(R) CAPITOLO 28: Non puoi dimenticare
Eravamo in marcia da sette giorni e ci stavamo muovendo tra gli spettacolari territori della Nirban. La vista mozzafiato che avevamo davanti ai nostri occhi appesantiti dalla stanchezza riusciva ad alleggerire lievemente il mio animo turbato.
Ma non quel giorno, in cui neppure il dolce bruciore del sole sulla pelle, lo scintillio dell'erba fresca e l'inebriante odore di salsedine riusciva a smorzare lo strano senso di angoscia e malinconia che mi pervadeva. Ogni tanto mi capitano giornate grigie, in cui i colori, per quanto siano visibili, sbiadiscono e non riescono a rallegrarmi in alcun modo. Quel giorno mi ero svegliata così, mi sentivo incredibilmente negativa e facevo fatica a sfuggire dai cattivi pensieri, quelli più pericolosi, minacciosi e sconfortanti, ma sapevo anche di non poterci fare nulla, dovevo solo aspettare che quel momento passasse, come si aspetta la fine di un fastidioso raffreddore. Con i loro tempi i colori sarebbero tornati a farsi vividi, riscaldando il mio cuore infreddolito.
Stavamo ancora marciando, noi sei, gli altri quattro soldati selezionati e Veder, il messaggero. Erano tutte persone a posto, gentili e gioviali, e avevano contribuito a rendere i rapporti tra noi ragazzi molto più rilassati, per quanto possibile. Ancora un po' assonnata, camminando, li osservai per l'ennesima volta: Tiberion e Davior erano fratelli, molto simili fisicamente, tanto diversi caratterialmente. Entrambi erano muscolosi e ben piazzati, capelli corvini e lineamenti del viso con tratti spigolosi. La loro pelle era segnata da numerose cicatrici, ma si vedeva chiaramente che erano nel pieno delle forze. Se Davior era riservato e rigido, Tiberion aveva un carattere prorompente, da classico sbruffone, e si divertiva a mettersi in mostra, suscitando l'ilarità di tutto il gruppo. Per fortuna suo fratello aveva cervello e buon senso per tutti e due ed era evidente quanto cercasse di tenerlo a bada, rendendo i loro bisticci tutto uno spettacolo.
Poi c'era Gibbiof, un ragazzo mingherlino, ma incredibilmente agile, che incantava tutti noi con i suoi racconti avvincenti: diceva di essere stato un grande viaggiatore e di aver visitato tutto il continente, prestando servizio più volte come mercenario. Di meraviglie ne aveva viste, sia della natura che dell'uomo e a noi piaceva perderci tra le sue storie, vere o inventate che fossero.
Infine, c'era Anthea, una ragazza seriosa e impettita, cortese, ma assolutamente ligia al dovere. Era lei a capo della spedizione e guardandola mi rendevo conto di quanta fatica doveva aver fatto per ottenere una posizione di comando, considerando il mondo patriarcale in cui ci trovavamo. Inoltre, ciò che davvero ammiravo di lei era il rispetto che tutti gli uomini le portavano, probabilmente merito della determinazione e sicurezza che emergeva in ogni suo gesto o parola. Lei era ai miei occhi un grande esempio di forza femminile.
Il fatto che il nostro gruppo si fosse momentaneamente allargato si stava rivelando la nostra salvezza, impedendoci di crollare. Seppur li stessimo momentaneamente mettendo da parte, i nostri problemi erano tutt'altro che spariti: eravamo finiti in una guerra che non ci riguardava, in una realtà ben più grande di noi, dei ragazzini viziati e impreparati. Istintivamente lanciai un'occhiata a Jasmine e un sospiro amareggiato mi uscì dalle labbra: non avevo dimenticato il nostro scontro di qualche giorno prima.
Era notte e tutti dormivano, ma io non riuscivo a perdermi nei sogni, troppo spaventata di rivedere un'altra volta gli orrori da cui mi stavo momentaneamente allontanando. Da un lato pensavo che quella spedizione potesse essere un modo per fuggire da quello che avevo visto, per ricominciare a respirare normalmente. Ma come potevo trovare davvero pace da quella oscurità, se nella notte sentivo risuonare le urla dei morti, vedevo corpi mutilati e l'odore del sangue mi riempiva la mente.
Così, decisi di andare in ricognizione: forse era rischioso, ma dopotutto non ero una sprovveduta e ci trovavamo in una zona piana, così che difficilmente sarei stata sorpresa da qualche insidia misteriosa. Iniziai a camminare a caso, facendomi luce con solo una piccola fiammella magica, ma scoprii presto di non essere da sola: Jasmine mi stava seguendo e la cosa non mi sorprese particolarmente. Sapevo che sarebbe stata solo questione di tempo prima che mi venisse a cercare per parlare. Anche se forse parlare non è il termine più adatto...
Dunque aspettai che la ragazza mi raggiungesse, volgendomi nella sua direzione. "Come hai osato? Come hai potuto violare la mia mente?" mi aggredì andando dritta al punto non appena mi raggiunse, gli occhi roventi di rabbia visibili nonostante la scarsa luce.
"Perdonami, Jasmine, ero solo curiosa di sapere a cosa stessi pensando," risposi con tono calmo. Non fui però in grado di trattenermi dall'aggiungere: "Tipo se ti stessi rendendo conto di quanto eri stata cattiva con Zac o se non te ne importasse nulla. Ma, come immaginavo, stavi pensando solo a te stessa..."
"Di cosa stai parlando?" sibilò lei, con gli occhi ridotti a una fessura. Iniziava a capire. Bene.
"Ho visto tutto," ammisi senza vergogna, "Lui ti ha baciata e tu hai reagito trattandolo da schifo. Quel ragazzo è davvero troppo buono, non si merita di soffrire anche per una come te." Forse stavo sbagliando e mi sarei dovuta fare i fatti miei, ma in quel momento non ce la facevo proprio a stare zitta, ero convinta di dover fare qualcosa per lui, anche solo insultare la fonte del suo mal d'amore.
Inizialmente lei rimase zitta, senza parole. Non si aspettava di certo di essere stata vista, supposi, ma poi fui io a rimanere sorpresa, perché dal nulla incominciò a ridere, una di quelle risate che avevo imparato dannatamente bene a conoscere e che in passato mi aveva fatto tremare più di una volta. "Cosa sei adesso? La paladina degli indifesi? Perché è davvero buffo, visto che qui sei tu quella che crea più problemi di tutti..."
"Cosa vorresti dire?" chiesi sulla difensiva. Sapevo che il colpo sarebbe presto arrivato, ma avevo imparato a incassare dannatamente bene.
"È colpa tua se non ce ne andiamo. È colpa tua se Zac soffre giorno dopo giorno. Ed è colpa tua se noi siamo costretti a rivivere i nostri demoni in questo posto. Vuoi fare la santarellina, lo hai sempre fatto, ma non sei così splendida come pensi," disse alla fine lei, un sorriso malefico a incresparle le labbra. Boom. Colpita. Ma non sarei affondata, non quella volta.
"Perdonami se non sono disposta a uccidere solo perché qualcuno me lo dice. Scusami se non sono in grado di stroncare una vita umana così a cuor leggero come te. Vorrei comunque farti notare che è solo grazie a me se siamo stati ammessi nell'accampamento e che da sola sono riuscita a garantirvi il lasciapassare da Candor a Mondeor. Tu invece che cosa sei riuscita a fare? Ormai è chiaro che il tuo potere lo gestisco meglio io, dopo solo poco più di due mesi, mentre tu hai avuto anni per svilupparlo. Dovresti solo stare zitta ed essere grata che io sia tutt'altro che inutile, perché in quel caso saremmo davvero fottuti," le urlai contro, ormai fuori di me. Forse non ero poi così brava a incassare.
Lei dal canto suo mi saltò letteralmente addosso. Caddi a terra, sovrastata dalla sua altezza, e iniziammo a picchiarci vilmente, scambiandoci insulti di tutti i tipi: lei arrivò persino ad accusarmi di aver nascosto per anni i miei poteri per chissà quale motivo e di essere un'imbrogliona o qualcosa di simile. Per fortuna arrivarono gli altri, svegliati dal frastuono che stavamo facendo, e, Zac afferrando me e Chris lei, ci separarono.
Da quel momento io e Jasmine non ci eravamo più parlate, se non per mandarci frecciatine, e la cosa mi andava più che bene. L'unico rammarico che avevo era di aver creduto, anche se solo per poco, che tra noi potesse nascere una sorta di amicizia: non capivo come avessi potuto quasi dimenticare quanto fosse stata perfida con me in passato.
A metà giornata decidemmo di fermarci a riposare per qualche ora, perché eravamo sfiancati dal caldo del sole e rischiavano un'insolazione. Ci eravamo fermati in una piccola vallata, una zona più riparata, che ci sembrava abbastanza sicura. Poco lontano si sentiva la risacca del mare: lo percepivo agitato, potente, una forza della natura che si infrangeva inarrestabile contro la grande scogliera lì vicino. Ben presto capii che era un richiamo troppo forte per potergli resistere.
Il mare aveva sempre avuto qualcosa di veramente speciale ai miei occhi, un valore che supera la semplice meraviglia. Fin da piccola ero stata capace di trovare una particolare connessione con la natura, ma quando si trattava del mare non mi sentivo solo legata a esso, era come se ne diventassi parte: ogni onda era un mio pensiero, che diventava un flusso, un susseguirsi veloce, ma incredibilmente ordinato. Solo il mare mi tranquillizzava, solo il mare mi capiva.
"Zac, vado a fare un giro," informai il ragazzo accanto a me, la mente già altrove, rapita.
"Kate, potrebbe essere pericoloso..." mi redarguì lui, preoccupato.
"Tranquillo, starò attenta," gli risposi con un ironico occhiolino. Così mi allontanai dai miei compagni, seguendo l'ipnotizzante rumore del mare e l'adorato odore di salsedine, che invadeva le mie narici con prepotenza. Dopo circa dieci minuti di cammino arrivai a uno strapiombo e davanti ai miei occhi si aprì uno scenario che mi lasciò letteralmente senza fiato.
La grigia pietra interrompeva bruscamente il tappeto di erba brillante che mi circondava. La scogliera era alta qualche centinaio di metri e le onde si infrangevano con forza sulla roccia, causando un fragore capace di coprire qualsiasi altro suono. Davanti a quell'immensità mi sentii minuscola, un piccolo granello di sabbia in un deserto enorme. Una semplice creatura, una fra le tante, insignificante davanti a quel tutto. La natura è invincibile, nessuno di noi può nulla davanti alla sua potenza. Cosa crede di poter fare un piccolo uomo contro questa forza selvaggia? Illuso.
Il mare, con il suo armonioso flusso, alzava schizzi di bianca spuma, e piccole goccioline d'acqua salata arrivavano fino a me, dandomi finalmente un po' di sollievo dal caldo soffocante. Il rumore delle acque mi rilassava, cullandomi e attraendomi a sé.
Lassù, minuscola e in cima a uno strapiombo vertiginoso, mi sentii a casa. La mia vita era sempre stata legata al mare, ero cresciuta con lui e poco mi importava che quello che avevo davanti agli occhi in quel momento fosse in realtà diverso da quello della mia infanzia. In qualche modo era sempre lui, e allo stesso tempo non lo era mai: il mare non è mai uguale, le acque cambiano costantemente, tutto un continuo scorrere, inesorabile, meraviglioso. Anche io ero diversa, anche io come lui cambiavo di continuo, ogni secondo una piccola trasformazione, mai davvero identica a prima. Ma in una cosa il mare non era mai mutato: lui c'era sempre per me, sempre.
Un piccolo sorriso mi spuntò sul viso nel ricordare il mio angolo segreto, la piccola rientranza nascosta tra gli scogli che era diventato il mio rifugio, il mio angolo di pace. Mi dava uno strano senso di serenità il pensare che fosse ancora là, a casa, esattamente come lo avevo lasciato il giorno prima della Cerimonia della Scelta.
Aspettava solo il mio ritorno, così ancora una volta avrei potuto nascondermi in quel piccolo antro e fondermi con il mare. Eravamo così simili... Da una parte un flusso continuo di onde, dall'altro di pensieri. L'unica differenza è che se il suo è ordinato il mio è un miscuglio intricato, privo di senso apparente. Ma proprio qua sta la meraviglia: l'ordine del mare riesce a mettere ordine anche in me.
Però, quel giorno, sulla costa di Mondeor, sentivo che c'era anche qualcos'altro. Quel posto mi rammentava qualcosa, un luogo dai contorni incredibilmente sfocati. Il ricordo era confuso, avvolto dalla nebbia, ma si stava facendo sempre più strada dentro di me. Lottai con la mia stessa mente per mettere a fuoco quell'immagine che se ne stava nell'ombra, imprigionata da una stupida amnesia che sembrava impossibile da vincere. Lo sentivo: lo stesso rumore, potente e ipnotico, la voce del mare che mi chiamava a sé. E riconobbi anche lo stesso odore, che mi pizzicava le narici, mentre una brezza leggera mi rizzava i peli delle braccia, facendomi rabbrividire. C'era qualcos'altro, ma nonostante tentassi disperatamente di portarlo alla luce, l'oscurità non mi permetteva di vedere.
"Dannazione!" imprecai, prendendomi la testa tra le mani e lasciandomi scivolare a terra. Fu allora che lo vidi: il sorriso più bello del mondo. Seppi con assoluta certezza che quel sorriso significava tutto per me, poiché apparteneva all'unica persona davvero importante, che mi stava tenendo per mano. Riuscii a fatica a riportare alla memoria qualche dettaglio in più di quel volto femminile. Rividi i suoi occhi, caldi e dolci come il cioccolato, e i suoi capelli, morbidi e sciolti al vento, dello stesso colore dei miei.
Iniziai a tremare, stringendomi le gambe al petto. La mia mamma.
Una lacrima mi scese lungo il viso: era piccola, ma racchiudeva tutto il mio dolore.
Dolore derivante dalla consapevolezza di aver perso la mia mamma in ogni modo possibile, dimenticando un intero decennio di vita insieme. A nulla sarebbe servito quel ricordo, poiché era solo un misero tassello di un puzzle da milioni di pezzi, mentre la maggior parte mi rimaneva nascosta, preclusa, privandomi di una parte della mia vita, di una parte di me. Dubitavo sempre più di poter arrivare a vedere l'intero quadro generale...
E pensare che a me sembrava ancora tutto uno scherzo, una presa in giro. Facevo veramente fatica a credere che la mia vita fino ad allora fosse stata basata su una rete fittissima di menzogne, e ancora più difficile era credere che il peggior bugiardo fosse stato proprio mio padre. Nel giro di ventiquattro ore mi era crollato l'intero mondo addosso, ma io non ero ancora crollata per davvero. Probabilmente dovevo ringraziare il Viaggio, che mi aveva stravolto il futuro, ma che allo stesso tempo mi aveva distratto da quello che avevo scoperto sul mio passato. Ciò nonostante, dentro di me ero acutamente consapevole che, presto o tardi, avrei dovuto trovare la forza di affrontare tutto quanto.
D'un tratto tutta la mia solitudine mi ricadde addosso e mi sentii svuotata. Ero sola, lontano da casa, da mio padre e dalla Città. La mia vita di prima era perduta per sempre e probabilmente i miei sogni per il futuro non si sarebbero mai realizzati.
Non avevo nulla: né amici, né madre e neppure un vero passato. Per la prima volta ero davvero sola, completamente sola.
Una seconda lacrima seguì la prima.
Avrei potuto avere degli amici, i miei compagni. Eppure, non era stato così.
Alysha era persa a lottare contro i suoi demoni, mentre Oliver era un mistero che non avevo ancora provato a risolvere, troppo chiuso in sé stesso. Jasmine alla fine si era rivelata la solita arpia di sempre e Zac, l'unico che potevo definire amico, soffriva così tanto per i suoi problemi che non mi sarei mai azzardata ad aggiungergli i miei. E poi Chris... Chris era sempre la solita incognita. La solita piaga.
La solita prima causa dei miei problemi. E anche l'ultima.
Perché non mi importava quanto tempo fosse passato e quali strane sensazioni mi suscitasse la sua sola presenza: lui sarebbe rimasto un mistero che mi avrebbe tormentato fino a quando non mi avrebbe svelato i suoi segreti. Ma, per quanto fossi decisa a scoprirli uno ad uno, la verità, il motivo principale dei miei problemi con lui, era che io non lo avevo ancora perdonato. E chissà quando e se mai lo avrei fatto.
Mi sembrava davvero di aver perso tutto, l'unica cosa che mi restava era un briciolo di purezza, ma, se volevo andarmene da quel posto di sofferenze, probabilmente avrei dovuto perdere anche quello. E sapevo che se fosse accaduto sarei precipitata a picco un'altra volta. Avevo perso me stessa un sacco di volte nella mia vita, ma durante quelle ultime settimane mi stavo rendendo conto che stavo trovando una nuova forza, una sicurezza. Non volevo crollare di nuovo e perdere anche quella.
Forse, del resto, era solo un'illusione anche quella forza, dato che per l'ennesima volta mi ritrovavo a terra, lacerata e in lacrime. Nulla era cambiato, ero sempre sola e sconsolata. Mi faceva ribrezzo la mia debolezza. Fragile, rotta, inerme.
Guardai il mare, potente, imperturbabile e immobile, che si disinteressava altamente dei problemi dei comuni mortali.
Sarebbe bastato solo un passo e sarei precipitata giù nell'abisso. Sarebbe finito tutto: niente problemi, preoccupazioni, dubbi e dolori.
Scoppiai a ridere amaramente. Ma chi volevo prendere in giro: sapevo bene che quelli erano dei pensieri privi di fondamento. Non lo avrei mai fatto, non mi sarei mai uccisa. Non ne avrei avuto il coraggio. O forse sì. Forse avrei avuto il coraggio di fare quel passo, ma sapevo di non potere. Troppe responsabilità sulle spalle e troppa lucidità per non rispondere a esse. Avevo la responsabilità di mio padre e del dolore che gli avrei causato. Avevo la responsabilità di ogni persona che ne avrebbe sofferto.
Forse nessuno, chissà...
La responsabilità del Viaggio iniziato: non avevo idea di quali conseguenze ci sarebbero state per gli altri in quel caso nefasto.
O magari se la caverebbero meglio senza di me...
E infine c'era quella misteriosa profezia e, anche se non sapevo di che cosa si trattasse, ero sicura che non includesse la mia morte prematura.
O comunque non in questo modo...
Sospirai, mettendomi seduta comoda e asciugandomi le lacrime che mi scorrevano lungo le guance. C'era anche un altro motivo per il quale non mi sarei mai tolta la vita: avevo ancora la speranza di un futuro migliore del mio passato e quella di diventare io stessa migliore. In fondo quell'avventura in cui ero capitata era un'occasione per cambiare la mia vita insoddisfacente, proprio come sognavo da piccola: il principio di un'avvincente avventura. Eppure, non avevo mai desiderato tutta quella sofferenza. Quello che avevo visto... la me bambina non avrebbe mai potuto immaginarlo, figurarsi desiderarlo.
Lasciai vagare lo sguardo lungo l'orizzonte. Mi sentivo ormai indifferente anche al caldo cocente, alleviato solo dal leggero vento, ormai totalmente persa nel mio tunnel oscuro di tristezza.
"Non so perché ma immaginavo che ti avrei trovato qui, Dothui," la voce allegra di Christopher si intromise nei miei pensieri.
Non risposi nulla, semplicemente perché non sapevo davvero che dire: negli ultimi giorni non ci eravamo praticamente rivolti la parola, se non in qualche momento in gruppo, quindi non capivo cosa potesse volere da me. Sperai solo che se ne andasse in fretta, non ero in vena di compagnia.
Lui, dopo aver realizzato che non gli avrei dato risposta, mi si avvicinò e prese posto accanto a me, sedendosi a terra con le gambe raccolte al petto. Poteva essere il mio specchio.
Anche lui rimase in silenzio, forse in attesa di una mia parola che sembrava non voler arrivare. Restammo lì, l'uno accanto all'altra, muti e avvolti nei rumori della natura. Mi sentivo strana, in parte imbarazzata e in parte a mio agio. Era come se fossimo tornati indietro nel tempo, io e lui soltanto, sempre insieme, ma allo stesso tempo c'era qualcosa di irrimediabilmente diverso, una distanza che mi sembrava incolmabile. Senza pensare a tutte quelle sensazioni destabilizzanti che mi suscitava ogni volta che mi si avvicinava.
"Sai, nonostante tu sia cambiata un sacco in questi anni, la tua espressione di fronte al mare è sempre la stessa. Ricordo ancora quando da piccoli andavamo sempre sugli scogli ad ammirarlo. Mi ricordo di come ti illuminavi ogni volta. E quando andavamo a fare il bagno sembravi quasi una piccola sirena, per come ti muovevi sicura tra le onde," disse ad un certo punto. Non lo stavo guardando, ma sentivo che quelle parole stavano uscendo da una bocca sorridente. Il sorriso dei ricordi. Sentivo nella sua voce la dolcezza della malinconia. "Sai, un po' mi mancano quei momenti, nonostante la tua chiara follia. Era bello essere folle insieme a te".
Fu come ricevere una pugnalata al cuore. Un colpo potente come le onde del mare, che si infrangevano sotto di noi sugli scogli. Mi colpì al petto, ferendomi. Conoscevo quel ragazzo, sapevo che con quelle parole aveva voluto dirmi che gli mancavo.
Feci fatica a fingermi indifferente a quello che avevo appena udito, a mantenere il mio volto imperturbabile. Non avrei mai voluto fargli vedere la mia fragilità e quanto quelle parole mi avessero colpito, ma mi sentivo vulnerabile ed era difficile rialzare la mia solita barriera.
"Ho continuato ad andare a vedere il mare."
L'avevo davvero detto ad alta voce? Sentii lo sguardo di Christopher posarsi su di me, curioso. Ma che diamine avevo nella testa? Ora magari mi sarei messa anche a raccontare del mio luogo segreto, visto che c'ero...
"Lo immaginavo in realtà. Non riuscirei a pensarti lontana dal mare," disse allora lui, sempre con quel tono di voce vivace, come se la cosa lo divertisse.
"Già, perché tu mi conosci bene, no?" risposi piccata. Mi infastidiva il suo atteggiamento, era come se per lui fosse tutto un gioco.
Ma per me non lo era. Nonostante lui non ci fosse più, avevo davvero mantenuto l'abitudine di andare al mare, sostando sugli scogli su cui avevamo vissuto importanti momenti della nostra amicizia. E tra le onde del mare l'unica cosa che riuscivo a vedere era il suo volto, nel loro sciabordio sentivo le nostre risate e nel suo profumo la fragranza del nostro legame. Ma poi la sua immagine si era sbiadita, le risate si erano spente e l'effluvio era tornato a essere semplicemente quello della salsedine. Tutto svanito, proprio come la nostra amicizia. E forse sembrerò esagerata, in fondo eravamo solo bambini, ma il rapporto che avevamo noi due era speciale.
"Vedo che sei arrabbiata con me..." mormorò lui, sospirando.
Ma cosa credeva, che sarei stata lì ad accoglierlo a braccia aperte? Senza contare che fino a pochi minuti prima era lui il primo a ignorarmi.
"Ero abbastanza sicura che tu fossi uno sciocco, ma non pensavo a questi livelli. Comunque, no, non sono arrabbiata con te, ho solo voglia di essere lasciata in pace," proruppi in una risata amara. Sentivo ancora gli occhi pizzicarmi a causa delle lacrime e l'ultima cosa di cui avevo bisogno era che lui mi ricordasse quanto avevo perso e quanto la mia vita attuale non mi piacesse.
"Andiamo, non sono poi così idiota come dici. Ho capito benissimo che hai qualcosa che non va. Pensi di potermene parlare?"
Mi girai a bocca aperta verso di lui. Ma che diamine voleva?
"Cosa non hai capito dell'espressione essere lasciata in pace?" domandai sconcertata.
"Lo sai benissimo che se me ne andassi non saresti ugualmente in pace, si vede lontano un miglio che c'è qualcosa che ti sta logorando interiormente," disse lui tranquillamente, con una sicurezza disarmante. Era davvero così facile leggermi dentro? O era lui che ancora riusciva a capirmi senza aver bisogno di parole?
"Smettila, Chris," dissi piano, il tono che nascondeva una tacita minaccia. Stava davvero mettendo a dura prova la mia già scarsa pazienza.
"Sei sempre stata una maledetta orgogliosa, senza capire che se per una volta ti lasciassi andare con gli altri..."
"Stai zitto!"
"...forse riusciresti a risolvere tutti i tuoi problemi."
"Smettila di parlare come se mi conoscessi."
"E invece sei sempre in un angolo, da sola con tutto dentro, senza mai aprire anche solo un fottuto spiraglio agli altri..."
"Smettila!"
"...ma per te è tutto giusto così, meglio stare da soli che permettere agli altri di conoscerti...
"Ti ho detto di smetterla!" gli urlai alzandomi in piedi, incombendo su di lui.
"Come ti permetti di parlarmi così, tu non sai nulla di me, nulla! E sai perché? Perché sette fottutissimi anni fa hai rovinato la nostra amicizia, in pratica l'unica cosa davvero bella che avevo. Quindi smettila di comportarti come se non fosse mai successo nulla, come se ci tenessi ancora a me, perché se così fosse le cose oggi sarebbero molto diverse. Se io preferisco tenermi tutto dentro forse un accidente di motivo c'è e sei tu, completo idiota!"
Quando finii avevo il fiatone, le mani strette a pugno così tanto da bloccarmi la circolazione del sangue. Volsi subito lo sguardo lontano da lui, verso l'orizzonte, vergognandomi delle mie stesse parole. Mi aveva fatto perdere totalmente il controllo, facendomi dire cose che non avrei mai voluto sapesse. Sentivo il sangue pulsarmi nelle orecchie, tanto che non sentii il rumore di lui che si alzava e si poneva dinnanzi a me, finché non mi afferrò il mento con le dita, costringendomi a guardarlo.
"Kate... perché mi hai abbracciato quel giorno?" mi domandò, le sue labbra scosse da un leggero tremito. Spalancai gli occhi, scrutando dentro di lui, cercando di capire. Perché quella domanda? Perché quell'espressione seria?
"I-i-io..." balbettai, scossa da brividi incontrollabili. Mi dissi che era per la fresca brezza del mare. Mi dissi che era per via delle fredde goccioline che rimbalzavano fin lassù. "I-io..." provai a dire di nuovo, ma senza trovare le parole.
Perché quella domanda?
Le sue mani ruvide e callose, mi accarezzarono impercettibilmente la liscia pelle che mi ricopriva la mascella, mentre un timido sorriso gli increspò le labbra. "Mi hai abbracciato perché hai visto qualcosa di diverso in me, non è vero?"
Rimasi immobile, incapace di dire o fare qualsiasi cosa, congelata.
Eppure, sono sotto il sole cocente...
Il suo sorriso si incurvò leggermente verso il basso, ma il suo sguardo rimase dolce, delicato. "Mi dispiace così tanto, Kate, per averti fatto soffrire sette anni fa. Mi dispiace per come mi sono comportato con te da quel giorno. Ma, Kate, ci sono cose che tu non sai. Cose che non ti posso dire. Voglio solo che tu sappia che eri la mia migliore amica, la persona più importante per me e che mai, mai, avrei voluto che le cose andassero così." Nei suoi occhi vidi solo sincero dispiacere, addirittura dolore, come se quello che aveva fatto avesse arrecato più male a lui che a me.
Cosa diamine ti è successo, Chris?
Mi scostai bruscamente, facendo due passi indietro e prendendo spazio. La sua vicinanza mi mandava in confusione il cervello.
"Parole vuote. Sono parole vuote. Se non volevi, perché l'hai fatto? Perché mi hai odiato per anni e ti sei fatto odiare a tua volta?" ribattei guardandolo con rabbia. Non potevo perdonarlo, no.
"Io... ci sono stati dei motivi e non..."
"Fammi indovinare: non puoi dirmelo. Non avevo dubbi. Sempre un mistero con te," ridacchiai sprezzante. "Sai una cosa? Non vuoi dirmelo, non farlo! Ma almeno smettila di comportarti come se ti importasse di me," urlai esasperata. Se c'era una persona capace di mandarmi fuori di testa quella era Christopher O'Connor. Lui un tempo era davvero tutto per me, il mio punto fermo, un pilastro a cui aggrapparmi nei momenti peggiori, ma quando se ne era andato e si era persino aggiunto a quelli che si divertivano a prendersela con me, il mio mondo era crollato e io ero finita dentro a un baratro senza fine. Mi ci era voluto un secolo per riemergere e una volta che ero finalmente riuscita a trascinarmici fuori, era tornato lui a incasinarmi la vita.
"Non posso," urlò lui a sua volta, sorprendendomi. "Non posso perché io ci tengo a te, che tu ci creda o no. E ti dirò, capisco la tua diffidenza, ma non posso farci niente, non posso cambiare il passato e soprattutto non riesco a lasciarti stare!"
Sembrava arrabbiato quando pronunciò quelle frasi, ma non riuscii a capire se ce l'avesse più con me o con sé stesso.
"Ma chi diavolo sei?" chiesi, ormai troppo confusa per capirci qualcosa. "A tratti sembri quello di una volta... ma poi torni il mostro di questi ultimi anni. Chi sei veramente?" Ormai non mi importava più nulla di quello che poteva pensare di me, volevo soltanto che mi desse una risposta, volevo solo capire cosa succedesse in quella testa dannata.
Lui abbassò il volto, ma avevo fatto in tempo a vedere nei suoi occhi il terrore che aveva suscitato quella domanda. Cosa nascondeva quel ragazzo, possibile che fosse qualcosa di così terribile da non poterne parlare, da aver causato tutto quel casino tra noi due?
"Io sono entrambi," disse alla fine lui, con voce esitante. Mi faceva strano vederlo così insicuro, un'immagine in chiaro contrasto con quella del ragazzo figo e imperturbabile che si era cucito addosso. "Non ti posso spiegare, non ancora, non ci riesco. Un giorno forse avrò la forza di dirti quali motivi mi spinsero a comportarmi allora in quel modo e quali ancora oggi mi portino a essere così strano. Non ti chiedo di capirmi, so che non puoi farlo e fidati, so di averti ferita. Non ci crederai, ma ne ho sofferto anch'io e capisco quanto tutto ciò non abbia senso ai tuoi occhi, ma io, nonostante tutto, ora ho bisogno di te nella mia vita."
Lo guardai, allibita. Non mi sarei mai aspettata parole simili da lui, troppo orgoglioso e mai veramente capace di ammettere i propri sentimenti. O forse era solo l'immagine di lui che io mi ero costruita? L'immagine che lui aveva costruito.
"Perché me?" domandai allora di getto. "Perché hai deciso di tormentare proprio me?" La mia voce era un sussurro e sapevo bene che una parte di me era molto più che felice che lui fosse ritornato a far parte della mia vita, soprattutto quella parte che da diversi minuti aveva cominciato a suggerirmi: bacialo.
Una parte di me che decisamente non avrei ascoltato.
"Adesso sono un tormento?" mi domandò con un sorriso ironico, fissandomi con un'intensità che non riuscivo più a sostenere.
"Smettila," ribattei, distogliendo lo sguardo.
Lui invece scoppiò a ridere.
"Perché? Vorrei saperlo anch'io. Tu hai qualcosa di dannatamente speciale. Se mi vedi diverso è solo colpa tua, in tutti i sensi possibili, dannazione! Vuoi sapere perché? Forse è perché tu mi aiuti a essere quella persona che vorrei, ma che non riesco a diventare. Stai riuscendo ad avere un potere del tutto nuovo su di me e, fidati, questa cosa mi terrorizza. Ma allo stesso tempo mi fa sentire più vivo che mai." C'era qualcosa di selvaggio nel suo sguardo, qualcosa che mi spaventava, ma che al contempo mi elettrizzava.
Da quanto tempo non mi sentivo così fottutamente viva?
"Cosa intendi?" domandai titubante, con il cuore che batteva all'impazzata.
"Credo che tu lo sappia," mi rispose, allusivo. Mi sentii avvampare. Stava forse ammettendo di provare qualcosa per me? Scossi la testa, il nostro rapporto era un ingarbuglio complicato già così, dei sentimenti avrebbero complicato tutto, soprattutto visto che ero più che certa di ricambiarli, per quanto fosse sciocco.
"Perché non mi puoi dire cosa mi nascondi? Non posso fidarmi di te finché non capirò..." dissi per sviare il discorso. Mi avvicinai leggermente a lui, allungando lentamente una mano.
Vidi il terrore allargarsi nei suoi occhi, come se il solo pensiero lo facesse uscire di senno. "No, Kate, no! Non posso, ti prego. È tutto..." prese un profondo respiro, come se facesse fatica a parlare, "è tutto troppo per me. Vorrei poterlo dire, ma non riesco. Non riesco, diamine, non riesco! E anche se ci riuscissi Lui non me lo permettereb..." si bloccò di colpo, sgranando gli occhi nel rendersi conto che aveva detto una parola di troppo.
"Lui? Lui chi? Chi è questo Lui di cui continui a parlare? Qualcuno ti minaccia? Tuo padre? Qualcuno di Majesten? Ora nessuno può controllarti," cercai disperatamente di capire, avvicinandomi rapidamente e prendendolo per le spalle. Quella storia appariva sempre più complicata e non sapevo più cosa pensare.
"Ti sbagli. Non posso Kate e so che mi odierai per questo, ma non posso. Perdonami, non vorrei mai ferirti..." mi rispose scuotendo la testa.
"E allora perché continui a farlo?" urlai ormai in preda alla disperazione.
"Oh, Grande Salice, perché sei così cocciuta?!" esclamò lui, allontanandosi.
"Perché sono stanca dei tuoi misteri e di vivere in un mondo di bugie! Sai, forse preferivo quando ci odiavamo e basta, almeno avevo la certezza che non ti importava nulla di me, mentre ora non ho più nemmeno quella!" esclamai allo stremo. Ancora un po' e lo avrei spinto giù dalla scogliera.
I suoi occhi si tinsero di rammarico e il suo volto si ammorbidì. Mi si avvicinò, guardandomi negli occhi: i suoi di ghiaccio mi resero rovente. "Lo so Kate, lo so che non potrai mai dimenticare tutto il male che ti ho causato, lo so che non potrà mai più essere come prima e mi dispiace che tutte le tue certezze siano crollate," mormorò ad un soffio dalle mie labbra, facendomi tremare tutta. "Ma sappi che io ci sono, forse in modi improbabili, ma non ti abbandonerò mai. E forse, anche se non puoi dimenticare, magari puoi andare avanti."
Lo guardavo, sconvolta, confusa e imbarazzatamente accaldata. "I-io..." balbettai, senza sapere davvero cosa dire.
Lui fece un sorriso tirato, facendo un passo indietro e improvvisamente mi sentii come svuotata, come se la sua sola presenza mi facesse sentire più completa.
"Non fare il solito errore Kate, non mi allontanare," disse semplicemente. Avrei voluto urlargli che in realtà l'unica cosa che volevo in quel momento era averlo vicino, ma il mio orgoglio non me lo permise.
"Perché, tu cosa hai fatto?" dissi invece, incapace di uscire dai soliti schemi mentali infantili.
"Oh, per tutti i Mondi, Kate, sembri un disco rotto! È così difficile da capire?" disse in risposta alzando gli occhi al cielo.
"Che cosa?" chiesi con voce flebile.
"Che ho bisogno di te, stupida Dothui! Ora!" esclamò, ormai senza pazienza.
"C-come?" balbettai. Le sorprese erano senza fine...
"Ho ucciso e, Kate, per quanto tu possa credere che io sia insensibile alla cosa, beh non è così. Ho sempre pensato di essere sporco, ma solo quando ho affondato la mia lama nel petto di quell'uomo... solo allora ho capito cosa vuol dire perdere ogni tipo di purezza. Persino quel poco di buono che mi rimaneva..."
Rimasi in silenzio, incapace di trovare le parole per esprimere quello che sentivo in quel momento. La rabbia si era esaurita in un attimo e in quel momento avrei solo voluto eliminare tutta la sofferenza che leggevo chiaramente nei suoi occhi, liberare la sua anima da tutti i pesi che per la prima volta vedevo davvero gravare sulle sue spalle. Come avevo potuto non notare il dolore che segnava il suo volto? Ero stata sempre cieca o era lui a permettermi di vederlo per la prima volta?
Perciò feci l'unica cosa che sapevo di poter fare per aiutarlo: lo abbracciai. Un gesto banale, forse, ma tante volte nella mia vita avevo sentito il bisogno di un abbraccio e non c'era mai stato nessuno pronto a darmelo.
Lo sentii irrigidirsi tra le mie braccia, sorpreso dal mio gesto, ma poi i suoi muscoli si rilassarono, lasciando che il suo imponente corpo fosse circondato dalle mie esili braccia.
"Un tempo pensavo di conoscerti meglio di chiunque altro, ora so che tu sei un mistero per me. Di una cosa però ho l'assoluta certezza: non sei sporco, dentro di te hai un cuore molto più puro di tanti finti santi," gli rivelai con la voce rotta dall'emozione.
"Non lo puoi sapere," puntualizzò lui, stringendomi più forte a sé.
"Hai ragione, ma ciò non cambia quello che penso di te," risposi sincera. Non lo sapevo prima di dirlo, ma in realtà lo credevo veramente.
E lo strinsi anche io più forte, chiedendomi se fosse davvero solo lui ad avere bisogno di quell'abbraccio o se anche io lo desiderassi. Nessuno più di lui mi poteva far sentire a casa e io non avevo bisogno d'altro. Forse in fondo così sola non ero: il mio rapporto con Chris era un casino, ma, ciò nonostante, in quel momento seppi che ci saremmo sempre stati l'uno per l'altra. Nemici, amici, o chissà che altro, ma indissolubilmente legati...
E forse potevo davvero andare avanti, perdonare. Potevo imparare a conoscerlo da capo, senza lasciare che il passato mi bloccasse. Anche io avevo bisogno di lui nella mia vita.
Non c'era più bisogno di parole, eravamo solo due ragazzi persi, con una vita difficile e tra le mani una missione ben più grande di loro. Ma insieme stavamo ritrovando noi stessi, riflessi e rafforzati nell'altro. Tra le sue forti braccia sentii che un po' mi stavo aggiustando, un pezzettino per volta.
Dopo quelli che mi sembrarono anni ci separammo, ma solo per risederci a terra, il suo braccio sulle mie spalle, la mia testa appoggiata a lui. I nostri corpi erano stretti vicini, mentre lasciavamo lo sguardo scorrere sull'orizzonte. Sarei rimasta così per sempre.
Ma le tempeste arrivano sempre nei momenti più inaspettati. All'improvviso un forte calore iniziò a premere sul mio petto. La collana, di nuovo. Mi scostai da Chris e la guardai, cercando di capire cosa stesse cercando di dirmi. Avevo il presentimento che qualche cosa non andasse, una sensazione di allarme e pericolo.
"L'accampamento!" esclamai, saltando in piedi e guardando Chris. Lui mi fissò confuso. "Chris. C'è qualcosa che non va. Dobbiamo tornare subito dagli altri," aggiunsi, guardandomi intorno agitata.
"Cosa... Kate... Come fai a dirlo, mi sembra tutto tranquillo," mi rispose lui confuso e ben poco convinto.
"Il ciondolo. Il ciondolo me lo sta dicendo in qualche modo. Ti prego, davvero, fidati di me" lo guardavo pregandolo di ascoltarmi. Lui esitò un secondo, ma poi annuì, convinto. "Andiamo."
E di corsa tornammo indietro, lasciandoci alle spalle il mare agitato. Più ci avvicinavamo più sentivo che c'era qualcosa di profondamente sbagliato e infatti furono presto udibili dei rumori di armi che cozzavano tra di loro. Affrettammo il passo e quando arrivammo in cima alla collinetta guardammo giù.
Non mi ero sbagliata. E il pericolo era anche più grande di quanto avessi pensato.
ANGOLO AUTRICE:
Buona domenica cari lettori!
Questo capitolo è stato concepito molto prima di avere chiara in mente tutta la trama della storia ed è ispirato a un luogo reale sulla Terra, la scogliera di Dingle in Irlanda, posto che ho potuto ammirare di persona qualche anno fa e che mi è rimasto nel cuore. Lo stesso luogo che Kate sente appartenere al suo passato perduto.
Spero davvero vi sia piaciuto, essendo un capitolo a cui io sono molto legata e che rappresenta anche un punto di svolta per Kate e Chris, finalmente pronti a lasciare da parte per un po' il passato e permettersi di vedere come potrà evolvere il loro rapporto.
Alla prossima settimana, in cui potremo vedere quale pericolo ha percepito Kate e in cui vi anticipo si scoprirà qualcosa di molto importante riguardo uno dei sei Prescelti!
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