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(R) CAPITOLO 4: Prescelta




"Katherine Forrest, venga avanti!" esclamò spazientita la Reggente O'Connor.

Cos'era quello? Uno scherzo? Sarebbe stato umiliante, ma lo avrei preferito al diventare Prescelta. Guardai i miei coetanei, perplessi quasi quanto me. Vidi il volto di Elsa verde di invidia. Gli occhi di Christopher mi fissavano con un misto di curiosità e rancore. Jasmine sembrava disorientata, ma mai quanto me.

Scrutai mio padre e vidi il suo bel viso turbato. Mi chiesi se dopotutto May non avesse avuto veramente ragione, se ciò che mi aveva raccontato fosse in fondo la verità.

Quando la ragazza al mio fianco mi rifilò una seconda gomitata, mi resi conto veramente della situazione in cui mi trovavo. Imbarazzo, paura, stupore mi travolsero tutte insieme, soffocandomi. Tirai fuori tutta la forza di cui ero capace e con spalle dritte e mento in su avanzai sotto gli occhi di tutti. Non avevo idea di come potessi apparire all'esterno, però di certo all'interno stavo per esplodere.

L'unica cosa che riuscivo a fare era sperare si trattasse solo di un madornale errore, ma nessuno mi fermò ed arrivai sotto il Salice. Sally era decisamente contrariata, più rigida che mai e con i suoi occhi identici a quelli del figlio Chris che mi stavano tagliuzzando a fettine. Quando le strinsi la mano, rispose distaccata, tutto il corpo in tensione. Avrei voluto buttarmi tra le braccai di mio padre, per trovare conforto nel suo abbraccio, ma sapevo di non potere, sarebbe stato scandaloso. Così mi limitai a guardarlo disperata, in una muta richiesta di aiuto, ma con orrore notai che sfuggiva il mio sguardo. Lo conoscevo, mi stava nascondendo qualcosa. In un sussurro allora gli dissi: "Dobbiamo parlare."

Quando lui annuì lasciai la sua mano e terminai il giro dei saluti. Nessuno mi fece i complimenti, perché tutti troppo sconvolti, il che era un bene considerato che ero troppo scombussolata anche io per essere in grado di ringraziarli. Mi limitai a stringere la mano a tutti e a pormi a fianco dei miei futuri compagni di Viaggio.

Mi sentivo mancare l'aria, mi sembrava che tutti guardassero solo me e la mia mente senza controllo iniziò a immaginare cosa potevano dire. Avranno pensato che avessi barato, che non mi meritavo quell'onore, che al mio confronto chiunque sarebbe stato una scelta migliore. Sentivo che, se prima si parlava male di me, da quel giorno sarei stata sulla bocca di tutti pronta per essere criticata. Ero la figlia di un Reggente, non ero mai passata del tutto inosservata, ma io odiavo stare sotto i riflettori. Avrei preferito di gran lunga essere una ragazza normalissima.

Persa nel panico, dovetti mantenere il sangue freddo, perché la cerimonia non era ancora finita. Ci furono altri discorsi dei Reggenti, il giuramento dei giovani a servire il nostro Mondo e a rispettare la sua legge per il benessere comune. Anche io lo recitai, come se fosse un mantra, ma la mia testa era da tutt'altra parte. Infine, l'Albero ci diede l'ultima benedizione, violando tutte le nostre menti con un tono calmo. Ogni volta che sentivo la sua "voce" nella mia mente avevo i brividi, avevo paura che ci leggesse nella mente, anche se ci spiegavano fin da piccoli che non era così. Lo speravo per davvero perché non ero mai stata più rabbiosa come in quel momento nei suoi confronti: era stato lui a mettermi in quella situazione.

Terminata la cerimonia, venimmo condotti fuori dai dorati cancelli del Giardino della Maxas per essere presentati a tutta la Città. Non feci neppure caso alla reazione del popolo, perché i miei occhi erano puntati su una figura minuta e piegata dalla vecchiaia.

May.

Mi guardava insistentemente e, quando si accorse che l'avevo vista, mi rivolse un sorriso enigmatico. Avrei voluto correre da lei e riempirla di domande per avere spiegazioni, ormai sempre più spaventata che avesse detto la verità la sera prima, ma venimmo condotti via, per essere portati in quella che sarebbe stata la nostra nuova casa per un po' di tempo: il Palazzo Cittadino.

Ho ricordi piuttosto confusi di quei momenti: mi muovevo come in trance e non riuscivo più a pensare lucidamente. Ciò che mi accadeva intorno era sfocato e riuscivo a pensare solamente a quanto avrei voluto scappare via. Non mi guardai neppure intorno quando entrai nel bellissimo palazzo, seguii gli altri come se fossi in coma, annuivo quando gli altri annuivano, fingevo di ascoltare quando gli altri parlavano. Feci tutto come se fossi un automa, mentre la mia testa era rimasta al cospetto dell'Albero, fissando le eleganti lettere che formavano il mio nome in aria.

Ad un certo punto mi ritrovai in una camera da sola. Nella mia camera. Non me n'ero quasi accorta...

Mi sedetti lentamente sul letto, un po' tremante. Stetti lì per qualche secondo fissando il vuoto, poi mi lasciai sprofondare tra le morbide lenzuola, fissando dritto sopra di me.

Mi sfuggì un gemito. "Che cosa è appena successo?" mormorai sconsolata. Rimasi bloccata in quella posizione per un po', rilassando piano piano tutti i muscoli irrigiditi, prendendo grossi respiri. Se mi fossi lasciata prendere dal panico non avrei concluso nulla, dovevo tornare calma e usare la ragione.

Non avevo la minima idea del perché fossi diventata una dei Sei, ma a meno che l'Albero non avesse ritrattato da un momento all'altro, un motivo ci doveva essere. Tutti i miei timori si erano avverati ed io ero finita dentro la situazione più assurda che potessi mai immaginare. Mi sentivo sperduta, ma sapevo anche che se avessi mollato proprio in quel momento sarebbe stata un'apocalisse. Una tragedia. Un disastro totale.

Mi concentrai dunque sul presente e ricordai vagamente che tra le mille cose che avevano detto mio padre e Sally O'Connor ci fosse l'avviso che una cameriera ci avrebbe portato il pranzo in camera. Realizzai che sarebbe arrivata da un momento all'altro e io non mi ero neppure guardata intorno per vedere com'era la mia camera. Svogliata mi alzai dal letto, consapevole che mi sarei dovuta dare una sistemata, così fiaccamente mi avvicinai alla bellissima specchiera che mi stava davanti. Assomigliava tantissimo a quella che avevo nella mia vera camera. Il mio riflesso ricambiò lo sguardo allucinato,e mi passai una mano sui capelli che mi si erano spettinati quando mi ero sdraiata. Almeno non avevo pianto, quindi il trucco non era sciupato.

Curiosa iniziai ad esplorare la mia nuova residenza. Iniziai dal bagno che si rivelò il sogno di ogni donna: lussuoso e ampio, era dotato di una grande vasca idromassaggio e uno specchio rivestiva interamente la parete opposta. Trovai un set di trucchi fornitissimo e ogni oggetto utile per la toeletta. Il bagno che avevo sempre sognato. Poteva essere un caso?

Al volo mi spazzolai i capelli e cercai di togliere le pieghe al vestito sgualcito, sfruttando per bene l'enorme parete riflettente. Quando ritornai nella camera, mi resi conto che effettivamente no, non doveva essere un caso: un letto a baldacchino troneggiava al centro della stanza, mentre su una parete c'era una libreria fornitissima di libri. Mi avvicinai e proprio come avevo immaginato c'erano tutti i miei romanzi preferiti nuovi di zecca, nelle loro più belle edizioni. In un angolo notai che c'era anche un proiettore di film. Era chiaro che quella stanza era stata arredata su misura per me.

Era incredibilmente simile alla mia camera da letto nella villa, solo più moderna e lussuosa. Davvero non poteva essere un caso, doveva esserci lo zampino di mio padre. Ma se mio padre aveva fatto tutto questo per me, voleva dire che praticamente già sapeva che sarei diventata una Prescelta. Come poteva essere? Quel mago mi doveva un buon numero di spiegazioni. Dopotutto forse May aveva detto la verità.

Dovevo assolutamente parlare con lui il prima possibile.

Bussarono alla porta.

"Avanti," mormorai, sistemandomi delle ciocche di capelli volanti dietro alle orecchie.

"Buongiorno signorina. Le ho portato il pranzo. Spero che lo gradisca," disse la cameriera mentre entrava spingendo un carrello imbandito. Doveva avere pochi anni più di me ed era molto graziosa, con due profondi occhi color cioccolato e un sorriso molto dolce. Mi risultò subito simpatica.

"Grazie mille. Scommetto che sarà deliziosa. Devo però ammettere di non avere molta fame e non penso che mangerò molto," le risposi con un sorriso cordiale, mentre mi rendevo conto di avere lo stomaco chiuso e un po' di nausea.

"Stia tranquilla, signorina Forrest, può fare assolutamente tutto quello che desidera. Mi è stato raccomandato di avvisarla che fino alle due e mezza ha tempo per riposarsi tranquillamente, ma che per quell'ora dovrà farsi trovare nell'atrio principale," rispose lei con un leggero rossore sulle guance.

"Grazie per l'avviso. E anche per avermi portato il pranzo. Posso sapere il tuo nome?" le domandai con un tono dolce che usavo raramente.

"Emily, signorina."

"Dammi pure del tu, Emily," la esortai con un sorriso incoraggiante.

La ragazza annuì sorridendo e abbassando timidamente gli occhi. Poi con una veloce riverenza se ne andò lasciandomi sola.

In realtà poi mangiai. Quel cibo era talmente squisito che mi fece tornare l'appetito e la golosità prese il sopravvento.

Finito il pranzo ricaddi nella noia. Non sapevo cosa fare e l'inerzia lasciava davvero troppo spazio ai miei pensieri. Mi misi dunque a curiosare dentro gli armadi, dove trovai svariati indumenti di ogni genere: gonne, magliettine, camicette, vestiti da sera, jeans, pantaloni comodi per allenarsi. Mi domandai se avrei mai avuto il tempo di indossare tutto ciò. Decisi di iniziare da subito, non credevo fosse il caso continuare a tenere addosso l'elegante vestitino della cerimonia. Optai per una camicetta leggera a righe bianche e nere, infilata in una semplice gonna nera svasata, e ai piedi comode scarpe di tela bianche. Amaramente constatai che mi calzava tutto a pennello: stranamente vestiti e scarpe erano della misura giusta...

Uno dopo l'altro ispezionai tutti i cassetti dell'armadio, controllai uno per uno i libri presenti nella libreria, trovandone anche di nuovi che mi incuriosivano, e scoprii una scatola piena di film di ogni genere. Chiunque avesse preparato quella camera - palesemente mio padre - aveva fatto in modo che avessi qualsiasi cosa utile per svagarmi. Ma non mi illudevo, sapevo benissimo che il mese che avrei passato al Palazzo prima della partenza non sarebbe stato di certo una passeggiata.

Senza saper che fare per il tempo restante, mi sdraia sul letto, mettendo una sveglia per sicurezza. Era accaduto tutto così in fretta, la mia vita era stata stravolta talmente velocemente che quasi mi stavo dimenticando di quella specie di visione che avevo avuto dopo aver incontrato gli occhi di Chris. Era forse un ricordo? Perché nella mia memoria quell'incontro burrascoso non c'era mai stato. Un dubbio si era acceso nella mia mente: quel vortice da cui ero stata sputata fuori poteva essere il portale intradimensionale che creava il Salice per permettere di passare da un Mondo a un altro? Ero io da piccola quando ero stata portata dalla Terra a Majesten?

Mi sembrava assurdo fare pensieri di quel tipo, ma del resto nelle ultime ore ne erano successe talmente tante di cose inspiegabili che forse dovevo abituarmici.

Ma la vera domanda era: ammettendo che avessi ricordato il momento del mio arrivo a Majesten, che ci faceva un piccolo Chris nel Giardino della Maxas? Per di più era buio, quindi doveva essere notte.

Tra dubbi e paure, pian piano scivolai nel sonno, senza nemmeno accorgermene.

Una leggera brezza mi accarezza delicatamente il corpo. Sono felice, in pace, sdraiata su un prato verde smeraldo con l'erba fresca che mi solletica le gambe nude. Sto ridendo, spensierata, una risata da bambina. Mi giro verso la figura al mio fianco. È una donna giovane e molto bella, lo sguardo colmo di dolcezza tutto rivolto a me. Per me è tutto quella donna, è a lei che devo la mia felicità. L'ascolto mentre mi racconta storie meravigliose, a cui io non posso far altro che credere: per quanto possano sembrare frutto di fantasia, io vedo nei suoi occhi che è sincera quando mi racconta di fate, mondi, alberi magici.

"Kate," mi dice lei.

"Sì, mamma?" rispondo io.

"Ti voglio bene, piccola mia."

"Anche io mamma..."

DRINN DRIIIN DRIIIIIIN.

Mi svegliai di colpo e meccanicamente allungai il braccio per spegnere la sveglia che riempiva con il suo rumore insopportabile l'intera stanza. Cosa stavo sognando? Era un sogno così bello e sentivo che era molto importante per me. Disperatamente cercai di riagguantarne dei frammenti e un po' per volta lo ricostruii. Era forse un ricordo? Quella donna meravigliosa era davvero la mia mamma? Mi scesero due lacrime e mi sentii invadere dalla tristezza. Avevo veramente perduto tutti i ricordi del mio passato? Passato in cui avevo una mamma...

Scossi vigorosamente la testa. Non potevo permettermi di andare di nuovo sulle nuvole, in quel momento dovevo mantenere i piedi ben per terra. Presto avrei avuto tutte le risposte.

Mi risistemai velocemente, aggiustando il mascara che aveva lasciato delle macchie sotto gli occhi, per poi uscire rapidamente dalla camera per raggiungere l'atrio dove avevo l'appuntamento da lì a pochi minuti.

Il Palazzo Cittadino era un posto magnifico, di una bellezza sfarzosa ed avvolgente, curato nei dettagli raffinati e dotato di ogni comodità all'avanguardia. Per quanto fosse antico di secoli, non si rovinava mai grazie a un incantesimo di conservazione potentissimo risalente ai tempi lontani in cui era stata costruita la Città.

Non era la prima volta che vedevo quel posto, in fondo mio padre ci lavorava e io ero andata a trovarlo spesso, ma mi faceva strano pensare che avrei abitato lì per un po' di tempo. Durante quel mese saremmo stati sottoposti a un allenamento intensivo volto a preparaci per quello che avremmo dovuto affrontare durante il Viaggio. Poi, una volta tornati, saremmo diventati ufficialmente Guardiani e per un anno sarebbe stato la nostra casa, oltre che il nostro posto di lavoro.

Per quanto fossi abituata a lussi e comodità, il palazzo era talmente sfarzoso che anche io mi sentii fuori posto in quel luogo. Non ero mai stata in quell'ala del palazzo e così mi ci volle un attimo a perdermi. Come una sciocca mi ritrovai a vagare disperata tra corridoi tra loro praticamente identici e stavo ormai per abbandonare ogni speranza, quando svoltando ad un incrocio di corridoi mi ritrovai davanti Alysha Torn.

Rimasi per un attimo imbambolata fissandola: era la prima volta che mi trovavo tanto vicino a quella ragazza e ne rimasi affascinata. Era davvero bellissima. Sono una ragazza etero, ne sono sicura, ma ciò non toglieva che la sua bellezza fosse mozzafiato. Non mi sorprendeva che in tanti avessero cercato di conquistarla.

"Oh cavolo, mi hai fatto prendere un colpo," scoppiò a ridere lei, dopo essersi portata una mano sul cuore. Io in tutta risposta probabilmente la fissai come una povera idiota. Ecco spiegato perché non avevo amiche.

"Beh, tu devi essere la famosa Katherine Forrest, è un piacere conoscerti! Io sono Alysha Torn!" si presentò la ragazza allungando una mano con un sorriso smagliante.

"Piacere," risposi accennando un timido sorriso, mentre ci stringevamo la mano. Diamine, aveva proprio una presa salda quella ragazza, doveva avere dei muscoli davvero forti.

"Allora... dimmi che tu sai dove ci troviamo e come raggiungere l'atrio, perché mi sono completamente persa!" mi chiese con occhi speranzosi, apparentemente per nulla frenata dalla mia timidezza. Era un uragano quella ragazza.

Sentendomi un po' più a mio agio, risi scuotendo la testa: "Allora siamo davvero nei guai, perché sono disperata quanto te."

"Perfetto, penso di poter dire che questo è davvero un pessimo inizio di questa avventura," disse lei lasciando cadere le spalle in modo scenografico.

Risi di nuovo. "Non dirlo a me, guarda."

Allora decidemmo di scegliere uno dei corridoi e iniziare a percorrerlo.

Il modo in cui si era approcciata la ragazza mi aveva preso di sorpresa, ma mi aveva anche fatto riflettere: non potevo continuare a pensare di cavarmela da sola, forse dopotutto avrei voluto degli amici accanto in questa avventura-disavventura in cui mi ero ritrovata. Non era da me chiedere l'aiuto di altre persone, ma forse dovevo imparare a farlo.

"Beh, allora come hai preso questa cosa? Dell'essere scelta intendo," le domandai a un certo punto, con la sensazione di dover essere io a parlare. Alysha mi rivolse un sorriso imbarazzato e mi rispose: " Non ne ho ancora idea. Di certo non me lo aspettavo. È un grande onore, questo è certo, però... lasciare tutto così, all'improvviso... è tosta, davvero tosta." Poi ammiccandomi, aggiunse: "Tu invece? Immagino che te lo aspettassi."

"Io aspettarmelo?! Stai scherzando? Quando sono stata chiamata ero sicura ci fosse un errore e tutt'ora lo credo!" esclamai sconvolta. Come poteva credere che io me lo aspettassi?

"Katherine, tu sei famosa! Sei una Forrest, sei la miglior studentessa del nostro anno, sei bella, intelligente e determinata. Non sono rimasta per nulla sorpresa per te." Mi spiegò lei spalancando le braccia.

"Davvero pensi queste cose di me?" chiesi in un sussurro. Non sapevo neppure se mi avesse sentito, "Non sono una fata, non controllo la magia. Il fatto che io sia una Forrest aggrava ancora di più questa cosa," spiegai il mio punto di vista, chinando il volto.

Lei mi guardò stupita e disse: "Sono sicura che ti sbagli. Sei stata anche l'ultima scelta, tradizionalmente ciò indica che sei la prima Scelta femmina, in ordine di forza. Io invece che dovrei dire? Non so fare granché con la magia, me la cavo con la spada, ma tutto qui."

"Te la cavi? Tu sei fenomenale con la spada! Ti ho vista una volta a scuola mentre duellavi e ti posso giurare che non ho mai visto nessuno di così portato nella scherma." ribattei io, lodandola. Di solito non ero una che dispensava complimenti, ma stavo sviluppando una vera e propria ammirazione per lei. Era raro trovare qualcuno di così brillante, ma senza l'atteggiamento spocchioso. Nonostante le sue evidenti doti mi stava trattando da pari e amica.

La bruna arrossì. "Grazie," disse semplicemente. "Ma tu Kate - posso chiamarti Kate vero? - sei così sicura di non avere alcun potere? Forse devi solo riuscire a sbloccarti."

"Certo che puoi," balbettai, presa alla sprovvista. Respirai, per poi svelarle: "Comunque credimi, ci ho sperato per tanto tempo, ma ormai mi sembra tardi."

Lei alzò le spalle. Poi, capendo probabilmente di aver toccato un tasto dolente, cambiò discorso: "Cosa ne pensi dei nostri compagni?"

"La coppietta felice, Christopher e Jasmine, mi odia. E io odio loro. Lei è presuntuosa e snob, lui invece è uno schifoso, odioso, insensibile traditore. Non farmici pensare, avrei una lista talmente lunga di insulti riservati a quel Monhar che starei qua ore a elencarli. Però invece stamattina ho avuto il piacere di conoscere Zachary e mi è sembrato un tipo a posto. Unica pecca: è amico di Christpher e il fatto mi mette un po' sulla difensiva. Per quanto riguarda l'altro ragazzo, Oliver, non saprei che dire, sembra un tipo particolare, ma non lo conosco minimamente."

Un po' mi ero sentita in colpa a parlare male di alcuni di loro a lei che non li conosceva, era sparlare gratuitamente, però avevo sentito il bisogno di aprirmi al riguardo. In fondo quella era la mia opinione, non volevo di certo mentire.

"Come mai tutto questo astio nei confronti del figo biondo?" mi domandò con un sorriso malizioso. Mi ci volle un attimo per capire cosa aveva pensato, in fondo lo avevo definito traditore e lei non poteva sapere a cosa mi riferivo, visto che quando era arrivata nella Città noi due avevamo già chiuso il nostro rapporto.

"Oh, nono, sei fuori strada, completamente. Tra me e lui non c'è mai stato nulla... di quel genere. È una storia veramente lunga, diciamo solo che un tempo eravamo molto amici, ma che le cose sono cambiate. Magari un giorno ti spiegherò meglio."

Alysha scoppiò a ridere, definendo incredibilmente buffa la mia faccia vergognosa di quando aveva pensato ci fosse stata una storia tra di noi. Continuammo a parlare fino a raggiungere finalmente il famoso atrio in cui già tutti ci aspettavano. Ero tornata a essere la regina dei ritardi. Tutti, a parte Zac con il suo solito sorriso sereno, ci polverizzarono con lo sguardo. Volevo sprofondare: stavo già iniziando a fare figuracce e non era passato neppure un giorno. Tentai di rimediare alla situazione, trovando una giustificazione.

"Ehm... scusateci per il ritardo, noi... ecco ci siamo perse e non sapevamo come arrivare qui," dissi cercando di assumere un'espressione innocente, sbattendo anche le ciglia. Speravo che quel metodo solitamente infallibile andasse a segno anche quella volta, ma ne rimasi delusa. Nessuno di coloro che avevo dinanzi sembrava disposto ad essere rabbonito, mentre Zac se la rideva sotto i baffi. Probabilmente percepiva tutto il mio imbarazzo e la cosa lo divertiva.

I signori ci squadrarono ancora un paio di secondi con sguardo ammonitorio e senza dire nulla ci fecero cenno di seguirli. Tirai un sospiro di sollievo e scambiai uno sguardo rilassato con Alysha. Forse avevo fatto una pessima prima impressione, ma magari avevo trovato un'amica.

Ci condussero in una sala spaziosa con al centro un grande tavolo. Seduti ai due capitavola c'erano mio padre e Sally. Papà mi accennò un sorriso, ma istintivamente distolsi lo sguardo. Non sapevo più se fidarmi.

Ci invitarono a sederci e io mi ritrovai tra Alysha e Christopher. Lui mi continuava a guardare come se vedesse un fantasma. Cavoli doveva essere rimasto davvero scioccato dal fatto che io fossi stata scelta. Di certo non più traumatizzato di me. Però non avevo la minima intenzione di mostrarmi a disagio in quella situazione, né di essere sempre vittima del mio stesso pessimismo: se ero stata scelta, un motivo doveva pur esserci e, per quanto non fosse la strada che volevo seguire per il mio futuro, non volevo sprecare quell'occasione che il destino mi aveva dato. Avevo tra le mani la concreta possibilità di cambiare la mia vita. Tutto era andato per il verso sbagliato, avrei potuto pensare, ma se in verità fossi tornata sulla strada giusta? Poteva essere l'opportunità per migliorare me stessa, crescere e diventare donna. Inoltre, era da tutta la mia vita che desideravo vivere avventure e il Viaggio rientrava decisamente in quella categoria.

I Reggenti si alzarono in piedi e, con un discorso tanto solenne quanto scontato, ci diedero il benvenuto con complimenti su complimenti. Per tutto il tempo del noioso sermone mio padre cercò di incrociare il mio sguardo, ma io mi sforzai di evitarlo.

Dopo un po' l'argomento trattato divenne più interessante: la signora O'Connor iniziò a spiegarci cosa avremmo dovuto fare da lì in poi.

"Ragazzi miei, capirete che quello a cui vi preparate non è certamente un viaggio di piacere, ma piuttosto una prova per dimostrare chi siete. È un onore, ma soprattutto un onere. Per cui credo che tutti abbiate intuito che vi servirà un buon allenamento prima della partenza. Ogni giorno sarà più duro del precedente. Proverete la vera fatica, vi sentirete distrutti, a pezzi. Forse sarete anche tentati di mollare. Ma non lo farete e alla fine sarete pronti a tutto. Gli allenamenti inizieranno domani e comprenderanno attività fisiche, tecniche di combattimento, utilizzo di poteri magici, lezioni di storia dei Mondi e anche corsi intensivi di galateo e lezioni di danza. Tutto ciò vi servirà sia per affrontare il Viaggio, ma anche per la serata che precederà la vostra partenza. Infatti, come è consuetudine, si terrà un ballo in vostro onore. Saremo noi a decidere come accoppiarvi, quindi non preoccupatevi. Altra cosa fondamentale su cui non transigo: è obbligatorio presentarsi a tutti i pasti negli orari prestabiliti e dovrete essere vestiti in modo elegante e dignitoso. Spero di non dover riprendere nessuno di voi per una simile dimenticanza. Ora prego, seguiteci. Vi guideremo in una visita del palazzo e al più presto faremo in modo di procurarvi una mappa, in modo da rendervi più semplice orientarvi." Finita la spiegazione Sally O'Connor ci fece segno di alzarci e seguirla, mentre mio padre l'affiancava.



Avevo trovato un'altra cosa positiva, in quell'astrusa situazione: il letto. Era di una comodità... morbido e soffice, proprio come piaceva a me. Sarei stata sdraiata su quel materasso per ore, con la testa piacevolmente adagiata sui cuscini persa in chissà quale pianeta sconosciuto e remoto.

Ero appena tornata dal piacevole giro turistico organizzato dalla cara Reggente. Ci aveva mostrato con l'aiuto di mio padre il maestoso Palazzo. Per quanto in parte lo avessi già visto, avevo scoperto un sacco di nuove sale di una bellezza che toglieva il fiato. La più bella a mio parere si era dimostrata essere l'immensa sala da ballo: dal soffitto pendevano splendenti lampadari di cristallo, il pavimento era talmente pulito che ci si poteva specchiare e il tutto riluceva dei colori dell'oro, dell'argento e del rosso cremisi. Il pensiero che tra un mese avrei danzato in quell'ambiente meraviglioso indossando un vestito da favola mi aveva fatta sentire niente meno che una principessa. Per certi versi poteva sembrare quasi di vivere in una fiaba.

Ma era bastato visitare un'ala ben differente per tornare con i piedi per terra: la zona dedicata agli allenamenti. Lì tutta la ricchezza era sparita, sostituita da un'essenziale eleganza. C'erano numerose palestre, ognuna con attrezzature diverse. Avremmo avuto il meglio del meglio. Sarebbe stata la mia fine: non sarei sopravvissuta a tutto quell'allenamento. Ma soprattutto, come avrei fatto senza la magia?

Sentivo il bisogno di dare risposte alle mie domande e per farlo avevo bisogno di mio padre. Guardai l'orologio. Erano le 16.30. La cena sarebbe iniziata alle 19.30 in punto e quindi avrei auto un bel po' di tempo prima a disposizione. Potevo sfruttarlo per riposarmi, oppure per andare da mio padre a esigere risposte. La scelta era scontata. Non riuscivo a trovare riposo, non con tutte le paure e la confusione che regnava nella mia testa. Mi alzai e presi la mappa del Palazzo. Ero determinata, piena di sicurezza e voglia di sapere.

Ero spaventata, indecisa e titubante. Ma che diamine, dove sparisce sempre quella determinazione? Ero arrivata davanti alla porta dell'ufficio di mio padre e non avrei dovuto fare altro che bussare. Eppure esitavo. Non riuscivo a trovare la forza di battere il pugno su quel pezzo di legno. Stetti cinque minuti buoni là davanti, come un'ameba, pensando miliardi di possibili discorsi da fare, anche se sapevo benissimo che in verità non sarei riuscita a fare nessuno di quei monologhi e che aspettare era da codardi. Non volevo essere una fifona. Quindi presi un bel respiro profondo, alzai velocemente la mano chiusa a pugno e mi buttai.

TOC TOC

Ero pronta. Anzi no, non lo ero. Ma non importava. Tanto non lo sarei mai stata.

La verità, quello che stavo cercando era lì.

E quando una voce maschile dall'interno mi invitò ad entrare, con un sospiro, andai a scoprirla.


ANGOLO AUTRICE:

Eccoci di nuovo! 

La vita di Kate sembra davvero aver preso una svolta per lei assolutamente inaspettata e la ragazza sta cercando di capirci qualcosa.

Nel frattempo la nostra protagonista cerca anche di stringere un rapporto amichevole con la bellissima e misteriosa Alysha Torn. Cosa ne pensate di questo nuovo personaggio? Kate riuscirà finalmente a trovarsi un'amica?

Per finire sembra che siamo arrivati al momento della verità: che spiegazioni potrà dare Malcom Forrest alla figlia? Avrà avuto ragione May ad accusare il Reggente di essere un bugiardo?

C'è solo un modo per scoprirlo: proseguire!

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