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Chapitre 37

«Ho bisogno di alcol, molto alcol». Mi sdraiai sul divano, sotto lo sguardo attento di George.

«Se vuoi finire in galera, la strada è giusta». Sbuffai e posai il volto sulle mie mani.

«Che paese orribile. Ho venti anni e non posso neppure bere. In Svezia il whisky ce lo danno fin da bambini». Ridacchiò.

«Li hai appena compiuti venti anni, vuoi davvero trascorrere il tuo compleanno bevendo?».

«Fin quando non dimenticherò anche il mio nome, decisamente». Feci spallucce e mi sollevai, così da sedermi a gambe incrociate. «Un bel compleanno in solitudine, con alcol e film strappalacrime».

«Ti consiglio di invitare Kimi, sono convinto che vi divertireste molto». Rise ed io sorrisi. «Entrambi talmente ubriachi da non riuscire neppure a sostenervi».

«No, io non riuscirei a reggermi all'in piedi, lui è abbastanza abituato». Scosse la testa, divertito.

«Sei davvero incredibile».

«Qualcosa di positivo dovevo pure averlo». Esclamai, per poi posare la testa contro lo schienale e chiudere gli occhi.

«Qualcuno, oltre me e Lando, sa che oggi è il tuo compleanno?». Iniziai a pensare, non ero sicura di averlo mai riferito.

«Oh, forse solo Charles. Per gli altri oggi è Halloween ed è meglio che nessuno lo scopra, non ho intenzione di festeggiare».

«Buon compleanno Theo!». Urlò Charles quando mi vide, attirando l'attenzione di tutti gli altri piloti che gli stavano intorno. Come non detto. Con George andai a sedermi al tavolo per fare colazione.

«Grazie Charles, non credevo lo avresti ricordato». Tossii, per eliminare l'imbarazzo.

«Io ricordo tutto». Sorrisi, mentre anche gli altri ragazzi mi rivolgevano i loro auguri. Pierre mi fissò, senza parlare. Avevo fatto nuovamente qualcosa di sbagliato? «Festeggerai?». George scoppiò a ridere ed io gli colpii un fianco con il gomito. Si voltarono a guardarlo con un sopracciglio alzato.

«Theo ha un'idea di divertimento e festeggiamento davvero singolare». Si asciugò le lacrime dagli occhi.

«Ti odio e non fa ridere». Assottigliai gli occhi e lui mi circondò le spalle con un braccio.

«Invece sì». Roteai gli occhi.

«Comunque no, non ho intenzione di festeggiare. Non amo il mio compleanno e preferisco trascorrerlo in solitudine». Ribattei. Odiavo il mio compleanno, perché coincideva con la morte dei miei genitori. Era il 2013, avevo solo quattordici anni ed era anche colpa mia quell'incidente. Stavano ritornando da un viaggio di lavoro a Stoccolma, per festeggiare insieme a me. Era notte fonda ed un camionista, troppo ubriaco per stare alla guida, aveva invaso la loro corsia, opposta alla sua, e li aveva travolti. Mio padre non aveva potuto fare niente per evitare l'incidente ed entrambi erano morti sul colpo. Da allora non avevo mai più festeggiato il mio compleanno e l'ultimo ricordo che avevo di loro era la collana che mi avevano donato pochi giorni prima, in anticipo. Gli altri tacquero, forse comprendendo il mio umore non del tutto gioviale, e facemmo colazione in silenzio. Ogni tanto notai Pierre osservarmi, quasi come se mi stesse studiando. Lo ignorai e, non appena terminai, mi alzai, per poi dirigermi verso la mia camera. George si voltò a guardarmi, ma non mi seguì, capendo che volessi rimanere da sola. Neppure lui era a conoscenza dell'incidente dei miei genitori, non ne avevo mai parlato con nessuno.

«Perché non mi hai detto che oggi fosse il tuo compleanno? Mi sono sentito davvero uno stupido quando Charles ti ha dato gli auguri». Incredibile, mi aveva seguita.

«Non lo ritenevo importante. Il tema compleanno non mi emoziona». Sbuffai, mentre iniziai a salire le scale.

«Lui, però, lo sapeva». Mi voltai a guardarlo, scocciata.

«Sì, lo sapeva perché mi aveva chiesto il motivo del 31 sulla monoposto. È stato molti mesi fa, non credevo lo avrebbe ricordato. Era l'unico a saperlo, oltre George e Lando, chiaramente».

«Perché non vuoi festeggiare?». Roteai gli occhi.

«È la giornata degli interrogatori, oggi? È il giorno che odio di più, preferirei non esistesse». Avevamo appena salito tre rampe, ne mancavano altre tre. Questo significava altre domande a cui rispondere.

«Nessuno odia il giorno del suo compleanno!». Ribatté.

«Be’, io sì. Ritieniti fortunato di avermi conosciuta, allora». Esclamai, con vena ironica. Sbuffò.

«Potresti dirmi cosa non va, per favore?». Non risposi, bensì accelerai il passo così che mi ritrovassi il prima possibile al mio piano. “Ringraziamo l'albergo e la loro gentile idea di darmi la camera 531”. Pensai. Credetti di poter ignorare la sua domanda, ma, quando mi avvicinai alla mia stanza, mi bloccò contro il muro, così che non potessi allontanarmi.

«Magnifico...». Dissi, annoiata. Mi guardò, con un sopracciglio alzato, in attesa che rispondessi. Lo imitai e lui roteò gli occhi.

«Dimmi cosa non va con te». Sorrisi, sfacciatamente.

«Non ti riguarda, non vedo il motivo per cui parlartene. Non potresti fare nulla, d'altronde. Ora, se non ti dispiace, preferirei tornare in camera. Se hai voglia di accomodarti, fa' pure, purché non continui a discutere del mio compleanno». Mi abbassai, così che potessi fuggire dalle sue braccia, ed estrassi le chiavi per aprire la porta. Una volta dentro, feci un cenno a Pierre, che non comprese. «Hai intenzione di entrare o di rimanere lì?». Scelse la prima opzione. Tolsi la parrucca e mi aggiustai i capelli. «Potrei tagliarli». Riferii, mentre mi osservavo allo specchio. «Sono troppo lunghi, mi impegnano molto. Tagliandoli, invece, risparmierei più tempo». Mi voltai a guardarlo. «Che ne pensi?». Mi fece spallucce.

«Credo staresti bene». Sorrisi. Andò a sedersi sul divanetto, non spostando il suo sguardo da me.

«Devi dirmi qualcosa?». Domandai, vedendo che aveva più volte aperto la bocca, senza mai parlare.

«Idea stupida, lascia perdere». Alzai un sopracciglio. Con un movimento della mano gli feci cenno di continuare. Accavallò una gamba sull'altra ed iniziò ad accarezzarsi il mento. «Che ne dici di uscire stasera? Da soli».

«Un appuntamento?». Nascosi un sorriso.

«No». Rispose. «Cioè sì, non lo so, come lo vorresti chiamare?». Ridacchiai.

«Appuntamento va più che bene. Non mi dispiacerebbe, ma se mi vedessero uscire come ragazza sarebbe un serio problema».

«Lo avevo detto che era un'idea stupida». Rispose ed io mi avvicinai a lui, sedendomi sul bracciolo del divano.

«Possiamo ordinare da mangiare in camera e trascorrere la serata qui. Che ne dici? Poi, quando torneremo a casa, invece di andare in Inghilterra, posso fermarmi in Italia per qualche giorno». Annuì, sorridendomi. Fummo interrotti dal mio cellulare che aveva iniziato a squillare.

«È Max?». Domandò, quando lo afferrai. Scossi la testa.

«È Karl». Lo guardai e lui mi fece un cenno con il capo, per farmi accettare la chiamata.

«Non risolverai il tuo problema ignorandolo». Mi sussurrò.

«Ciao». Dissi semplicemente, quando risposi.

«Finalmente ti degni di accettare la mia chiamata. Mi hai fatto preoccupare, lo sai? Pensavo ti fosse successo qualcosa di grave». “Bingo”, pensai.

«Ti spiegherò tutto quando tornerò a Malmö, non credo sia il caso di farlo ora ed in questo modo».

«È qualcosa di serio?».

«Abbastanza, sì». Tagliai corto. «Con te c'è anche Julie?».

«No, è a lavoro. Penso ti chiamerà nel pomeriggio». Continuò. «Sai che ci tiene a farti gli auguri».

«Solitamente è la prima a farmeli». Ammisi.

«È piuttosto arrabbiata con te, Ann, e non la biasimo. L'hai fatta fuori dalla tua vita, esattamente come hai fatto con me».

«E come ho fatto con tutti, non siete gli unici». Pierre mi aveva circondato i fianchi con il suo braccio e mi aveva fatto sedere sulle sue gambe. «Mi dispiace, ma quando saprai capirai».

«Ann, c'entra Pierre?». Scossi la testa, pur sapendo che non poteva vedermi.

«No, lui non c'entra nulla. Ribadisco, è qualcosa di molto più complesso di quanto sembri».

«Ti dispiace fare una scappata qui, non appena la gara si sarà conclusa?».

«No, non ci sono problemi. Verso la fine della prossima settimana sarò a casa e parleremo». Lo immaginai sorridere.

«Ann, non ti ho ancora detto quelle parole perché so che ti fanno male. Vorrei che tu, però, iniziassi a capire che non è stata colpa tua».

«Karl, se non fosse stato il mio compleanno, non avrebbero viaggiato di notte e non sarebbero stati travolti». Il francese si voltò a guardarmi. Con un movimento della mano, mi fece posare la testa sulla sua spalla ed iniziò ad accarezzarmi i capelli.

«Quanti anni avevi quando è successo?». Mi domandò, nonostante sapesse la risposta.

«Quattordici». Dissi.

«Quanti ne hai ora?». Sospirai.

«Venti».

«Sono ormai passati sei anni, Ann, non è dandoti la colpa che li farai ritornare indietro. Non sono morti a causa tua, ma di un camionista ubriaco. Ora, ti prego, esci, festeggia, divertiti, non trascorrere questa giornata piangendo o deprimendoti. Fallo per me, fallo per loro». Mi strinsi a Pierre, che baciò una lacrima che aveva solcato la mia guancia.

«Farò del mio meglio, Karl, ma non sono pronta a festeggiare». Ad un tratto, il cellulare del ragazzo al mio fianco iniziò a squillare.

«C'è qualcuno con te?». Pierre mi chiese scusa con lo sguardo e mi fece alzare, per rispondere.

«Sì». Affermai.

«È Pierre, vero?». Sospirai.

«Sì, è lui». Continuai ad osservare il francese, che stava gesticolando animatamente. Sorrisi, si era davvero italianizzato.

«Lo ami, non è così?». Trasalii al suono della sua voce, che mi riportò alla realtà.

«È così evidente?». Ridacchiò.

«Ai miei occhi, sì». Non risposi. «Se ti rende felice, tienitelo stretto».

«Più di quanto tu possa immaginare». Esclamai, senza staccare gli occhi dall'oggetto della nostra discussione, che, nel frattempo, si era lasciato andare a qualche imprecazione in francese.

«Ann, vivi, non permettere ai sensi di colpa di mangiarti».

«Lo farò». Risposi semplicemente.

«Buon compleanno, ti voglio bene, piccola peste». Sorrisi e lo salutai.

«Ti voglio bene anche io, fratellone». Chiusi la chiamata nello stesso attimo di Pierre. «Chi era?».

«Oh, nessuno di importante». Iniziò a grattarsi la testa, in imbarazzo. Lo guardai accigliata e lui sospirò. «Era la mia ex». Ammise.

«Ah, va bene». Risposi semplicemente, cercando di non far trasparire il fastidio. D'altronde io e lui non avevamo alcuna relazione, non potevo arrabbiarmi. Non è così?

 «Voleva che andassi a prendere le ultime cose da casa sua, sai che non provo nulla per lei». Cercò di giustificarsi.

«Non mi devi spiegazioni, non stiamo insieme». Cercai di tranquillizzarlo.

«Ed invece te le devo, perché se io fossi al tuo posto, sarei davvero irritato. Non la sentivo da diversi mesi, non ho idea del perché solo adesso si sia ricordata dei vestiti che avevo lì».

«Be’, dovrai pur andare a prenderli». Feci spallucce.

«Ti va di venire con me?». Domandò ed io sorrisi leggermente. Annuii e lui si avvicinò a me, per poi stringermi a sé. Appoggiai la mia testa sul suo petto, mentre lui mi accarezzava i capelli e mi lasciava dei baci sul capo. «Non ho intenzione di perderti». Sussurrò, quasi volesse che non lo sentissi.

«Neanche io». 

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