Chapitre 50
Nonostante avessi fatto tutto il viaggio fino a Monte-Carlo, avevo deciso, alla fine, di non rimanervi. Era troppo piccola e se ci avessero chiuso in quarantena per qualche mese sarebbe stato abbastanza difficile per me allenarmi e mantenere la mia preparazione fisica. Era necessario che mi spostassi, anche a costo di dovermi fare la quarantena in un altro Paese. La Svezia era fuori discussione, così come l'Italia, la tappa del mio prossimo E-Prix. Era stata una delle prime ad entrare in quarantena, sicuramente avrebbero cancellato la gara. Mi ricordai, poi, che Charles mi avesse parlato dei suoi kart a Dubai. Non ci pensai su due volte che prenotai i biglietti e partii per gli Emirati Arabi, con Stephan. Fin da subito mi era sembrato un po' scettico, ma concordava anche lui che in caso di quarantena avrei potuto beneficiare di una palestra personale in albergo. Mi ero sistemata da davvero troppo poco tempo nella casa di Monte-Carlo per avere una mia palestra o delle attrezzature professionali con cui allenarmi. Avevo lasciato tutto a Malmö ed in quella situazione non potevo neppure acquistarne di nuove.
«Non trovi sia tutto magnifico qui? Mi piacerebbe viverci». Esclamai, una volta scesi dalla vettura. Afferrai le mie valigie ed iniziai ad avviarmi verso l'interno dell'albergo. Stephan mi affiancò, dopo aver pagato il tassista.
«Spero non abbiamo commesso un errore a venire qui». Mi ignorò, continuando con la sua serie infinita di lamentele.
«Andiamo Steph, perché sei così negativo? Saremo da soli, potrai rendermi il nuovo Spiderman e faremo in modo che, una volta che il campionato riprenderà, io possa lottare per le posizioni di vertice». Scosse la testa, ma non mi rispose. Non capivo il motivo di tutta quella sua preoccupazione. Mi avvicinai alla reception, per chiedere le tessere per le nostre due camere.
«Preparerò il tuo programma, ma sarà un po' diverso da quello che seguivi durante la stagione. Non avendo a disposizione l'attrezzatura per il collo, dovremmo farne a meno». Si degnò di parlarmi quando gli porsi la sua chiave magnetica. Ringraziai il receptionist ed afferrai nuovamente le mie valigie.
«Avremo tempo per poterci lavorare su». Annuì, mentre eravamo ormai entrati nell'ascensore. «Avremo un albergo tutto per noi, quasi non ci credo». Stephan fece una leggera smorfia. Alzai un sopracciglio.
«Non siamo soli. Ci sono altri due ospiti». Iniziai ad osservare il numero del piano lampeggiante.
«Come fai a dirlo?». Ritornai a guardarlo.
«Ho osservato le tessere. Ne mancavano solamente quattro. Qualcuno deve per forza alloggiare qui, a meno che non le abbiano perse, cosa che non credo probabile». Sorrisi leggermente.
«Non è detto che siano tipi sportivi, quindi forse non dovremmo comunque dividere la palestra». Fece spallucce, per poi sistemarsi meglio la maniglia della valigia tra le mani.
«Anche dovessero esserlo, non credere che farai meno minuti di allenamento di quanti ti spettano». Mi minacciò lui con il dito ed io ridacchiai. Le porte dell'ascensore si aprirono.
«Non preoccuparti, voglio davvero essere al mas-». Alcune voci mi interruppero. Mi voltai verso di esse e notai un volto familiare. Erano due ragazzi, ma uno era di spalle, quindi non riuscivo a riconoscerlo. L'altro credevo di averlo già visto. E l'impressione dovette essere la stessa anche per lui, perché iniziò a fissarmi confuso.
«Pyry, mi stai ascoltando?». Spalancai gli occhi quando sentii indistintamente l'altra voce. La sua. Pierre si voltò e la sua reazione fu più o meno la stessa. Dopo avermi osservato sorpreso per un po', mi rivolse un sorriso divertito. «Mi stai seguendo per caso?». Scossi la testa.
«Cosa potevo saperne io che tu fossi qui? Non eri in Italia?». Si grattò la testa.
«Il piano originale era quello, poi ho saputo della quarantena su piano nazionale ed ho preferito cambiare rotta. Charles mi aveva parlato d-». Lo interruppi.
«Dei kart qui a Dubai, sì. È lo stesso motivo per cui sono qui». Stephan si intromise.
«Non è detto che siano tipi sportivi». Mi imitò, con tanto di gesticolii delle mani. Lo guardai esasperata. «Una persona più sportiva non potevi trovarla». Roteai gli occhi. Pierre ridacchiò.
«Ribadisco che non avevo la più pallida idea che anche lui avesse scelto Dubai come meta. Ero convinta che al massimo sarebbe andato in Francia!». Sistemai le mani davanti a me, per discolparmi.
«Va bene, basta, ragazzi. La cosa importante è che riusciamo a fare i nostri allenamenti e che nessuno di noi si contagi». Si intromise Pyry, cercando di calmare le acque. Stephan era fin troppo nervoso per i miei gusti e mi stava irritando particolarmente. Si voltò poi verso il mio preparatore atletico. «Noi possiamo sempre confrontarci con gli esercizi. Pierre ed Ann dovranno condividere la palestra. Non ci è consentito dividere gli allenamenti in mattina e pomeriggio, ma non dovrebbero esserci grandi problemi». Sia io che il francese annuimmo. Stephan sospirò.
«Domani mattina fatti trovare pronta alle 7. Non un minuto prima, non un minuto dopo». Pyry mi guardò, tranquillizzandomi, facendomi cenno che gli avrebbe parlato. Lo ringraziai, prima che i due preparatori si allontanassero.
«Non ha preso bene che ci siamo anche noi». Feci spallucce.
«Non ha preso bene il viaggio, è diverso. Da quando siamo saliti in aereo - anzi, da quando ho comprato i biglietti - non fa altro che dire che succederà qualcosa». Ci incamminammo per il pianerottolo. Non sapevo dove stessimo andando, ma pensai si stesse avviando verso la sua camera. Non parlò per un po', fin quando non si fermò all'improvviso ed io quasi non gli finii addosso.
«Stephan ti controlla la notte?». Alzai un sopracciglio.
«È il mio preparatore, non mio fratello». Scosse la testa divertito.
«In quale camera alloggi?». Gli mostrai la mia tessera e lui annuì.
«Tra dieci minuti mi troverai davanti alla tua porta». Feci per parlare, ma mi zittì con l'indice sulle labbra. «Niente domande». Sorrise e mi rassicurò con lo sguardo. Passò la sua tessera per aprire la porta, poi si voltò nuovamente verso di me. «Ah, dimenticavo, togli l'anello». Nell'attimo in cui posai lo sguardo sull'anello, lui scomparve nella sua stanza. Certo che sapeva essere strano. Mi incamminai verso la mia camera e, una volta arrivata, vi entrai. Mi cambiai, indossando un vestito nero non elegante e delle normali scarpe da ginnastica. Era tardi e non avevo la più pallida idea di cosa Pierre avesse in mente. Mi aggiustai leggermente i capelli allo specchio. Puntai lo sguardo sull'anello e lo tolsi, sistemandolo sul comodino accanto al letto. Sorrisi, serviva a non far comprendere cosa stessi facendo. Se ci fossimo mossi, almeno l'anello non l'avrebbe percepito e non avrebbe contato i metri percorsi, non facendo insospettire Stephan e Pyry nel caso avessero voluto controllare. Bussarono alla porta.
Pierre's P.O.V.
Bussai alla porta di Ann. Mi sistemai con un fianco alla parete, afferrando il cellulare ed iniziando a scorrere tra i messaggi. Ne avevo uno non letto di Charles ed uno di Pyry in cui mi mandava il programma. Decisi di evitare entrambi, non volevo ansie. La porta si aprii e la svedese uscì, affiancandomi. Alzai leggermente lo sguardo e sistemai il cellulare nelle tasche. Abbozzai un sorriso e le afferrai la mano e con la coda dell'occhio notai che fosse arrossita. Era davvero carina. Mi avvicinai leggermente al suo orecchio. «Non dobbiamo fare rumore». Le sussurrai e lei annuì, trattenendo il fiato. Ridacchiai leggermente, per poi coprirmi la bocca con la mano.
«Dove stiamo andando?». Sussurrò lei a sua volta. Io scossi la testa.
«Non te lo dirò». Sbuffò e non parlò più. A volte era proprio una bambina. In senso buono. Scegliemmo di scendere le scale e, una volta nella hall, potemmo iniziare a parlare con più tranquillità. A Dubai era ancora consentito uscire, non era scattata nessuna quarantena. Una volta usciti, la condussi alla mia auto, aprendole la portiera.
«È tua?». Mi guardò con occhi spalancati, per poi passare la mano sulla mia Honda NXS. Le sorrisi.
«Un piccolo regalo di compleanno». Mi guardò.
«Piccolissimo». Continuò ad ammirarla. «È davvero bellissima». Annuii. Chiuse gli occhi ed io rimasi ad osservarla, capendo esattamente cosa stesse facendo. Stava immaginando come fosse guidarla. Afferrai la sua altra mano e le aprii il palmo, per poi lasciarle le chiavi. Riaprii gli occhi. «Cosa stai facendo?».
«Guidala». Alzò un sopracciglio. «So che vuoi guidarla, fallo». Guardò per un'ultima volta l'auto, per poi puntare lo sguardo su di me.
«Ma è tua». Annuii.
«Proprio perché è mia decido chi può guidarla e tu puoi farlo». Mi sorrise e si fece girare le chiavi tra le mani.
«Allora sali». Disse in tono quasi categorico e trattenni una risata, obbedendo. Si andò ad accomodare al posto del guidatore ed aggiustò il sedile. Mi gettò un'altra occhiata, per verificare che non mi fossi pentito della mia decisione. La rassicurai con lo sguardo. «Dove dobbiamo andare?». Domandò, accendendo l'auto e sorridendo al rombo del motore.
«Da nessuna parte». Mi guardò accigliata. «Faremo un giro, ma lo faremo a massima velocità».
«Sai che non possiamo, vero?». Annuii.
«Per strada no, ma conosco un posto dove invece possiamo farlo». Subito notai che si stesse affidando a me e ciò mi fece sorridere. Partimmo ed iniziai a darle le indicazioni. Il tragitto fu molto silenzioso da parte di Ann, che si stava concentrando soprattutto sul suono del motore e su come reagisse alla sua guida.
«Ma è una pista di go kart. Non possiamo usarla». Mi rispose allarmata, ma io la tranquillizzai.
«È la pista in cui Charles ha i suoi kart, i proprietari sanno che siamo qui e che cosa faremo». Annuì, non molto convinta. Uscii dall'auto ed andai a prendere i due caschi che proprio i proprietari ci avevano lasciato per girare. Ritornai da Ann e gliene porsi uno. Lo afferrò e lo indossò rapidamente, per poi alzare la visiera e puntare lo sguardo verso di me.
«Sei pronto?». Mi domandò, mentre mettevo nuovamente la cintura di sicurezza.
«Nato pronto». Sorrisi e lei guardò davanti a sé, per poi ingranare la marcia. Il suo piede premeva sull'acceleratore e la mia auto rispondeva in maniera molto positiva, quasi le stesse dando una carezza. Il vento entrava nell'abitacolo e le faceva finire i capelli sul volto. La sentii ridere e fu inevitabile aggiungermi a lei. «Lasciati andare». Esclamai, ad un tratto. Iniziò a rallentare per affrontare la curva.
«Cosa?». Chiese, rimanendo sempre concentrata sulla strada davanti a sé. Era molto sicura nei suoi movimenti.
«Lasciati andare, urla, parla, sfogati». Mi gettò una rapidissima occhiata, prima di svoltare e prendere di proposito il cordolo. «Ne abbiamo entrambi bisogno». Aggiunsi e lei spostò la mano destra per cambiare la marcia. «Possiamo farlo insieme». Aggiunsi con un tono di voce più flebile e lei sorrise.
«Va bene». Rispose semplicemente, senza perdere il sorriso.
«Tre». Prese la curva e dovetti mantenermi leggermente, mentre lei rideva. «Due». Iniziò ad accelerare. «Uno». Spinse ancora di più sull'acceleratore fino a sfiorare i 300 km/h. Stava rischiando davvero molto raggiungendo la velocità massima dell'auto, forse per riuscire ad urlare in maniera naturale. Anche io mi lasciai andare ad un urlo liberatorio. Probabilmente non avrebbe aiutato nessuno dei due, ma il pensiero di mandare via le preoccupazioni in quel modo bastava a farmi sentire meglio. Ed anche per Ann doveva essere lo stesso, perché quando smettemmo la vedi molto più rilassata. Iniziò a rallentare e solo allora mi resi conto che fossimo ritornati al traguardo, dopo non so quanti giri. Avevo perso il conto. Si slacciò la cintura e si tolse il casco. Io la imitai. Mi guardò, per poi gettarsi di slancio ed abbracciarmi. La strinsi a me, facendole posare la testa sulla mia spalla.
«Grazie». Disse semplicemente ed io mi voltai leggermente per lasciarle un bacio sui capelli. La sentii singhiozzare sommessamente, ma non dissi nulla. Aveva bisogno di sfogare, se avesse voluto parlarmene, lo avrebbe fatto. Sapeva che sarei sempre stato lì ad ascoltarla. Ad un tratto, alzò lo sguardo e, dopo avermi rivolto un altro sorriso, stavolta meno spensierato, ed essersi ripulita gli occhi dalle lacrime, mi disse di fare a cambio posto. Avrei guidato io al ritorno. Sistemai i caschi lì dove li avevo trovati ed andai a prendere il posto del guidatore. Ann si mise a fissare fuori dal finestrino, forse un po' in imbarazzo per aver pianto davanti a me. Iniziai a girare lo sterzo e cambiai marcia, per poi sistemare la mia mano destra sulla sua coscia ed assicurarmi che stesse bene. Lei annuì leggermente, per poi afferrare la mano e far incrociare le nostre dita. Il viaggio di ritorno durò più dell'andata, non perché vi fosse traffico, ma perché desideravo godermi più a lungo quel momento. E forse lo voleva anche lei, perché non si lamentò. Una volta arrivati in albergo, uscimmo dall'auto e ci incamminammo nuovamente per le scale, per ritornare alle nostre camere. La accompagnai alla sua stanza, sempre mano nella mano. «È stata davvero una serata - forse dovrei dire notte - piacevole». Mi sorrise leggermente ed io annuii. «Sono stata davvero bene».
«Anche io». Cadde il silenzio. Ann era troppo imbarazzata, mentre io non sapevo come comportarmi.
«Allora buonanotte». Fu lei la prima a parlare.
«Sì, buonanotte». Aprì la porta e vi entrò. Mi salutò con un gesto della mano, prima di richiuderla dietro di sé. Mi avviai verso la mia camera, ma ad un tratto mi fermai. «Oh, al diavolo!». Tornai indietro ed andai a bussare nuovamente alla sua porta. Mi aprì dopo poco, leggermente confusa dal mio ritorno. «Avevo dimenticato una cosa». Fece per aprire la bocca, quando afferrai le sue guance e la baciai di slancio. Sistemò le sue mani sulle mie e tentò di approfondire il bacio, dandomi dei leggeri colpetti con la lingua sui denti. Dischiusi le labbra e la accontentai, per poi allontanarmi per riprendere il respiro. «Ora credo di avere tutto». Mi sorrise ed arrossì, di nuovo. Ridacchiai sommessamente. «Buonanotte».
«Buonanotte». Questa volta tornammo entrambi nelle nostre stanze. Una volta vicino al letto, mi ci buttai sopra, assumendo la posizione a stella. Mi passai una mano sul volto.
«Cosa mi fai Ann».
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