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Chapitre 20

Ancora una posizione pessima, la diciassettesima. Non riuscivo a capire quale fosse il problema, facevo del mio meglio ma non ottenevo i risultati. Sapevo che erano solo le prove libere, ma avrei voluto ottenere ugualmente un tempo rassicurante, invece di 1:31.679. Ero due secondi più lenta di Charles! Sapevo che i motori erano differenti, ma il mio compagno di scuderia riusciva ad essere più veloce di me. Scesi dalla monoposto e mi diressi verso la sala dedicata a noi piloti. Julie mi seguì.

«Ehi». Mi disse semplicemente, mentre io mi circondavo il collo con un asciugamano. «Sono sicura che andrai meglio nelle qualifiche». Feci spallucce.

«È più dura di quanto pensassi». Mi sedetti su uno dei divanetti, coprendomi il volto con le mani. «Ed i pensieri che mi affollano la mente non mi aiutano affatto».

«Non penso fossi l'unica». Mi pose una mano sulla spalla.

«A chi ti riferisci?». Alzai lo sguardo verso di lei, attendendo una risposta.

«A Pierre, ovviamente». Roteò gli occhi, per poi ridacchiare. «Neanche lui ha ottenuto una buona posizione, considerando la vettura che guida». Si sedette al mio fianco. «Dovete parlare, questa situazione non fa bene a nessuno dei due». Annuii. «Vi fate solamente del male».

«Hai ragione, dobbiamo chiarire». Mi alzai di scatto. «Andrò da lui». Mi sorrise e mi spinse dolcemente con la mano, per incitarmi. Le lasciai un bacio sulla guancia e mi allontanai, incamminandomi verso il box della scuderia austriaca. Vidi all'esterno Pierre e mi stavo incamminando verso di lui, quando dei giornalisti mi circondarono, coprendomi la visuale. Cercai di mantenere la calma. Risposi frettolosamente alle domande e, quando finalmente mi liberai, il francese era scomparso. Iniziai a guardarmi intorno, ma sembrava si fosse volatilizzato. Scorsi, però, Max, che usciva dal suo box, in compagnia di Charles. Mi avvicinai a loro, sperando sapessero dove si era diretto.

«Ciao ragazzi». Sorrisi nervosamente, ma loro sembrarono non accorgersene.

«Ciao, Theo». Dissero contemporaneamente, per poi scoppiare a ridere subito dopo. «Possiamo esserti d'aiuto? Sembri andare di fretta». Disse Max. Mi grattai la testa.

«Ehm... sì, sto cercando Pierre. L'avete visto?». Charles scosse la testa, probabilmente era arrivato da poco tempo.

«L'ho visto incamminarsi verso il Motorhome della Red Bull. Era un po' sovrappensiero in realtà, prima gli parlavo ma non mi ascoltava affatto». Mi circondò le spalle con il braccio. «Sai se è successo qualcosa?». Scossi la testa in diniego. «Prova a parlargli, magari ti ascolta». Propose Charles.

«Sei l'unico che realmente ascolti». Continuò Max. Lo guardai sorpresa e lui lo notò. «Davvero non te ne sei reso conto?».

«Credo che lui si comporti con me come con voi». Il monegasco ridacchiò ed io non compresi.

«Vivi proprio sulle nuvole, allora». Ribatté lui. «Pierre è un tipo socievole, ma molto riservato, quando sta attraversando un momento di difficoltà non vuole parlare con nessuno. Neanche con me e ci conosciamo da molto tempo. Se non ricordo male, Max mi ha riferito che il giorno stesso delle qualifiche in Australia, che non erano state positive per lui, ha accettato di allenarsi con te, per sfogarsi. E poi ieri l'ho visto entrare di corsa nel tuo box, lo stavo cercando ed ho assistito alla scena. Pierre dopo le prove libere si stende sul divanetto nella saletta o va a mangiare nel Motorhome, non vuole essere minimamente disturbato. Lui sente di potersi fidare di te, c'è un rapporto tra voi che non esiste e non potrà mai esistere tra me e lui. È stato qualcosa di automatico, è iniziato tutto in Australia, quando ti ha rivolto per primo la parola. Anche se estroverso, Pierre ha bisogno di almeno qualche giorno prima di avvicinarsi ad una persona e con te non ha avuto questo problema. Anzi, avete legato fin da subito». Max annuì.

«Con noi non parlerà e se non dovesse farlo neanche con te, la questione sarebbe seria». Continuò l'olandese. «È meglio se vai da lui». Scossi la testa ripetutamente, pensando, e feci per andarmene, quando mi fermò. «Sappiamo che lo stesso vale anche per te e non è nulla di cui ti devi vergognare». Acconsentii, sebbene non avessi compreso bene il significato delle sue parole. Cosa intendeva dire con “non è nulla di cui ti devi vergognare”? Decisi di non pensarci, glielo avrei chiesto poi in separata sede. Lasciai un messaggio a Julie, in cui la avvertivo che stavo andando al Motorhome e che quindi probabilmente ci avrei impiegato un po' per tornare. Alzai lo sguardo e vidi innanzi a me l'edificio. Tirai un sospiro e vi entrai. Non ci fu bisogno di mostrare il pass, mi fecero accedere senza alcun problema. Iniziai a cercare con lo sguardo Pierre, ma non lo vedevo da nessuna parte. Stavo per perdere le speranze, quando notai una chioma bionda in un angolino della sala, nascosto da occhi indiscreti. Mi feci coraggio e mi incamminai verso di lui, cercando di non fare troppo rumore, ma neanche di farlo morire di crepacuore. Quando fui abbastanza vicina, mi fermai.

«Theo, che ci fai qui?». Disse, senza nemmeno voltarsi. Spalancai gli occhi, come aveva fatto a capire che fossi io?

«Come è possibile che tu sapessi chi c'era dietro di te?». Mi mostrai, non rispondendo alla sua domanda, bensì ponendone un'altra.

«Dal rumore dei tuoi passi». Ero confusa e sorpresa allo stesso tempo. Mi fece cenno con la testa di sedermi davanti a lui. «Hai il passo veloce, il parquet lo evidenzia e poi quando poggi il piede per terra con il tallone lo trascini ed il rumore rimbomba. Soprattutto quando sei in silenzio e ti concentri sui suoni che ti circondano». Aveva notato molte più cose di quante io stessa avessi mai scorto. «Lo fa anche tua sorella, è una coincidenza strana ed incredibile allo stesso tempo». Terminò lui. «Che ci fai qui?». Ripropose lui la stessa domanda, sempre con tono dolce, come al suo solito.

«Volevo parlarti». Dissi semplicemente e lui pose i gomiti sul tavolo e si sporse leggermente verso di me.

«Dimmi tutto». Scossi la testa ripetutamente in un gesto nervoso, cercando le parole da usare.

«È da stamattina che ti comporti in modo strano, non l'ho notato solo io, ma anche Julie, Charles e Max. Sono... volevo dire siamo preoccupati per te. Che sta succedendo?». Pierre sospirò e si passò una mano sul volto.

«È difficile da spiegare, Theo». Appoggiò nuovamente la schiena al divanetto. «Ed è anche un po' imbarazzante, a dir la verità». Fissò il suo sguardo nel mio. «Preferirei non parlarne». Annuii e feci per alzarmi, ma lui mi fermò per il braccio. «Rimani». Sembrava quasi una supplica ed allora acconsentii. «Posso dirti solo una cosa». Riprese dopo un po'. «Non mi capisco, sono finito in una situazione scomoda in cui credevo non mi sarei mai ritrovato. È come se qualcosa fosse cambiato o semplicemente quello che credevo non riguardasse me, be’, adesso mi coinvolge». Scosse la testa, con un sorriso amareggiato. «Non starai capendo nulla, ma non posso parlarne. Non ora, non prima di aver messo in chiaro le mie idee».

«Pierre...». Lui mi guardò. «Io non so cosa ti stia affliggendo, ma penso che sia una questione importante, almeno per te. Purtroppo la vita è inaspettata e ti pone sempre dinanzi a delle decisioni e a delle difficoltà. Ribadisco, non so quali siano le tue, ma cerca di seguire l'istinto, pensa a stare bene tu».

«E se entrambe le opzioni mi facessero stare bene, ma in modo differente?». Domandò lui.

«Pierre, ci deve per forza essere qualcosa che ti fa sentire meglio». Misi una mano sulla sua appoggiata sul tavolino e lui la sfiorò con il pollice, per poi ritornare a guardarmi. «E lo potrai capire solamente affrontando la situazione e non isolandoti o scappando. Perché devi capire che la lotta non è fuori, a cui puoi sfuggire, ma è dentro di te. Potrai anche cambiare Paese, parlare un'altra lingua, vestirti in modo differente, quel problema ti perseguiterà per sempre». Mi sorrise timidamente.

«Come fai a dire sempre le cose giuste al momento giusto?». Feci spallucce.

«Penso mi venga naturale, soprattutto con le persone a cui tengo». Mi alzai e lui mi imitò, proprio come la mattinata precedente al bar. «Ora andiamo dagli altri, erano tutti preoccupati per te». Annuì e ci incamminammo verso l'uscita del Motorhome. Una volta fuori, qualcuno si appoggiò a me, ponendo un braccio sulla mia spalla.

«Vi abbiamo trovati finalmente». Mi voltai ed era Charles. Scossi la testa divertita. Mi fece un occhiolino, come per ricordarmi il fatto di aver avuto ragione. Ridacchiai. Pierre ci guardava confuso e forse anche un po' infastidito, mentre Max ci osservava e rideva sotto i baffi. Lo fulminai con lo sguardo, ma questo lo fece solo scoppiare a ridere sonoramente.

«Perché ridi?». Domandò il francese.

«Niente niente, amico. Theo ha qualcosa tra i denti». Allarmata, afferrai il cellulare per controllare.

«Ma non è vero, non avev-». Pierre non potette terminare, che l'olandese lo tirò via, salutandoci con un gesto della mano. Il primo mi rivolse uno sguardo ed un sorriso, per poi voltarsi verso il suo compagno di scuderia.

«Vedo che ha funzionato». Annuii, senza spostare lo sguardo dai due dinanzi ai miei occhi. Si voltò a guardarmi con un'espressione più seria sul volto. «Pierre deve capire che può accadere e che non c'è nulla di male».

«Cosa intendi?». Domandai.

«Che deve imparare a seguire il suo cuore e non la ragione». Mi lasciò così, senza darmi una vera e propria risposta. Forse, però, la risposta alla mia domanda io l'avevo già.

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