Chapitre 53
Pierre's P.O.V.
Ann non era stata la mia prima volta. Avevo avuto altri rapporti, altre esperienze, alcune positive ed altre più negative. C'erano state altre ragazze per cui avevo provato qualcosa, ma niente di tutto ciò era minimamente paragonabile a ciò che sentivo con e per lei. Non era stata la mia prima volta, ma era come se lo fosse stata. In fondo, Ann era stata l'unica per cui avessi provato dei sentimenti così forti e così contrastanti. E lo stesso doveva valere anche per lei, perché ero stato io ad aiutarla - o almeno a provarci - a superare il suo trauma. Era me che aveva voluto, me la persona di cui si era fidata, me colui che per la prima volta non le ha procurato dolore, ma piacere. E saperlo, averne la consapevolezza, esserne certo, rendeva tutto più magico. Desideravo che diventasse dipendente da me esattamente come io lo ero da lei. Nonostante i nostri molteplici litigi, quando ero con lei mi sentivo sempre estremamente calmo e tranquillo, il mio cervello ed i miei pensieri si sconnettevano per un periodo. E, forse, fu merito suo se quella notte, dopo molto tempo, riuscii a dormire per più di tre ore, senza interruzioni e senza agitazioni. Non so come potesse essere possibile, ma era accaduto. Ero ancora lontano dalle sette-otto ore di riposo, ma quelle cinque ore di sonno mi avevano rinvigorito.
Io ed Ann eravamo andati a dormire a mezzanotte ed alle cinque mi ero svegliato. Avevo abbassato leggermente lo sguardo, cercando la svedese, ma, quando non la trovai, mi sedetti ritto sul letto, allarmandomi. “E se si fosse pentita?”, pensai. Mi alzai di scatto e dopo aver afferrato dei boxer e dei pantaloncini dall'armadio, iniziai a cercare per la stanza. Controllai vicino alle finestre, nel bagno, nello spazio riservato al cucinino che non avrei mai utilizzato, ma nulla. Con una mano mi buttai i capelli all'indietro, mentre l'altra la passai sul volto. Appoggiai la schiena al muro e mi abbassai, fino a sedermi a terra, per poi sistemare la testa tra le mani. Avrei dovuto pensarci. Probabilmente si era pentita di aver fatto quel passo, di averlo fatto con me. Forse non voleva, ma lo ha fatto per paura delle conseguenze. E se non l'avesse realmente voluto? Se, egoisticamente, non mi fossi comportato in maniera differente da Max? Non dovevo chiederle di continuare. Urlai e camuffai il suono con le mani.
«Pierre?». Sentii la voce di Ann ed alzai il capo, ma non c'era nessuno accanto a me. Ora sentivo pure le voci. Ad un tratto la chioma bionda della ragazza fece capolino dal balcone. Sbadigliò e si strinse nella sua felpa. Guardai più attentamente e notai che, in realtà, fosse la mia. Sorrisi, ma non dissi nulla. «Che è successo?». Si abbassò leggermente alla mia altezza ed io fissai il mio sguardo nel suo.
«Uhm...». Un po' mi imbarazzavo dei miei pensieri, quindi decisi di non dirle il vero motivo. «...Ho colpito il mignolo e mi sono fatto male». Ann ci credette, perché subito mi chiese se avessi bisogno di qualcosa, ma io scossi la testa.
«Perdonami se non ti ho avvisato che sarei venuta qui fuori, ma tu stavi dormendo e non volevo svegliarti». Mi alzai rapidamente ed Ann subito mi afferrò la mano, portandomi sul balcone. La seguì, ridacchiando. Mi fece sedere su una delle poltroncine e lei stava per avvicinarne un'altra, quando la afferrai e la feci sistemare sulle mie gambe. Mi circondò il collo con le braccia e si accoccolò meglio a me, posando la testa nell'incavo del mio collo, lasciando lo sguardo rivolto verso il cielo.
«Come mai fuori già a quest'ora?». Fece spallucce.
«Non riesco a dormire, soffro di insonnia legata al trauma». Mi guardò. «Questo è stato il giorno in cui ho dormito di più, a dire la verità». Mi sorrise, prima di chiudere gli occhi. «È così piacevole qui, non trovi?». Annuii, prima di lasciarle un bacio sulla tempia. Strofinò leggermente la guancia sulla mia spalla ed io la strinsi maggiormente a me, controllando che non si sentisse a disagio. Dall'espressione calma sul suo volto pensai che non lo fosse. «Lo sai...». Aprì un occhio. «...Mi piace quando parli in drancese». Disse, riferendosi al nomignolo che le avevo affibbiato la sera prima. Le sorrisi, volutamente un po' malizioso, e lei roteò gli occhi.
«Davvero, ma chèrie?». Arrossì ed annuì, prima di nascondere nuovamente il volto nel mio collo. Nessuno dei due parlò a lungo e, ad un tratto, avvertii il suo respiro farsi più pesante ed i battiti del suo cuore regolarizzarsi. Capii che si fosse addormentata di nuovo, per questo motivo non mi mossi. Non volevo che si svegliasse, non dopo aver saputo che dormiva davvero poco, esattamente come me. Rimasi ad osservarla, mentre le accarezzavo i capelli. Le palpebre le vibravano leggermente e la bocca era dischiusa. Le sue mani erano vicine al suo corpo, ma poste sul mio petto. Con una mano cercai di sistemarla meglio sulle mie gambe e lei si scosse, ma solo di poco, sollevando il capo e sistemando il mento all'altezza della mia spalla. Sorrisi.
Solitamente amavo la solitudine, l'amavo davvero. Non dover dare conto a nessuno delle mie azioni, poter rimanere a pensare oppure semplicemente fare ciò che più amavo era la cosa che preferivo in assoluto. Era quello il motivo per cui, sostanzialmente, non riuscivo a mantenere una relazione. Alice, la mia ultima ex, era stata l'unica ragazza con cui fossi riuscito a mantenere un rapporto per molto tempo. Eravamo stati insieme per due anni, prima di lasciarci perché non le davo troppe attenzioni. Di base era vero, non potevo darle torto. Negli ultimi tempi avevo iniziato quasi ad ignorarla. Stavo con lei più per abitudine che per effettivo sentimento, ma non avevo il coraggio di lasciarla. E, all'inizio, neppure lei era così attenta da rendersi conto del mio improvviso cambiamento. Era stata la sua migliore amica a farglielo notare. Posso dunque dire che neppure lei fosse molto coinvolta nella relazione, ma fu meglio così. Ci eravamo lasciati in tranquillità e nessuno dei due aveva avuto dei rimorsi.
Con Ann era completamente diverso. Cercavo la sua presenza, la sua attenzione, il suo affetto, avevo bisogno di lei. E la cosa buffa era che se qualcuno mi avesse detto tempo prima di conoscerla che avrei perso in quel modo la testa per una ragazza, probabilmente gli avrei riso in faccia. Eppure era accaduto e non potevo farci nulla. E forse non volevo neppure. Non importava quante volte avremmo litigato, quanti giorni avremmo trascorso insieme e quanti divisi, sapevo solamente che potevo vivere felice solo con due cose: con la Formula 1 e con lei. Non ero sicuro fossimo fatti per stare insieme, ma a me non importava. Forse non eravamo anime gemelle, forse mi ostinavo in qualcosa senza futuro, forse non saremmo mai durati, ma, almeno per un po' di tempo, volevo vivere con l'illusione che saremmo riusciti a superare le difficoltà insieme. Volevo avere la certezza che una volta sveglio avrei sentito o avrei letto il suo buongiorno o, ancora, che, durante una mia gara, l'avrei vista lì a festeggiare con me e viceversa. Desideravo condividere ogni istante della mia vita con Ann, non avere nulla da nascondere e tutto da scoprire. Non volevo che fosse facile, affatto. Mi piaceva che lei fosse così enigmatica e riservata, perché faceva nascere in me ancora più interesse.
A disturbarmi dai miei pensieri fu Ann, che si mosse di scatto. Puntai il mio sguardo verso di lei e notai che stesse ancora dormendo, ma che la fronte fosse impregnata di gocce di sudore. Iniziò a lamentarsi, dicendo cose come “Lasciami andare” o “Per favore”, e compresi subito che stesse avendo un incubo. Ad un tratto, urlò il mio nome. «Ann, sono qui». Iniziai ad accarezzarle i capelli, sperando si tranquillizzasse. Spalancò gli occhi e li fissò nei miei, prima di abbracciarmi di slancio. La strinsi a me e si lasciò andare ad un pianto liberatorio. «È tutto finito, è tutto finito». Continuai a ripeterle, mentre provavo a calmarla. Il suo respiro iniziò a diventare più regolare.
«Scusami». Disse lei, prima di asciugarsi le lacrime con il braccio, ed alzarsi dalle mie gambe. La imitai, sovrastandola di molti centimetri e costringendola ad alzare lo sguardo verso di me.
«E di cosa?». Chiesi dolcemente, prima di aprire la porta del balcone e farle cenno di entrare all'interno.
«Non volevo che lo vedessi». Le sorrisi.
«Non devi scusarti». Mi avviai verso l'armadio, facendole cenno di seguirmi. Afferrai la maglietta che usavo di solito per allenarmi e la indossai. «Se hai gli incubi la notte puoi anche chiamarmi, mi troverai sicuramente sveglio». La tranquillizzai. Raccolsi i nostri vestiti e li portai in bagno. Infilai tutto nella lavatrice e feci partire il lavaggio. Vivendo da solo avevo imparato le cose essenziali.
«Soffri di insonnia?». Domandò lei, sistemandosi sul mio letto. Ad un tratto, un brontolio ci distrasse ed Ann divenne completamente rossa in volto, facendomi ridere.
«È meglio se andiamo a mangiare». Provò a nascondersi il volto con le mani, ma gliele afferrai, per tirarla a me e lasciarle un bacio fugace sulle labbra. «Preferisci cambiarti?». Continuai ad evitare la domanda. Annuì e la accompagnai in camera sua. Mi fece accomodare e si avviò verso il suo armadio, per poi afferrare un leggings ed un top sportivo. Mi fissò. «Che cosa succede?».
«Potresti girarti?». Le sorrisi malizioso.
«Ti ho già vista n-». Mi interruppe, iniziando a canticchiare.
«Non ti sento!». Risi e mi girai dall'altro lato, attendendo che terminasse di prepararsi. «Comunque non hai risposto alla mia domanda». Mi affiancò e sistemò il suo braccio sotto il mio.
«Sì e no. È da un anno, più o meno, che non dormo più, prima lo facevo ed anche molto». Il suo sguardo era ancora fisso su di me.
«Come mai?». Sospirai.
«Per tutta la vicenda con la Red Bull. Diciamo che non credo di essere stato trattato bene. È stato un duro colpo per me essere retrocesso. Era da tempo che agognavo il posto nella scuderia maggiore e neppure il tempo di adattarmi mi hanno rispedito in Toro Rosso». Posò la sua testa sulla mia spalla, mentre entravamo in ascensore.
«Ma ora stai bene. Hai ottenuto un podio, potresti rifarlo. Tutti nella Scuderia ti vogliono bene, perché ancora rimugini sulla tua esperienza con la Red Bull?». Fissai i miei occhi azzurri nei suoi.
«Perché credo di aver deluso tutti. Ho deluso Marko, Horner, i miei genitori, i miei amici, me stesso». Rivelai, tornando a guardare davanti a me. In quell'istante si aprirono le ante dell'ascensore ed uscimmo, avviandoci verso la caffetteria.
«No, Pierre, non hai deluso nessuno. Sono esperienze di vita che ti rendono più forte». Si allontanò da me per sistemarsi di fronte a me. «Il Pierre di oggi è diverso da quello dell'anno scorso. Sei maturato, hai migliorato molti tuoi aspetti nella guida e nel carattere ed hai imparato ad importi». Le sue mani erano sulle mie braccia. «La Formula 1 non è solo competizione e vittoria, è un percorso che porta a scoprire se stessi e tu, Pierre, ci sei riuscito. Dimmi in tutta sincerità, senza pensare a ciò che vorrebbero gli altri, tu vorresti ritornare in Red Bull? Se te lo proponessero, tu accetteresti?». Scossi la testa. «Perché hai bisogno di essere tranquillizzato e di sentirti amato ed è giusto così. Non tutti riescono a reggere la pressione che ti mettono in Red Bull, forse neppure io sarei riuscita a sopportarla a lungo. Tu ami la Toro Rosso, o dovrei dire Alpha Tauri, e tutti nel team ti amano. Hai trovato il tuo locus amoenus, allora perché ancora non riesci a superare quel periodo? È successo, è finito, è andato male. Sta lì e nessuno se lo ricorderà. Ma se ti costruisci un futuro con questa Scuderia, sì che sarai ricordato. E tu cosa vuoi, uh? Preferisci bruciarti il cervello per qualcuno che non ha saputo darti spazio o dare tutto te stesso per chi, invece, ha sempre dimostrato di credere in te?». La guardai tacendo, ma la sua domanda era retorica, chiaramente. «Dai il meglio di te in questo periodo di pausa, allenati, studia bene i circuiti e, soprattutto, dormi. Vedrai che arriverai ad inizio stagione molto più forte e più preparato fisicamente degli altri anni». Afferrò la mia mano e mi tirò all'interno della caffetteria. «Ok, ora ho bisogno della mia colazione». Risi di cuore. Iniziò ad ordinare qualcosa da mangiare e poi si voltò verso di me, per chiedermi cosa volessi. E fu allora che notai che qualcosa in lei fosse cambiato. I suoi occhi erano più chiari di prima. Lo so, può sembrare strano, ma dopo l'accaduto con Max la luce nei suoi occhi si era completamente spenta, facendoli apparire più scuri. In quell'istante, però, mentre mi osservava divertita perché ero rimasto imbambolato, potevo notarla di nuovo. Ed un battito saltò al pensiero che fosse merito mio. «Terra chiama Pierre, ti hanno rapito gli alieni per caso?». Rise. Scossi la testa per riprendermi.
«Va bene un caffè». Annuì ed iniziò a parlare con la cameriera, probabilmente chiedendole gli orari o qualcosa del genere, non stavo realmente prestando attenzione. Ad un tratto, sempre mentre conversava, afferrò nuovamente la mia mano e la strinse, facendo intrecciare le nostre dita. Ed io seppi, con quel gesto, che lei per me ci sarebbe stata esattamente come ci sarei stato io per lei.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro