca sul sedile del passeggero della Commodore di Brión, acquistata con i risparmi di una vita durante i frenetici anni '70 e ancora magicamente funzionante.
La donna sbadigliò e il collega girò la chiave nel cruscotto.
Con un sussulto, la vecchia Opel si mise in moto.
"Ad Eórann piaceva da morire, questa vecchia caffettiera. Mettemmo da parte ogni singola sterlina extra che riuscimmo a guadagnare e, sì, ci vollero anni, ma ne valse la pena.
Ogni volta che la guardava sorrideva, ed io riuscivo a farmi piacere un po' di più il rosso improbabile della carrozzeria."
Éibhleann ascoltò ogni parola, guardando con un mezzo sorriso le labbra tese dell'amico.
Eórann l'aveva lasciato solamente qualche anno prima e la ferita era ancora fresca per tutta la famiglia Seoige.
I cinque figli erano ormai grandi e sparsi per l'Europa, e Brión si ritrovò di punto in bianco più solo che mai quando, una mattina del 1988, un arresto cardiaco gli portò via anche il sorriso dell'adorata moglie.
Aveva appena fatto richiesta per potersi finalmente godere la pensione e il nipotino che il maggiore dei figli aveva appena donato loro, ma rinunciò e continuò a prestar servizio in polizia.
Lawrence giurò di avergli sentito dire una volta, una soltanto, che non gli fosse rimasto null'altro.
Éibhleann socchiuse gli occhi stanchi e Seoige allungò spontaneamente una carezza che le scompigliò la zazzera rossiccia.
Passarono quel quarto d'ora di strada in silenzio, mentre il respiro della donna si faceva più pesante e anche Brión iniziava a sbadigliare.
Lanciò un'occhiata all'orologio: segnava le 23:30.
Arrestò l'automobile proprio di fronte al cancello dell'abitazione in cui O'Gallagher viveva, appartenuta fino a pochi anni prima ai nonni di Éibhleann.
Era una casetta nel quartiere di Rialto, una di quelle villette a schiera tutte uguali con un giardinetto adorabile e il pergolato pieno di fiori.
Quella nello specifico, però, aveva un'aria incredibilmente sinistra: la facciata in mattoni si era scurita e macchiata nel corso degli anni, la vernice bianca degli infissi iniziava a scrostarsi, le porte e le persiane cigolavano.
Il sovrintendente O'Gallagher, poi, non aveva mai avuto quello che si suol chiamare pollice verde, trasformando di conseguenza il delizioso praticello in una giungla senza grazia.
Seoige lanciò un'occhiata alla villetta, rabbrividendo. Se di giorno poteva sembrare semplicemente una casetta vecchiotta e trascurata, di notte la sola sagoma bastava a far accapponare la pelle.
"Éibhleann." mormorò l'uomo alla guida scuotendo appena la collega addormentata.
"Éibhleann, sei a casa."
Lei schiuse le palpebre affaticate, prendendosi qualche istante per raddrizzarsi e stiracchiarsi.
"Scusa, Seoige." biascicò stropicciandosi gli occhi.
"Senti..." proseguì lui, indicando le tapparelle che si muovevano con il vento. "Potrei passare nel weekend con mio figlio per sistemarle. Ti va?"
"Non devi disturbarti."
"Non è un disturbo. C'è bisogno di qualche altra riparazione?"
"No, affatto."
Seoige scosse il capo e non poté fare a meno di rifilare a Éibhleann uno dei suoi soliti sguardi da papà disapprovante.
"... forse." ritrattò lei con un sorriso imbarazzato.
L'ispettore annuì e attese che la collega fosse scesa dalla macchina e giunta davanti alla porta d'ingresso prima di rimettersi in marcia.
Dublino a quell'ora era pressoché deserta.
Brión adorava la tranquillità notturna: quell'atmosfera pacifica e un'audiocassetta con la voce melodiosa di Eórann rendevano la guida incredibilmente piacevole.

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