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3. Tra le pieghe della pelle

Credo più alle mani che alle parole. Come una persona ti tiene conta più di quello che ti dice.
~ Vincenzo Cannova ~


«K-Kacchan, io—»

«Sta' zitto!» lo interruppe Katsuki, passandosi una mano tra i capelli in un gesto frustrato. «Cristo santo! L'hai appena detto a voce alta nel corridoio!», sbraitò Katsuki, il viso di un rosso così acceso che sembrava quasi fosse sul punto di esplodere. «Hai idea di quanto suoni strano? "Non volevo leccarti"? Pensi che qualcuno non fraintenda?!»

Izuku si strinse nelle spalle per paura, alzando le mani davanti a sé come per difendersi. «Mi-mi dispiace, ok? Non pe-ensavo che qualcuno potesse sentire, e volevo solo spiegare—!»

Il biondo girò su se stesso, facendo un paio di passi lontano dalla porta e da Deku, stringendo i pugni, cercando di nascondere il tremore che gli attraversava le mani. Il ricordo di quel momento, della lingua di Izuku contro la propria pelle lo colpì come un'eco insistente, facendogli scattare un brivido involontario, costringendolo poi a girarsi di scatto, puntando il ragazzo con un dito tremante. «Non... Dio! Non devi dire quelle cose in giro! Non qui! Hai idea di cosa potrebbero pensare gli altri se ti sentono parlare così?!»

Izuku si schiarì la gola, sentendo il calore salire alle guance, mordendosi il labbro: «Io... volevo solo scusarmi...», mormorò, abbassando lo sguardo. «Non... non volevo che fosse un ulteriore problema. Era solo... che volevo capire meglio il tuo Quirk, e mi sono fatto prendere troppo!»

Katsuki lo fissò, gli occhi che brillavano di un'emozione difficile da decifrare. La stanza era improvvisamente troppo piccola, e l'aria sembrava elettrica. Katsuki strinse i pugni, cercando di calmarsi, ma la presenza di Deku così vicino – così dannatamente invadente, con quella sua espressione da cucciolo colpevole – non aiutava affatto.

Izuku fece un passo avanti, alzando le mani in segno di resa. «Giuro che non succederà più. Solo... non arrabbiarti...».

Così il biondo sbuffò, passandosi una mano tra i capelli arruffati, cercando di ricomporsi e per coprire il suo imbarazzo. «Ma—», esitò un attimo, il suo sguardo scivolò su Izuku, che sembrava sinceramente pentito, con le guance ancora arrossate e gli occhi sull'orlo del pianto. «Dio... devi smetterla di fare scenate imbarazzanti in giro per i corridoi, ok?»

Lo vide annuire, il labbro inferiore martoriato tra i denti per il nervosismo.

Katsuki sospirò, passandosi una mano sul viso. «Sei un coglione, lo sai?»

Izuku annuì, un piccolo sorriso che gli sfuggì nonostante tutto, perché aveva ben capito il tono esasperato con cui gliel'aveva detto e perché non vi era alcuna traccia di cattiveria in quello sbuffare imbarazzato. «Sì... Sì, lo so.»

Per un attimo, sembrò che la tensione si fosse allentata, ma poi Katsuki lo guardò di nuovo, e una piccola scintilla di qualcosa di più profondo – confusione, imbarazzo, forse anche curiosità – brillò nei suoi occhi.

Respirò profondamente, cercando di calmarsi, perché sapeva che avrebbe rimpianto ogni parola che stava per dire, ogni gesto che stava per fare, ma qualcosa in lui – forse quella dannata curiosità con cui Izuku lo aveva contagiato – lo spinse a parlare.

«Se vuoi... fare un'altra prova... fallo. Ma sbrigati, dannazione.», borbottò, senza guardarlo.

Izuku lo fissò, stupito, gli occhioni verdi spalancati che rispecchiavano tutta la sua incredulità. «Davvero? Non... non devi farlo per forza, Kacchan, io—»

«Ti ho detto di farlo, no?!» Katsuki si girò verso di lui, lo sguardo tagliente, anche se le punte delle orecchie erano quasi color rosso vivo.

Izuku rimase senza parole per un momento, il cuore che gli martellava nel petto. Non si aspettava che Kacchan glielo permettesse, tanto meno che lo facesse volontariamente. Ma c'era qualcosa di così vulnerabile nella sua postura – le spalle rigide, le mani nascoste dietro la schiena – che lo spinse a fare attenzione.

«Va...bene...», disse infine, con un piccolo sorriso che tradiva il suo nervosismo. «Prometto di essere delicato. E di non fare altre cose stupide, ecco...»

Il biondo allungò la mano sinistra verso di lui, il palmo aperto, come se quello fosse un invito a prenderla di nuovo, a provare ad esplorarla ancora. «Se parli di questa cosa a qualcuno...», iniziò a redarguirlo, ma il respiro gli mancò per un istante quando sentì la mano venir afferrata con calma e delicatezza e abbassò il capo di scatto, cercando di nascondere il rossore che ormai gli colorava pure le guance, arrivando fino alle orecchie.

Izuku non poté fare a meno di ridacchiare sottovoce. Katsuki alzò il volto di nuovo, gli occhi che sembravano lanciare fiamme. «Nerd, ti giuro—»

«Va bene, va bene!» Izuku alzò di nuovo le mani, lasciando la presa e, facendo un passo indietro. Autoconservazione, ecco cos'era. Un riflesso incondizionato derivato da tutte le loro precedenti interazioni. Prima della UA, prima della guerra. Prima che perdessero pezzi di sé lungo la strada. «Sai che non lo farei... Io non lo farei mai, Kacchan...»

Katsuki sbuffò, rilassando di poco la sua espressione accigliata e contratta e fece un passo verso di lui, «Dio... Lo so...», sussurrò, talmente piano che sperò che Deku non l'avesse sentito, esitando poi solo per un istante prima di porgergli ancora le mani, che Izuku prese con cautela, come se fossero qualcosa di prezioso e fragile, e Katsuki trattenne il fiato quando sentì il calore delle sue dita contro la sua pelle.

Le mani di Katsuki erano forti e robuste, ma il suo tocco sembrava renderle incredibilmente sensibili; tornò a far scorrere i polpastrelli lungo il dorso, soffermandosi sulle linee callose e le cicatrici sottili.

Katsuki aveva il respiro più pesante del solito: ogni movimento delle dita di Deku era come una piccola scossa elettrica che si irradiava lungo i polsi, lasciandogli scie di pelle d'oca lungo tutto il braccio. «Sai... Ora che le vedo, no? Le mie mani e le tue...». Katsuki cercò di ignorare pure i brividi che gli percorrevano la schiena a quel tono così pacato e basso e intimo che il nerd aveva, ma era impossibile: il tocco di Izuku era così leggero, quasi reverenziale, che lo mandava fuori di testa.

«...mi piace che siano così rovinate.»

«Perché?», chiese, con un filo di voce, cercando di deglutire un grumo di saliva che non voleva scendergli in gola.

Izuku alzò per un momento lo sguardo, fissando i propri occhi in quello di Kacchan e abbozzando un piccolo sorriso imbarazzato. «Perché è come se raccontassero una storia. Non credi?»

Dal canto suo, Izuku stesso continuava imperterrito con la sua esplorazione, ignaro del tumulto che quegli sfioramenti curiosi e delicati stavano provocando nell'amico. «Una bella storia in realtà ...», e si fermò, sfiorando con il pollice il centro del palmo. «È caldo qui. Le tue mani sembrano davvero pulsare di energia...»

Katsuki serrò la mascella, cercando di concentrarsi su qualsiasi altra cosa, ma il calore del corpo di Izuku così vicino a lui, il modo in cui parlava – quasi in un sussurro – lo facevano sentire intrappolato in una morsa che non sapeva se odiare o desiderare.

Izuku sollevò lo sguardo di nuovo, i suoi occhi verdi brillanti. «Va bene se continuo?»

Katsuki deglutì, annuendo rigidamente, perché non si fidava della propria voce e Izuku si concentrò di nuovo sui suoi palmi, le dita che tracciavano linee immaginarie lungo le pieghe della pelle. Ogni sfioramento era come se producesse una scintilla, e Katsuki si ritrovò a stringere i denti senza accorgersene, mentre piccole pagliuzze luminose di formavano sulla sua pelle e un lieve sentore di affumicato si spandeva tra di loro.

«È incredibile!», continuò Izuku, il tono della sua voce pieno di meraviglia. «Il tuo Quirk si manifesta in un modo così unico. Mi chiedo... se la sensibilità sia legata anche alla tua capacità di controllarlo.»

Le sue dita scivolarono lungo il bordo del polso, e Katsuki non riuscì a trattenere un piccolo tremore e un verso, che era tutto tranne che di disapprovazione.

Izuku alzò lo sguardo, preoccupato: «Sto esagerando?», chiese, ritirando le mani.

«No.», sbottò Katsuki, quasi immediatamente, ma schiarì la gola, evitando di guardarlo. «Non serviva che ti fermassi.»

Izuku arrossì, ma non disse nulla e tornò a concentrarsi sui suoi palmi, stavolta sfiorandoli con ancora più attenzione. Per un momento si concentrò solo su di essi: la pelle calda, ruvida per l'uso costante del suo Quirk, ma con una sorprendente morbidezza nei punti dove la callosità o le cicatrici non erano preponderanti.

«Le tue mani sono incredibili, Kacchan...», mormorò, mentre le accarezzava con la punta delle dita. Katsuki trattenne il respiro, sentendo un brivido strano scorrergli lungo la schiena. Non era abituato a quel tipo di contatto, così intimo e gentile e sentì il calore salire dentro di sé, un mix di imbarazzo e qualcosa di più profondo che non voleva affrontare, che gli arrotolava lo stomaco e lo rendeva inquieto; ogni movimento di Izuku lo faceva fremere ed era come se le sue mani fossero diventate il centro del suo mondo, e ogni tocco gli mandasse un'onda di calore che si diffondeva nel petto e nella pancia, e poi scivolasse più in basso...

Izuku, nel frattempo, si sentiva altrettanto nervoso, perché era difficile riuscire a stare così vicino a Kacchan senza correre il rischio di saltare in aria; e lo riteneva quasi un privilegio il poter sentire il battito del cuore sulle sue mani, percepire la loro forza e la loro delicatezza allo stesso tempo... Era una cosa che gli faceva quasi girare la testa. Era eccitato, ma non in modo fisico: era l'euforia di scoprire qualcosa di nuovo, di essere così vicino a qualcuno che ammirava da sempre.

Quando Izuku sfiorò di nuovo il centro del palmo di Katsuki, un altro brivido percorse quest'ultimo e lo fece istintivamente allontanare, tirare indietro la mano di scatto, il viso rosso, il respiro irregolare.

«Ba-Basta così.», decretò, voltandosi. «Hai avuto abbastanza materiale per oggi, nerd.»

Izuku si morse il labbro, ma annuì. «Va bene... Sei stato... di grande aiuto.»

Katsuki non rispose, il cuore che gli martellava troppo forte per dire qualcosa che non fosse solo schioccare la lingua sul palato e voltarsi appena, facendo due passi verso la scrivania.

Izuku si voltò verso la porta, il cuore ancora accelerato per tutto quello che era appena successo, grato per la possibilità che aveva avuto di stargli così vicino senza rischiare di morire. Non era molto, ma era già un buon passo, visti i precedenti... «Io... ti ringrazio ancora, Kacchan. Davvero. Ti... Ti lascio in pace...», balbettò con un sorriso timido, la mano che si allungava verso la maniglia.

«Izuku aspetta.», lo fermò il biondo, la voce più bassa del solito e quello si bloccò, girandosi a guardarlo con curiosità, perché era ancora raro che lo chiamasse per nome...

Katsuki era ancora lì, in piedi accanto alla scrivania, con le mani che stringevano nervosamente il tessuto del pantalone. Non lo guardava, ma il rossore sulle guance era evidente, come il suo nervosismo e il suo disagio. «Tu... hai mai sentito qualcosa del genere con il tuo Quirk?»

Izuku inclinò la testa, confuso. «Con il mio Quirk?»

Katsuki si schiarì la gola, incrociando le braccia al petto. «Hai un sacco di Quirk adesso, no? Anche se le vestigia si stanno spegnendo.. però sai, no? Black Whip, il potenziamento fisico, tutta quella roba lì... Ti sei mai accorto di essere... più sensibile in qualche parte del corpo? Tipo... - si bloccò, cercando le parole - Tipo quello che hai detto su di me.»

Izuku rifletté per un momento, poggiando un dito sul mento, come spesso faceva. «Non credo... almeno, non ci ho mai fatto caso. Black Whip è... diverso. È come un'estensione della mia volontà più che qualcosa legato al corpo. E con il potenziamento di One For All... - scosse la testa - Non ci ho mai fatto davvero caso...»

Katsuki aggrottò le sopracciglia, insoddisfatto di quella risposta, e fece un paio di passi verso di lui, afferrandogli le mani: «Fammi...»

Izuku lo guardò con occhi sgranati, le guance sporcate di rosso per quell'improvviso cambio di rotta. «Cosa?!»

«Tsk! Sta' fermo!», ringhiò Katsuki, ma la sua presa non era brusca. Lo tirò leggermente più vicino, inclinando la testa per osservare meglio. «Magari non te ne accorgi, perché sei il solito idiota... ma potrebbe esserci qualcosa.»

Prima che Izuku potesse rispondere, Katsuki gli sollevò la manica della maglia lungo un braccio, esponendo la pelle chiara del polso e dell'avambraccio e si ritrovò, suo malgrado, a trattenere il fiato quando le dita calde di Kacchan sfiorarono la sua pelle, i polpastrelli che seguivano le vene che correvano sotto la superficie.

Katsuki era concentrato, le sopracciglia aggrottate mentre le sue dita tracciavano movimenti lenti e misurati. Iniziò dai polsi, toccando con una pressione leggera, poi risalì lungo l'avambraccio, sfiorandolo appena.

Izuku trattenne un piccolo sospiro in risposta a un lieve brivido: era una sensazione strana, ma non spiacevole. La pelle non era particolarmente sensibile, ma il tocco di Kacchan era... diverso. Forse era la vicinanza, forse era l'intensità dello sguardo dell'altro, ma il cuore di Izuku iniziò a pompare più forte e lo maledisse, perché sapeva che Kacchan l'avrebbe sentito, perché cazzo! Batteva così forte da sembrare un tamburo!

Katsuki sollevò lo sguardo per un momento, i suoi occhi vermigli che incrociarono quelli verdi di Izuku: «Lo senti?», chiese, con una voce più bassa e rauca del solito. «Sentì qualcosa?»

Izuku deglutì, scuotendo la testa. «Non... non nel modo in cui pensi. Non credo sia legato al Quirk. È solo che tu...», ma si interruppe, le guance che si scaldavano tanto che parevano prendere fuoco.

Katsuki smise di muoversi, ma non ritrasse la mano. «Ah? Io cosa?»

Izuku distolse lo sguardo, sentendo il calore salire fino alle orecchie. «Tu sei... molto vicino, tutto qui...»

Katsuki rimase immobile per un istante, poi abbassò lo sguardo verso le sue mani che tenevano ancora l'avambraccio di Izuku. Le sue dita erano più scure, leggermente ruvide contro la pelle liscia del nerd e si rese conto di quanto fosse teso, ma non riusciva a staccarsi. Era come se cercasse qualcosa, una reazione, una debolezza, qualunque cosa che gli desse una scusa per continuare.

«Ti fa sentire strano?» chiese, quasi sottovoce.

Izuku annuì, mordendosi il labbro. «Un po'. Ma non è... male.»

Katsuki strinse leggermente la presa, senza rendersene conto; il suo respiro era più profondo, i suoi pensieri più confusi. Non era sicuro di cosa stesse cercando di provare, ma una cosa era certa: il tocco di Izuku di poco prima gli aveva lasciato un vuoto che cercava disperatamente di riempire in qualche modo.

Così continuò a sfiorarlo, le sue dita che scivolavano lungo le pieghe del gomito. Ogni tanto si fermava, tracciando cerchi lenti e silenziosi sulla pelle e Izuku sentiva piccoli brividi corrergli lungo la schiena, non tanto per il tocco in sé, ma per l'attenzione con cui Katsuki lo faceva.

«Kacchan...», mormorò Izuku, cercando di capire cosa stesse succedendo.

«Mh?», mugugnò piano il biondo, senza smettere di toccarlo.

Izuku scosse la testa, incapace di trovare le parole: non sapeva come spiegare che quel momento, così semplice, così intimo, lo stava facendo sentire esposto in un modo che non aveva mai provato prima. E a giudicare dal modo in cui Katsuki stringeva appena le sue mani, come se non volesse lasciarle andare, forse non era l'unico...

Il silenzio nella stanza era quasi assordante, interrotto solo dal suono dei respiri dei due ragazzi. Izuku sentiva le dita di Katsuki scorrere con la stessa attenzione che aveva riservato alla sua pelle, lente e quasi esitanti, ma incredibilmente presenti. Ogni sfioramento gli provocava una strana sensazione di calore che sembrava irradiarsi verso l'alto, arrivando fino al viso.

«Kacchan...», mormorò ancora, con un filo di voce; non sapeva esattamente cosa dire, ma sentiva il bisogno di dire qualcosa, qualsiasi cosa, per rompere quella tensione, fosse anche solo quel nomignolo così infantile e familiare.

Katsuki sollevò lo sguardo verso di lui ancora una volta, i suoi occhi rossi che brillavano di una luce indefinibile e, per un attimo, le sue mani si fermarono, ancora poggiate sull'avambraccio di Izuku. «Che c'è? Ti dà fastidio?», chiese, la voce più ruvida del solito, ma con un tono che aveva un accenno di preoccupazione.

Izuku scosse la testa, abbassando lo sguardo a osservare quel contatto, quella pelle più scura contro la sua, diafana e lentigginosa. «No... non mi dà fastidio.»

Katsuki rimase immobile per un attimo, come se stesse cercando di decifrare le sue parole. Poi, lentamente, lasciò andare il braccio di Izuku, ma il movimento portò le sue dita a sfiorargli accidentalmente il dorso della mano. Era un gesto così semplice, quasi casuale, ma fece tremare entrambi.

Senza pensarci, Izuku mosse le dita, intrecciandole per un istante con quelle di Katsuki. Fu un gesto istintivo, come se cercasse di mantenere il contatto senza nemmeno rendersene conto.

Katsuki si irrigidì, ma non tirò indietro la mano. «Tu sei sempre così diretto...», borbottò, quasi a se stesso.

Izuku sollevò lo sguardo, confuso. «Io?»

«In tutto quello che fai.», continuò Katsuki, distogliendo gli occhi. «Quando tocchi, quando guardi, quando parli... non hai idea di quanto sei...»,ma si interruppe, mordendosi l'interno del labbro, incapace di trovare le parole corrette.

Izuku inclinò leggermente la testa, studiandolo. Poi, in un gesto che sembrava fuori dal suo controllo, si avvicinò. «Posso... provare qualcosa?» chiese, quasi senza fiato.

Katsuki lo fissò per un momento, il suo rossore che sembrava intensificarsi. «Cosa vuoi fare adesso, nerd?»

Izuku esitò, poi alzò una mano, appoggiandola delicatamente sulla guancia di Katsuki. Il calore sotto le sue dita lo sorprese, così come la morbidezza inaspettata della sua pelle. Katsuki rimase immobile, le spalle tese, ma non si allontanò.

«Solo... un attimo... una cosa...», disse Izuku, quasi un sussurro. Poi, lentamente, si sporse in avanti. Katsuki sgranò gli occhi, trattenendo il fiato. Sentiva il cuore battere così forte che temeva che Izuku potesse udirlo. «Che diavolo stai facendo?», chiese, la voce spezzata, ma senza alcuna traccia di rabbia nelle sue parole.

Izuku aveva il viso in fiamme, le labbra tremule come la sua voce: «Volevo solo... capire...», disse, balbettando. «Se tu sei sensibile a-anche qui...», ma invece di ritrarsi, di allontanarsi da morte certa, continuò.

Per il bene della scienza, si disse.

Ma non era vero.

La verità è che amava quel brivido che sentiva quando era a un passo dalla fine.

Do things with a purposeDo things with intentionI like it when you real with meBarely gotta questionFocused on the planI love what we have, babe
~ VanJess ~

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