(R) CAPITOLO 25: Inganni della mente
"Allora, ricapitoliamo: Kate e Oliver, voi vi occuperete del travestimento con la magia. Ricordate che è fondamentale assumere un aspetto normale agli occhi dei Garenniti. Invece tu, Jas, dovrai influenzare mentalmente il comandante e tutti coloro su cui sarà necessario utilizzare il tuo potere, in modo da farci accogliere al loro interno. Ovviamente il prima possibile dovremmo procurarci dei veri vestiti e anche delle armature e armi per la battaglia. Ma a questo ci penseremo dopo essere entrati. Una cosa per volta," disse serio Zac, sfregandosi il mento. Una corta barba ricopriva la sua intera mascella, ed era strano vederlo così, abituata com'ero alla sua pelle sempre liscia e curata. Forse parecchie ragazze avrebbero trovato affascinate questo cambiamento, ma io non riuscivo a vedere altro che la stanchezza che segnava il suo volto. La stessa stanchezza che sembrava pervadere tutti noi.
"Non ti preoccupare, Zac, non avrò problemi. Al massimo dovremmo riconsiderare il ruolo di Kate, chi ci assicura che possa essere in grado di mantenere l'incantesimo?" chiese sollevando un sopracciglio Jasmine.
Io spalancai la bocca, presa alla sprovvista. Non mi aspettavo di venire attaccata da lei, credevo che dopo quella notte nel deserto di Candor avessimo stabilito una sorta di tregua e, anche se si era adirata quando aveva scoperto della mia omissione del ritrovamento del diario di Irvin, pensavo che dopo aver sentito la spiegazione di Kyra si fosse tranquillizzata. Ma ripensandoci, in effetti negli ultimi giorni avevo spesso percepito il suo sguardo fisso su di me. Uno sguardo che di amichevole aveva davvero poco.
"Cosa vorresti dire?" sibilai a denti stretti, chiudendo i pugni con tanta forza da lasciare i segni sul palmo.
"Oh, dolcezza, non è nulla di personale. Ma credo che tu tenda a dimenticare che fino a un paio di mesi fa non sapevi neppure cosa fosse un incantesimo. Non hai la minima idea di quali siano i tuoi limiti e non mi sembra il momento ideale per testare le tue capacità: se non si fosse ancora capito ci sono le nostre vite in gioco."
"Spero davvero tu stia scherzando: forse sei tu a dimenticare che è stato soprattutto grazie a me se siamo riusciti a lasciare la Domus. Avrò anche agito da sola perché vittima di una sorta di incantesimo, ma non mi si può dire di non essere riuscita a portare a termine le prove. Vi ho salvato dagli spiriti nel deserto, ho trovato il diario che conduceva allo Shidashi, sono riuscita a portarvi qua e anche l'altra sera me la sono cavata bene nel combattimento. Ti ho anche salvato la pellaccia una volta," risposi ferita e sconcertata al tempo stesso. Vedendo però il suo volto rimanere impassibile e scorgendo quel suo classico cipiglio quasi annoiato che ti faceva sentire insignificante, aggiunsi: "Magari sono fata da poco tempo, ma mi sono dimostrata molto più utile di te fino a ora."
Finalmente i suoi occhi lampeggiarono di odio. Avevo fatto centro. Uno a zero per Katherine Forrest! Avevo capito: tutto quello che mi aveva detto settimane prima nel deserto era vero, aveva paura di non dimostrarsi abbastanza per quella esperienza e il fatto che io, una nullità fino a poche settimane prima, le stavo praticamente rubando la scena, la faceva andare fuori di testa. Lei era la fata più potente: lei doveva fare le grandi cose. Non la povera sfigata senza poteri che improvvisamente si rivelava essere una Mahir.
Non ero cattiva e neppure così vendicativa da non sentirmi nascere dentro un po' di tenera comprensione nei suoi confronti. Ero quasi pronta a rinfoderare l'ascia di guerra, quando un'intromissione rovinò quel momento.
"Jas ha ragione, ci penserò io ai travestimenti. Kate si sta ancora riprendendo da una ferita, meglio evitare di farle sprecare altre energie."
Parlava tanto delle mie ferite, ma Chris ne aveva appena inflitta una bella grossa al mio orgoglio. Tra tutti pensavo che sarebbe stato lui a darmi fiducia e appoggiarmi. Perché lo aveva fatto? Per prendere le difese dalla sua amichetta bionda? O magari anche lui credeva non fossi abbastanza brava? Delusa, scossi la testa, costringendomi a serrare le labbra e a non ribattere.
"Bene... quindi ora è tutto chiaro?" domandò, un po' imbarazzato, Zac, rivolgendomi un sorriso di scuse.
Noi tutti annuimmo, convinti o meno. Ormai il piano era deciso.
Il mattino dopo ci preparammo silenziosamente agli ultimi giorni di marcia: secondo le nostre previsioni saremmo dovuti giungere all'accampamento militare nel pomeriggio del giorno dopo.
La foresta, affascinante quanto letale, ormai era alle nostre spalle, lasciando spazio a uno scenario altrettanto suggestivo: l'erba verde intenso della pianura brillava alla luce del sole, che quel giorno splendeva con tanta forza da rendere faticoso tenere gli occhi aperti. Eppure, quello spettacolo meritava troppo per non essere ammirato. Quella distesa smeraldo era come un inno alla vita e mi sentivo pronta a dimenticarmi della stanchezza per correre felice e spensierata con i piedi nudi su quel piano soffice, leggera come una bambina. Davanti a noi non c'era una semplice pianura erbosa, ma c'era un tappeto morbido e setoso, lavorato dal miglior artigiano esistente: la natura.
Un tempo, prima che la guerra imperversasse in quegli scenari spettacolari, quel luogo era stato abitato da molte specie animali, le quali, però, ormai erano migrate altrove, spaventate dalle dispute umane. Forse alcune di quelle stesse creature, che dai libri di scuola mi erano apparse meravigliose con le loro pellicce dai colori accesi, ormai rischiavano l'estinzione. Quello era un altro effetto collaterale della guerra, insieme alla fame, alla distruzione, al dolore e, ovviamente, alla morte.
Lanciai una veloce occhiata a quella che ormai vedevo come la mia migliore amica e subito mi si formò un groppo alla gola. Dopo la nostra discussione non ci eravamo più rivolte la parola, se non per strette necessità. Lei non parlava con nessuno, in realtà, e io ero ancora troppo scossa dal colpo di scena che aveva riservato la nostra ultima conversazione. Cosa dovevo pensare? Mi aveva detto che aveva già ucciso qualcuno, ma chi? Quando? E soprattutto per quale motivo?
Non riuscivo a trovare un senso a quel grande ingarbuglio che si era formato nella mia mente. Mi ero appena resa conto che forse, dopotutto, non sapevo nulla di quella ragazzina minuta, dotata di una forza sconvolgente. Non sapevo nulla della sua storia, soprattutto della sua vita prima di arrivare nella Città. E questo mi spaventava, perché io, invece, come una sciocca che si era tenuta dentro troppe cose per troppo tempo, con lei mi ero aperta e me ne stavo iniziando a pentire.
Nel frattempo, avevamo ripreso la marcia, che ormai già da un giorno non si svolgeva più nella relativa sicurezza della folta vegetazione. Era una strana sensazione, quasi come se fossimo nudi e indifesi. Troppo facili da individuare da chiunque in quelle piane. La paura era una presenza palpabile tra di noi.
Tra i vari timori e dubbi, una certezza mi avrebbe accompagnato lungo tutto il giorno: se non avevo sbagliato i calcoli, era il compleanno di mio padre. Mi mancava da morire ed era difficilissimo per me stare tanto tempo lontana da lui, che per anni era stata per me l'ancora a cui aggrapparsi in tutti i momenti di difficoltà. Ma magari era proprio quello il punto: dovevo imparare a cavarmela da sola, senza dipendere da lui. Anche questo significava crescere.
Mentre le mie gambe stanche si muovevano passo dopo passo, permisi alla mia mente di viaggiare, cullandosi nei ricordi dei compleanni passati di mio padre, pensando a come, una volta tornata a casa, recuperare tutte le feste che avrei mancato durante la mia assenza.
Forse per tenere a bada i troppi pensieri, dopo un po' di tempo mi trovai ad avvicinarmi a Chris. Lo feci senza pensare, perché dovevo immaginare che un nostro confronto non potesse finire che in tragedia, dato che ero ancora infastidita per la sua intromissione della sera prima.
"Ciao," esordii scorbutica una volta al suo fianco. Lui si voltò verso di me, aprendosi in un grande sorriso.
Incespicai.
Aveva il volto stanco, gli occhi segnati da profondissime occhiaie e la barba lunga, eppure con un sorriso mi aveva stesa. Sentii il famigliare rumore del mio cuore che iniziava a battere all'impazzata e, per l'ennesima volta, venni presa dal timore che lui lo potesse sentire.
Respira Kate. Respira profondamente. Non è bello, anzi è orribile. Brutto, brutto, brutto.
Ma chi diamine volevo prendere in giro?
"Ciao," mi disse lui, con la voce leggermente roca. "Come stai Kate?" aggiunse, vedendo che non rispondevo. Era dolce, il suo sorriso quello più bello del mondo...
"Beniss..." inizia con il dire, rapita, ma una lampadina sembrò accendersi nel fondo del mio cervello ricordandomi che ero delusa, ferita e arrabbiata con quel raggio di sole. "Volevo dire... che starei benissimo se solo non fosse per te."
Alle mie parole rabbiose il suo sorriso si spense e per un secondo credetti di meritarmi di venire rinchiusa in una cella buia e solitaria per aver commesso quel crimine: i sorrisi di Chris, quelli sinceri, di solito erano rari e per questo incredibilmente preziosi. Avrebbero dovuto incolparmi per "distruzione di beni universali".
È ufficiale, sono da ricovero.
"Cosa ho combinato questa volta?" mi domandò alzando un sopracciglio.
"Ieri," dissi, sforzandomi di rimanere presente a me stessa. "Dovevi starne fuori da quella discussione."
"Non ne sono stato fuori per il semplice fatto che non volevo una discussione: l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è cominciare a litigare. Stiamo andando in guerra, dobbiamo essere uniti."
"Non puoi decidere per gli altri, O'Connor! Potevo benissimo cavarmela e lo sai!" sibilai esasperata, puntandogli un dito contro. Poi, abbassando il tono, aggiunsi: "E dai, non ti sei reso conto che non siamo mai stati così divisi?"
"Certo, lo vedo anche io. Non per nulla sto cercando di limitare i danni. Alysha sembra essere diventata la giustiziera di Straix e non parla con nessuno se non per fargli capire che potrebbe ucciderlo senza problemi, nel momento in cui diventasse troppo fastidioso. Oliver sembra essere caduto in semi depressione da quando la sua bella ha infilzato un uomo."
Sgranai gli occhi sorpresa e feci per parlare, ma venni preceduta: "Sì, Kate, anche io me ne sono accorto che pende dalle sue labbra. Basta avere due occhi per capirlo. Zac e Jas si evitano perché hanno litigato per non so cosa già alla Domus. E poi ci sei tu che sembri fare apposta nel cercare di discutere con chiunque." Chris aveva terminato la sua analisi fissandomi negli occhi, come a dire: prova a contraddirmi e ti ammazzo. Da parte mia ero sinceramente stupita dal suo spirito di osservazione.
"Un tempo eri tu a cercare zizzania..." fu l'unica cosa che riuscii a rispondergli. Ovviamente me ne pentii subito dopo aver chiuso la bocca. Ma perché non riuscivo mai a dirne una giusta? Perché facevo sempre la parte della bambina stizzosa, gira che ti rigira?
"E questa affermazione dimostra quanto tu poco sappia di me. Ma non ho intenzione di litigare, quindi scusami, ma me ne vado lontano da te prima che tu mi faccia cambiare idea."
Mi piantò lì, avvicinandosi a Zac. Ci rimasi male della sua reazione, ben peggiore di quella che mi aspettavo. Le mie parole lo avevano ferito, anche se non riuscivo a capire davvero il motivo, in fondo erano state infantili, sì, ma non mi sembravano false se pensavo a quanto successo negli ultimi anni.
Alla fine, con un sospiro, decisi di aggiungere Chris alla lista dei problemi che mi pesavano, tentando di non interrogarmi troppo su tutte le stranezze irrisolte che aleggiavano intorno alla sua figura. Ogni cosa a suo tempo.
Il giorno dopo nulla sembrava essere cambiato da quello precedente, fino a quando Aly, che era quella dotata di una vista più acuta, non scorse in lontananza un profilo inconfondibile: un accampamento.
A mano a mano che ci avvicinavamo, le sagome diventavano più chiare e fu sempre più evidente la struttura del campo: era abbastanza piccolo e per questo ipotizzai poco importante. Era anche del tutto sprovvisto di mura difensive. Piccole colonne di fumo si alzavano da vari punti, facendosi strada tra le numerose tende scure che apparivano ancora come poco più che piccoli triangoli.
L'aria tra di noi sembrò farsi pesante e ognuno si chiuse sempre più in sé stesso, riflettendo su chissà cosa. Chi con lo sguardo dritto, chi con lo sguardo abbassato... Coraggio e paura, incertezza e determinazione....
Intanto l'accampamento era sempre più vicino. Anche la natura sembrava essersene accorta: infatti l'erba era diventata secca, gialla e rada. L'ambiente esprimeva esattamente il clima del luogo dove eravamo diretti: arido e morto.
"Rischiamo di essere avvistati," sussurrò Oliver. Mi voltai e lo trovai con un'espressione seria e gravosa sul volto, totalmente concentrato in quello che vedeva davanti a sé.
"Hai ragione, dobbiamo camuffarci già da adesso e fare attenzione in caso ci attaccassero in quanto figure sospette," aggiunsi, girandomi verso gli altri, che annuirono silenziosamente.
Quando giungemmo all'ingresso, eravamo avvolti da un'illusione che ci mostrava come dei comuni soldati. Eravamo arrivati e l'incubo stava per iniziare. Lo so oggi, come lo sapevo anche allora: quando avrei lasciato quel mondo non sarei più stata la stessa.
"Okay, ora dobbiamo superare le guardie..." disse tra sé e sé Zac, il respiro affannato per l'ansia.
"Sì, ci penso io, tranquilli, non si accorgeranno di nulla," aggiunse Jasmine, con un'espressione risoluta, ponendosi davanti a tutti.
Con lei a precederci, camminammo fino a raggiungere le quattro guardie, che avevano già sguainato le spade, ponendosi sulla difensiva.
"Chi siete?" domandò uno degli uomini, con tono duro e autorevole.
Noi tutti ci bloccammo, intimiditi dal soldato, tranne Jasmine, che come se nulla fosse gli si avvicinò, sfoderando tutte le sue capacità persuasive.
"Signori, siamo la truppa ausiliaria che avete chiesto," mentì con sicurezza, un atteggiamento degno del più rigido soldato.
"Non mi pare ci fosse nessuna... truppa ausiliaria in arrivo," rispose quello, dubbioso, guardando un suo compagno per chiedere conferma. Sembrava in difficoltà e mi ci volle un po' per realizzare che dipendeva dalla bellezza di Jasmine, veramente fuori dal comune. Essendo l'esercito Garennita costituito per la stragrande maggioranza da uomini, supposi che fossero poche le possibilità di stare in compagnia del sesso femminile, bloccati lì dalla guerra. Eppure, nonostante ciò, non mi sembravano ancora convinti delle parole della ragazza. Qualcosa non andava...
Notai una piccola goccia di sudore scendere lungo la tempia della fata e un piccolo tic all'occhio, segni che mostravano la fatica mentale che stava facendo per ingannare quegli uomini. "Siete sicuro? Il vostro comandante ci ha chiamato circa due giorni fa..." continuò sicura Jas con uno sguardo insistente.
Inizialmente il volto del soldato stava dando dei segnali di fastidio, ma poi cambiò repentinamente espressione e si aprì in un grande sorriso: "Ma certo, che sciocco. Ora mi ricordo, il comandante mi aveva avvertito del vostro arrivo. Prego avviatevi pure, la tenda che cercate è sulla strada principale, procedete sempre dritto."
Tutti noi tirammo un impercettibile sospiro di sollievo: il primo ostacolo era superato. Peccato che fossimo solo all'inizio...
Tutte le guardie si fecero da parte per farci passare. Sapevamo che a quel punto sarebbe stato praticamente impossibile tirarsi indietro.
Come avevo dedotto, l'accampamento era piuttosto piccolo e si trovava non lontano dal fronte di guerra con le tribù delle Isole Crozel. Molti combattenti si muovevano, impegnati nel pulire le armi o nel prendersi cura dei cavalli. Alcuni giovani scudieri correvano da una parte all'altra per svolgere i compiti che i loro padroni avevano affidato loro. Sembrava che nessuno si accorgesse della nostra presenza, erano tutti troppo occupati nelle loro incombenze, e ringraziai il cielo per quella fortuna: l'ultima cosa di cui avevamo bisogno era di avere i loro sguardi puntati addosso.
In silenzio giungemmo davanti a quella che senza ombra di dubbio doveva essere la tenda del comandante: era grande più del doppio di tutte le altre e ai suoi lati erano posti stendardi che portavano lo stemma della Garenne, rappresentante la Pietra del Potere, circondata da 7 rose rosse, ognuna a simboleggiare i membri della famiglia reale. Avevo studiato, tra le varie cose, che cambiavano lo stendardo ogni volta che un reale nasceva. O quando uno moriva
"Pronti?" ci chiese titubante la bionda, i tratti gentili del volto contratti.
"Entriamo," risposi io per tutti, presa da una strana determinazione. Volevo solo che tutto quello finisse, volevo buttarmi sul giaciglio improvvisato che speravo di poter trovare e quindi lasciare andare ogni tensione, per quanto possibile.
Procedemmo di qualche altro passo e venimmo fermati da una singola guardia, che ci domandò chi fossimo e per quale motivo volessimo entrare.
Non fu un problema per Jasmine "eliminare" l'ostacolo, ossia un giovane visibilmente inesperto e impacciato. Lo convinse in fretta a farci passare e addirittura ad annunciarci al comandante.
Seguendo il giovane, varcammo la soglia dell'alloggio del superiore dell'accampamento, che si dimostrò essere più piccola di quanto mi aspettassi e arredata in modo estremamente essenziale: un lungo tavolo di legno, con carte e mappe sparpagliate sopra, un catino per lavarsi posto in un angolo e una tendina tirata solo a metà, dalla quale si intravedeva una sezione privata costituita da una comoda cuccetta.
Il proprietario di quello spoglio abitacolo stava in piedi, ritto nella sua uniforme e intento a ragionare su qualcosa che era scritto sul foglio che teneva in mano. A occhio gli avrei dato tra i quaranta e cinquant'anni, ma era difficile determinarlo con certezza, dato che il suo volto era visibilmente stanco e segnato, dal tempo come dal dolore. Il fisico che si vedeva sotto la tunica era però quello di un uomo forte, allenato. Avrei scommesso che i suoi muscoli sarebbero stati scattanti come quelli di un giovanotto.
"Signore, sono i sei componenti della truppa ausiliaria che ha richiesto,." ci presentò la guardia, usando un tono deferenziale.
L'uomo posò dunque su di noi gli occhi scuri, vigili e penetranti al contempo, osservandoci con spirito critico e imperscrutabile. Probabilmente stava cercando di capire chi fossero quegli impostori che aveva davanti al naso e chi avrebbe dovuto punire per averci fatto arrivare fino al suo cospetto.
Guardai preoccupata Jasmine, pregando silenziosamente che stesse riuscendo a lavorare la mente dell'uomo, ma dal modo in cui contraeva la bocca capii che stava riscontrando qualche difficoltà. Doveva essere un osso duro.
Il signore decise di mandare via la guardia, con un cenno di congedo e dunque rimanemmo da soli con lui.
"Ebbene, voi chi sareste? Sono certo di non aver richiesto nessuna truppa ausiliaria, quindi cosa siete qui a fare? E come avete fatto ad arrivare fino alla mia tenda?" Il tono era duro e autoritario e io istintivamente mi ritrovai a fare un passo indietro, intimorita. Lanciai un'altra occhiata alla fata che doveva tirarci fuori da quella situazione, ma mi resi subito conto dal suo fiatone e dallo sguardo disperato che era tremendamente in difficoltà e che non ce l'avrebbe mai fatta da sola.
Agii per istinto, intervenendo senza riflettere, e mi intrufolai così nella mente del comandante. Capivo la difficoltà di Jasmine, era una testa dura da scalfire, ma in due pensai che ce l'avremmo potuta fare.
"Ci avete chiamati qualche giorno fa. Siamo delle truppe speciali, agiamo in modo piuttosto particolare e per questo non ci chiederai mai nulla, né sui nostri comportamenti, né su di noi in generale. Qualsiasi cosa che potrà in qualche modo creare sospetti riguardo alle nostre figure, lei la farà sparire e farà in modo che non la si indaghi. Siamo qui per aiutare," sussurrai nella sua mente, con un tono suadente e mellifluo. Vidi il suo volto irrigidirsi un attimo e sfruttando quel piccolo momento di cedimento diedi un'altra piccola spinta, fino a far crollare la sua resistenza. Lo vidi cambiare radicalmente, rilassandosi in un ampio sorriso e dire: "Ma certo. Scusate la mia scortesia, ma sono molto stanco e impegnato ultimamente, tanto da dimenticare le buone maniere. Vorrete presentarvi suppongo."
Sentii tutti noi tirare un sospiro di sollievo e un piccolo sorriso spuntò sul mio volto. Al pensiero di come però mio padre aveva usato il condizionamento mentale allo stesso modo su tutti gli abitanti della Città per nascondere le mie origini, storsi le labbra, non più così tanto fiera di me. Non mi piacevano quegli inganni.
Durante le presentazioni notai che Jasmine mi osservava in modo strano e mi chiesi cosa mai avesse da fare quella faccia. Supponevo fosse arrabbiata perché ero intervenuta, ledendo, nuovamente, il suo orgoglio, eppure quella che vedevo nelle sue iridi smeraldo non era solo rabbia, c'era altro che non riuscivo a identificare.
Dopo essere stati congedati, la guardia ci condusse presso due tende vuote. Non facemmo domande, ma avevo il macabro sospetto che fossero state alloggio di uomini caduti in battaglia. Erano due, una per gli uomini e una per le donne, ed erano fortunatamente adiacenti. Ci fu affidato anche uno scudiero ciascuno, i quali poi avrei scoperto avevano perso i loro precedenti padroni in guerra. Da quelle parti era così: non c'erano sprechi, se qualcosa o qualcuno rimaneva senza padrone, veniva dato a qualcun altro.
Una volta entrata nel mio nuovo "alloggio" non esitai a buttarmi su una delle brande. Era tremendamente scomoda, troppo piccola e molto lontano dalle comodità cui ero abituata, ma in confronto a come avevo dormito negli ultimi giorni mi sentivo in una reggia. Ero talmente stanca che mi sarei potuta addormentare da un momento all'altro, ma prima che ciò potesse accadere mi comparve davanti agli occhi la faccia scorbutica di Jasmine.
"Sì?" domandai perplessa, reprimendo uno sbadiglio.
"Si può sapere chi sei tu?!" esclamò lei, dopo un po' di silenzio riflessivo.
Spalancai gli occhi ed esterrefatta mi tirai leggermente su. "Cosa vorresti dire?"
"Senti, ho avuto a che fare con tante fate nella mia vita e poche avevano il mio dono di poter percepire i pensieri degli altri e ancora di meno erano quelle che riuscivano a esercitare il condizionamento mentale. E poi arrivi tu, che fino a due mesi fa eri una povera sfigata Senza Poteri, mentre ora ti sei rivelata una fata, la quale non solo ha il mio stesso dono, ma che è addirittura in grado di usarlo meglio! La mente di quell'uomo era davvero difficile da manipolare e tu in neppure un secondo sei riuscita a forzare la serratura e a fargli cambiare idea!" mi spiegò sempre più confusa la ragazza, portandosi le mani ai fianchi e studiandomi manco fossi una cavia da laboratorio. Allora era quello il motivo per il quale mi stava guardando in quel modo prima...
"Senti tu, non è colpa mia, okay? Non ho scelto io di vivere senza poteri e poi risvegliarli tutto a un tratto. E oggi non ho agito da sola, eravamo in due," le risposi convinta di quello che dicevo.
"Ti sbagli. Eri da sola: io avevo mollato giusto un secondo prima. E comunque ho bisogno di un contatto più diretto, che sia un tocco o instaurare una comunicazione verbale. Tu no. Hai agito solo con la mente."
"Io... io non so cosa dire, sono sincera..." mormorai molto colpita da quello che avevo appena scoperto. Ero preoccupata, perché continuavo a scoprire sempre più cose su di me, e non avevo la minima idea di come mettere insieme il tutto.
La profezia, pensai. Le parole di May erano un mistero che non mi abbandonava mai, un punto di domanda che incombeva su di me, che poteva schiacciarmi da un momento all'altro. Io non volevo far parte di nessunissima profezia, non volevo che la mia vita dipendesse dalle parole di qualcun'altro. Non volevo essere una super fata: per quanto inizialmente fossi orgogliosa delle mie nuove capacità, dentro di me continuavo a temere di cosa potesse significare tutta quella potenza. Quali responsabilità avrebbe comportato? Dopotutto iniziavo a chiedermelo anche io: chi diamine ero?
"Non mi convinci sai. È troppo strana tutta questa storia e tu... tu ci stai nascondendo qualcosa," mi disse con tono riflessivo. Poi si tirò indietro e si allontanò, voltandomi le spalle.
Lanciai una veloce occhiata ad Alysha, timorosa che rivelasse ciò che aveva fatto mio padre. Certo che stavo nascondendo qualcosa e lì con noi c'era una persona di cui non sapevo più se fidarmi e che avrebbe potuto rovinare la mia famiglia. Ma la ragazza ci stava solo osservando, imperscrutabile, mentre giocherellava con una ciocca corvina.
"Non sono da meno di tutti voi. Tutti voi nascondete qualcosa, molto più di me," le risposi allora, mettendomi seduta e usando un tono aspro.
"E poi," aggiunsi, "sono sicura che ti sta rodendo un sacco, no?" Aveva ragione Chris, avevo davvero voglia di litigare.
"Scusami?" sibilò girandosi, le mani strette a pugno.
"Sei stata superata da una che, parole tue, era una povera sfigata Senza Poteri. Una vera umiliazione non trovi?" la provocai, presa da una rabbia nei suoi confronti che non sentivo da tempo. Su Candor mi ero stupidamente fatta intenerire dalle sue debolezze, dimenticando gli anni di cattiverie che mi aveva riservato insieme a Elsa. Senza contare come mi aveva trattato il giorno prima, come se fossi solo un peso per loro, una mina vagante.
"Ma fammi il piacere. Sei sempre la solita sfigata che cerca di sentirsi importante attaccando gli altri. Ma non ti vergogni?" mi sputò in faccia, rossa come un pomodoro.
Io saltai in piedi, pronta a ribattere e con già un nuovo insulto pronto. Avevo anni e anni di rabbia da sfogare.
"Siete ridicole..." disse intanto, tranquilla e con tono sprezzante, Alysha.
Io e la mia avversaria ci voltammo simultaneamente, uno sguardo omicida dipinto in volto, verso il terzo elemento di quell'assurda camerata.
"Vorresti ripetere?" disse digrignando i denti Jasmine.
"Siete assolutamente ridicole. Litigate come bambine dell'asilo, cosa che in fondo siete, e ancora non avete capito nulla della situazione in cui ci troviamo. Saremo da un momento all'altro chiamate per una qualche battaglia, dove dovrete combattere con delle armi e non con semplici e inutili parole. Stiamo per andare in un luogo dove il vostro stupido modo di fare da snob altolocate non vi servirà a nulla, perché solo il vostro spirito di sopravvivenza vi terrà in vita. Poteri... non vi serviranno a nulla se non imparate ad avere della serietà. Quindi sì, a mio parere siete assolutamente ridicole."
Rimasi letteralmente a corto di parole. Ero stata messa a tacere in un attimo e anche la ragazza al mio fianco sembrava aver perso la lingua. Alysha aveva ragione, purtroppo. Lei era la prima a essersi comportata in modo scorretto nei miei riguardi, ma aveva detto la cosa più giusta e matura possibile. Non avevo nulla da contestarle. Mi chiesi solo che diamine le fosse successo per poter parlare con tanta maturità: per la prima volta mi sembrò molto più grande. Matura e gelida. Dov'era finita l'Alysha allegra e carismatica? Dov'era sparita la sua verve?
Andando contro il mio orgoglio e alla voglia di sfogare tutto lo stress accumulato, mi rivolsi a Jas: "Ha ragione. Dovremmo pensare ad altro e collaborare, piuttosto che litigare. Io non mi fido davvero di nessuno di voi e nessuno di voi si fida totalmente degli altri. È giusto così. Ma abbiamo l'obiettivo comune di sopravvivere e di superare questo Viaggio. Quindi almeno per ora smettiamola di farci la guerra gratuitamente."
Allungai una mano, convinta che lei non l'avrebbe stretta. Invece, con mia sorpresa, nonostante la bocca storta, avvolse le sue dita sulla mia mano. Evidentemente era abbastanza intelligente da capire.
Passammo il resto del pomeriggio a sistemarci, recuperando armi e vesti grazie all'aiuto dei nostri scudieri. Erano tutti molto giovani, sui dodici o tredici anni, e mi domandai come dovesse essere vedere da vicino la morte fin da piccoli. Mi sentii una privilegiata e me ne vergognai. Tutti i miei problemi sbiadivano davanti ai loro occhi vissuti e un po' spenti.
Arrivò l'ora della cena, che condividemmo con il resto dei soldati. Scoprimmo che dopo ci sarebbero stati dei festeggiamenti per la vittoria dell'esercito a est, dove veniva condotta la difesa contro l'esercito dello stato di Nagavi. La notizia sembrava aver risollevato parecchio il morale dell'intero accampamento, felice di poter divertirsi una volta tanto.
Alla sera ci ritrovammo quindi tutti alla mensa, che non era altro che un lungo tavolo di legno sul quale ci venne servita una zuppa insipida e maleodorante. Indossavo un semplice vestito lungo fino ai piedi color malva e mi ero legata i capelli morbidamente con un fermaglio di legno. Al collo sentivo la presenza del ciondolo che mi aveva dato mio padre.
Anche se ne ero già a conoscenza rimasi comunque stranita dalla scarsità di donne: su Majesten non avevamo un esercito, ma nei secoli precedenti, ai tempi della guerra contro il Gelido, le donne e gli uomini avevano partecipato in egual numero, senza distinzioni. Gli stessi Guardiani venivano scelti con equità. Ma nella Garenne le cose erano differenti: le donne avevano un ruolo marginale ed era davvero difficile per loro avere gli stessi diritti degli uomini. Un problema che purtroppo sapevo riguardare anche altri mondi...
Ovviamente in molti ci chiesero chi fossimo, dimostrando un atteggiamento affabile e accogliente. Ricordavo dai miei studi che il popolo della Garenne era famoso anche per la sua cordialità e giovialità. Infatti, avevo sempre pensato che sarebbe stato meraviglioso far visita a quel paese in tempi di pace, un po' per gli spettacolari paesaggi, un po' per i Garenniti stessi, che apparivano così alla mano dalle descrizioni, cosa che non potevo sempre dire dei miei concittadini.
Purtroppo, però, a causa della loro a tratti eccessiva curiosità, io e Jasmine fummo costrette a entrare varie volte nelle menti di quei soldati per aggiustare un qualche pensiero, togliendo ogni dubbio sul nostro conto. Non mancarono certamente le occhiatacce da parte della Mahir, poiché riuscivo a rimodellare i pensieri a molte più persone di lei. Non mancò neppure il sorriso soddisfatto sul mio volto.
Insieme alla zuppa ci venne servita anche una bevanda, che scoprii essere il corrispettivo Garennita della birra, e quindi, dopo risate, chiacchiere e numerosi sorsi, mi sentivo abbastanza alticcia. Per fortuna riuscii a fermarmi prima di finire nello stato della sera prima della partenza, la quale era ancora avvolta dalla nebbia.
Presa dall'allegria generale sembravo essermi dimenticata di quello che mi avrebbe atteso fuori da quella piccola oasi e, quando un giovane avvenente soldato mi chiese di danzare, accettai, senza pensare al fatto che le braccia che mi facevano volteggiare in quel momento erano probabilmente macchiate del sangue di tantissimi altri esseri umani. Ero leggera e mi godetti quel momento di spensieratezza.
Una parte di me si rendeva conto degli sguardi astiosi che ogni tanto mi mandava Christopher, mentre mandava giù un qualche altro sorso di birra, o di Alysha che se ne stava in un angolo con lo sguardo spento e pensieroso, rifiutando l'invito di ogni soldato che, colpito dalla sua naturale bellezza, aveva intenzione di invitarla a ballare. Per una volta, avendo la mente annebbiata, mi lasciai completamente alle spalle ogni pensiero negativo e ogni mia preoccupazione, per godermi il momento.
Quella sera fu divertente e per un istante riuscii a vedere della bellezza in quell'oscurità. Vidi in quelli che pensavo fossero assassini, degli uomini coraggiosi e pieni di voglia di vivere, padri di famiglia e giovani pieni di ideali che volevano soltanto difendere la loro casa dalle invasioni nemiche. Vidi nei loro volti il desiderio di libertà e per quell'istante riuscii a trovarla anche io.
Ma ovviamente tutto finì in fretta, nella guerra ogni spiraglio di luce sembrava essere destinato ad affievolirsi fino a spegnersi del tutto, lasciando dietro di sé solo una scia di morte.
Il giorno dopo venni svegliata da Jasmine, che con volto stanco e voce preoccupata mi annunciò che quel pomeriggio ci sarebbe stata una battaglia e che noi sei vi avremmo partecipato.
ANGOLO AUTRICE:
Eccoci con il primissimo nuovo capitolo, dato che finalmente ho terminato di sostituire quelli già pubblicati con la versione aggiornata.
Questo senza ombra di dubbio è un capitolo un po' di passaggio, ma assolutamente necessario per introdurre il successivo, che vi anticipo già chiamarsi "Guerra". Potete già farvi un'idea di quello che accadrà.
In questa terza parte del romanzo vedremo dei temi un po' più forti, che spero possano anche dare modo di riflettere. Ci tengo a precisare che io mostro solo il pensiero dei personaggi, che non sempre corrisponde necessariamente al mio.
A settimana prossima, con un nuovo capitolo!
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