Chapitre 33
Sistemai la mia parrucca e rivolsi un'ultima occhiata disgustata a Max. La sua proposta era indecente, ma la mia risposta non era stata da meno. Mi sentivo sporca per aver accettato, ma non avrei potuto fare diversamente.
Non appena mi liberò, uscii dal bagno velocemente e ritornai al tavolo. Gettai un sorriso forzato, fingendo che tutto andasse bene, non facendo trasparire la paura ed il desiderio di piangere.
«Oh, Theodor, eravamo preoccupati. Max?». Domandò Christian. Sussultai a quel nome e notai Pierre squadrarmi, come se cercasse di leggermi nella mente. Mi dispiace.
«Non saprei». Mentii nuovamente. Ben presto giunse anche l'olandese, che si accomodò al mio fianco. La serata trascorse in maniera piuttosto "tranquilla", anche se, ogni tanto, sentivo la mano di Max posarsi sulla mia gamba. Le prime volte avevo cercato di allontanarlo, ma poi ci avevo rinunciato. Mi odiavo, mi odiavo per ciò che stavo facendo agli altri, a me stessa e specialmente a Pierre. Non lo meritava, affatto. Quando la cena si concluse con la firma del contratto, lasciai un respiro di sollievo. Potevo tornare in albergo. Mi avvicinai a Pierre, che si abbassò leggermente affinché potessi parlargli nell'orecchio. «Ti prego, andiamo via». Non capì il motivo, ma annuì. Fece cenno a Stephan ed Amélie, che si avvicinarono subito a noi.
«Penso possiamo tornare in albergo, ora devono discutere solamente con i legali, non è necessaria la nostra presenza». Rispose, per poi gettarmi un'occhiata, per capire se fossi più tranquilla. I due acconsentirono e ci avviammo verso la vettura. Una volta seduta, posai la mano sulla gamba ed iniziai a strofinarla. Mi faceva male, ero convinta Max avesse lasciato un livido. Cercai di trattenere le lacrime, ancora una volta, anche se con più difficoltà. Volevo solamente sprofondare nel mio letto e non svegliarmi più. Mi sentivo violata. Per fortuna il viaggio di ritorno, per quanto lungo, fu silenzioso e quindi non rischiai di lasciarmi andare al dolore che sentivo. Avevo accettato, ma non mi erano state date altre possibilità. La proposta era disgustosa, ma non avevo grande scelta. Mi trovavo in un vicolo cieco, dove l'unica certezza era che lui avrebbe abusato di me e del mio corpo. Mi sentivo colpevole, ma in quella situazione io potevo fare poco o nulla. Accettando la sua proposta, poteva esservi un minimo di possibilità che lui non parlasse, non facendolo, avrei subito lo stesso trattamento, ma, in aggiunta, avrebbe anche rivelato il mio segreto. Quando giungemmo dinanzi all'albergo, aprii la portiera e scappai all'interno. Iniziai a piangere e, mentre salivo le scale, rovistai tra le tasche, sperando di trovare le chiavi. Ma non le trovai. All'improvviso ricordai che mi erano cadute nel bagno del ristorante e che, quindi, non potevo entrare nella mia camera. Mi sedetti a terra, con il viso coperto, e continuai a singhiozzare, sempre più forte. Per fortuna Amélie e Stephan alloggiavano al primo piano, almeno non mi avrebbero visto in quello stato. «Ann!». Quasi urlò Pierre quando mi vide. Lo avvertii posare le sue mani sulle mie ginocchia, ma io mi ritrassi. Avevo paura, anche di lui che non mi aveva mai fatto del male. «Piccola, che succede?». "Piccola Ann". Rabbrividii. Capì che non avrei risposto. «Vuoi entrare in camera?». Annuii.
«Non ho la chiave». Dissi semplicemente. Fece per prendermi in braccio, quando si fermò e mi gettò un'occhiata, per chiedermi il consenso. Annuii leggermente. Mi sollevò e, aperta la porta della sua stanza, mi fece accomodare sul letto. Si avvicinò all'armadio e, dopo aver rovistato, afferrò una maglietta ed un pantalone di tuta e me li passò.
«Non ho nulla di più piccolo, spero possano andare bene». Lo ringraziai. «Vado a cambiarmi in bagno, fai con calma e dimmi quando sei pronta». Era davvero molto rispettoso da parte sua lasciarmi i miei spazi e non farmi domande. Tolsi la parrucca, sfilai la giacca, sciolsi il nodo della cravatta ed iniziai a sbottonarmi. Toccai il punto dove mi aveva afferrato e fui costretta a ritrarre la mano dal dolore. Afferrai il cellulare e, attivata la fotocamera interna, osservai il segno lasciato. Non era molto scuro, ma si notava. Sospirai ed infilai la maglietta, che lasciava scoperto tutto il collo. Avevo bisogno di una felpa. Tolsi il pantalone del completo e notai il grande livido sulla gamba. Scoppiai a piangere di nuovo e, nel contempo, indossai quello della tuta. «Ann, posso entrare?». Era evidente mi avesse sentito.
«Sì». Parlai a bassa voce, ma lui comunque riuscì ad udirmi. Venne a posizionarsi dinanzi a me e spalancò la bocca quando notò il segno attorno al mio collo. Posizionò la mano sulla gamba, per abitudine, ma io gliela spostai. «Max, mi fai male». Dissi istintivamente, ma poi coprii la mia bocca. Non dovevo dirlo, non dovevo fare il suo nome.
«Max? Cosa c'entra Max, Ann? È lui che...». Collegò. «Cosa ti ha fatto?». Non risposi. «Ann, cosa ti ha fatto? Non tenerlo per te, dimmelo». Lo guardai. Mi avvicinai a lui, che mi strinse a sé. Posò un bacio sulla mia nuca. «Sai che di me puoi fidarti, vero?». Annuii.
«Lo sa». Dissi. «Sa che sto mentendo e mi ha minacciato». Lo guardai e lui mi accarezzò il volto con il pollice, invitandomi a continuare. «Mi ha costretto ad accettare la sua proposta, non avevo altre possibilità, io non vole...». Mi fermò.
«Cosa ti ha chiesto?». Chiusi gli occhi e presi un sospiro.
«Di soddisfarlo... sessualmente». Spalancò gli occhi. Fece per parlare, ma lo fermai. «Volevo rifiutare, ma mi ha minacciato dicendomi che, anche se non avessi accettato, oltre a raccontare tutto, avrebbe...». Afferrò il mio volto tra le sue mani.
«Non puoi tenerlo per te. È un mostro, non avrei mai detto che Max fosse così penoso come persona». Scossi la testa.
«Come faccio a parlare? Un ragazzo denuncia una violenza da parte di un altro ragazzo?».
«Hai ragione, non ti crederebbero». Annuii. «Giurami che me lo dirai, Ann». Lo guardai. «Voglio proteggerti. Non permetterei mai che qualcuno ti facesse del male».
«Pierre, ti ringrazio, ma non puoi fare nulla. È qualcosa che devo affrontare io». Era nervoso, ma cercava di mantenere la calma per non spaventarmi.
«Non puoi farlo da sola, Ann! È più forte di te, hai già provato sulla tua pelle cosa può fare. E forse questo sul collo non è l'unico segno che ti ha lasciato». Sospirò.
«Pierre, è pazzo. Farebbe del male anche a te, non me lo perdonerei mai». Mi sollevò e mi fece sistemare sulle sue gambe.
«So proteggermi, Ann, siamo due uomini». Scossi la testa.
«Pierre, tu non capisci! Non parlo di uno scontro fisico, manometterebbe la tua monoposto! Non posso permetterlo».
«Dillo». Non capii. «Rivela la tua identità». Mi passò una mano tra i capelli. «Capisco la passione, ma potresti rimanere traumatizzata a vita, Ann. Credi sia realmente la cosa migliore per te? Davvero la Formula 1 è talmente importante per te da preferire un abuso alla possibilità di essere buttata fuori?».
«La Formula 1 è tutto per me. Non ho più nessuno, non ho un padre né una madre. Siamo poveri, mio fratello si è indebitato per me, non posso permettere che i suoi sforzi siano stati vani. Sono stata un peso per lui, una grande spesa, se lasciassi perderemmo tutto». Riferii.
«Ed allora, Ann, se non vuoi abbandonare, permettimi di stare al tuo fianco e di aiutarti. Non mi importa di ciò che potrebbe accadermi, mi importa solo di te». Una lacrima solcò la mia guancia e lui, prontamente, con un bacio la asciugò. «Permettimi di prendermi cura di te».
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