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Chapitre 23

«Ottimo lavoro, Theo». Mi riferì Stephan, dopo il mio allenamento mattutino del pre-gara. Gli sorrisi e mi avviai verso il mio ingegnere di pista, Pierre, che si trovava al fianco della mia monoposto.

«Sei pronto?». Mi domandò, mentre aggiustava i suoi occhiali.

«Sono nato pronto». Esclamai, per poi voltarmi verso la mia addetta stampa. «Noi ci vediamo dopo la gara per le interviste«. Annuì e, dopo che ebbi salutato anche il mio preparatore atletico, i due si avviarono verso i box.

«Ehi Theo». Udii la voce squillante di Lando giungermi alle orecchie. Mi voltai a guardarlo e mi sorrise. «Buona fortuna per la gara».

«Anche a te». Ci stringemmo la mano e ritornò alla sua postazione, la nona. Ci eravamo già incontrati per il Paddock, anche quando guidavo in Formula 3, ma non avevamo mai parlato. Mi guardai attorno e mi soffermai dapprima su Daniel, dinanzi a me, che mi fece un occhiolino in segno di sfida, e poi su Pierre, nella postazione dietro Grosjean, la tredicesima, che spostò lo sguardo verso la sua monoposto. Non vi prestai attenzione ed entrai nel mio abitacolo, attendendo con ansia il giro di ricognizione. L'orologio segnò le 17:10 e Charles partì, iniziando a riscaldare le gomme. Respirai profondamente, per rilassarmi. Quando giungemmo alle nostre postazioni, sentii il mio cuore battere all'impazzata. Dovevo dare il meglio di me. Cinque. Quattro. Tre. Due. Uno. Il semaforo divenne verde e partimmo, ma la mia non fu affatto una buona partenza, tanto che persi qualche posizione all'inizio. «Cazzo!». Imprecai, infastidita. C'era sempre qualcosa che non andava o nella mia monoposto o nella mia guida. E non riuscivo a comprenderne il motivo. Sospirai e cercai di svuotare la mia mente. Dovevo calmarmi. La gara era molto lunga e la possibilità di rimontare era sempre molto alta. L'importante era non farsi prendere dall'ansia e dal panico. Al nono giro, dopo aver rimontato, mi ritrovai davanti il trenino composto da Norris, Magnussen, Gasly e dietro di me Kvyat. Lottavamo tutti per la nona e per la decima posizione. Mi apprestavo a superare il francese, quando rientrò nei box, privandomi della possibilità di batterlo in pista. Sarebbe stato sicuramente per la volta successiva. Per quanto Pierre potesse piacermi, eravamo pur sempre rivali ed io desideravo mostrare di essere brava e di meritare un sedile in Red Bull. D'altronde ero arrivata in Formula 1 per primeggiare, certamente non per rimanere ancorata in una scuderia di secondo livello. Avevo lavorato sodo e continuavo a farlo. Ben presto fui richiamata anche io per il mio pit-stop. Non ero d'accordo, volevo allungare su coloro che erano già rientrati, ma decisi di obbedire. L'ultima cosa che volevo era quella di essere cacciata perché non ascoltavo gli ordini. Per mia fortuna fu breve e ben presto ritornai in pista. 

«Contatto tra Kvyat e Giovinazzi». Mi avvertì il mio ingegnere. 

«Sta bene?». Domandai.

«Sì, si è solo girato ed ora sta rientrando nei box». Rispose. «Crediamo che la sua gara sia compromessa, quindi Theo cerca di dare il meglio di te». “Lo avrei fatto ugualmente”, pensai. 

 «Chi di quelli davanti a me deve ancora effettuare il pit-stop?». Non volevo usurare troppo le gomme.

 «Magnussen, Stroll e Giovinazzi. Subito avanti a loro c'è Gasly». Ringraziai ed iniziai ad avvicinarmi all'italiano, ma non ebbi il bisogno di superarlo, in quanto rientrò subito, forse per l'incidente con il mio compagno di scuderia. Avevo un po' di strada libera e questo mi avrebbe aiutato a portare le gomme in temperatura. «Theo, sei nono, di poco dietro a Gasly». Mi aggiornò. Ciò significava che i piloti dinanzi a me erano rientrati. Tirai un sospiro. Dovevo rimanere concentrata. Avendo montato le bianche, potevo terminare la gara con un solo cambio. Dovevo solo attuare un'ottima gestione gomme. Decisi, perciò, di non spingere, ma di mantenere un ritmo costante, che mi permettesse di avvicinarmi al francese, ma non ne causasse la prematura usura. 

«Quanto è il mio distacco?». Domandai, ma non giunse risposta. «Pierre? Quanto è il mio distacco?». Non mi sentiva e questo non era certamente un buon segnale. La mia radio non funzionava. Potevo farcela. Anche senza aiuto da parte del mio box, potevo portare a casa quel risultato che avevo costruito. Eravamo al quarantacinquesimo giro, quasi alla fine della gara, e mi ero ormai avvicinata a Pierre. Dovevo provare a superarlo, viste soprattutto le difficoltà da lui riscontrate per tutto il fine settimana. Mi feci vedere negli specchietti e lui iniziò a spingere. Il DRS, però, mi aiutava ed ero sotto il secondo. Mi lasciò lo spazio nell'interno, ma quando provai ad infilarmi, mi chiuse. Allora ne approfittai per superarlo verso l'esterno e vi sarei anche riuscita, se non mi avesse stretto e non ci fosse stato quel contatto che mi fece perdere, anche se per pochi istanti, il controllo della monoposto. «Ma è pazzo». Urlai. Sentivo qualcosa non funzionare, forse un pezzo di ala si era staccato. «Non posso rientrare. Non è pericoloso, posso continuare». Questa era la situazione che volevo evitare. Non potevo immaginare che Pierre mi avrebbe stretto in quel modo, rischiando di farmi uscire. La mia prestazione stava, chiaramente, calando e la monoposto era quasi ingestibile. Forse il problema non era solamente all'ala. Mancavano, però, solo tre giri, entrare in quel momento significava perdere dei punti importanti. Strinsi i denti e cercai in tutti i modi di non perdere il controllo della mia vettura. Non posso dire fosse stato facile - soprattutto nelle curve ad alta velocità era difficilissimo non andare lungo -  ma quando tagliai il traguardo mi sentii estremamente realizzata.  Andai nella postazione del nono posto e parcheggiai. Scesi dalla monoposto e, dopo aver tolto il volante, mi sfilai il casco e la balaclava, sistemando i capelli biondi. Mi avviai verso il box della mia scuderia e, durante il tragitto, incrociai il pilota monegasco. 

«Complimenti Charles, hai condotto una gara fantastica». Gli sorrisi e lui mi ringraziò, abbracciandomi. 

«Anche tu sei stato bravissimo! Hai saputo gestire una monoposto con un problema all'ala e non è facile. E poi, a quanto ho capito dalle intercettazioni, la tua radio non funzionava». Annuii.

«Ho provato a fare del mio meglio, volevo superare Pierre, ma penso tu abbia saputo cos'è successo«. Sospirai. «Be’, l'importante è che io sia riuscito a portare questi due punti a casa. I miei primi punti da pilota di Formula 1».

«Goditeli tutti! E prova a parlare con Pierre, non penso cercasse il contatto». Fece spallucce lui.

«Me lo auguro, altrimenti non ci impiego molto a ricambiargli il favore». Scherzai e Charles rise. «Ora vai a goderti il podio!». Gli diedi una pacca sulla spalla e lui mi salutò con un gesto della mano. Continuai a camminare e mi ritrovai dinanzi al box della Toro Rosso. Vi entrai ed il mio ingegnere si avvicinò a me. 

«Theo! Sei stato sensazionale, ottimo lavoro». Lo ringraziai.

«Ho solo cercato la soluzione migliore per me e per la squadra e per fortuna ha ripagato«. Mi sorrise. «Vado a cambiarmi e torno. Ho delle interviste da fare». Annuì ed entrai nella stanza dedicata a noi piloti. Mi sfilai la maglietta termica, dando le spalle alla porta, e proprio in quel momento qualcuno entrò. 

Pierre's P.O.V.

Dovevo chiedere scusa a Theo, il mio ultimo intento era quello di compromettere la sua gara. Mi avviai verso il suo box e, dopo aver salutato alcuni degli ingegneri, entrai nella stanza in cui ero certo di trovarlo. Quando aprii la porta, però, mi resi conto di aver scelto il momento meno opportuno. Era di spalle e si stava cambiando. Vidi solo la sua schiena nuda, prima di voltarmi. E non seppi neanche bene il motivo per cui lo feci. 

«Scusa Theo, avrei dovuto bussare». Dissi. 

«Non preoccuparti. Puoi guardare, sono vestito». Ridacchiò, anche se potei udire una punta di imbarazzo nella sua voce. Obbedii. Stava sistemando la tuta nella busta. «Come mai qui? Nostalgia di casa?». Mi prese in giro, con un tono leggermente acido. Doveva essere arrabbiato con me e non ne aveva tutti i torti. 

«No, volevo chiederti scusa. Non era mio intento-». Non mi fece terminare.

«È da stamattina che sei strano, Pierre. Non mi stupirebbe se ce l'avessi con me perché sono andato meglio di te in qualifica». Alzai un sopracciglio.

«Spero tu stia scherzando». Mi innervosii. «Non sono quel tipo di persona e non mi piace che tu insinui ciò». Mi avvicinai pericolosamente a lui. «Ero semplicemente pensieroso, mi stavo concentrando per la gara e poi mi risulta che stamattina tu abbia preferito scambiare occhiolini con Daniel e saluti con Lando, piuttosto che venire a parlare con me». Dissi, senza pensare, ma quando mi resi conto delle mie parole, avrei preferito sotterrarmi. Lo vidi sorridere e, stavolta, ad avvicinarsi fu lui. 

«Ah, allora è questo il problema? La gelosia, Gasly?». Mi girò intorno, prima di fermarsi dinanzi a me, a pochi centimetri dal mio viso. 

«Da quanto tempo conosci Norris?». Domandai, senza rispondere alla sua domanda direttamente.

«Ci eravamo già incontrati in qualche gara in Formula 3, oggi è stata la prima volta che abbiamo parlato». Roteai gli occhi. 

«Poteva anche risparmiarselo». Sussurrai, ma lui sentì ugualmente. 

«Davvero Gasly? E per quale motivo?». Continuò a sfidarmi. Mi irritava tremendamente. Avvicinai le mie labbra al suo orecchio e lo sentii rabbrividire.

«Non ti conviene sfidarmi, Theo, perché non mi piace perdere». Ingoiò la saliva. Mi allontanai, soddisfatto. «Ci vediamo». Gli feci l'occhiolino ed uscii dal box. Era tutto così sbagliato, eppure sembrava tutto così giusto. 

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