(R) CAPITOLO 27: Inciso sulla pelle
Furono giorni difficili quelli che seguirono, avvolti da una fredda monotonia.
Ero stanca, non solo fisicamente, ma soprattutto emotivamente e psicologicamente.
Dopo la prima battaglia ne erano seguite diverse altre e ogni volta che vedevo più morti e più dolore il mio cuore perdeva un pezzo.
Non c'erano più feste che riuscissero ad allietare le serate, a distrarre le nostre menti dall'orrore. Non sarebbe più bastato un boccale di birra e il sorriso di un bel giovane. Non per me.
Avrei voluto smetterla di pensare, ma portavo un fardello, un pensiero fisso da cui non riuscivo a scappare. Stavo continuando a seguire i miei ideali ed ero sicura di fare la cosa giusta per me, ma per gli altri? Li avrei costretti a rimanere in quel luogo per sempre? Avrei costretto me stessa in un luogo che mi devastava giorno dopo giorno sempre di più? Che mi risucchiava l'anima?
Ormai non c'erano più dubbi: per poter passare al mondo successivo dovevamo uccidere. A quel punto anche Jasmine lo aveva fatto e aveva ricevuto il marchio sul polso, proprio come gli altri tre: una piaga a forma di x sulla pelle, indelebile. Il nostro lasciapassare.
Era già trascorsa una settimana dal nostro arrivo all'accampamento e noi avevamo partecipato ad altri quattro scontri, nei quali me l'ero cavata senza causare la morte di nessuno. Quattro battaglie dove ero sopravvissuta, più o meno. Potrei dilungarmi nel narrare gli orrori che avevo visto, le crudeltà e l'odio di cui fui testimone, ma risvegliano in me solo brutti ricordi e non mi aiuterebbero a dimenticare.
Come ho già detto, quelli furono giorni difficili. Il giorno era orrore e la notte era lo specchio di quello che avevo vissuto da sveglia. Non c'era fuga.
Ormai in quegli uomini non riconoscevo più neppure l'eroismo. Li vedevo per quello che erano: persone comuni chiamate a prendersi sulle spalle responsabilità non loro. Eroi o non eroi, per il mio sguardo pessimistico erano solo carne da macello. Probabili future vittime di una carneficina.
Procedevo come in trance, avevo trovato una sorta di salvezza nell'annullamento di me stessa, tecnica che avevo affinato nella mia adolescenza, giorno dopo giorno, per sostenere la mia maschera di imperturbabilità. Ero ancora brava per fortuna.
Avevo ripreso a fingere di disinteressarmi di tutto. Non mi curavo di Alysha, della sua figura misteriosa e tormentata, né di Zac, che da quando aveva ucciso non era più riuscito a sorridere. Me ne infischiavo di Jas, delle sue battute taglienti e delle sue occhiate omicide. Ignoravo Chris e non mi curavo del fatto che anche lui ignorasse me, anche se un paio di volte lo avevo visto rivolgermi qualche occhiata strana. Non mi curavo perfino del povero Oliver, che, come me, sembrava vivere malissimo il compito di uccidere.
Non mi davo pensiero della morte in agguato, degli incubi e del sangue.
Non badavo al fatto che tutte queste fossero delle bugie.
Quanto mi sarebbe piaciuto che quelle menzogne fossero la verità. Quanto avrei desiderato per davvero non provare nulla, diventare asettica, intoccabile. Forse è davvero meglio non provare sentimenti, se l'alternativa è la sofferenza.
Eppure, ogni volta che notavo il dolore negli occhi degli altri, mi si stringeva il cuore. Continuavo a cercare di non darci peso, ma ero come finita in un melmoso mare di orrore, così vischioso che era impossibile uscirne.
Le giornate passavano così, tra azioni e ozi, tra spade e armature, pervase di ricordi e disillusioni. Mi ero persa nuovamente in me stessa e mi andava anche bene. Vagavo spesso per l'accampamento tenendo lo sguardo dritto davanti a me. Aperto e cieco.
Andavo in giro, dando solo piccoli cenni del capo come saluto agli altri soldati ed evitando la zona adiacente alle nostre tende. In tal modo speravo di evitare i miei compagni e di ridurre al minimo il tempo passato con loro.
Un giorno, però, mentre stavo camminando lungo il perimetro esterno dell'accampamento, trascinando i piedi avvolti da comodi stivali di pelle, sentii delle voci familiari provenire proprio da dietro l'angolo di una tenda. Una era quella di Jasmine, stranamente dolce. Era così diversa dal solito che non potei vincere la curiosità di scoprire cosa stesse succedendo, così mi misi silenziosamente a spiare la scena che si stava svolgendo a pochi metri da me.
"Zac, guardami..." stava dicendo con voce carezzevole la fata bionda al bel ragazzo dagli occhi color giada. Era la prima volta che la vedevo così tenera nei confronti di qualcuno e mi ritornò in mente la cotta che lui aveva ammesso di avere per lei e di come credesse di non essere corrisposto. Sembravano passati secoli dall'ultima volta che ne avevamo parlato, un dialogo appartenuto a un'altra vita, invece era stato solo un paio di settimane prima. Le questioni amorose nell'ultimo periodo erano davvero gli ultimi dei miei interessi, ma in quel momento di respiro, mi permisi un po' di sana e maliziosa curiosità.
Il ragazzo teneva il capo chino, evitando lo sguardo di lei, schivo. "Jasmine per favore, lasciami stare."
"Zac, per favore, tu devi reagire in qualche modo. Io... Io ti capisco. Mi sento così... così sporca, macchiata per sempre. Le mie mani sono irrimediabilmente sporche di sangue e non mi dimenticherò mai quello che ho fatto, però... devi cercare di perdonarti, Zachy, devi trovare un modo per andare oltre. Quell'uomo stava per ucciderti: ti sei solo difeso, come ho fatto io. Siamo in guerra e non potevi fare diversamente, lo sai," cercò di consolarlo lei, prendendogli le mani e avvicinandosele al petto.
"No, tu non puoi capire," disse con voce disperata lui, scuotendo la testa. "Non capisci quello che ho provato. Lo sai, lo sai che io ho questa dannata empatia. Per i Sette Mondi quanto la odio, la odio con tutto me stesso! Mi sento come costretto a fare il bene di tutti, perché come potrei fare altrimenti?! Sarei invaso dal dolore che provocherei agli altri. Tu, Jasmine, non capisci cosa vuol dire comprendere sempre tutti, essere perfetto ogni momento nel rapportarsi con gli altri, perché sai esattamente cosa vogliono. Vorrei solo essere normale, una volta tanto pensare a me stesso senza sentirmi così fottutamente in colpa. Tutte queste persone... è troppo dolore e io lo vivo tutto. Non puoi pensare di capirmi."
Rimasi sconvolta dalle parole di Zac e il mio muro di indifferenza crollò in un solo istante. Zac soffriva e non solo per i sensi di colpa per aver ucciso. Quel mondo doveva essere un inferno per lui. E per colpa mia rischiavamo di non andarcene mai.
I miei occhi iniziarono a inumidirsi, facendomi vedere tutto un po' sfocato, ma ricacciai indietro le lacrime, continuando ad ascoltare i due giovani.
Jas lo fissò con occhi spalancati, comprendendo anche lei per la prima volta la difficile situazione di Zac, di come sentisse tutto ciò che provavano le persone quando venivano ferite, o morivano. Provava tutto l'orrore di tutti. Sarebbe presto impazzito di quel passo.
"Diamine... Zac mi dispiace così tanto... io, non avevo idea..." disse lei alla fine con voce rotta e di slancio lo abbracciò, con impeto, cullandogli la testa sul suo petto. Lo strinse a sé come se così facendo avrebbe potuto salvarlo. Forse pensava che avrebbe potuto salvare anche sé stessa. Però, dopo pochi secondi, successe qualcosa che cambiò completamente la situazione. Forse preso dall'intensità del momento, lui si sciolse dall'abbraccio e con furia premette le sue labbra su quelle della ragazza, imprigionandole in un bacio disperato.
Ero sconvolta e mi sentivo un'impicciona, ma non ebbi il tempo di voltarmi che lei lo spinse via in malo modo, arretrando di qualche passo sconvolta. Io subito mi ritrassi, nascondendomi dietro alla tenda, avendo paura di essere scoperta.
La Mahir aveva gli occhi spalancati per la sorpresa, dimostrando che non si sarebbe mai aspettata un gesto simile dal ragazzo. Confusa, spaventata, arrabbiata.
"Perché... Perché lo hai fatto?!" esclamò con tono accusatorio.
"Jas... scusami non avrei dovuto, ti prego, dimentica tutto," mormorò triste il ragazzo. Aveva le lacrime agli occhi, visibilmente mortificato. Sentii il rumore del suo cuore che cadeva in frantumi e mi venne una voglia pazza di uccidere Jasmine.
"Io... Non capisco..." lei abbassò gli occhi, forse cercando di trovare una qualche spiegazione a tutto quello che era successo. "Scusami, ora devo andare, mi dispiace."
E lo fece. Se ne andò, corse via lasciandolo là, distrutto ancora di più. Senza guardarsi indietro procedette nella direzione opposta alla mia, tenendosi una mano sul volto, come se la testa a un tratto fosse diventata troppo pesante per essere sostenuta dal collo.
Mi sentivo in pena per Zac. Se già prima era distrutto, non riuscivo neppure a immaginare quanto soffrisse in quel momento. Lo fissai con la tentazione di andarlo ad abbracciare e consolare, ma per farlo avrei dovuto ammettere di aver visto tutto.
"Vieni qui, Kate, tanto so che ci sei," prevenne lui la mia decisione.
Imbarazzata uscii allora allo scoperto, ponendomi davanti a Zac, appoggiato alla struttura della tenda con la schiena e con il viso rivolto verso il cielo, alla ricerca di un qualche aiuto divino.
"Mi dispiace, Zac. Non avrei dovuto origliare... e neppure guardare se per questo," mi scusai sentendomi in colpa.
"Non ti scusare. Stai parlando con me, dimentichi che io percepisco costantemente le persone e i loro cuori. Volente o nolente, io origlio sempre," disse mettendomi una mano sulla spalla e rivolgendomi un amaro sorriso.
"Tu la ami, vero?" mi sfuggì, ma non me ne pentii. Per una volta anche lui aveva diritto di parlare dei suoi sentimenti e qualcuno doveva pur ascoltarlo.
"Non lo so, a volte credo di sì, ma altre... È buffo, ma riesco a capire i sentimenti di tutti, tranne i miei. E anche con quelli di Jasmine faccio fatica, direi. Avevo creduto che mi ricambiasse, ma a quanto pare mi sbagliavo..." sembrava veramente combattuto e confuso. Come se il sentire tutti i sentimenti degli altri gli rendesse impossibile percepire i propri.
"È per quello che ti piace, no?"
"Sì, è questo il punto. Mi piace perché non è un libro aperto. Ma non capisco se io sia solo affascinato dal mistero che avvolge la sua figura, oppure ci sia altro. Sicuramente le voglio bene, siamo cresciuti assieme, eppure non mi sembra mai di capirla e conoscerla abbastanza."
"È strano sai... sentire parlare qualcuno in questo modo. È raro trovare persone così profonde, ma tu... tu sei speciale Zac. Immagino che sia un tormento la tua super empatia, ma ti rende quello che sei, ossia una bella persona, pura e buona," gli dissi, appoggiandomi al suo fianco.
"Pura, eh? No, ormai l'ho persa la purezza," ridacchiò amaramente, mostrandomi il polso. Il segno era preciso, senza sbavature, marchiato come con l'inchiostro sulla pelle. Un segno, una dannazione. Davvero l'Albero dei Mondi voleva questo per noi?
"Non è quello... Non sarà quello a macchiare la tua anima. Se tu sei buono, non sarà questo a renderti cattivo... Lo hai fatto per sopravvivere," cercai di rassicurarlo e consolarlo.
"Ah, sì? E allora, se la pensi così, perché non hai ancora ucciso? Perché non ce ne siamo ancora andati?" Mi fecero male quelle parole, anche se ero consapevole della mia grande incoerenza. La realtà era che ero brava a parlare, ma poi a conti fatti... Non avrei mai ucciso, necessario o meno.
"I-i-io..." balbettai incassando il colpo.
"No, scusami, non volevo..." mi interruppe tormentandosi il labbro il ragazzo. "Perdonami, non voglio metterti in difficoltà. La verità è che ti ammiro. Ti ammiro e so che ti senti in colpa per me e per tutti, ma ascoltami: non uccidere. Non farlo se non vuoi ed è ovvio che tu non lo voglia fare."
"Grazie," dissi commossa, giocherellando con le dita con il mio ciondolo. "Come stai? Per la cosa di Jasmine intendo," ritornai sull'argomento iniziale, per fuggire da quella discussione complicata.
"Boh, non lo so. Mortificato? Imbarazzato? Ferito? Triste? Non saprei decidere. Non ho riflettuto e probabilmente ho perso qualsiasi occasione di vedere dentro il suo cuore."
"Potrebbero cambiare le cose. Forse deve solo maturare il sentimento. Forse è spaventata. L'ho vista diversa prima, dolce e premurosa. Era la prima volta che mi capitava."
"Lei è così. Non sembra, lo so, ma se vuole bene a qualcuno è così. Molto di ciò che vedi di lei è solo una maschera. Ha tanti difetti, ma in fondo è buona," disse lui con un piccolo sorriso sulle labbra, che valeva più di mille parole. Cavoli, era completamente cotto.
"Se lo dici tu," mormorai poco convinta. "Comunque mi dispiace tanto. Per te. Per tutto. Non oso immaginare..."
"Tranquilla. Imparerò a conviverci, non ti preoccupare. Non ti chiederò mai di uccidere. Mai. So cosa vuol dire molto bene. Ti distruggerebbe," ammise sospirano pesantemente Zac.
"Ma così sono io che distruggo te..." dissi con voce incrinata. Una lacrima iniziò a scendere lungo la mia guancia, lasciando lentamente una scia. Subito portai la mano ad asciugarla, ma era troppo tardi, il ragazzo se ne era accorto, e allora mi abbracciò, stringendomi forte. Scoppiai a piangere senza ritegno, rilasciando tutta la tensione e disperazione di quei giorni. E con me anche Zac si lasciò andare in un pianto liberatorio. Ancora una volta, non ero stata capace ti tenere alzata la maschera e i miei sentimenti erano finalmente liberi di scorrere fuori, investendomi con spietata forza.
Ma tra le braccia di quel ragazzo riuscii a trovare consolazione, come lui in me. Dopo quanto accaduto con Alysha, facevo fatica a fidarmi e probabilmente me ne sarei pentita, ma mi permisi di sentirmi al sicuro. Forse per davvero tra i vari orrori avevo trovato un amico. Un'anima affine a cui affidarmi.
Quando tornammo alle nostre tende, lo facemmo entrambi con il sorriso sulle labbra, nonostante l'oscurità che ci seguiva a ogni passo.
Veronica, la governante di villa Forrest, mi diceva sempre che ero troppo schizzinosa con il cibo, ma vi assicuro che nessuno avrebbe mangiato l'intruglio che avevo sotto gli occhi. Solo l'odore che usciva dalla ciotola di terracotta faceva venire dei conati di vomito, quindi mi ritrovavo da cinque minuti a osservare la zuppa con sospetto, girando lentamente il cucchiaio al suo interno, sperando di non trovarci peli o peggio.
Masianne, la cuoca volontaria del campo, se la cavava discretamente ai fornelli, quindi o quel giorno aveva deciso di avvelenare le truppe dell'esercito Garennita, oppure aveva cucinato qualcun altro.
Sospirai rassegnata e chiusi gli occhi ripensando alle meravigliose prelibatezze di cui mi ero cibata per tutta la mia vita. Cioccolatini... sembravano passati secoli da quando ne avevo mangiato uno. Tartine, brioche, lasagne. Una pizza, da quanto non mangiavo una buona pizza farcita? Tra le tante invenzioni che avevamo "rubato" dalla Terra, sicuramente la pizza era una delle migliori.
Un brontolio seccato da parte della mia pancia mi riportò alla triste realtà: tra lo stomaco chiuso e le portate poco piacevoli era da giorni che mangiavo poco e nulla e il mio fisico ne risentiva. Mi sentivo debilitata, non essendo abituata a quello stile di vita.
"Non lo mangi?" mi domandò Chris, prendendomi alla sprovvista. Mi balzò subito il cuore in gola, spaventata. Era da giorni che non parlavamo. Passavamo da un estremo all'altro, intere ore passate insieme, come nel cammino verso la Domus Alba, e altrettante invece come quelle, in cui ci ignoravamo. Eravamo stati sul punto di baciarci più volte, ma ora sembrava tutto svanito. Puff. Come se fosse stato tutto nella mia testa.
Il nostro rapporto era un continuo susseguirsi di alti e bassi, mai si riusciva a trovare una situazione stabile, una qualche tranquillità. E ciò mi preoccupava, perché ogni volta rimanevo vittima di uno dei suoi strani cambi d'umore, mi sentivo mancare la terra sotto i piedi. Volevo tanto poter aver controllo su tutto quello che succedeva nella mia vita, ma Christopher era un'incognita ancora senza soluzione, ormai da davvero troppo tempo.
"No. Non la mangio. Ha un aspetto terribile," risposi, guardandolo negli occhi con un'espressione di disgusto.
Ridacchiò. "Non hai tutti i torti. Però ti serve mantenere le forze, hai bisogno di nutrirti."
Mi strinsi nelle spalle, concorde con lui, ma anche con tutta la buona volontà del mondo, non sarei mai riuscita mandare giù quella sbobba.
"Me la caverò, tranquillo. Oppure ti preoccupi perché pensi che non possa uccidere se sono troppo debole?" La frecciatina mi uscì senza volerlo. Troppo spesso con lui la bocca non mi rimaneva cucita.
"Wow. Era necessario?" mi domandò dopo qualche secondo con tono risentito. I suoi occhi divennero sfuggenti, spostandosi ora sul tavolo, ora sulle sue vesti.
"Non lo so," risposi, improvvisamente pentita di quello che avevo detto. In quel momento, guardandolo, non mi sentivo più arrabbiata con lui. Non mi sembrava più ci fossero motivi per esserlo, sembrava così... innocente. In quel momento, però. Non dubitavo che le cose sarebbero presto cambiate, di nuovo.
"Come stai?" mi domandò un po' titubante, dopo diversi istanti di imbarazzante silenzio.
Alzai lo sguardo dalla scodella per guardarlo negli occhi, e vidi un sorriso un po' timido e imbarazzato.
"Confusa," risposi onestamente. Avevo voglia di sapere, di risolvere i dubbi e, anche se pensavo fosse inutile, dovevo provarci.
"Riguardo a cosa?" mi chiese aggrottando le sopracciglia.
"A te," risposi, mantenendo lo sguardo dritto nei suoi occhi. Sentivo per una volta che ero io a perforarlo, trapassarlo nell'anima, e la cosa mi faceva sentire stranamente potente.
"Cosa intendi?" in un secondo l'interesse nei suoi occhi si era trasformato in profonda preoccupazione e si vedeva chiaramente che in quel momento avrebbe voluto solamente scappare lontano. Non glielo avrei più permesso.
"Lo so che mi nascondi qualcosa. Qualcosa di grosso. E lo fai da troppi anni ormai," ripresi fiato e mi costrinsi a continuare. "Cambi, cambi continuamente. Prima mi stai vicino, poi mi ignori. Mi guardi con occhi diversi da un momento all'altro. Perché lo fai? Cosa mi nascondi?" Nel parlare mi ero inclinata con il busto in avanti, tanto da sovrastare il tavolo, e lui per riflesso si era allontanato di colpo da esso.
La mia voce era talmente ferma e decisa che sorprese anche me. Lo guardai mentre ammutoliva. Lo osservai mentre disperatamente cercava di trovare una qualche via di fuga. Lo colsi mentre realizzava che presto o tardi sarebbe arrivata la resa dei conti.
"Kate..."
"Soldati! Attenzione, prego!" l'urlo del tenente interruppe bruscamente Chris, impedendomi di scoprire qualcosa in più su di lui, qualunque cosa fosse.
L'uomo stava davanti alla lunga tavolata, la schiena dritta e lo sguardo severo.
"Soldati, domani mattina partirà un'importantissima spedizione e abbiamo bisogno di dieci di voi come scorta. Chi ha intenzione di offrirsi come volontario si presenti tra dieci minuti presso la tenda del comandante. Inutile dire che sarà una missione rischiosa, quindi pensateci bene," concluso l'annuncio se ne andò, sempre impettito.
"Ahi," strillai sentendo un forte bruciore al polso. D'istinto lo sollevai per guardarlo e sconvolta notai una piccola scritta come incisa sulla pelle. Una sola parola, molto chiara: ANDATE.
Sconvolta guardai i miei compagni, e vidi ciò che temevo: tutti erano a bocca aperta e facevano correre lo sguardo tra gli altri e i loro polsi.
L'Albero dei Mondi aveva dato per la prima volta un comando ed ero abbastanza sicura che non convenisse andare contro la sua volontà.
Dieci minuti più tardi eravamo in fila davanti alla tenda del comandante. Il problema era che eravamo molti di più di quelli richiesti: a occhio e croce davanti a noi c'erano una trentina di persone e alle nostre spalle minimo una ventina. Le probabilità che proprio noi potessimo essere scelti per la missione erano basse, ma dovevamo per forza di cose trovare un modo.
Eravamo lì, riuniti, e ci guardavamo con fare interrogativo, chiedendoci chi quella volta avrebbe trovato una soluzione. In realtà io avevo una chiara idea in testa, anche se avevo remore ad avanzare proposte: ormai da un po' avevo notato che il nostro gruppo si era diviso più che mai e, anche se avevo ritrovato un buon alleato in Zachary e Chris sembrava essere tornato a parlarmi, in generale avevo timore di gettare altra legna sul fuoco. Soprattutto temevo Jasmine. Quindi continuai a tacere, sperando che qualcuno arrivasse a una soluzione senza di me.
Alla fine fu Oliver a prendere coraggio, forse perché era quello che aveva la coscienza più pulita tra di noi e che non aveva mai dato vita a problemi. Delle volte mi chiedevo quali segreti nascondesse quel ragazzo allampanato, quale storia avesse alle spalle, quali trascorsi. Non avevo motivo di pensare che ci fosse qualcosa di strano nella sua figura, eppure un mio presentimento mi diceva che c'era molto da scoprire su di lui. Oliver non era solo il goffo ragazzo che aveva una cotta stratosferica per Alysha, ma era anche un mago sicuro di sé e certamente una persona profonda e intelligente.
"Non credo ci siano alternative. Solita tecnica: coercizione mentale. Non ne vado pazzo, ma... è l'unica soluzione," disse guardando me e Jasmine.
Proprio come credevo. Sospirai guardando la mia compagna, pronta a dover collaborare di nuovo con lei. La ragazza, invece, sembrava parecchio distratta. Si vedeva che era persa nei suoi pensieri ed ero piuttosto sicura che questi non c'entrassero nulla con la missione.
Zac e Jasmine si evitavano da quando lui l'aveva sorpresa baciandola. Mi venne spontaneo un sorriso amaro, nel constatare come un'amicizia possa crollare quando uno dei due tenta di modificare i delicati equilibri su cui si basa. Sarebbe potuto succedere anche a me e Chris? Potevamo almeno definirci amici?
Fu più forte di me: la curiosità è uno dei miei peccati mortali e quindi non riuscii a trattenermi dal cercare di carpire i pensieri di Jasmine, nonostante sapessi che fosse sbagliato e che probabilmente non sarei riuscita a varcare le sue barriere, più forti di quelle degli altri.
Ma negli ultimi giorni avevo imparato sempre più a gestire quel mio particolare e invadente potere, tanto che non mi capitava più di venire investita casualmente da pensieri altrui, ma trovavo sempre più semplice scoprire quelli che mi interessavano. Solitamente detestavo utilizzare questa mia capacità, perché mi ricordava troppo come mio padre l'aveva sfruttata per ingannare tutti i majestani pur di proteggermi, ma per una volta non sentii il solito senso di colpa a opprimermi: lo stavo facendo per mio piacere, non per dovere.
"... perché odio questa situazione. Non posso credere che lui... perché mi ha baciato! Eppure... no, non me ne ha mai dato motivo di crederlo... io non so che fare ora e... ma che diamine, cosa... Kate!"
E di botto venni buttata fuori con cattiveria, spinta dalla ragazza che si era resa conto della mia presenza nella sua testa. Mi fece quasi male, tanto che barcollai all'indietro e faticai a rimanere in piedi.
La guardai e subito venni colpita dal suo sguardo furibondo. Eppure, nonostante sembrasse volermi saltare addosso e strozzare con le sue mani, si trattenne, consapevole di non poter dare spettacolo. Nessuno si accorse di nulla, era durato tutto solo pochi secondi, ma gli occhi smeraldo della biondina mi promettevano che la resa dei conti era solo rimandata. Onestamente non vedevo l'ora.
Per il momento però avremmo dovuto fare lavoro di squadra, anche se ero piuttosto convinta, modestia a parte, che me la sarei cavata meglio da sola che con lei. Dopo aver aspettato il nostro turno, sudando sotto il sole cocente, entrammo e, mentre Chris intratteneva con qualche parola il comandante, io e Jasmine giocammo insieme con la sua mente, convincendolo che non ci sarebbe stato nessuno migliore di noi per affrontare una missione pericolosa e importante come quella. In fondo non era una grande bugia: eravamo davvero tra i migliori combattenti del campo e soprattutto avevamo assi nella manica che nessuno di loro poteva immaginare. La magia è molto più forte e pericolosa di una spada; a meno che a impugnarla non sia Alysha. In tal caso non ne sono più così sicura.
Ce ne tornammo irrequieti nelle nostre tende, preoccupati in cosa consistesse effettivamente quella pericolosa missione che l'Albero teneva tanto a farci fare. Ero molto inquieta al riguardo, considerato che la mia fiducia verso il Salice che tutti idolatravano stava crollando sempre di più: non solo ci aveva condotto negli orrori della guerra, ma ci stava pure costringendo a perdere una parte di noi stessi, macchiandoci per sempre. Non capivo a quale scopo renderci degli assassini e quella situazione mi piaceva sempre di meno. Nonostante ciò, ero anche consapevole che se volevo andarmene da lì senza dover uccidere, la mia unica possibilità era quella di ascoltare le sue indicazioni.
Due ore più tardi una guardia venne a chiamare me e i miei compagni. Ci ritrovammo quindi nuovamente nella tenda del comandante e con noi altri quattro soldati, tre uomini e una donna, che probabilmente sarebbero stati gli altri componenti della squadra.
Il comandante ci accolse con un cipiglio serio, spiegandoci che il nostro compito sarebbe stato quello di difendere anche a costo della nostra vita un messaggero, incaricato di portare preziosissime informazioni di guerra al generale supremo, nonché re dell'intera Garenne. Questi si trovava presso un accampamento vicino ai Monti Sacri, localizzati nell'estremo nord e che rappresentavano una sorta di difesa naturale del santuario dove era custodita la Pietra di Gorferm. Ma se la catena montuosa era una protezione, la vicinanza con il mare rappresentava un accesso fin troppo semplice per gli invasori, soprattutto per quelli più avanzati nelle tecniche di navigazione, ossia coloro che provenivano da Becco d'Aquila. Un viaggio senza dubbio rischioso, anche se in terra amica, soprattutto in prossimità delle immense scogliere a nord. Il grosso problema, infatti, non sarebbero stati tanto i guerrieri nemici, quanto più i ribelli interni del paese, ossia uomini garenniti che, stanchi della guerra, cercavano di arrecare danni all'esercito e al sovrano, sperando così che si arrendessero al nemico ponendo fine agli scontri.
Una volta portata a termine la missione, la nostra nuova base sarebbe diventata quella dell'accampamento del re, almeno fino a nuovo ordine.
Non avevamo idea del perché il Salice desiderasse tanto che noi partecipassimo a quella spedizione, ma poteva essere una cosa positiva per noi partire, un modo per cambiare aria e poter tirare finalmente un respiro di sollievo dagli orrori del campo di battaglia. Sarebbe stato un bene soprattutto per Zac.
Non avevo un buon presentimento, ma avrei fatto di tutto per allontanarmi da quel luogo di morte e rimettermi in cammino. E nel frattempo avrei cercato una qualche scappatoia per lasciare Mondeor senza dovermi sporcare le mani di sangue.
ANGOLO AUTRICE:
Buongiorno a tutti!
In questa domenica nuvolosa, o almeno dove abito io lo è, vi regalo un altro capitolo! Questa volta, all'atmosfera già piuttosto triste ricreatasi nello scorso capitolo, ho deciso di aggiungere anche un cuore spezzato. Lo so, sono spietata con Zac. Ma chi lo sa, le cose potrebbero anche cambiare in un futuro!
La prossima settimana vedremo i nostri ragazzi muoversi nuovamente nelle spettacolari terre della Garenne e vi anticipo che l'ambientazione avrà un ruolo molto rilevante. Altra piccola anticipazione: preparatevi perché vedremo un cambiamento particolare nel rapporto tra due dei Prescelti. Chi saranno? Cosa succederà?
Le risposte le avrete al prossimo aggiornamento!
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