Inverno
Dublino, 11 marzo 1992
Scostò le tendine bianche, sospirando incantata quando lo sguardo si posò sulle acque nere del Liffey.
Le prime luci della sera e i caldi bagliori dei tramonti di un inverno ormai agli sgoccioli riuscivano ancora a incantarla dopo tanti anni passati ad ammirare lo stesso panorama.
Dallo studio di Flor, quello sulla City Quay, poi, la veduta del fiume era sempre stata particolarmente gradevole.
"Éibhleann, puoi aprire la finestra?"
La donna annuì semplicemente con il capo.
Una ventata di aria fresca e sprazzi di pioggia sottile la sorpresero al punto da costringerla a ritrarsi.
Indietreggiò urtando Flor, che nel mentre aveva lasciato la sua scrivania.
"Mi scusi."
La dottoressa si scansò, sporgendosi oltre il davanzale con un sorriso sollevato dipinto in viso.
"Lo senti? Sta per finire."
"Parla dell'inverno, Flor?"
"Mh? Certo, anche l'inverno."
Il sorriso si allargò, tirando con sé la profonda cicatrice che marchiava le labbra della donna.
Flor era sempre stata bellissima: capelli biondi lisci e curati, dall'aspetto incredibilmente soffice, occhi chiari straripanti di pagliuzze di mille colori vividi, labbra piene e sorridenti.
Almeno fino a quel giorno.
Era -sin dai primi ricordi che Éibhleann aveva di lei- sorprendentemente piccina, certo, ma dal momento in cui ricomparve dal nulla da cui pareva esser stata inghiottita, sembrava essersi fatta ancora più curva e minuta, fragile e pronta a svanire alla prima folata di vento.
Come petali di magnolia.
Eppure Éibhleann difficilmente riusciva a ricordare qualcuno che avesse mai dimostrato la stessa forza della dottoressa Doherty.
Nessuno, nella memoria di O'Gallagher, aveva mai avuto il coraggio di costruirsi un'immagine tanto rispettata portando avanti gli studi più controversi.
Nei suoi libri, Flor parlava di come curare il dolore nascondendolo in un cassetto della memoria del paziente, di come chiuderne a chiave uno a scelta, di come resuscitare ricordi a comando, di come aiutare usando tutto quanto questo sapere.
Mai si risparmiò nei propri tomi, donando tutto ciò che di sé e della propria mente brillante avrebbe potuto giovare alla scienza.
Conosceva quanto di più pericoloso ci fosse nella mente umana e ne parlava agli altri come si trattasse di un semplice cruciverba, guadagnando rispetto e fama ovunque mettesse piede.
La garda osservò i capelli corti di Flor danzare liberi insieme al vento e al tessuto leggero delle tende, ricordando per l'ennesima volta quanto fosse fortunata ad avere ancora lei al proprio fianco.
Almeno lei.
Flor Doherty era ufficialmente tutto ciò che le rimaneva della propria vita prima di arruolarsi in Garda Síochána.
Le gote si tinsero di rosso quando gli occhi chiari della psichiatra incrociarono i suoi, facendole distogliere prontamente lo sguardo.
"... santo cielo!" sbottò Flor prima di sciogliersi in una risata.
Si voltò in fretta e afferrò tra le mani il viso dell'altra donna, sollevandosi sulle punte delle scomode scarpette per raggiungerla più agevolmente.
"Ti voglio bene."
Éibhleann sgranò gli occhi grigi in sorpresa, chinata verso la dottoressa.
Le palpebre di Flor erano socchiuse, mettendo in mostra le lievi rughe che iniziavano a sancire lo scorrere del tempo.
Impiegò qualche istante per ricambiare il sorriso.
"Anche io. Anche io gliene voglio."
"Oh, lo so. Me ne hai sempre voluto e non guardarmi così! Lo sai che con me il poliziotto arrogante non funziona.
D'altronde, vestite di seta una capra e sarà ancora una capra."
Le mani di Éibhleann scivolarono svelte ad abbracciare la donna.
Il flebile sorriso mutò in un ghigno.
"Non hai neppure un'idea di quanto bene ti voglia." ripeté O'Gallagher.
Flor rise ancora, stringendo con una certa forza le braccia attorno al vitino di Éibhleann.
L'inverno era quasi finito.
-
"Pensiamo che sia un cacciatore."
"... certo, buongiorno anche a te."
"Buongiorno, Pat."
Finnerty si lasciò cadere stanco sulla poltrona del proprio ufficio.
Non era realmente pronto per una conversazione con Leona.
Non di prima mattina.
Non di lunedì.
"D'accordo. Tu e chi pensate che-"
"-sia un cacciatore."
"Sì, lo stavo per dire anch'io."
Lei afferrò una delle sedie poste di fronte alla scrivania del commissario, trascinandola dalla parte opposta per potersi sedere proprio accanto a lui.
Si accomodò, accavallando elegantemente le gambe.
Finnerty alzò gli occhi al cielo.
"Che vuoi?"
"Bella gonna. Continua: tu e chi?"
"Nuova di zecca: ho fatto shopping. Io e la mia squadra."
"Come, prego?"
Leona si schiarì la voce, guardandolo negli occhi prima di scandire con lentezza: "la - mia - squadra."
"Tu non hai una squadra, bimba mia."
"Certo che ce l'ho: l'Interpol mi sta mandando due agenti di supporto."
I gomiti di Finnerty si schiantarono sulla scrivania e così fece il suo viso, che premette con forza contro i palmi delle mani.
"È lunedì mattina, Müller..."
"Esatto! Arriveranno per inizio aprile.
Per ora io resterò qui. Lascerò al desk dell'accettazione il mio indirizzo temporanei per la reperibilità."
"Ottimo... grazie."
"Non c'è di che!"
Scoccò un bacio a mezz'aria e lo lanciò al commissario con la mano accompagnandolo con un risolino dispettoso.
Lasciò l'ufficio tacchettando via rapidamente, salutando con un cenno del capo chi, appena giunto alla propria scrivania, iniziava a prepararsi mentalmente ad una nuova settimana di lavoro.
Rivolse un silenzioso buongiorno anche a Seoige e Murray, sorridendo prima di appollaiarsi sulla scrivania del più giovane.
"Dov'è Morrison?"
Lawrence alzò il capo dalla propria tazza di caffè nero, squadrando la donna.
Da quanto Patrick aveva raccontato loro, non sembrava esattamente una persona di cui ci si potesse fidare facilmente.
Non su due piedi, perlomeno. Quell'atteggiamento non piaceva a nessuno.
Arrotolò una copia della RTÉ Guide e la agitò minacciosamente verso Leona, scacciandola dalla propria postazione.
"Abbiamo le sedie, per i fondoschiena francesi."
Lei sollevò stranita le sopracciglia, ma obbedì e si mise a sedere di fronte all'uomo.
"Benissimo." riprese lui.
"Lavoro in Francia, ma non sono francese."
"No?"
Lei negò con forza e sfilò dal taschino della giacca nera un sottile portadocumenti di cuoio, mostrando all'uomo un distintivo svizzero proprio sotto al tesserino dell'Interpol.
"Kantonspolizei. Vengo da Zurigo."
"... beh, anche gli svizzeri usano le sedie."
"Anche gli irlandesi, Lawrence." aggiunse Seoige, allungandosi per offrire delle caramelle alla pesca.
Leona tese la mano con un sorriso, afferrando dal sacchettino una delle gelatine ricoperte di zucchero.
"Dov'ero rimasta? Ah, sì: Morrison?" domandò nuovamente, masticando.
"Samuel è stato sospeso."
"Brutta storia. Una settimana?"
"Data da definire."
Müller tacque.
Aveva sentito solo parte della sfuriata del ragazzo di qualche giorno prima: doveva aver già avuto dei trascorsi per essere riuscito a far arrabbiare Finnerty al punto di guadagnarsi una sospensione a oltranza.
Nemmeno lei ci era mai riuscita.
"E la vostra amica? Dov'è?" domandò quando calò il silenzio.
Murray sollevò il capo. "O'Gallagher? È un nostro superiore, non un'ami-"
"Lei. Come si pronuncia il suo nome?"
"Ayv-lenn." spiegò Seoige ridendo. Leona era sin da subito parsa singolarmente curiosa nei confronti della detective irlandese.
"... no, è impronunciabile."
"Prova, su. Ayv-lenn."
Anche Lawrence si unì alle risa, cercando di scandire bene le singole lettere e aiutarsi con una certa gestualità.
"Evelyn."
"No, Éibhleann."
"Evelyn."
"Éibhleann, Müller."
Risero ancora, lasciando che Leona storpiasse il nome della collega in ogni sfumatura possibile: Eve, Evey, Eveline, Adeline... dimostrò sicuramente una notevole fantasia.
"Evelyn, ho deciso!"
"Mi chiamo Éibhleann." tuonò una voce cupa alle sue spalle, ponendo fine al divertimento.
"E, come ho già detto, è O'Gallagher per lei.
Questo riesce a dirlo?"
Leona si drizzò sulla sedia che Lawrence le aveva così gentilmente offerto, battendo le mani divertita: ora avrebbe potuto infastidirla di persona.
Éibhleann sbuffò con scorno, lanciando impermeabile e cappello sull'appendiabiti accanto alla propria postazione. Quasi contemporaneamente, Leona decise di zampettarle accanto per punzecchiarla: voleva a tutti i costi vedere se fosse realmente paziente quanto sembrava essere.
"Evelyn! Non ti piace?"
"Non è il mio nome, Müller." soffiò la poliziotta, rivolgendo un'occhiata disperata ai documenti accumulati in un angolo dimenticato della scrivania.
"Lo so, ma il tuo tuo non lo so dire. Eve."
Éibhleann si limitò a scrollare con scarso interesse le spalle, così Leona ritenne un'ottima idea scansare fogli e foglietti con una mano prima di accomodarsi sulla sua scrivania, proprio davanti al viso inebetito della rossa.
"In Svizzera non usano le sedie, O'Gallagher." la avvisò una voce familiare direttamente dalla scrivania di fronte.
"Eve, Eve!"
La garda rimase immobile, gli occhi sbarrati e le labbra schiuse.
Restò sgomenta, fissando a lungo il ghigno della nuova collega.
"... Leo." se ne uscì finalmente dopo lunghi istanti spesi a pensare ad un nomignolo fastidioso.
"Dovrebbe offendermi?"
"Penso?"
"È solo un soprannome!" la riprese con un sorriso, agitando le gambe. "Mi piace. È sexy, Leo. La mia ex fidanzata mi chiamava così."
Lo sguardo di Lawrence dalla parte opposta del corridoio corse immediatamente a cercare Éibhleann, più rapido di un falco: il più pettegolo del commissariato aveva naturalmente sentito ogni parola.
O'Gallagher tossì un paio di colpi, tentando inutilmente di coprire la voce della donna.
"Tutto bene? Hai mal di gola?" Leona si sollevò ridacchiando, chinandosi appena per avvicinarsi alla collega seduta. Questi negò con forza con il capo, allontanando Müller con la mano.
La svizzera non si diede per vinta, sporgendosi quanto bastava per osservare il suo viso.
Le guance di Éibhleann erano pennellate di un bel rosso vivo e i suoi occhi la evitavano ad ogni costo: aveva fatto centro e dissipato così ogni dubbio.
Si allontanò canticchiando soddisfatta, proseguendo il gioviale giro di saluti per il commissariato.
Dalla direzione opposta, Patrick giunse come una furia.
"Ha detto che arriverà una squadra di supporto."
"Finnerty... che cosa avete tutti? È lunedì mattina."
"È colpa sua!" sbottò lui, additando con sicurezza il punto esatto in cui Leona era sparita poco prima.
Éibhleann lasciò cadere il discorso scuotendo semplicemente il capo.
Non c'era tempo per bisticciare.
Estrasse dall'ultimo cassetto il plico di fotografie, pronta ad esaminarle un'ennesima volta.
Le dita tremavano come fosse la prima.
Un misto di orrore e paura impregnava la busta in cui erano contenute le foto delle tre vittime, le stesse i cui volti fissavano inesorabili dalla bacheca nell'ufficio del comandante.
"Non troverai nulla.
Non ne sei in grado.
Non tu."
La sibilante voce di Siobhán ricomparve come un fulmine a ciel sereno.
Fuori, un inatteso nevischio di metà marzo riportava di colpo l'inverno su Dublino.
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