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V. Una Storia da Raccontarti

Quando era piccola, Ravenna Vizi aveva un nascondiglio segreto.

Tra la libreria e l'armadietto dei documenti, nello studiolo di casa loro, rimaneva sempre uno spazietto vuoto. Era giusto quanto occorreva a ospitarla, quindi Ravenna vi si acciambellava come un gatto e restava in silenzio a osservare i suoi genitori che lavoravano.

Nonostante cercassero di trascorrere con lei il minor tempo possibile, loro, da lì, non l'avevano mai cacciata.

Questo accadeva per via di un'ostinata indifferenza nei suoi confronti, eppure a Ravenna piaceva pensare che non fosse così. Le piaceva credere, anzi, che quando lei se ne stava lì, muta, immobile e quasi trasparente, mamma e papà, indaffarati tra telefonate e pile di fogli fitti di scritte, in fondo non disprezzassero la sua compagnia. Si rifiutava di ammettere il contrario.

Per questo in quegli anni era rimasta in quel pertugio per ore, fino ad aveve entrambe le gambe addormentate e la schiena a pezzi.

Per questo ogni tanto ci ripensava, quando la solitudine e la malinconia diventavano insopportabili.

Perché era uno dei ricordi più preziosi che conservava, e la faceva sentire al sicuro.

Perché, a volte, era l'unico appiglio a cui aggrapparsi per non precipitare.


I due ragazzi scesero nella metropolitana, comprarono i biglietti, passarono i tornelli e raggiunsero le banchine. Un display nero appeso al soffitto segnava l'ora con grandi cifre verdi lampeggianti.

A mezzanotte e mezza, gli unici passeggeri nella stazione di Policlinico erano un gruppetto di amici che rientrava dalla serata e alcuni lavoratori notturni.

Una corsa sopraggiunse a tutta velocità nella galleria, tra stridii, cigolii e altri sgradevoli rumori. I due ragazzi non salirono.

‒Dove stiamo andando?‒ le chiese Paura.

Malva, in equilibrio sulla linea gialla, si voltò a guardarlo.

Ora, nelle fredde luci al neon, riusciva a notare ogni dettaglio: fisico prestante, lineamenti delicati... ma c'era qualcosa che stonava, in lui. Forse, si disse Malva, era tutta colpa del brutto taglio che gli deturpava l'angolo della bocca.

‒Non ne ho idea. Proposte?

Paura scrollò le spalle.

‒Non sei costretto a venire con me, ovviamente‒ gli disse.

Lui parve pensarci su. Infine, quasi imbarazzato, rispose: ‒Non ho un posto dove tornare.

Il cuore di Malva si strinse un po', ma non si trattava propriamente di tenerezza. Aveva addosso un brutto presentimento, un'ammonizione. Le parole che Dolores le aveva rivolto tanti anni prima, ora le rimbombavano nelle orecchie: "Non fidarti di nessuno. Mai."

Ma anche lei se ne era andata. E quella sera le sembrava di non aver più niente da perdere.

‒Allora è deciso‒ disse Malva.

All'improvviso, negli altoparlanti, la voce metallica e assonnata alle comunicazioni li informò che la prossima corsa sarebbe stata anche l'ultima.

Una manciata di minuti più tardi, il treno accostò la banchina, sollevando su di loro una folata d'aria stantia e polvere.

Prendere o lasciare.

I due ragazzi si scambiarono un rapido sguardo, poi montarono a bordo senza dire una parola.


Nell'emporio "Jadu - Arti magiche e Occulto", il ronzio incessante di alcune lampade faceva da sottofondo alla conversazione.

Porzia sedeva sul bancone, gambe accavallate, capo abbandonato di lato, lunghe unghie laccate di rosso che picchiettavano sul piano di legno. Indossava un vestito di velluto viola scuro che le lasciava scoperta la schiena. Capelli come alghe nere scendevano sulle sue spalle e intorno al volto, pallido e diabolico, mentre il suo sguardo mandava bagliori sinistri nella penombra.

Alessio si obbligò a rimanere dritto al suo cospetto, ma temeva che il tremore delle proprie mani lo avrebbe tradito. Era terrorizzato.

Porzia sollevò entrambe le sopracciglia. Hai portato ciò che ti ho chiesto?

Alessio annuì. Si frugò con impazienza nelle tasche del giaccone e ne estrasse una manciata di banconote da cinquanta e un foglio a quadretti, sgualcito e spiegazzato. Cercando di apparire disinvolto, consegnò tutto alla donna.

Con una calma inquietante Porzia conteggiò il denaro, poi lo mise via e prese in mano il fogliaccio. Lo distese e lesse. Quando ebbe finito, modellò le labbra sanguigne in un sorriso derisorio. Sei disposto a fare qualunque cosa? chiese, abbassando il contratto per guardare in faccia il ragazzo.

Alessio non esitò. Qualunque cosa.

Silenzio. Porzia lo scrutò con attenzione. Molto bene.

Scivolò con eleganza a terra, diede le spalle ad Alessio e tirò giù da uno degli scaffali un grosso libro polveroso. "Evocazioni: richiamare i vostri cari dall'Aldilà". Lo aprì. Lo sfogliò. Infine sparì nel retrobottega.

Alessio attese col cuore in gola.

La donna ricomparve solo alcuni minuti più tardi, stringendo tra le mani un panno di feltro blu. C'era qualcosa al suo interno.

Superò ancheggiando amuleti e pozioni, aggirò il bancone e gli andò incontro. Alessio dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per restare immobile.

Quando Porzia gli fu vicina, riuscì a sentire il forte sentore di incenso che emanava da lei, e poi qualcos'altro, qualcosa di oscuro. È semplice gli disse, quasi materna. Poi gli porse il panno.

Senza pensarci, il ragazzo lo prese e lo svoltolò.

Un lampo argenteo fendé l'aria. Alessio sprofondò in un mare di orrore. Fu colto da un capogiro e questa volta non riuscì a impedirsi di indietreggiare. Un pugnale lucido e affilato sfuggì alla sua presa e cadde sul pavimento con clangore metallico.

Porzia lo raccolse, rigirandoselo tra le dita, poi glielo offrì di nuovo, dalla parte dell'elsa. Era nera, intarsiata di disegni geometrici e pesante come il piombo.

Prendilo.

No.

Porzia rise. È buffo, non trovi? Con quale rapidità siamo disposti a ritrattare le nostre parole...

Con una falcata decisa, la donna fu su di lui. Affondò con violenza l'elsa del pugnale nello stomaco del ragazzo fin quasi alla lama, il suo viso una maschera di disprezzo. Alessio fu investito da un'ondata di panico e nausea. Non riusciva a respirare.

Sciocco. Che cosa pensavi quando hai detto "qualunque cosa"? Credevi forse che ti avrei chiesto di raccogliere margherite, per riportare in vita un morto? Porzia spinse più a fondo l'elsa. Alessio si accartocciò su sé stesso. Abbiamo un patto, ormai. È tardi per tirarsi indietro. Io riporterò indietro tua madre, mentre tu, con questo pugnale, prenderai la vita della persona che più l'ha amata al mondo. Sono stata chiara?

Alessio mugolò, scuotendo la testa. Non riusciva a vedere nulla, perché i suoi occhi erano pieni di lacrime.

Con uno scatto secco, la donna estrasse l'elsa dalle sue budella e la rivoltò in favore della lama. Ogni fibra del corpo del ragazzo si congelò.

Sono stata chiara?

Sì.

Più forte!

SÌ!

Porzia gli prese la mano e adagiò con delicatezza il pugnale nel palmo. Alessio lo strinse. Molto bene, piccolo codardo. Bada sempre alle tue parole. Dovrai portarne il peso.


Malva e Paura si accomodarono uno di fronte all'altra, su due file opposte di sedili blu cobalto. Il lungo e sporco fondo del treno, intervallato dai pali metallici, li separava, simile a un mare innavigabile. Il vagone era deserto.

Paura la stava osservando, le maniglie antipanico che gli ballonzolavano sopra alla testa, e Malva iniziò ad avvertire una certa soggezione. Strinse le gambe al petto, mento sulle ginocchia e occhi fissi fuori dal finestrino. Visto da lì il mondo esterno era oscuro, ma il dondolio dei binari rendeva quella prospettiva un po' meno spaventosa e un po' più confortante.

‒Allora, non hai niente da dire?‒ le chiese a un tratto Paura.

Lei si voltò a guardarlo. ‒In che senso?

‒Non saprei...- disse l'altro, allargando le mani. ‒Chi sei, che fai di solito e che cosa ci faceva una come te a un rave illegale, per esempio.

Malva si armò di cipiglio e stizza. ‒Una come me?

‒Una pariolina*.

‒UNA PARIOLINA?!

Mise su la migliore espressione offesa del proprio repertorio. A questo punto, lo avrebbe volentieri buttato giù dalla metro.

Per tutta risposta, Paura ridacchiò. Aveva una risata melodiosa.

‒Quale sarebbe il problema, sentiamo- rimbrottò Malva, incrociando le braccia al petto.

‒Pensi che bastino un rossetto scuro e i capelli rosa per sembrare una cattiva ragazza?

‒Detto da un bimbetto credulone che si fa chiamare "Paura" è piuttosto valido, come argomento.

Paura scosse la testa come un papà che rimproveri la figlioletta. ‒Hai detto che i tuoi ti avrebbero fatta fuori se ti avessero beccata laggiù. Perché ci sei andata lo stesso?

Malva sbuffò. ‒Ai miei non importa un fico secco di quello che faccio. La cosa importante è che non infanghi la loro limpida e fulgente reputazione.

‒Se fosse come dici tu, non ti avrebbero nemmeno messa al mondo.

A quelle parole, Malva rise di gusto. Non riusciva a credere che esistessero ancora certi sempliciotti. ‒Vedi che sei proprio un ingenuo? Ci sono un sacco di motivi per cui avere un figlio è conveniente, nella nostra società, e la maggior parte di questi non ha niente a che fare con l'amore.

Si interruppe solo per un istante, il tempo di formulare quella frase nel modo più appropriato. ‒E poi,‒ proseguì, ‒se vogliamo proprio dirla tutta, io sono stata adottata. Non so perché i miei l'abbiano fatto, dal momento che non mi vogliono bene. Potevano semplicemente averne uno tutto loro, di marmocchio. Però il pensiero che non siano i miei veri genitori mi offre conforto. Forse i miei veri genitori me ne avrebbero voluto.

Ci fu una pausa. Malva non aveva il coraggio di alzare gli occhi su Paura.

‒Perché non ti vogliono bene?‒ le chiese a un tratto il ragazzo.

Malva cercò di trovare una risposta, ma finì per scrollare solo il capo. ‒Non lo so. Forse è difficile volermi bene.

‒No, non lo è.

‒E tu che ne sai, scusa? Mi conosci a malapena da un'ora!

Paura fece spallucce. ‒Non credo che ci sia davvero qualcuno al mondo a cui non si possa volere bene.

Malva rifletté su quelle parole, trovandovi solo un parziale accordo, poi, finalmente, tornò a guardarlo. I capelli biondi gli ombravano il viso, dandogli un'aria tormentata e misteriosa. Sembrava un principe romantico. ‒Tu, invece?‒ chiese.

‒Io cosa?

‒Abbiamo tutti una storia da raccontare.

Paura parve tentennare, come se stesse decidendo se dirlo o meno. Alla fine, però, vuotò il sacco. ‒Mia mamma è morta un bel po' di tempo fa. Da quel momento mio padre è caduto in depressione e ora passa le giornate a sbronzarsi in attesa che la cirrosi epatica se lo porti via. Mio fratello si spacca la schiena per mantenerci tutti e tre. Io invece sparisco e lo faccio diventare matto alla prima buona occasione.

Un debole "Ooh" lasciò le labbra di Malva, senza che lei avesse l'occasione di reprimerlo. Ci fu una pausa. Si aspettava molte cose, ma non di sentire un racconto così privato e personale. Ora tra di loro aleggiava una specie di imbarazzo, e Malva non aveva la più pallida idea di cosa dire per dissolverlo. ‒Mi dispiace‒ bisbigliò solo, alla fine.

Di contro, Paura le rivolse un sorrisino malinconico. ‒Non fa niente. E' come dici tu, abbiamo tutti una storia da raccontare.

Cadde il silenzio. Nella quiete della notte, la linea B della metropolitana di Roma raggiunse la stazione di Termini. Sullo scorrere delle porte automatiche, i due giovani si scambiarono uno sguardo indagatore.

‒Che facciamo?‒ chiese Paura.

Malva notò che la sua voce era leggera, quasi trepidante.

Non capiva bene che cosa significasse tutto questo, perché si fossero ritrovati lì a condividere i loro segreti, dove li avrebbe portati quella notte. Eppure dentro di lei fiorì l'assurda convinzione che non esistessero né passato, né futuro, ma solo un presente la cui forma era asservita alle loro volontà. Un istante di infiniti, mirabolanti scenari.

Che facciamo?

In qualche modo, Malva seppe che in Paura ribolliva la stessa, ostinata speranza di fuga. Quindi si alzò in piedi e, senza guardarsi indietro, rispose solo: ‒Scendiamo adesso.


Alessio Carracci aveva passato anni a odiare Ravenna Vizi e non aveva mai pensato che il fatto di assassinarla fosse sbagliato.

Poteva sentirsi intimidito, perché non era un assassino.

Poteva tentennare, perché correva un rischio molto grande.

Ma non poteva dubitare della bontà della sua azione.

Ravenna era la figlia della strega Porzia e, in quanto figlia di Porzia, era crudele. La sua morte non avrebbe portato altro che liberazione e giovamento all'umanità.

Eppure.

Eppure quella ragazza non si era chiamata Ravenna, ma Malva.

E non era stata crudele, ma comprensiva.

E non aveva nulla di sua madre, né nell'aspetto, né nella voce, né nel carattere.

Forse aveva sbagliato persona.

La mente e il cuore di Alessio furono attanagliati da questi dubbi mentre i due ragazzi camminavano, seguendo l'andamento sinuoso del Lungotevere. Il profilo di Castel Sant'Angelo dominava la scena da lontano, rischiarato dalle luci bluastre delle lanterne che si riflettevano nell'acqua scura. Alessio si fermò un attimo a osservarla.

Non avrebbe dovuto avere ripensamenti, avrebbe dovuto uccidere.

Proprio lì, in quel punto, persuadere Ravenna Vizi a scendere più vicino al fiume, fare ciò che doveva essere fatto e buttare il suo cadavere nella corrente. Nessuno l'avrebbe ritrovata. Se anche l'avessero ritrovata, nessuno l'avrebbe riconosciuta. Se anche l'avessero riconosciuta, nessuno sarebbe potuto risalire a loro. Sarebbero scappati, lui e Diego, avrebbero cambiato vita, paese, mondo. Sarebbero spariti. Sarebbero stati liberi. Era perfetto. Si convinse di questo.

Ma poi la ragazza lo chiamò. ‒Paura?- disse. ‒Va tutto bene?

Alessio spostò lo sguardo su di lei. Il volto mal truccato e asimmetrico di Malva aveva un'espressione interrogativa.

Notò alle sue spalle, dall'altra parte della strada, una coppia di ragazzi travestiti. Lei era una vampira molto carina, lui una brutta mummia di carta igienica. Ridevano. Con ogni probabilità, anche loro stavano tornando da una festa.

‒Da che cosa ti sei travestita?‒ chiese Alessio, il cuore in gola.

Malva gli rivolse un sorrisino emozionato. ‒Non vedi?‒ disse, facendo una piroetta. ‒Sono una strega!

Alessio avvertì una stretta allo stomaco. Quello doveva per forza essere un segno. Forse, si disse, era tutta una trappola. Forse la ragazza era stata messa in guardia, e ora era lei che stava cercando l'occasione giusta per farlo fuori. Poi la guardò meglio. Per qualche strano motivo, non riuscì a impedirsi di sorridere. ‒Senza offesa, Malva, ma non assomigli per niente a una strega.

La ragazza parve molto offesa dal commento. Portò entrambe le mani ai fianchi e si imbronciò. ‒Sempre meglio di te che non ci hai nemmeno provato.

‒Certo che ci ho provato, mi sono travestito da me stesso.

Malva lo scrutò da capo a piedi con amarezza. ‒Devi essere molto, molto solo, eh?

‒Come ti pare. 

Ripresero a camminare.

‒Ma non hai tipo... che ne so, un'amica impicciona che ti dica: "Assolutamente no, non sembra affatto un travestimento da strega!".

Malva rise. ‒Ce l'avevo, ma se ne è andata. Ora ho solo amiche che mi ignorano.

‒Non le definirei amiche.

‒Appunto.

Paura realizzò solo in quel momento. ‒Oh... Allora nemmeno tu sei messa troppo bene.

‒La solitudine è così. O impari a conviverci...

‒-Oppure soccombi. ̶   Non se ne era reso conto, le parole gli erano volate via dalle labbra prima che avesse l'occasione di afferrarle.

E poi si guardarono.

Malva affilò il suo miglior sorriso sardonico e piantò gli occhi tra i sanpietrini. ‒Chi ti ha ferito, piccolo Paura?

Alessio sollevò un sopracciglio, in disappunto. -Potrei farti la stessa domanda.

Malva fece spallucce e si arrampicò sul muretto, spaccando a metà Roma e il Tevere. Era leggera, e sfuggente, e Alessio pensò che, se avesse provato ad afferrarla, sarebbe svanita.

‒Te l'ho detto, solita roba- disse lei. ‒Genitori assenti, compagni di classe insopportabili... un mondo crudele, insomma.

‒Tu almeno ce li hai, dei genitori.

‒Come siamo travagliati, piccolo Paura!

"Piccolo codardo". ‒Ti fa stare meglio nascondere le tue fragilità col sarcasmo?- ribatté.

‒Forse.

Questa volta fu il turno di Malva, di fermarsi. Rimase impalata sul muretto, dritta in piedi, il capo reclinato di lato, i capelli rosa intenso soffiati nell'aria. Sembrava una meteora, una mina vagante. Lo fissò come se avesse sempre saputo tutto, e Alessio si sentì morire.

‒Però tu ce l'hai‒ disse. ‒L'aria di uno che è stato solo come un cane per un sacco di tempo, intendo.

‒E tu che ne sai?

Trascorsero alcuni istanti, ma la ragazza non rispose.

Paura sorrise. ‒Come siamo travagliate, piccola Malva!



*NDA, pariolino:

/pa·rio·lì·no/aggettivo

Dei Parioli, la zona residenziale della Roma 'bene'. "la borghesia p."

Come s.m. (f. -a ), giovane della borghesia pariolina (di solito in tono polemico, con riferimento alle tendenze politiche di destra e al comportamento violento che ha contraddistinto questi giovani negli anni tra il 1970 e il 1980).

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