(R) CAPITOLO 29: Fantasmi del passato
Ancora al riparo e con Chris al mio fianco, analizzai velocemente la situazione: gli assalitori dovevano essere circa una ventina, forse di più, ed erano vestiti con semplici abiti logori e sporchi. Dal modo in cui si battevano capii subito che non erano dei soldati addestrati, troppo imprecisi e maldestri, ma si muovevano spinti dalla disperazione. Erano sicuramente un gruppo di ribelli garenniti, quelli su cui ci avevano messo in guardia prima che lasciassimo l'accampamento.
Nonostante fossero malconci e non addestrati, erano comunque quantitativamente troppi per noi e le difficoltà aumentavano se si considerava il fatto che noi sei avevamo concordato in precedenza di evitare il più possibile l'utilizzo della magia, per non dover dare delle spiegazioni ai nostri cinque compagni.
Mi bloccai. Quattro compagni. Proprio in quel momento vidi Gibbiof a terra, circondato da un lago di sangue. Dalla gola tagliata usciva ancora un fiotto di sangue e gli occhi aperti erano ormai vitrei. Un conato di vomito mi fece portare le mani alla bocca. Mi sentii mancare l'aria: non riuscivo a credere che fosse morto. Solo poche ore prima era pieno di vita, allegro e pronto a narrare sempre nuovi aneddoti, mentre ora di lui rimaneva niente più che un involucro vuoto.
"Dannazione... non di nuovo!" imprecò Chris a denti stretti. Poi rivolse verso di me, uno sguardo risoluto, ma al contempo gentile: "Kate, ce la fai? Dobbiamo muoverci ad aiutarli."
Presi un respiro e annuii. Avrei lasciato che la disperazione prendesse il sopravvento più tardi, in quel momento dovevo farmi forza. Così partimmo di corsa a raggiungere gli altri, sguainando le spade.
Il rumore delle lame che cozzavano tra di loro non mi era per nulla mancato e mi nauseava, nonostante quei suoni non fossero nulla rispetto a quelli che avevo sentito sui campi di battaglia. Presto mi trovai circondata dai nemici e, spinta dall'istinto, mi rivolsi verso colui che stava mettendo alle strette Zac.
Il mio avversario sembrava essere spinto da una forza cieca e attaccava come se fosse del tutto indifferente alla sua stessa vita. Aveva un vigore dettato dalla follia e dalla disperazione, che potevo vedere nei suoi occhi spenti, e mi resi conto che quelle persone non avevano più nulla da perdere, che probabilmente erano soltanto dei poveracci che speravano di rubarci qualcosa da mangiare. Non seguivano un ideale, ma non erano neppure cattivi: erano solo altre vittime di quella stupida guerra senza pietà.
Armato di una spada grezza e di brutta fattura, l'uomo mi attaccava furiosamente, non risparmiando minimamente le forze, tanto che mi costrinse presto ad arretrare. In quella situazione di difficoltà cercavo di mantenere l'attenzione anche su quello che mi accadeva intorno e notai che intanto Jasmine e Oliver stavano costruendo attorno a Veder, il messaggero, una sorta di barriera protettiva insieme ad Anthea e ai due fratelli, rispettando così il compito di proteggerlo a qualunque costo. A terra c'erano pochi nemici, anche se non riuscivo a capire se fossero morti o solo feriti, mentre gli altri si scagliavano instancabili su tutti noi.
Ero consapevole che quella situazione si sarebbe presto potuta tramutare in tragedia. Con una rinnovata spinta di adrenalina riuscii con un agile movimento a scartare il nemico di lato, cogliendolo di sorpresa e facendolo sbilanciare in avanti. A questo punto riuscii a colpirlo in testa con l'elsa della spada, mettendolo momentaneamente KO. Ringraziai mentalmente Aly per quella mossa, una delle tante che mi aveva insegnato nel mese di addestramento a Majesten.
Non ebbi neppure il tempo di respirare che fui subito costretta a rispondere ai colpi di un nuovo avversario, che in un momento di distrazione riuscì a provocarmi un segno rosso sull'avambraccio. Istintivamente portai la mano alla ferita, reprimendo un gemito di dolore, ma fui veloce a reagire, riguadagnando spazio. Il braccio mi bruciava da impazzire, ma sapevo che era solo un taglio superficiale e grazie all'adrenalina riuscii a non farci particolarmente caso.
Mi veniva difficile battermi contro quelle persone, perché nei loro occhi riuscivo a leggere solo tanta sofferenza. Chissà quali storie terribili avevano alle loro spalle, chi ero io per permettermi di fare loro altro male?
La cosa peggiore era però che mi rendevo conto di come loro, i primi a odiare la guerra, fossero diventati dei criminali, capaci di uccidere a sangue freddo pur di sopravvivere. La guerra aveva corrotto anche le loro anime.
Rimbalzando da un nemico all'altro cercavo di aiutare il più possibile i miei compagni, sempre più in difficoltà. Presa dalla disperazione alla fine mi risolsi a usare la magia, senza sapere che altro fare. Riuscii a portarmi alle spalle della giovane ragazza dalla quale mi stavo difendendo e pronunciai sottovoce un incantesimo che mi aveva insegnato Chris nel viaggio verso la Domus Alba. Questo provocò lo svenimento istantaneo della ragazza, che afferrai prontamente per le spalle, impedendole di cadere in malo modo.
Pochi secondi dopo stavo già correndo in soccorso degli altri, quando percepii un movimento alle mie spalle. Successe tutto in pochissimi secondi.
Il rumore di una lama che taglia l'aria.
L'urlo di dolore di Alysha.
Il grido disperato di Oliver.
Un bagliore fortissimo.
Poi tutto fu buio e silenzio.
Dischiusi gli occhi lentamente, colpita dalla luce del sole. Ero confusa e mi sentivo parecchio stordita. Mi trovavo a terra, con tutti i muscoli intorpiditi e un dolore al braccio, senza capire nulla di dove fossi e di cosa fosse successo. Poi lentamente iniziarono a tornarmi in mente una serie di immagini, facendomi ricordare: la scogliera, Chris, i ribelli, lo scontro, il sangue e... quel bagliore accecante.
Mi rizzai di scatto, spalancando gli occhi e guardandomi intorno: che diamine era successo?
Scorsi poco lontano da me Jas, a terra, il volto più pallido del solito. Poco più in là vidi gli altri. Dei nemici nessuna traccia.
Guardai preoccupata i miei compagni, mentre il terrore che tutti fossero morti tranne me iniziò a farsi strada dentro di me. Credo che sarei impazzita se fosse stato davvero così.
Mi alzai velocemente, ma un capogiro mi fece quasi ricadere a terra. Appena mi ripresi mi fiondai subito sul corpo di Chris, terrorizzata di non sentire più il battito del suo cuore, del quale ormai sapevo di non poter più fare a meno. Quando appoggiai un orecchio sul suo petto sentii però quel suono ritmico tanto rassicurante, che mi fece tirare un grosso sospiro di sollievo. Sarei rimasta lì fino al suo risveglio, ma una parte di me sapeva che dovevo andare a controllare gli altri. Quindi, a malincuore, mi staccai da lui.
Respiravano tutti e, anche se molti di loro erano chiaramente bisognosi di cure, sembravano stare relativamente bene. Anche il mio braccio non sembrava messo troppo male. Mi soffermai solo un attimo sulla figura di Gibbiof, steso a terra senza vita, e sentii la bile risalire: nonostante le ultime settimane, non ero ancora capace di rimanere indifferente a un cadavere, tanto più se di qualcuno di conosciuto.
Le mie preoccupazioni però non erano affatto finite, dato che all'appello mancavano Oliver e Aly. Agitatissima iniziai a cercarli e infine li trovai nascosti dietro un cumolo di massi. Raggelai immediatamente non appena li vidi: Alysha era a terra, sporca di sangue e di un pallore spettrale. Oliver era al suo fianco, mentre recitava continuamente incantesimi di guarigione, il volto sporco segnato dalle lacrime.
Mi riscossi ed esclamai: "Per tutti i Mondi, che diamine è successo?" Mi avvicinai, accovacciandomi al fianco del ragazzo, poi, vedendo la tragicità della situazione dissi: "Anzi no, dopo. Ora dimmi cosa posso fare per aiutarla."
"Ferita profonda al fianco sinistro. Nessuna lesione agli organi, ma continua a perdere sangue. Usa tutti gli incantesimi per chiudere le lacerazioni che conosci," disse lui, tentando di mantenere un tono il più freddo possibile. Ma il suo volto non riusciva a nascondere il fatto di quanto fosse distrutto, anima e cuore.
Non me lo feci ripetere due volte, in pochi secondi ero già al suo fianco cercando di fare del mio meglio, anche se non era molto.
Man mano che il tempo passava vedevo il viso del ragazzo farsi sempre più pallido e sapevo che era sul punto di svenire, ma il suo turbamento non mi sembrava solo fisico. C'era qualcos'altro, qualcosa che ancora mi sfuggiva.
"Oliver, tu sai cosa è successo? Dove sono finiti tutti i banditi?" chiesi impaziente di capire.
Mentre lo guardavo i suoi occhi si velarono di dolore. Fu allora che collegai tutti i tasselli, rimanendo letteralmente senza parole: come era possibile? Qualcosa fece click nella mia testa e iniziai a mettere insieme i vari pezzi: lo svenimento generale, la scomparsa dei nostri assalitori, la ferita di Alysha, la cenere che mi accorgevo solo in quel momento ricoprire ogni cosa. Rabbrividii.
Lo guardai negli occhi. Sapeva che avevo capito e, vergognandosi di quello che aveva fatto, distolse rapido lo sguardo.
"Oliver... io... mi dispiace, mi dispiace tanto..."
"La stavano per uccidere, capisci? Non potevo permetterlo," balbettò lui, con voce disgustata. "Ho perso la testa, non riuscivo più a ragionare lucidamente e quindi... ho usato un incantesimo del male. Sono tutti morti, bruciati." Tremava mentre parlava, forse ancora incredulo delle sue stesse azioni, incapace di sopportare sé stesso. "Li ho uccisi tutti," mormorò alla fine, "e ho rischiato di uccidere anche voi."
Una lacrima scese solitaria, lasciando il segno sulla mia guancia sporca. Non sapevo che fare, una parte di me era sconvolta al solo pensare a come aveva spazzato via in un attimo la vita di così tante persone, eliminandone qualunque traccia. Una parte di me era preda dell'orrore. Ma d'altra parte il giovane che avevo davanti era tutto meno che un mostro. Aveva sbagliato, ma agendo per amore. Era lui il primo a essere disgustato da sé stesso, mentre faticava a reggere il peso delle conseguenze delle sue azioni.
Appoggiai una mano sulla sua spalla, un po' impacciata come al mio solito, dicendo: "Mi dispiace, mi dispiace... ma noi stiamo bene e lei... ti prometto che la salveremo, si riprenderà. Te lo prometto."
E feci in modo che questa promessa non finisse nel vuoto. Ci rimettemmo all'opera, lavorando strenuamente per fermare l'emorragia e far risanare la ferita. Non avrei potuto sopportare di perdere forse l'unica amica che io avessi mai avuto.
Nel frattempo, arrivarono anche gli altri, preoccupati dalla nostra assenza e confusi quanto me all'inizio. Ma ci sarebbe stato tempo in seguito per le spiegazioni, in quel momento la cosa più importante era un'altra.
Sentivo lo sguardo di Chris bruciarmi la pelle e, non tollerando di non sapere come stesse, mi voltai nella sua direzione, guardandolo con altrettanta intensità. Dopo qualche secondo, gli sorrisi debolmente, preoccupatissima per Aly, ma comunque felice di vederlo sano e salvo. Lui ricambiò, facendomi sentire più leggera. Un suo semplice sorriso era in grado di scaldarmi l'anima, ma nonostante questo c'era una cosa che non riuscivo a smettere di ignorare: ormai ero l'unica a dover ancora uccidere.
La situazione era disastrosa: Gibbiof era morto, noi tutti eravamo feriti, anche se non in modo grave, mentre Alysha continuava a non svegliarsi nonostante la ferita si fosse quasi rimarginata grazie alle nostre cure. Era sempre pallidissima, nel sonno si lamentava e a volte mormorava un nome: Therese. Non avevo idea a chi appartenesse, ma chiunque fosse sembrava essere qualcuno di veramente importante per lei, qualcuno che sembrava aver paura di perdere. O, come avrei scoperto a breve, che aveva già perso.
Mentre io e Zac, che aveva dato il cambio a un Oliver al limite delle forze, continuammo a curare Aly, Chris e Jasmine si occuparono di tenere lontani i nostri compagni di spedizione, impedendo loro di vederci usare la magia, e nel frattempo la Mahir entrò nelle loro menti, cercando di dare spiegazioni ai loro occhi plausibili per quello che era successo. Oliver, invece, sembrava essere imbambolato, la sua mente altrove a combattere i demoni del senso di colpa. Avrei voluto aiutarlo, ma non avrei saputo onestamente cosa dire per consolarlo. Forse l'unica cosa che potevo fare per lui era salvare la ragazza per la quale aveva fatto tutto quel disastro.
Razionalmente sapevo che l'omicidio non aveva reso i miei compagni dei mostri, sapevo che erano brave persone costrette dalle circostanze a compiere azioni brutte. Sapevo che quando avevano ucciso era stato per legittima difesa. Però io non riuscivo a fare come loro. Forse perché non vi ero stata ancora obbligata per sopravvivere, ma non potevo sopportare di rimanere in attesa di una situazione in cui avrei avuto la scusa per farlo. Questo ragionamento era ancora più meschino dell'azione stessa. Sarei potuta impazzire così e forse dovevo solo smettere di pensarci. Probabilmente ci sarebbe stata un'alternativa.
Più tardi ero sempre seduta di fianco alla mia amica, ancora priva di conoscenza, tormentata come non mi accadeva da giorni. Osservavo la ragazza, non sapendo bene cosa aspettarmi al suo risveglio, quando a un tratto lei si tirò su, seduta, gli occhi confusi spalancati.
"Dove... dove sono? Cosa..." iniziò a dire freneticamente, sconvolta. Poi la sua espressione cambiò, probabilmente dopo aver preso coscienza di quello che era successo, ritornando alla realtà.
"Oh, no," mormorò alla fine, mentre gli occhi le si riempirono di lacrime. E un secondo dopo sentii le sue braccia avvolgermi il collo e mi ritrovai il suo volto bagnato di lacrime premuto sulla mia spalla. Un secondo prima era quasi morta, quello dopo piangeva disperata tra le mie braccia.
Mi sciolsi dal mio imbarazzo iniziale, stringendola a mia volta tra le braccia. Tremava, oltre a essere scossa dai singhiozzi, e qualcosa mi diceva che non poteva essere dovuto solamente agli ultimi fatti. C'entrava qualcos'altro di più profondo. Ma io ero felice di sentirla viva e forte tra le mie braccia: avevo avuto veramente paura di perderla e mi era mancata così tanto.
Lentamente lei si sciolse dal mio abbraccio e si allontanò tenendo il volto basso, mentre si asciugava bruscamente gli occhi. Stava soffocando il pianto, come vergognandosene, e appena riuscì a riprendere il controllo di sé disse:
"Scusami, sto bene. Non so cosa mi sia preso..." Il tono era tornato distante, eppure non mi ingannava: ormai ne avevo la certezza, stava usando una maschera per scappare da qualcosa, per difendersi da qualche suo demone.
"Cos'è successo?" mi chiese allora, precedendo qualsiasi mio intervento.
Sospirai, sarebbe stato difficile raccontarglielo, ma lo feci, nei dettagli. Quando sentì quello che aveva fatto Oliver per lei sbiancò, un pallore cadaverico le torno in volto e mi bloccai, preoccupata che avesse una ricaduta.
"Lui ha fatto questo per me?" domandò più a sé stessa che a me, scuotendo leggermente il capo, ciocche corvine a coprirle parzialmente il volto perfetto. "Perché?" mi domandò allora, corrugando la fronte.
"Alysha, davvero non lo sai?" sollevai un sopracciglio, stupida dalla sua apparente ingenuità.
La ragazza mi guardò negli occhi, realizzando lentamente la verità. "No..." rispose in un sussurro. "Non può essere..."
"Alysha, era evidente da tempo, lo sai anche tu. Hai solo cercato di negare l'innegabile," le dissi severa.
La vidi abbassare il volto, sbattendo le palpebre più volte. Rimasi in attesa, lasciandole il tempo di regolarizzare il respiro, poi più calma mi chiese: "Dov'è Ollie?"
"Io... non lo so, penso nei dintorni. Anzi adesso vado a chiamarli tutti. Devono sapere che stai bene," dissi appoggiandomi alla roccia accanto a me, per sollevarmi.
"Ti prego, aspetta. Come sta?" sapevo cosa pensava, che lui si era macchiato di sangue solo per colpa sua e quindi ora si sentiva in colpa.
Mi costò essere sincera, ma presi coraggio e le risposi: "Male. Sembra essere volato su un altro pianeta ed è evidente che ancora non sia in grado di accettare di aver ucciso qualcuno. Sembra... perso. Ma credo che si riprenderà. Ha bisogno di te, ora." Non avevo idea di come si sarebbe comportata lei nei suoi confronti dopo quello che era successo, ma sapevo che se fosse tornata a ignorarlo lo avrebbe distrutto definitivamente e avrei fatto di tutto per evitarlo.
"No, sta meglio senza di me..." rispose invece lei con tono convinto.
"Non dire sciocchezze, non è così. Non smetterà di tenere a te se tieni le distanze. Nessuno di noi sta meglio senza di te. Neppure io... mi manchi Aly e mi dispiace di averti giudicato per quello che era successo nel bosco: non è giusto e ora lo so. Ma ti prego, parlami, dimmi cosa nascondi, so che c'è qualcosa che non ci vuoi raccontare. Qualcosa che ti sta logorando."
Iniziò subito a scuotere la testa, come se non riuscisse a sopportare di mettersi a nudo. Allora, sperando di toccare il tasto giusto, aggiunsi:
"Ha a che fare con una certa Therese?"
Come avevo pensato quel nome fece effetto sulla ragazza che mi fissò con occhi sgranati, sconvolta.
"Hai nominato continuamente il suo nome mentre eri priva di conoscenza e sembra essere qualcuno di molto importante per te..." puntualizzai per chiarirle il come conoscessi quel nome.
Lei si afferrò allora il viso con le mani, tirandosi leggermente i capelli sporchi, e non ebbi dubbi che dentro di lei fosse in atto una lotta. Speravo decidesse di lasciarsi andare, finalmente, ma in quello eravamo molto simili e avrei capito se si fosse chiusa a guscio di nuovo.
Ma invece non lo fece.
"Non ci credo che te lo sto per raccontare," ridacchiò amaramente. "Questa storia è il mio più grande segreto e mi ero ripromessa di non farla sapere a nessuno, ma so di potermi fidare di te. Sei mia amica e forse è arrivato il momento che io la smetta di nascondere il mio passato."
Alysha aveva quattordici anni e viveva felice con la madre, Therese, e il padre Norton. Lui, come sapevo, era un armaiolo, uno dei migliori del nostro mondo, ma nonostante la fama e la discreta richiesta dei suoi lavori, lui aveva deciso di vivere in uno dei paesini di Bakli, poiché era il luogo dove era cresciuto. L'isola di Bakli era molto estesa e, a differenza di quella in cui si trovava la Città che era occupata in gran parte da boschi e campi, totalmente abitata. Per questo motivo, e per la divisione in tanti paesini, la sicurezza e il controllo del rispetto della legge erano poco garantiti, perciò tutti coloro che abitavano sull'isola erano visti di cattivo occhio da noi Cittadini, quasi come se fossero tutti criminali. Del resto, poteva essere veramente così, per quel che ne sapevamo.
Nessuno avrebbe mai scoperto cosa successe con esattezza in casa Thorn quell'orribile giorno di autunno.
Alysha era a casa, tranquilla, e stava svolgendo le sue solite attività casalinghe, per aiutare la madre. Therese era una donna bellissima, con gli stessi occhi della figlia e anche lei molto minuta, ma nonostante la grande somiglianza fisica, in realtà caratterialmente non avrebbero potuto essere più diverse. Alysha era fatalmente attratta dalle armi, proprio come suo padre, e, nonostante la disapprovazione della madre che l'avrebbe voluta più tranquilla e interessata alle questioni domestiche, aveva convinto Norton a darle delle lezioni di combattimento.
Il rapporto tra Aly e sua madre era un po' particolare, pieno di battibecchi, ma anche di tanto affetto. Nonostante la figlia, in una fase un po' di ribellione, chiamasse sua mamma addirittura per nome, il loro rapporto era speciale, prezioso. Come del resto lo era quella donna, che meno di chiunque altro meritava la tragica sorte che le toccò.
Il padre era fuori di casa per trattare con dei compratori, quando un rumore di vetri infranti spaventò madre e figlia. Alysha, testarda e impetuosa, afferrò una delle tante spade sparse per la casa e senza esitazione si fiondò nella stanza da cui aveva sentito provenire il rumore. Inutilmente la madre tentò di fermarla, poiché lei era stata più veloce, e scoprì subito che dei criminali si erano introdotti in casa. Due uomini dal volto coperto stavano cercando di rubare alcune delle spade da poco uscite dalla fucina. Probabilmente erano dei trafficanti illegali di armi che speravano di poterle poi rivendere e guadagnarci al mercato nero.
Criminali. Ladri. Trafficanti. Tutte parole che andavano contro il forte senso di giustizia della giovane Alysha, soprattutto visto che stavano arrecando danno al suo amato padre. Non avrebbe mai permesso che la facessero franca.
Richiamò la loro attenzione senza paura, intimando loro di andarsene. Ebbe come uniche risposte delle risate sguaiate che la fecero ribollire dalla rabbia ancora di più.
Da stupida idealista coraggiosa attaccò il ladro più vicino che, preso alla sprovvista, fece fatica a reagire. Era brava, già allora, ma era pur sempre una ragazzina contro due uomini adulti grandi il doppio di lei. Non aveva molte speranze. Infatti, l'altro criminale si era reso conto che quella che sembrava essere poco più di una bambina in realtà era un osso duro e decise che sarebbe stato meglio chiudere il problema il prima possibile. Senza nessuna compassione per una quattordicenne con tutta la vita davanti, estrasse un pugnale e lo diresse verso il petto della ragazzina.
Ma non fu la carne della mia amica a essere lacerata, bensì quella di sua madre che, osservando tutta la scena si era lanciata in difesa della figlia, immolandosi per lei.
L'immagine di sua madre che crollava a terra, circondata da una sempre più grande pozza di sangue e con gli occhi sbarrati e persi, Alysha non era mai più riuscita a dimenticarla. Indelebile nella sua memoria. Vide la donna che tanto amava cadere a terra morta. Nessuno può essere pronto a sopportare una cosa simile.
Venne allora invasa da una rabbia cieca, tale che in pochi secondi la lama della sua spada trapassò da parte a parte il corpo del primo ladro.
Ma lei voleva vendetta, voleva veder morto l'assassino di sua madre. Quello, nel frattempo, si era spaventato e, vista la fine del compagno, stava tentando di scappare. La ragazzina non gli lasciò scampo: con una rapida mossa gli fu addosso e pose fine alla vita di quello scellerato.
Uccisi gli uomini, corse subito da sua madre, sperando in un miracolo, ma ormai la donna era spirata e probabilmente l'ultima cosa che aveva visto era stata sua figlia che uccideva un uomo.
Alysha non poteva perdonarsi tutto quello. Credeva che la colpa della morte della madre fosse solo sua. Lo aveva creduto per quattro anni.
"Quando mio padre tornò a casa mi ritrovò ancora lì, coperta di sangue e bagnata dalle lacrime. Avevo pianto così tanto che credevo non avrei mai smesso e la mia voce era quasi sparita a furia di gridare il nome di mia mamma. Lui non mi chiese nulla, mi abbracciò e basta, piangendo a sua volta. Dopo poco mi prese e mi porto in camera, aiutandomi a pulirmi. Dopo si occupò di far sparire i corpi dei due ladri: nascose tutte le prove del mio delitto. Una settimana dopo lasciammo la nostra vecchia casa per sempre, e ci trasferimmo per un po' da dei nostri parenti nell'arcipelago Polastring. Rimanemmo lì tutto il tempo che mi servì per riprendermi, almeno parzialmente. Però mio padre aveva pur bisogno di lavorare e nel posto piuttosto sperduto in cui stavamo non era possibile. Così alla fine venimmo ad abitare nella Città," terminò lei il suo tragico racconto, lasciandomi senza fiato.
La guardai e vidi il suo volto rigato da lacrime silenziose e non sapendo che altro fare la strinsi a me con forza, cercando di farmi sentire vicina il più possibile.
"Quel giorno ho perso tutto Kate," singhiozzò contro la mia spalla. "Mia madre, la mia casa, la mia vita di prima. Tu mi hai visto, sono una ragazza allegra, solare, un tornado a volte. Lo sono sempre stata, ma dopo quello che ho vissuto, quello che... quello che ho fatto, mi ci è voluta molta fatica a tornare a esserlo. E quando ho ucciso quell'uomo nella foresta è riemerso tutto, con prepotenza, trascinandomi nuovamente in quel periodo nero che è seguito alla morte di mia madre. È per questo che ho fatto così con tutti, tenendovi a distanza, per nascondere il vuoto che ho dentro. Anzi, l'oscurità che, da quando sono diventata un'assassina, ho dentro."
La strinsi ancora di più sussurrandole: "Non sei un'assassina. Eri solo una ragazzina disperata e quegli uomini in fondo hanno avuto quello che meritavano. Forse non sarai più la bambina pura di un tempo, ma ora sei una donna forte. Più forte di tutti noi. Non c'è nulla in te che debba essere disprezzato."
ANGOLO AUTRICE:
Come vi avevo anticipato, abbiamo scoperto qualcosa di grosso sul passato di uno dei nostri personaggi: Aly. Finalmente si è svelato il mistero riguardo alla sua affermazione di qualche capitolo fa e sappiamo che sì, effettivamente aveva già ucciso, ma che lo aveva fatto per legittima difesa.
Altro elemento fondamentale di questo capitolo è il fatto che ormai Kate sia l'unica a non avere ancora portato a termine la "missione". Cosa succederà a questo ora?
Al prossimo capitolo, in cui avremo un importantissimo punto di svolta per il romanzo!
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