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Chapitre 51

«Alla buon'ora». Mi fulminò con lo sguardo Stephan, non appena uscii dalla camera. Non ero stata puntuale, per nulla. Erano le otto e l'appuntamento era alle sette. Avevo messo la sveglia, ma non l'avevo sentita. Sapevo che uscire con Pierre la sera prima mi avrebbe sfalsato il ritmo del sonno. Eravamo tornati quasi alle quattro di mattina, più tardi di quanto entrambi ci aspettassimo. Anche Pyry aveva iniziato a battere i piedi per terra, perché il francese non si era ancora presentato. Dopo pochi minuti dal mio arrivo, però, si aprì la porta della palestra ed apparve Pierre con delle occhiaie profonde sotto gli occhi. Probabilmente le avevo anche io, ma onestamente non mi ero guardata allo specchio. O meglio, lo avevo fatto, ma ero troppo assonnata per prestarvi grande attenzione. Erano mesi, ormai quasi un anno, che non dormivo più di due ore a notte. Stephan lo sapeva ed aveva cercato di aiutarmi, dandomi tisane, valeriane ed infine passando anche ai medicinali. Non che fossero serviti a qualcosa, perché continuavo a non dormire. Il tutto aveva avuto inizio dopo la prima violenza di Max. Nei primi tempi non riuscivo proprio ad addormentarmi, poi la situazione era leggermente migliorata.
Stephan gettò un'occhiata ad entrambi con un sopracciglio alzato. «Sembra che abbiate fatto una maratona stanotte». Mi grattai la testa, mentre Pierre si trattenne dal ridere.

«Ora iniziamo». Pyry batté le mani, richiamando la nostra attenzione. «Pierre tu inizierai con i pesi, Ann tu con il vogatore».

«Ci hanno distrutti». Esclamai io, sistemandomi un asciugamano attorno al collo, per poi iniziare ad asciugarmi il volto. Pierre si caricò della sua borsa, iniziando a camminare verso l'ascensore.

«Era da immaginare, abbiamo ritardato davvero tanto stamattina». Affannava leggermente. Eravamo stati chiusi in palestra dalle otto fino a mezzogiorno. Né Stephan né Pyry ci avevano dato un attimo di riposo. Quando le porte si aprirono, gettammo le nostre borse a terra e ci appoggiammo alla parete dell'ascensore. «Credo mi butterò nella doccia per poi non uscire più». Mi guardò rapidamente ed io risi.

«Se non avessi le ossa che mi chiedono pietà, lo farei anche io. Mi sistemerò sul letto». L'ascensore si fermò al nostro piano ed uscimmo.

«Anche questa è un'ottima idea». Disse semplicemente. «Allora ci vediamo». Annuii. Mi sorrise e si allontanò verso la sua camera, mentre io mi avviai verso la mia. Una volta entrata, lanciai la borsa sul letto e trascinai i piedi fin nel bagno. Mi spogliai ed entrai nella doccia, senza neppure aprire l'acqua prima. Mi colpì un getto d'acqua fredda, che, in un primo momento, mi costrinse a cacciare un piccolo urlo. Con il tempo, iniziai ad abituarmi e sentivo i miei muscoli rilassarsi. Mi lavai con estrema calma, per poi avvolgermi con un asciugamano quando terminai. Ritornai nella stanza e rovistai tra gli armadi, cercando un cambio. Indossai l'intimo, un pantaloncino ed una maglietta, per poi legare i capelli bagnati in una coda. Chiamai nella cucina per ordinare il mio pranzo, che consisteva in riso integrale, soia ed insalata e poi andai a sistemarmi sul balcone, in cui era presente una sedia, così da potermi godere il panorama. Dubai era molto più affascinante di notte, con tutte le sue luci, ma anche di giorno era molto bella. Notai, abbassando lo sguardo, che vi fosse anche una piscina. Sicuramente l'avrei sfruttata, amavo nuotare e poi era un modo, più piacevole dei normali esercizi in palestra, per tenermi allenata. Avrei potuto usarla quello stesso giorno, magari più in serata. Vidi una testa bionda, che subito riconobbi essere Pierre, accompagnata da una più scura, Pyry. Entrarono nell'auto del francese e si allontanarono dall'albergo. Ad un tratto, qualcuno bussò alla porta. Andai ad aprire ed era il servizio in camera. Presi il mio pranzo e pagai, per poi ritornare nella mia postazione. Iniziai a mangiare, dopo aver selezionato un po' di musica per rilassarmi. Ero davvero molto stanca, il desiderio di stendermi ed addormentarmi era tanto, ma la consapevolezza che avrei solamente fatto incubi su incubi mi fermava. Avevo bisogno di dormire, ma non volevo e non potevo farlo. Avevo provato anche a non rimanere da sola la notte, a dormire con mio fratello, con Julie, persino con Stephan, ma non era servito. La mia agitazione aumentava solamente e la situazione peggiorava. Sistemai il mio piatto sul tavolino, per poi abbassare leggermente lo schienale della sdraio su cui mi ero sistemata. Mi ristesi ed in quel momento mi giunse un messaggio. Mi allungai per afferrare il cellulare e, facendomi ombra con la mano, controllai il mittente. Era Charles.

"Come va lì a Dubai, ti stai divertendo?".

"Stephan già mi ha messo sotto torchio, si prospettano delle settimane stancanti".

Mi guardai attorno e ringraziai di essermi portata degli occhiali da sole con me. Li indossai.

"Prevedibile, ma almeno sarai nel massimo della forma fisica una volta in pista. Andrea è disperato, la sua massima aspirazione non era passare con me e Charlotte la quarantena".

Ridacchiai pensando al suo povero preparatore atletico che si copriva le orecchie per non sentire i rumori molesti prodotti dai due fidanzati.

"Neanche Steph è tanto felice di essere qui".

Aggiustai leggermente il top che indossavo, per poi inviare un secondo messaggio.

"E la sua infelicità è aumentata quando ha saputo che non eravamo da soli in albergo".

"Davvero? Qualche altro pazzo come te ha deciso di viaggiare ed andare a Dubai?".

Scossi la testa divertita.

"Il tuo migliore amico Pierre. Tu lo sapevi?".

Potei immaginarlo mentre aggrottava le sopracciglia e cercava di ricordare, perché a lungo non mi rispose, lasciando il messaggio in visualizzato. Quando stavo per spegnere il cellulare, però, esso vibrò.

"Ero convinto fosse a Bologna. Non mi ha detto nulla".

"Be', neanche io lo sapevo. È stato davvero buffo ritrovarmelo davanti ieri. A proposito, abbiamo fatto un salto alla pista di kart".

Una nuvola coprì leggermente il sole.

"Avete usato i miei kart? Vi siete divertiti?".

Mi passai una mano sul braccio.

"No, abbiamo usato la sua auto. Cioè, mi ha fatto guidare la sua Honda nella pista di kart. Una cosa un po' folle, decisamente, ma credo sia servito ad entrambi".

"So io cosa vi servirebbe".

Inizialmente non compresi, ma non appena lo feci, mi colpii leggermente la fronte.

"Charles!".

Lo immaginai ridere.

"Ho capito, sei sempre il solito. È meglio che mi prenda questo bel sole di Dubai".

"Fallo anche per me. Qui sono chiuso dentro le quattro mura della mia casa".

"Come se fosse piccola".

Ignorò questo messaggio.

"Attenzione alla crema solare, non vorrei diventassi la mia tuta della Ferrari".

Risi.

"Sissignore".

Ci salutammo e ritornai comoda sulla sdraio, aguzzando lo sguardo ed osservando qualsiasi movimento attorno a me. Non riuscivo più a vedere cosa avvenisse a piano terra, ma potevo scorgere i movimenti delle persone nei palazzi accanto. Notai un signore chiudere i tendaggi del proprio appartamento da un lato ed una coppia discutere dall'altro. Il suono del motore delle auto - per lo più di lusso - arrivava indistinto alle mie orecchie. Per quanto anche Malmö fosse una città molto turistica e sicuramente non povera (ma come in tutte le città esisteva anche la zona meno agiata, quella dove ero cresciuta anche io), era più facile sentire il rumore delle biciclette e delle catene, che quello delle auto. Ero cresciuta nella più totale quiete e, in un certo senso, avevo notato che nessuna delle città che avevo visitato mi avevano dato la stessa sensazione. Malmö non era la grande meta di nessuno, eppure vivere lì era davvero stupendo. La vita era semplice, a volte dura, ma ognuno aveva il tempo per se stesso. Vi sarei rimasta volentieri, se non fosse stato per la troppa distanza con il resto del mondo e la sostanziale differenza tra il mio nuovo stile di vita e ciò che la Svezia poteva offrirmi. Decisi di alzarmi. Non era passato molto tempo, anzi, forse ero rimasta solo un'ora sul balcone, ma mi annoiavo. Dovevo trovare un passatempo. Decisi di uscire dalla camera per ispezionare l'albergo. Era un cinque stelle e vi erano molte stanze ed offriva molti servizi. Sicuramente avrei trovato il modo per passare il tempo. Nonostante il mio grande amore per la velocità e le gare, non ero un tipo molto dinamico. Anzi, preferivo trascorrere le giornate nella tranquillità e nella calma, purché non mi portassero alla noia.
Mi incamminai per il corridoio ed entrai in ascensore. L'albergo era a molti piani, per fortuna io e Pierre ci trovavamo solamente al primo. Decisi di andare a piano terra e di iniziare a vedere cosa vi fosse, oltre alla già conosciuta - mio malgrado - palestra. Il receptionist subito mi notò e mi domandò se avessi bisogno di qualcosa. Io scossi la testa e chiesi se fosse possibile fare un giro dell'albergo e lui annuì, dandomi delle brevi istruzioni. Quel posto era talmente grande che avevo bisogno di una vera e propria cartina per potermici orientare. Mi aveva detto che oltre al ristorante, in quell'area di albergo vi era anche una gelateria. Era davvero straordinario, ed al contempo buffo, ma ormai avevo deciso che quello sarebbe stato il mio posto preferito. Il mio lavoro non mi consentiva di mangiare gelati, ma se Stephan non ne fosse venuto a conoscenza, non ci sarebbero stati problemi. No?
Seguii, dunque, la strada che mi era stata indicata e dopo non molto - mi ero anche fermata ad osservare il panorama dall'enorme finestrata! - giunsi in paradiso, meglio noto come gelateria. Vi entrai e mi guardai intorno, circondata da una quantità industriale di dolciumi. Se il mio preparatore atletico mi avesse vista, sicuramente mi avrebbe spezzato tutte le costole, compreso l'osso del collo. Tuttavia, non me ne importava, non sgarravo mai la dieta, perciò una volta non mi avrebbe fatto di certo male. Passai accanto ai vari gusti di gelato, fino a quando non mi fermai davanti al mio preferito. E no, non era a frutta, quelli li avevo completamente evitati. Impazzivo per la nocciola e quindi decisi di farmi preparare un cono. Mentre attendevo che la signorina terminasse, riportando nuovamente lo sguardo verso la vetrata, scorsi la Honda di Pierre parcheggiarsi. Il francese uscì dall'auto con una bandana bianca legata al braccio, mentre rideva con Pyry. Io mi voltai verso la gelataia ed afferrai il mio gelato, dopo averle riferito di far porre la spesa sul conto finale. Uscii dal negozio per continuare la mia ispezione. Vi erano delle scalinate che portavano al piano inferiore ed allora iniziai a scenderle, mentre gustavo il mio gelato. A volte ritornavo ad essere una bambina, nonostante i miei vent'anni. Attraversai una porta e mi ritrovai in una stanza in marmo, in cui non era presente alcuna finestra. Vi era un tavolino circolare, su cui era posto un asciugamano, e degli ampi specchi. Proseguii e davanti a me apparvero diversi lettini, distanziati gli uni dagli altri mediante l'uso dei divisori, ed infine notai un'ultima stanza, più appartata rispetto alle altre. Spinsi leggermente la porta, che era chiusa, e vi entrai. Era tutto buio, solo delle luci colorate illuminavano la vasta piscina al suo interno. L'aria intorno a me era piacevole e l'acqua sembrava davvero fantastica, ma chiaramente non potevo fare il bagno. Non sapevo neppure se mi fosse consentito, visto che era l'unica stanza chiusa, a dispetto delle altre. Ormai avevo finito il mio gelato, mi tolsi le scarpe e sistemai i piedi nella piscina. E sì, l'acqua era fantastica, esattamente come credevo.

«Andiamo! Questo posto sembra un labirinto, dove sarà mai la caffetteria?». Sentii una voce ormai fin troppo familiare provenire da fuori la stanza. Ridacchiai, sembrava proprio esasperato. Aprì la porta, mentre imprecava e blaterava altre cose sottovoce.

«Hai trovato la caffetteria?». Lo derisi, voltandomi verso di lui. Saltò leggermente, non avendomi notata subito. Sbuffò.

«Non credo proprio, è mezz'ora che giro per tutto l'albergo ma nulla. Non riesco a trovarla». Alzò le braccia, in maniera arrendevole. «Ho chiesto anche aiuto al receptionist, ma non ho compreso granché delle sue istruzioni». Scossi la testa divertita.

«È al quarto piano». Esclamai.

«Ci sei già andata?». Negai. «E come fai a saperlo?». Ridacchiai.

«Me l'ha detto il receptionist». Abbassò la testa e ridacchiò anche lui, scuotendo la testa.

«Hai intenzione di fare un bagno?». Domandò, accomodandosi accanto a me, dopo essersi anche lui tolto le scarpe.

«Non credo, mi sono ritrovata qui per caso, in realtà. Un po' come te».

«Cercavi anche tu la caffetteria?». Ci scherzò su.

«Facevo un giro, mi stavo annoiando. Ho notato la porta chiusa e sono entrata». Feci spallucce. «Anche volendo fare il bagno, non ho il costume con me». Mi guardò con un sopracciglio alzato.

«E quale sarebbe il problema?». Aprii leggermente la bocca per parlare, ma ben presto la richiusi - in realtà solo metaforicamente - quando lui si sfilò la maglietta, dandomi la possibilità di osservare la sua schiena. Era molto più abbronzato di come lo ricordassi. Ben presto tolse anche i pantaloni e neppure il tempo di farlo, si buttò in acqua. Inebetita, non seppi che fare né cosa dire. «Hai intenzione di rimanere lì? In acqua si sta proprio bene». Riemerse e si sistemò i capelli, così che non si trovassero più davanti ai suoi occhi. Io ero un po' titubante, l'idea di fare un bagno, in intimo, davanti ad un ragazzo (sebbene si trattasse di Pierre, di cui mi fidavo ciecamente), non mi elettrizzava. Non dopo tutto ciò che era accaduto con Max. Annuii, affermando che, sì, la mia intenzione era rimanere lì, a bordo piscina. Nuotò verso di me e sistemò le sue braccia incrociate sulle mie gambe, bagnandomi leggermente il pantaloncino. Dal suo sguardo era chiaro che avesse compreso il motivo della mia titubanza. «Io non sono Max». Continuò a fissarmi, senza mai spostare l'attenzione. «Non lo sarò mai e non ti farei del male». Si allontanò, rompendo qualsiasi legame fisico tra noi due. «Non ti sfiorerò neppure, se non vorrai». Sapevo che Pierre era la persona più pura in assoluto, ma, dentro di me, la paura di essere ferita e violentata di nuovo era davvero tanta. Mi scrutò attentamente, cercando di leggere i miei pensieri. Con le mani tremanti afferrai le sue e le portai ai lembi del mio top. Lui seguì i miei movimenti con lo sguardo, per poi riportare gli occhi su di me. Annuii solamente, senza parlare. Anche volendo, non vi sarei mai potuta riuscire. Le parole mi erano morte in gola, in parte per la paura, in parte per la sensazione delle sue mani sul mio corpo. Annuì anche lui, per rassicurarmi, ed iniziò a sfilarmi il top, per poi passare ai pantaloncini e lasciarmi, così, in intimo esattamente come lui. Dopo aver controllato che fossi d'accordo, afferrò i miei fianchi e, sollevandomi, mi fece entrare in acqua. «Lo so che per te è difficile». Sistemò i miei capelli dietro l'orecchio. «Ma permettimi di aiutarti». Mi lasciai accarezzare il volto, per poi annuire, anche se non completamente sicura. Lo sembrò notare, perché mi alzò dolcemente il mento, così che fosse più facile per lui guardarmi negli occhi. «Fidati di me. Se ti ho mai dato motivo di non farlo, non te lo dirò più». Tacqui e lo vidi, per un istante, rilassarsi. Forse fu una mia impressione, ma ero quasi certa che avesse trattenuto il fiato, leggermente preoccupato da quale potesse essere la mia risposta. Afferrò il mio volto con le sue mani, cercando di non usare troppa forza, ed attese una mia reazione. Abbozzai un leggero sorriso e mi lasciò un fugace bacio sulle labbra. «Lo supereremo insieme, te lo prometto».

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