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Chapitre 56

I primi bagliori dell'alba cercavano di insinuarsi nelle strette fessure delle persiane e fievoli raggi rischiaravano, qua e là, alcuni punti indistinti della camera da letto. Senza muovermi dalla mia posizione - non che potessi farlo senza svegliare Pierre di fianco a me - iniziai a osservare come il buio stesse, pian piano, lasciando spazio alla luce. Io non ero solita serrare le imposte, amavo vedere la stanza illuminarsi, mentre, secondo quanto mi aveva riferito il francese, per lui era esattamente il contrario. Avevamo trovato però un compromesso, quindi, anche se rimaneva comunque difficile poter scorgere ogni minimo dettaglio dell'arredamento, grazie a quella poca luce riuscivo ugualmente a notare e riconoscere ciò che mi circondava. Non che ne fossi realmente attratta, la mia attenzione, in realtà, era rivolta esclusivamente a una cosa, o meglio, a una persona. Pierre sembrava così innocente, così angelico - lo so, è banale, ma non esiste aggettivo migliore per poterlo descrivere - e puro mentre dormiva a pancia in giù, con una mano sotto il cuscino e il viso rivolto verso di me. I suoi capelli castano chiaro - ormai la tinta bionda stava scomparendo, lasciando spazio al loro colore naturale - erano spettinati e sulle sue guance si poteva notare il segno del cuscino. I raggi del sole, ad un tratto, gli illuminarono le palpebre e iniziai a pensare che ben presto si sarebbe svegliato. Mi sbagliai, Pierre era talmente stanco da non prestarci neppure attenzione. Ma fu meglio così, sapevo che non dormiva molto e vederlo così tranquillo e sereno, senza alcun cipiglio sul volto che potesse dare dimostrazione di turbamento, rasserenava anche me. Da una parte lo invidiavo: non ricordavo cosa significasse trascorrere una notte non insonne, senza paure e ansie. È vero, rispetto a qualche mese prima, dormivo di più, ma gli incubi non mi abbandonavano. Pierre, al contrario, riusciva a lasciarsi andare, a dimenticare le sue preoccupazioni, almeno quando era con me. Avrei tanto voluto esserne capace. 

Riportai il mio sguardo nuovamente sul francese, il quale, nel frattempo, si era lasciato andare a un leggero sbuffo, che mi fece sorridere. Mi soffermai su ogni piccolo dettaglio del suo volto: sui ciuffi ribelli che gli accarezzavano il volto, sulle sue sopracciglia arcuate, sulle sue palpebre chiuse così da impedirmi di scrutare i suoi occhi azzurri, sul suo naso e sulle sue labbra con un arco di Cupido molto evidente. Sono certa di averlo già detto, ma è l'assoluta verità: non so dire se per gli altri Pierre fosse bellissimo, ma per me lo era. Era il ragazzo più bello che io avessi mai visto. Ogni suo piccolo aspetto, anche quello che gli altri reputavano imperfetto, appariva, invece, ai miei occhi come perfetto. Non era questione di adulazione, affatto. Se qualcuno mi avesse mai chiesto come facesse a piacermi, la mia risposta sarebbe stata: “Vorrei darti i miei occhi, per farti capire come lo vedo io”. A distogliermi dai miei pensieri fu proprio colui che, in quel momento, stava invadendo la mia mente. Con un movimento del braccio, mi aveva stretta a sé. 

«Non ho ben capito se tu stia osservando me o sia semplicemente assorta nei tuoi pensieri». Pierre sistemò il suo volto sulla mia spalla e, aprendo gli occhi, alzò lo sguardo verso di me, così da potermi guardare. «Buongiorno, ma chérie». Arrossii, sia a causa della sua prima constatazione sia per il soprannome. 

«Non lo saprai mai». Sorrisi, iniziando ad accarezzargli i capelli. «Buongiorno, Pierre». Abbozzò anche lui un sorriso, prima di chiudere gli occhi e allontanarsi leggermente da me per strofinarseli. Ridacchiai alla scena. 

«Cosa c'è?». Sorridendo, tornò ad abbracciarmi. 

«Niente». Scossi la testa. «Sei tenero». Ad arrossire, quella volta, era stato lui. 

«Da quanto tempo sei sveglia?». Cercò di cambiare argomento, forse per evitare qualche altra mia affermazione che potesse metterlo in imbarazzo. 

«Non lo so, era l'alba». Si girò leggermente di lato, così da poter afferrare il cellulare sul comodino di fianco al letto. Lo accese e notai che come schermo del cellulare avesse una nostra foto. Io e lui, con i nostri caschi, ci stavamo stringendo la mano prima dell'inizio della gara. Sorrisi, ma non proferii parola.

«Sono le sei e mezza e l'alba è sorta alle 5 e mezza». Si voltò nuovamente verso di me. «Non hai proprio dormito?». Sapevo che dicendogli la verità ci sarebbe rimasto un po' male, ma era necessario che lui sapesse che ancora non riuscivo a trascorrere una notte tranquilla.

«Solo due ore». Affermai.

«Potevi svegliarmi, ti avrei fatto compagnia». Esclamò, non spostando i suoi occhi azzurri dai miei.

«Stavi dormendo così beatamente che mi sarebbe dispiaciuto svegliarti. E poi un po' di riposo non può farti altro che bene». Spostò lo sguardo verso un punto indistinto della camera.

«Forse hai paura di me? Per questo non riesci a dormire?». Afferrai il suo volto con le mani, costringendolo a guardarmi.

«Per nulla, Pierre. Io non ho paura di te. Ho solo bisogno... dei miei tempi, ecco. Prendo degli antidepressivi, altre pillole di cui non conosco neppure il nome, ma non fanno effetto. O meglio, non l'effetto sperato. Tornare a dormire per me è difficile, cancellare qualsiasi immagine dalla mia mente è tutto ciò che vorrei, ma non ci riesco. È vero, rispetto a prima la situazione è migliorata, ma, Pierre, troppe cose mi ricordano lui». Cercai di trattenere le lacrime, ma una sfuggì ugualmente. «Capirò se non vorrai stare con una “rotta” come me». Con il pollice mi ripulì la guancia dalla lacrima.

«Non sei “rotta”, Ann, e io non ho intenzione di lasciarti. Io vorrei aiutarti, davvero, ma non ho la più pallida idea di cosa possa fare per farti sentire meglio. Se hai bisogno di qualcuno con cui sfogarti, lo sai che per te ci sono. Puoi anche picchiarmi, se dovesse farti sentire meglio». Ridacchiai alla sua ultima frase, anche se il dolore era ancora evidente nella mia espressione del viso. Rimasi in silenzio per un po', con lo sguardo assorto nel vuoto. Ad un tratto parlai, nel modo più asettico possibile.

«Ho pensato più volte al suicidio». Silenzio. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo, come se le parole gli fossero morte in gola. «Se avessi posto fine alla mia vita avrei smesso di soffrire». Continuai, senza azzardarmi a guardarlo negli occhi.

«Desideri ancora farlo?». Disse, con un tono di voce strano. Sembrava quasi stesse cercando di camuffare i suoi sentimenti.

«Continuo a pensarci, non frequentemente come prima, ma, sì, rimane uno dei miei pensieri. Ciò che mi impedisce di farlo...». Tacqui.

«Che cos'è?». La sua voce era rotta dal pianto che cercava di trattenere.

«È meglio domandare “chi è?”». Risposi. «Perché, Pierre, tu sei l'unico motivo per cui io stia tentando di lottare minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno». Fece per parlare, ma lo interruppi. «Per favore, ho bisogno prima di dirti tutto come sta, poi ti lascerò parlare». Annuì silenziosamente. «Nessuno sa tutta la mia storia, sei il primo e te la sto raccontando perché mi fido ciecamente di te. Quando sono nata i miei genitori non nuotavano nell'oro, ma comunque cercavano, con mille sacrifici, di portare avanti la nostra famiglia. Mio fratello non ha mai dato preoccupazioni, è sempre stato attento allo studio e non ha mai richiesto molto, mentre io... be’, a due anni avevo scoperto la mia passione e desideravo a tutti i costi di diventare pilota. Mio padre cercava in tutti i modi di accontentarmi, quindi mi comprò un kart, ma questa storia già la conosci. Ho iniziato una scalata rapidissima, dai kart, fino alla serie maggiore svedese. Era un sogno: nessun pilota prima di me era riuscito in così poco tempo a farsi notare e a vincere così tanti titoli. Ma io non ero soddisfatta. Mi piaceva correre, era il mio sogno nel cassetto, ma volevo uscire dal mio territorio, dal piccolo campionato nazionale: io volevo entrare in Formula 1, diventare il pilota più grande di tutti i tempi. Ero piccola, ma ho sempre avuto delle grandi ambizioni. Poco prima del mio quarto titolo, i miei genitori morirono nel giorno del mio compleanno. Ho abbandonato tutto, non volevo più saperne delle corse, delle auto, della Formula 1. Per me era tutto cancellato, non esisteva più niente. Era proprio per colpa di un'auto che loro erano morti e io non potevo accettarlo. Credevo che, se avessi continuato, non sarei stata rispettosa nei loro confronti. Fu poi mio fratello, Karl, a persuadermi e a convincermi a tornare nuovamente a correre. Non so come sia riuscito a farmi risalire su una monoposto, ma lo fece. Iniziò a lavorare notte e giorno pur di pagarmi le spese dei kart e dei campionati. Avevo cercato di attrarre a me quanti più sponsor possibili, ma nessuno sembrava realmente intenzionato a puntare il proprio denaro su una ragazzina come me. Nessuno credeva nel mio talento e nella mia possibilità di approdare in Formula 1. Ho dovuto fare la scalata da sola, sono arrivata in Formula 3 per miracolo, ma, anche lì, dopo aver vinto il titolo non mi è stato offerto nessun sedile nella categoria maggiore e mi sentivo sopraffatta dal dolore. Non capivo perché non mi volessero. Avevo talento, lo avevo dimostrato più volte. Vedevo che altri piloti, magari meno talentuosi, mi scavalcavano e ciò mi faceva impazzire. Poi compresi: loro erano ragazzi e io no, una ragazza come me non avrebbe mai potuto scalare le serie fino a giungere all'agognata Formula 1. Scelsi la via più facile tra tutte: quella di mentire, spacciarmi per un ipotetico mio fratello gemello per raggiungere più in fretta il mio scopo. Ebbi successo: bastò un solo anno per essere subito presa sotto l'ala di Helmut Marko e arrivare, finalmente, in Toro Rosso. Questa storia la conosci, ma voglio ugualmente raccontartela. Quando sono arrivata mi ero promessa di non farmi distrarre da niente e da nessuno: volevo diventare campione del mondo, non avrei lasciato che qualcuno o qualcosa mi distogliesse dal mio sogno. O almeno, credevo ci sarei riuscita, ma quando ho incrociato per la prima volta i tuoi occhi, ho capito che tutti i buoni propositi che mi ero fatta sarebbero andati a monte. All'inizio ho provato a far finta di nulla, sono giunta anche a ignorarti, ma niente: c'era qualcosa che ci legava e non capivo cosa fosse. Non mi ero mai innamorata, non sapevo dire cosa io effettivamente provassi per te. Inizialmente credevo fosse solamente attrazione fisica: eri bello, mi piacevi, doveva per forza finire lì. E invece no, ogni giorno che passava io mi sentivo più vicina a te e notavo che i sentimenti, da parte tua, sembravano affini. Iniziai a essere gelosa, specialmente della mia PR che ti guardava in un modo che non gradivo. Le dissi che eri fidanzato, così da farle distogliere l'attenzione da te e ci riuscii, perché da allora in poi non mi parlò più di te. Quando ci baciammo, mi sentii al settimo cielo, anche se una parte di me mi ricordava che tu fossi innamorato di Theo e non di Ann, ma non mi importava, ero felice così. Ben presto, però, i pensieri iniziarono ad affollarmi la mente e compresi che la cosa migliore da fare fosse evitarti. Lo feci, ti ignorai, strinsi amicizia con Lando e George e trascorrevo davvero moltissimo tempo con loro. Mi trovavo bene, George sapeva che io fossi una ragazza, quindi ero molto sicura, perché mi aveva più volte dato dimostrazione della sua fedeltà. Quel periodo di distacco non durò molto, perché ben presto ritornammo a gareggiare e ci incontrammo nella tua camera d'albergo, nonostante Charles l'avesse spacciata per la sua. Ancora non gliel'ho fatta pagare, a proposito, per quella sua bravata. Abbiamo litigato e poi mi hai baciato. Pierre, non so come potesse essere possibile, ma quel bacio sembrava il primo. Tutti i baci che tu mi dai, mi ricordano sempre il primo, le sensazioni sono sempre le stesse, ho sempre le farfalle nello stomaco, la testa che inizia a girarmi e le gambe che mi tremano. Io non so perché, ma è la sensazione migliore che io abbia mai provato nella mia vita. Non siamo mai riusciti a mantenere una relazione stabile, ammetto che un po' di più a causa mia, ma da un lato ritenevo fosse giusto così, troppe cose non andavano bene tra gli noi, non avremmo mai funzionato come coppia. Poi...». Mi interruppi per un attimo e lui mi guardò, in attesa che continuassi. «Poi è successo quello che è successo con Max. Vivevo sempre nella paura, non sapevo fino a che punto lui si sarebbe mai spinto. Mi ha violata nei modi più umilianti che possano esistere, mi picchiava quando non lo ascoltavo, e mi ha obbligato anche a...». Spostai lo sguardo. Non volevo dirglielo, mi sentivo così sporca al solo pensiero di avergli permesso di comandarmi fino a quel punto. 

«Cosa ti ha obbligato a fare, Ann?». Lo vidi stringere uno dei pugni. Era arrabbiato con Max, ma stava cercando di mantenere la calma per non mettermi in difficoltà. «Sai che non ti giudicherò mai, vero? Non è stata colpa tua, non sentirti sporca per qualcosa che, forse, non avresti voluto fare». Mi rispose, quasi leggendomi nella mente. 

«Pierre, io ero rimasta incinta». I suoi occhi si spalancarono, ma continuò a non parlare. Iniziò solamente ad accarezzarmi il braccio. «Mi ha costretta ad abortire, nonostante avessi potuto rischiare di morire. Io ricordo tutto, ogni suo tocco su di me, ogni sua parola, ogni suo soprannome. Tutto rimbomba nella mia mente, mi fa uscire pazza. Vorrei svegliarmi e dimenticare tutto, ma io non ci riesco. Quello che ho sperimentato sulla mia pelle è quanto di più brutto possa mai esistere, non lo auguro a nessuno. Immagina...». Mi fermai di nuovo per richiamare la sua attenzione. «Immagina la paura che nasceva in me quando sentivo una chiamata al cellulare o ricevevo un messaggio: poteva essere lui e, in quel caso, non potevo sfuggire. Iniziai a pensare che, forse, denunciarlo non avrebbe potuto essere una cattiva idea: ma a quel punto mi avrebbero mandato via perché ero una donna - alla fine è successo ugualmente, sarebbe stato meglio se l'avessi denunciato - e nessuno mi avrebbe creduto. Anche se lo avessero fatto, aveva minacciato di ucciderti e io non potevo permetterglielo. Se esiste una sola persona di cui mi interessi più di me stessa, quello sei tu Pierre. Soffrivo io perché volevo evitare sofferenze a te, ma non sentirti in colpa per questo, tu non c'entri assolutamente nulla.  È stata una mia decisione e, a posteriori, avrei fatto la stessa identica cosa. Ho iniziato a fare sedute dalla psicologa, ma lei non sa chi sia il mio stupratore e, forse, non lo saprà mai. Mi ha prescritto degli antidepressivi e altre pillole del genere, ma invece di prendere la dose che mi spettava, per un periodo di tempo ne ho prese di più, molte di più, nella speranza di farla finita. Ma il destino sembrava remare contro di me, perché continuavo a svegliarmi ogni giorno e a rivivere sempre, costantemente, le scene di Max che mi violentava. Da quando sto con te la situazione è migliorata - non posso dirti che io sia ritornata quella di prima, perché sarebbe una bugia - ma, piano piano, sto iniziando a vivere di nuovo. Ancora faccio difficoltà a dormire, ma, adesso, riesco a fare dalle due alle tre ore di sonno, mentre prima passavo le notti insonni. Gli incubi ci sono ancora, ma sono meno frequenti, e riesco ad avere qualsiasi tipo di rapporto fisico con te senza paura, o meglio, senza l'assillante paura che tu possa farmi del male. Perdonami se ho ancora un po' di timore, non è causato da te, ma è la mia testa che continua a mettermi in guardia su qualsiasi persona mi sfiori. Io ti amo Pierre, se non fosse per te, io non ci sarei. Di questo te ne sono grata e per questo motivo mi dispiace che tu possa rimanere male per via del mio comportamento. Io provo a non associare te a lui, ma è inevitabile, ti chiedo scusa. Non voglio perderti per nessun motivo al mondo, ma non ti costringerei mai a stare con me». Conclusi il mio discorso. 

«Tu non mi costringi, Ann, ho bisogno di te tanto quanto tu hai bisogno di me. Non posso capire perfettamente quello che tu hai provato, ma io sono disposto a fare di tutto per farti ritornare a vivere. Se, a volte, un mio tocco o un mio bacio ti dà fastidio non farti scrupoli a dirmelo. Magari all'inizio ci rimarrò male, ma capirò che è per il tuo bene. Voglio vederti felice a tutti i costi, anche se questo dovesse compromettere la mia di felicità. Se stare così vicina a me...». Disse riferendosi al fatto che avessimo dormito insieme. «... ti mette paura, dimmelo. Non ho intenzione di forzarti a fare qualcosa che tu non vuoi. Io sono diverso da Max, vorrei che tu riuscissi a dividere completamente le nostre figure. E se qualcosa in questa casa ti ricorda lui o anche se io te lo ricordo, dimmi cosa posso migliorare per farti sentire a tuo agio. Voglio che tu sappia che anche tu meriti di amare e di essere amata. Voglio che tu sappia che l'amore esiste e che anche tu, soprattutto tu, ne sei degna. Non posso entrare nel tuo cuore e nella tua mente e toglierti qualsiasi ricordo o sofferenza, ma posso aiutarti a sostituire ogni brutto episodio con un altro migliore. Io sono disposto a farlo, Ann, costi quel che costi». Mi feci piccola tra le sue braccia, così che potesse stringermi a sé. «Ti ho amata dal primo momento, chérie. Ho amato i tuoi occhi talmente azzurri da sembrare di ghiaccio. Li ho amati non solo per il colore ma per la grande espressività che avevano. Erano sempre così felici, gioiosi, brillavano di luce propria. Ora sono spenti, sono gli occhi più cupi che io abbia mai visto e non mi arrenderò fin quando non li vedrò ritornare quelli di prima. Non importa quanto tempo ci vorrà, quanti colpi dovrò incassare, non gli permetterò di portarti via anche lo sguardo che ho tanto amato e che ancora amo». Alzai gli occhi verso i suoi. Con i suoi pollici mi abbassò le palpebre e vi lasciò sopra dei baci. Li riaprii. «Eccolo! È questo lo sguardo di cui ti parlavo, per favore, non perderlo mai». 














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