Chapitre 25
Nürburgring
26 luglio 2019
«Su con la vita Theo! Sembra ti sia morto il criceto». George si lanciò letteralmente addosso a me, rischiando di farmi cadere.
«Tra un po' l'unico morto sarò io». Roteai gli occhi, divertita.
«Be', se dovessero scoprire il tutto sì, in quel caso saresti morto». Gli posai una mano sulla spalla.
«Grazie, sempre molto rassicurante». Sorrise.
«E di che, sono qui per questo». Mi prese in giro. In quel periodo mi ero un po' distaccata dal trio Max, Pierre e Charles e mi ero avvicinata a George e Lando. Trascorrevamo davvero tanto tempo insieme ed a volte invece di tornare a Malmö, mi fermavo a casa di uno dei due. Eravamo praticamente divenuti inseparabili, anche se con George il legame era differente, visto che aveva anche scoperto la mia vera identità. In Francia, infatti, avevo lasciato la porta della camera d'albergo aperta e l'inglese era entrato nell'esatto istante in cui avevo liberato i capelli dalla tortura della parrucca. Avevo temuto il peggio, ma, in realtà, George era scoppiato a ridere e mi aveva battuto il cinque. «Ci voleva un pilota donna in Formula 1, sei grandiosa!» . Erano state queste le sue parole. Mi aveva giurato che non avrebbe riferito a nessuno il mio segreto e così era stato. Potevo fidarmi di lui e lui di me. Per quanto riguardava Pierre, invece, aveva ascoltato il mio consiglio e si era allontanato da me, ossia da Theo, avvicinandosi maggiormente ad Ann. Be', neanche quello era un bene, ma era pur sempre meglio del mio alter ego maschile. Lo avevo visto solo di sfuggita e non aveva più il suo solito sorriso contagioso stampato sul viso. Mi sentivo tremendamente in colpa. «Dai, ora mostriamo a tutti chi sono i piloti più stilosi di tutto il Paddock». Ridacchiai e lo assecondai. Era il suo modo, piuttosto particolare devo ammettere, di tirarmi su il morale. Mi circondò le spalle con un braccio e ci incamminammo. Ogni tanto ci fermavamo per firmare qualche autografo o scattare qualche fotografia. Ad un tratto, nel voltarmi, vidi dinanzi a me Charles. Gli sorrisi e mi avvicinai a salutarlo, ma lui mi sembrava piuttosto freddo.
«Ehi, Charles! Come va?». Cercai di instaurare una conversazione, ma lui non mi sembrava affatto propenso.
«Sei serio, Theodor? Ci stai evitando da quasi quattro mesi ed ora te ne esci con "Ehi, Charles! Come va?" ?». Non ne avevo combinata una giusta.
«Non vi sto evitando». Non era del tutto una bugia.
«Hai ragione, stai evitando Pierre e non mi sembra corretto nei suoi confronti. Non ti ha fatto nulla». Incrociò le braccia al petto.
«Esatto, lui non mi ha fatto nulla, ma io a lui sì». Dissi semplicemente, ma lui non mi comprese. Non mi spiegai, non avrebbe capito. «Mi dispiace di tutto Charles, ma fidati, è meglio così. Non ho nulla contro di voi, davvero, siete fantastici ed è per questo che è meglio che io vi stia lontano». Alzò un sopracciglio.
«E perché, invece, con George non ci sono problemi?». Con un cenno della testa indicò l'inglese che si trovava a pochi metri da noi. Mi voltai a guardarlo.
«Lui non può essere ferito». Alzò le braccia in un gesto di esasperazione.
«Perché dovremmo essere feriti? Non capisco!». Quasi urlò.
«Perché non sono una bella persona Charles, lo capisci o no? Non sono ciò che sembro ed è meglio che voi stiate lontani da me». Sbottai. «Ora è meglio che vada». Feci per andarmene, ma mi trattenne per un braccio.
«Invece di fuggire dovresti affrontare la realtà». Disse, prima di lasciarmi andare e di avviarsi verso il box della Ferrari.
«Diamine, la Ferrari deve proprio fare male». Se ne uscì George, facendomi sobbalzare. «E fa male pure a te. Andiamo, prima che tu muoia di crepacuore». Entrammo in Pit Lane e ci avvicinammo ai nostri box. «Quando sarà confermato il tutto?». Mi domandò ed io scossi le spalle.
«Immagino durante la pausa estiva. Sai com'è Helmut, non è un tipo loquace, non mi ha dato molte spiegazioni». Risposi semplicemente.
«E neanche simpatico, a dir la verità». Trattenne una risata. «Comunque sono felicissimo per te!». Mi abbracciò. «Meriti davvero questa opportunità. Hai lavorato sodo ed i tuoi sforzi sono stati ripagati». Gli sorrisi e ricambiai l'abbraccio. Con la coda dell'occhio vidi Pierre, che ci guardava con espressione indifferente ed insofferente. Sospirai. «Ora è meglio che io vada. Spacca tutto!». Lo ringraziai.
«Anche tu!». Mi fece un occhiolino e corse verso il box della Williams.
«Theo, finalmente sei qui». Mi chiamò Franz. «Corri a cambiarti, la tua monoposto non si muoverà certamente da sola». Obbedii e mi avviai verso la stanza dedicata a noi piloti. Indossai la mia tuta e la balaclava. Prima di entrare nella vettura, infilai anche il casco ed i guanti.
«Sei pronto, Theo?». Risposi affermativamente e Pierre, il mio ingegnere, mi disse di scendere in pista. «Ricorda, i test aerodinamici saranno effettuati sulla tua monoposto, mentre Daniil verificherà il bilanciamento e la performance delle gomme». Non risposi. Inspirai ed espirai profondamente ed uscii dai box. Dopo un out lap, ebbe inizio la mia sessione di prove libere. Faceva molto caldo e ciò non giovava a me e neanche alle gomme. Il bilanciamento non era dei migliori ed anche per l'aerodinamica si poteva fare di più. Rimediai solamente una quindicesima posizione ed un leggero contatto in pista con Max che aveva danneggiato il fondo. Il fine settimana si prospettava magnifico. Scesi dalla vettura e sfilai il casco e la balaclava. Abbassai la tuta, rimanendo in maglietta termica, afferrai gli integratori ipertonici e mi avviai per la Pit-lane.
«Biondino!». Urlò Lando, prima di affiancarmi. Risi.
«Ehi». Battemmo il pugno.
«Pronto per le interviste?». Scossi la testa.
«Le odio, lo sai». Sorrise ed annuì.
«Cercavo di sdrammatizzare». Si guardò intorno. «Eccoli lì, è meglio se ci avviciniamo noi». Facemmo come aveva suggerito. Si allontanò da me ed io mi avviai verso un gruppo di giornalisti e ben presto fui raggiunta da Amélie. Non so ancora da dove fosse sbucata. Mentre camminavo, però, affiancai Pierre, che era stato intervistato dalla televisione francese.
«Sei a conoscenza delle voci che dicono che Theodor Karlsson sia vicino alla Red Bull? Cosa ne pensi?». Mostrò un sorriso malizioso e si sistemò un ciuffo di capelli.
«Sì, ho sentito. Non credo, però, che meriti il sedile più di me. Non ha fatto nulla di speciale, d'altronde, e non mi sembra affatto un fuoriclasse». La mia discreta conoscenza del francese mi aveva permesso di capire le sue parole. Sentii il mondo crollarmi addosso e non fui capace di trattenere le lacrime. Corsi via, colpendo uno dei giornalisti ed attirando l'attenzione del francese, che mi chiamò. Era ormai troppo tardi, non volevo più né vederlo né sentirlo. Era quello ciò che pensava di me. Non ero un fuoriclasse, ero come tutti gli altri e non meritavo il sedile Red Bull.
«Theo, per favore, aspetta!». Lo sentii urlare, ma non avevo intenzione di fermarmi. Continuai a correre, finendo, però, contro qualcuno.
«Ehi, Dor, che succede?». Era George che stava parlando. «Perché stai scappando e perché Pierre ti sta seguendo?». Alzai gli occhi e notò le mie lacrime. Mi strinse a sé. «Credo sia meglio che tu te ne vada». Disse l'inglese, non appena il pilota francese della scuderia austriaca si avvicinò.
«Devo parlargli». Era agitato, lo comprendevo dalla voce.
«Lo hai già fatto ed hai combinato un casino. È meglio che chiudi la tua bocca e ritorni da dove sei venuto». George mi accompagnò verso il box della Williams, lasciando il francese da solo con i suoi pensieri. Lo sentii lanciare il cappellino a terra, in un gesto di rabbia.
«Mi odia». Mi sedetti su uno sgabello. «Io...». Mi misi le mani tra i capelli. «Sono stata una stupida. E sono anche una bugiarda. Credo dovrei abbandonare tutto». George si piegò leggermente sulle gambe, così che potesse guardarmi negli occhi.
«Ehi...». Posò una mano sulla mia guancia, per asciugarmi le lacrime. «Non dirlo nemmeno per scherzo. Tu meriti di stare qui in Formula 1. Non lo dico perché sei mia amica. Tu hai talento e lo stai dimostrando, anche se in un modo piuttosto... particolare, ecco». Fissai i miei occhi azzurri nei tuoi ed abbozzai un leggero sorriso.
«Lo pensi davvero?». Domandai e lui annuì.
«Lo penso davvero». Mi sorrise ed inclinò leggermente la testa, per guardarmi meglio. Lo vidi avvicinarsi a me e, quando meno me lo aspettavo, fece scontrare le nostre labbra. Era dolce, ma non passionale e bisognoso come quello con Pierre. George era il ragazzo migliore che si potesse mai desiderare, ma non mi faceva sentire come il francese. George non era Pierre.
«Cosa...?». Ci voltammo di scatto e davanti a noi c'era proprio il francese, che ci guardava con occhi spalancati. Era ferito. Iniziò ad allargare il collo della maglietta, come se lo stesse strozzando, e scappò via, esattamente come avevo fatto io in precedenza. Non poteva andare peggio di così.
Angolo autrice
Sì, ho deciso di pubblicare due volte oggi, per farmi perdonare della lunga attesa. Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti.
Kisses,
~Aury💞
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