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(R) CAPITOLO 22: Nei sotterranei



Un brivido di freddo mi scosse il corpo. Sentivo l'umidità fin dentro le ossa.

Ero riuscita a evocare un globo luminoso per illuminare l'ambiente buio in cui ero appena entrata e quello che vidi mi sbalordì. Nello spazio ampio erano distribuite numerose colonne decorate da dettagliati bassorilievi dai toni floreali. Queste andavano a sostenere imponenti arcate a tutto sesto. La volta in pietra era affrescata magistralmente con scene di svariato tipo: vedevo battaglie, matrimoni, banchetti... sarei stata curiosa di scoprire la storia che ognuno di essi celava.

Titubante mossi un passo sulla passerella metallica che mi permetteva di passare sopra all'acqua dolce e di muovermi da una parte all'altra dell'ambiente. Purtroppo, come aveva affermato Irvin, l'acqua creava umidità e il suo rumore trasmetteva uno stato d'ansia, come se non ne fossi permeata già in abbondanza.

Sentendo solidità sotto i miei piedi, attraversai l'intera cisterna, giungendo alla parete opposta a quella da cui ero entrata. Da lì si aprivano diversi tunnel, così tirai fuori la cartina dalla sacca e cercai di capire quale scegliere. Ognuno di essi portava a una stanza ben precisa della Domus, solo uno era contrassegnato con un "ATTENZIONE! ZONA VIETATA". Non era difficile dedurre che solo quella poteva essere la direzione giusta. Mordendomi crudelmente il labbro inferiore, presi coraggio e mi addentrai in uno stretto cunicolo, buio e inquietante.

Fin dai primi passi sentii montarmi la nausea, a causa dell'orribile olezzo che invadeva quel tunnel. Era un sentore misto di putrefazione e stantio, e cercai in tutti i modi di non soffermarmi con lo sguardo sulle pareti, temendo di trovare oscenità di qualsiasi tipo.
Tappandomi la bocca e il naso, procedetti, accelerando il passo per allontanarmi il prima possibile da quel tanfo.

Potete immaginare la mia sorpresa quando, poco dopo, sbucai in un'ampia grotta, colma di oggetti di grande ricchezza.

Monete, gioielli, corone, pietre preziose...

La grotta ne era piena. Ovunque c'era oro. In mezzo a una montagna di monete e lingotti, scorsi un'arpa gigantesca e subito dietro ad essa un baule dal quale traboccavano perle, rubini, zaffiri e ogni pietra preziosa esistente nei Sette Mondi.

Non avevo mai visto così tanta ricchezza radunata in un solo luogo e ne rimasi estasiata, rapita da quello splendore. Non avevo bisogno di uno specchio per capire che i miei occhi luccicavano, così incantati da quella visione.

In quel mucchio splendente scorsi all'improvviso una cosa particolare: una pietra simile a un diamante, di un particolare colore ceruleo. Era un diamante dell'est, cristalli che venivano dal mio mondo, ma che ormai erano divenuti talmente rari che nessuno in tutta la Città ne possedeva uno. Gli esemplari rimasti erano conservati ed esposti nei musei, con grande dispiacere di mio padre. Tra i suoi vari impegni, Malcom Forrest coltivava la passione del collezionismo di gemme e pietre preziose e per questo il diamante dell'est aveva sempre rappresentato il suo sogno proibito. Impossibile dimenticare i minuti interminabili che passava ad ammirare i minerali del museo, con gli occhi brillanti di desiderio. In quel momento io avevo l'occasione di procurarglielo, magari come simbolo dell'inizio di un nuovo rapporto tra noi due, privo di quelle bugie che avevano caratterizzato la nostra vita negli ultimi otto anni.

Quasi dimenticando ciò che avevo attorno e il vero motivo che mi aveva spinta nei sotterranei, mi avvicinai alla pietra preziosa. Era di una bellezza unica, con quei riflessi di varie sfumature di azzurro. Si diceva che quelle meraviglie nascessero dall'incontro del mare con il cielo e per questo, apparentemente contro ogni legge fisica, venivano trovate a galleggiare nell'Immenso Mare, l'oceano che divideva l'isola in cui vivevo dal continente abbandonato.

Allungai la mano, mi mancava poco per afferrarla.

Cinque secondi.

Quattro.

Tre.

Due.

Uno....

"NO"

Di scatto ritirai la mano portandola alla testa. Mi era risuonata nel cervello quella potente proibizione, con una forza tale da sentirmelo esplodere. Emisi un gridolino stridulo che cercai invano di trattenere e mi allontanai velocemente da quella montagna di...

Sassi, cianfrusaglie, oggetti inutili.

Durò solo un secondo, poi ricomparvero le pietre preziose e le montagne d'oro.

Stropicciai gli occhi confusa, mi guardai attorno, ma tutto sembrava essere tornato esattamente come era prima. Eppure, qualcosa si era rotto: l'incantesimo che mi aveva catturato appena ero entrata nella grotta.

Non avevo idea della provenienza di quel grido, ma mi aveva destato dalla trance in cui ero caduta. Ora vedevo tutto con estrema lucidità. Mi dovetti concentrare solo un attimo, ma poi riuscii nuovamente a vedere quello che effettivamente avevo davanti: cose di nessun valore. Probabilmente, se avessi preso la "pietra", sarei stata colpita da una qualche terribile maledizione. Doveva essere solo una prova da superare per potersi avvicinare allo Shidashi.

Mi ripresi in fretta e trovai senza troppa fatica l'uscita dalla caverna, lasciandomi indietro solo un mucchio di cianfrusaglie.

Mi ritrovai allora, dopo aver percorso un breve tratto, in una stanza molto lunga, tanto che non riuscivo a scorgerne la fine, anche a causa della scarsa illuminazione, garantita solo da poche torce.

Ma a preoccuparmi non era di certo l'estensione del posto, quanto il pavimento: era costituito da diversi sassi, ognuno con simboli differenti disegnati sopra. Era palesemente un concentrato di trappole. Forse leggevo troppo, forse ero facilmente suggestionabile, eppure ero abbastanza certa che, se avessi posato il piede sulla pietra sbagliata, sarei stata trafitta da una lancia, o incendiata viva, o caduta in una voragine. Non avevo nessuna intenzione di fare una fine così scioccamente tragica

Il problema era che, a livello statistico, le probabilità che io sarei riuscita ad arrivare indenne fino alla fine di quel "percorso ad ostacoli" erano davvero poche. Forse neppure una come Alysha ci sarebbe riuscita: non eravamo le eroine di uno di quegli assurdi - ma sempre avvincenti – film di profanatori di tombe.

Allora come fare?

Dopo una ventina di minuti ero ancora là, incapace di dare un senso a quei segni per terra, un senso che mi avrebbe forse permesso di uscire da lì tutta intera. Dunque, mi cadde però l'occhio sul disegno di una specie di uccello dal becco lunghissimo e sottile, ed ebbi un'illuminazione. O meglio, una mezza illuminazione.

Illuminazione perché sapevo come avrei potuto attraversare il corridoio.
Mezza perché non ero sicura di essere abbastanza potente per riuscirci.

Mi ero dimostrata molto brava negli allenamenti con Yvonne con la pratica della telecinesi. Era stata lei stessa a spiegarmi che avrei raggiunto il livello massimo in quel campo solo quando sarei riuscita a levitare. Riuscire a sollevare sé stessi nell'aria è la forma più alta di telecinesi, perché, diversamente dal solito, bisogna controllare le molecole dell'aria e non dell'oggetto che si sposta. Infatti, controllare gli atomi che costituiscono la materia del proprio corpo è di fatto impossibile, richiede una capacità di concentrazione enorme che nessuno può avere. D'altra parte, risultava invece molto più semplice, ma comunque complesso ed estremamente faticoso, manipolare l'aria, la quale mi avrebbe spostato a mio piacimento.

Nei miei allenamenti notturni con Chris avevo continuato a fare pratica di telecinesi e anche lui, un potente Monhar, si era detto molto colpito dalle mie capacità. Di certo, però, non aveva mai accennato a provare la levitazione. In verità ero abbastanza sicura che neppure lui fosse in grado di sollevarsi in aria. Forse neppure Jas. E loro studiavano magia da anni...

Se loro non erano capaci, come avrei mai potuto esserlo io? Mi ero dimostrata brava, certo, ma non potevo essere sicura di essere in grado di attraversare quel lunghissimo corridoio volando. Non sapevo neppure se sarei riuscita a staccarmi da terra. E, se fossi caduta, avrei rischiato di finire sulla piastrella sbagliata e attivare una trappola. Tremai nel pensare a cosa sarebbe potuto succedere.

Ma era l'unico modo.

Mi chiesi se forse non sarebbe stato meglio tornare indietro sui miei passi, rientrare in camera, fingere di non essere mai andata nei sotterranei e parlarne con gli altri, lasciando fare a loro. Ma non volevo arrendermi, non potevo arrendermi. La ragazza che ero prima avrebbe agito così: da codarda. Ma in quel momento dovevo dimostrare a me stessa di essere in grado di affrontare ogni cosa.

Mi era stato detto che io ero protagonista di una profezia, avevo chissà quale grande futuro davanti a me, quindi dovevo essere in grado di levitare. Dovevo per forza essere più in gamba di quello che credevo.

Dopotutto mio padre mi aveva detto che già in precedenza avevo inconsapevolmente praticato la levitazione, svelando i miei poteri per la prima volta, per salvarmi da una brutta caduta in un burrone. Ce l'avevo fatta a undici anni, potevo riuscirci a diciotto con un po' di esperienza in più.

Presi un respiro che mi riempì completamente i polmoni, chiusi gli occhi con forza e saltai.



L'atterraggio non fu uno dei migliori. Rischiai di storcermi una caviglia e, probabilmente, mi sarebbero venuti un po' di lividi. Ma ero viva e soprattutto ero dall'altra parte della stanza. Alle mie spalle un qualche centinaio di trappole non scattate.

Non era stato facile. Per nulla. Inizialmente, vedendo di essere effettivamente in grado di librarmi nell'aria, mi ero fatta prendere dall'euforia, diventando sbruffona, divertendomi a volteggiare, fiera e orgogliosa della mia capacità. Stavo volando! Per davvero! Per anni mi avevano privato della magia e mi avevano fatto un grande torto perché ero a dir poco un talento. Per il Grande Salice, quanto avrei voluto che quella carogna di Elsa mi potesse vedere, per poterla ammirare mentre si mangiava le mani e rimpiangeva di avermi presa in giro tanto a lungo.

Ma, crogiolandomi nella mia soddisfazione, ero caduta nella presunzione. Ero arrivata a malapena a un terzo della lunghezza della stanza, quando iniziai a cedere. Avevo perso tempo a giocare e ora ne dovevo pagare le conseguenze. Levitavo a poca distanza da terra, dovevo usare tutta la mia concentrazione per non cadere e quando vidi il fondo della stanza quasi svenni per il sollievo. Senza più molte forze mi lasciai cadere a terra, facendomi anche male, ma con una nuova consapevolezza: ero in grado di volare.

Non avevo la minima idea di come io ci fossi riuscita. A oggi per me è una cosa talmente semplice da eseguire, so esattamente come comportarmi quando ho intenzione di "spiccare il volo" e mi viene del tutto spontaneo. Ma non so proprio spiegare come feci quelle prime volte. È, forse, come il primo respiro: non sai né come né perché lo fai. È puro istinto.

Rimasi sul pavimento in fredda pietra per un po', talmente affannata che era difficile respirare. I muscoli mi dolevano come se fossi appena uscita da una delle lezioni di potenziamento muscolare di Spezzaossa. Forse dovevo ringraziarlo: grazie a lui era innegabile che la mia resistenza fisica era migliorata esponenzialmente.

Non potevo permettermi di perdere ancora molto tempo: dovevo procedere e trovare la sfera della purezza.

Mi rialzai, appoggiandomi alla parete umida, guardando dritto davanti a me. Il tunnel buio proseguiva. Nessuna torcia illuminava il percorso.

Sospirai, però con una certa tranquillità. O era rassegnazione? Del resto, sapevo che giunta a quel punto tornare indietro era fuori questione, almeno fino a quando non avessi ripreso le forze. Tanto valeva scoprire quali altre prove avrei dovuto affrontare.

Quindi, un passo dopo l'altro, mi inoltrai in quel cunicolo, aspettandomi da un momento all'altro l'ennesimo ostacolo. Eppure, avanzavo senza riscontrare dei veri cambiamenti in quello che avevo attorno. Una semplice galleria illuminata solo dalla luce della mia magia, nessuna biforcazione, nessuna apertura, nessuna deviazione, nessuna nuova caverna... niente. Intanto la temperatura intorno a me iniziava a scendere sempre di più, lasciandomi vittima di brividi e tremori. Avevo indossato la giacca che per fortuna mi ero portata nella sacca, ma era come non averla.

Il tempo passava e tutto intorno a me rimaneva invariato. Mi sembrava di essere lì dentro da giorni. Forse anni, secoli, millenni... Infinite vite passate in quel luogo sempre uguale. E io mi arrovellavo, mi sentivo sempre più distaccata dal mio corpo, persa nel nulla... o forse nel tutto.

Io... sentivo delle voci. Mi sussurravano parole orribili, consigli, insulti e mezze verità...

Erano voci diverse da quelle degli spiriti: quelle con cui avevo avuto a che fare nel deserto erano più leggere, si faceva fatica a sentirle, si presentavano come una melodia costante. Quelle che sentivo nei sotterranei della Domus Alba, invece, erano prepotenti. Ti entravano nella mente e ti facevano credere di essere pazzo. Erano un tormento, una maledizione. Ogni passo che facevo ricevevo una nuova fitta alla testa.

Allora iniziai a correre, le mani sulle tempie che tentavano di porre fine a quella orribile tortura, ma invano. Incespicai, caddi. Mi rialzai e caddi di nuovo. Ci riprovai.

Ma all'ennesima caduta mi lasciai lì, supina, gli occhi sbarrati e un tremore nel corpo. Un urlo, un sussurro...

"Katie, Katie... vieni con noi. Noi ti salveremo dalla sofferenza. Con noi sarai per sempre al sicuro da quello che c'è fuori..."

"No, alzati, corri, urla e... MUORI!"

"La bambina abbandonata... e poi ritrovata! Scappa, scappa innamorata, ma ormai è già stregata..."

Iniziai a piangere, senza sapere perché. Ero allo stremo. Chiusi gli occhi.

"Lasciati andare... dormi..." mi sussurrò una voce, dritta nel mio orecchio sinistro. Era così dolce, sembrava volermi abbracciare con quel suono vellutato e io avrei potuto abbandonarmi per sempre a quella piacevole sensazione.

Poi, un calore quasi ustionante iniziò a fare pressione sulla mia pelle, poco più in alto dei miei seni. Quel dolore acuto mi fece ottenere un breve momento di lucidità in tutta quella follia, permettendomi di riprendermi e di rendermi conto di non poter mollare. Era solo una prova, potevo superarla. Non sarebbero bastate delle voci per farmi rinunciare.

Inspirai e reagii, facendo pressione con la mia mente. Eressi una barriera a difendere il più sacro dei santuari: quello nella mia testa. Ero già stremata per il volo di prima, ma non so come riuscii a vincere, ricacciando quei profanatori via da me.

Mi sentii rinata, stanca, certo, ma comunque in grado di proseguire.

Dopo altri lunghi minuti giunsi finalmente alla fine di quell'interminabile cunicolo che sfociò in un ampio spiazzo con una spaccatura nel suolo, dalla quale si snodava una stretta scala a chiocciola.

Non indugiai e iniziai a scendere. Non pensavo più, andavo solo avanti, perché se mi fossi fermata a riflettere sarei crollata.

Se doveste mai capitare nei sotterranei della Domus Alba e per caso foste claustrofobici, vi sconsiglio vivamente di scendere quella scala. Immaginate uno stretto e altissimo cilindro vuoto all'interno della roccia, dentro il quale si srotola un'elica con dei gradini dalla superficie di appoggio ridotta. Non molto invitante, vero?

Ero totalmente concentrata per mantenere l'equilibrio con quasi mezzo piede nel vuoto a ogni passo e quando finalmente la discesa arrivò al termine mi appoggiai con tutto il peso al muro, chiudendo gli occhi, per riprendere fiato.

Quando alla fine, ritrovato il sangue freddo, sollevai le palpebre, ciò che mi trovai davanti agli occhi mi tolse di nuovo il respiro: una grande, anzi gigantesca, porta. Era talmente bianca da risultare accecante in quella perpetua semi oscurità a cui mi ero abituata e mi sentii subito bruciare gli occhi. Dopo aver sbattuto un po' di volte le palpebre, per adattarmi alla nuova luce, riuscii a osservarla con più attenzione: era decorata con meravigliosi ed elaborati bassorilievi, che sembravano narrare storie epiche. Chissà chi erano gli eroici protagonisti che avevano ispirato il talentuoso artista che aveva scolpito quel capolavoro.

Ma andando contro l'estasi che ogni volta provavo davanti all'arte, cercai subito di aprire il varco per non perdere altro tempo. Non avevo più la minima idea di che ora fosse, ma l'ultima cosa che volevo era quella di far preoccupare i miei compagni, amici e non.

Scontato dire che quel mastodontico portone rimase chiuso.

Provai a spingere con più forza, utilizzai la mia magia, cercai un qualche tasto nascosto. Niente, non si mosse neppure di un millimetro. E non aveva neppure serrature da scassinare, non che sarei stata in grado di farlo.

Tutto inutile.

"Non riuscirai ad aprire quella porta. Non così," sentii dire da una voce femminile alle mie spalle.

Spaventata mi girai cercando chi aveva pronunciato tali parole. Era lì, seduta sull'ultimo gradino della scala, un volto da bimba, capelli biondissimi, quasi argentei, gli occhi grandi e nocciola, un sorriso aperto e ammiccante. Una ragazzina.

"Chi sei? Da dove sei arrivata?" sibilai diffidente.

"No, per favore non avere paura. Non sono qui per farti del male, davvero," disse mortificata, allungando le mani in avanti in segno di pace, mentre si alzava. "Il mio nome è Kyra."

Ebbi un tuffo al cuore. Kyra... Era il nome dell'amica di Irvin, la sua compagna di avventure. Ma non poteva essere lei: con il tempo che era passato non poteva di certo essere ancora viva, men che meno apparire ancora come una tredicenne.

La ragazzina scoppiò in una risata cristallina, un pizzico inquietante, e mi guardò con malinconia.

"Sì, sono quella Kyra. Quella che è giunta qua anni e anni fa con suo fratello Cordan e la sua cara amica Irvin. Ma è passato così tanto tempo da allora..." mi chiarì sorridendo tristemente, mentre gli occhi sembravano perdersi nei ricordi.

"Ma cosa è successo? Perché sei qui? Come fai ad essere ancora..."

"Viva?" mi interruppe bruscamente. "Non lo sono. Non esattamente. Questa non è vita." E iniziò a camminare con leggerezza avanti e indietro: sembrava quasi fluttuare.

"Sei anche tu uno spirito?" le chiesi allora, guardandola con sospetto.

"No, ma quello che sono non è molto diverso da quegli esserini agghiaccianti del Deserto dei Sussurri. Stai tranquilla: non sono qua per farti del male, Katherine."

"Come sai il mio nome?" sussurrai spaventata, iniziando a retrocedere. Purtroppo, finii soltanto con l'andare a sbattere contro il grande portone bianco.

"Perché sono stata io a guidarti in questo posto. È solo grazie a me se hai travato il diario della mia cara Irvin," mi rivelò, avvicinandosi a me. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso folle, facendomi sbiancare. Poi, di colpo si bloccò, spalancando la bocca per la sorpresa.

"Scusa, scusa, scusa, scusa! Lo so ti sto spaventando. Ma io sto impazzendo in questo posto, vorrei tanto potermene andare," disse con le lacrime agli occhi

"E p-perché non lo fai?" domandai con cautela, stranita da quel suo repentino cambiamento.

"Perché anni fa feci una scelta sbagliata e ormai ne devo pagare le conseguenze," sorrise con amarezza.

"Okay, Kyra, io... io non sto capendo più nulla. Perché non ci sediamo un attimo e mi spieghi cosa c'entro io con te," dissi tentando di mantenere la calma e provando a fidarmi di quella strana... ragazza.

La ragazzina annuii, il volto chino e le ciglia scure umide. Iniziavo a provare più pena che paura per quella piccolina.

Fu così che scoprii che cosa era successo ai tre protagonisti del diario che avevo ancora dentro la mia sacca. Erano riusciti, dimostrando grandi capacità, a superare tutte gli ostacoli a cui io stessa ero stata sottoposta, ma Cordan era rimasto ferito gravemente nella stanza delle trappole. Lo squarcio rischiava di essergli fatale, eppure era riuscito a giungere anche lui fino a quello stesso portone che avevo alle mie spalle. A quel punto era spettata loro un'ennesima prova: l'oblio. Era stata mostrata loro la vita perfetta che desideravano in fondo al cuore. Avrebbero potuto avere tutto quello a patto di fermarsi lì, di vivere lì per sempre. Cordan e Irvin erano riusciti a resistere alla tentazione, consapevoli che sarebbe stata una vita fittizia, mentre Kyra, più debole di carattere e provata da tutto ciò che aveva dovuto passare durante il viaggio, aveva deciso di vedere realizzati i suoi sogni: aveva scelto l'oblio. Ma tutte le anime che come lei avevano scelto di rinunciare alla vera vita dovevano pagare con un piccolo servigio: a turno ogni anno una di loro avrebbe dovuto trovare un modo per guidare i Sei Prescelti dell'Albero dei Mondi fino allo Shidashi. Quell'anno il compito era toccato a Kyra e lei aveva utilizzato il diario della sua amica. Ed era lì per mostrarmi come sarebbe stata la mia non-vita nell'oblio, con tutti i miei sogni realizzati.

"Kate, so quanto può essere invitante la visione che avrai tra poco. Ti farà sentire felice, sicuramente. Ma non è la realtà e ti posso assicurare che vivere nella finzione non è appagante se è per l'eternità. Ma ovviamente sarà una tua scelta," concluse il discorso la ragazzina.

"Grazie," le sorrisi riconoscente. A quel punto provavo davvero compassione per lei. Avrà avuto al massimo tredici anni, era davvero troppo giovane e si era trovata davanti agli occhi una scelta davvero troppo difficile per la sua età. Speravo di poter fare meglio di lei, ma non potevo esserne sicura.

"Posso farti una domanda?" chiesi prima di immergermi nella visione.

"Certo"

"Che cosa è successo a tuo fratello e a Irvin?"

"Sono andati oltre la porta. Cordan è svenuto, in fin di vita, ma, nonostante ciò, Irvin è riuscita ad andare avanti e ha superato l'ultima prova. E alla fine ha potuto esaudire il suo più grande desiderio," mi rispose con un sorriso commosso.

"Quale?" domandai vittima della curiosità. Ero sicura fosse il riportare in vita sua madre.

"Salvare l'uomo che amava: mio fratello Cordan."



Aprii gli occhi e mi ritrovai seduta su una comoda poltrona di velluto scarlatto, a una scrivania di mogano pregiato. Su di essa vi erano vari libri ordinatamente impilati, uno schedario e un portapenne arancione.

Ero in una libreria, ma non in una qualunque: era la mia libreria. Quella che avevo sognato a lungo, quella per cui avevo innumerevoli progetti. Il mio sogno da anni.

Senza che io riuscissi a trattenerlo mi spuntò un sorriso enorme sul volto. Sapevo che non avrei dovuto farmi influenzare da quello che avevo intorno. Nulla era vero. Eppure, la poltrona su cui sedevo era reale, MOLTO reale.

Mi alzai ed iniziai a camminare tra gli scaffali, sui quali i libri erano posti in modo ordinato. L'arredamento era elegante e rustico allo stesso tempo, lo stile che tanto amavo.
Dopo aver curiosato con estrema attenzione per tutto il negozio, identico a come lo avevo sempre immaginato, decisi che era il momento di lasciarmi alle spalle quel luogo. Un giorno avrei avuto una libreria uguale, ma sarebbe stata reale.

Controvoglia mi avvicinai alla porta principale e già avevo posto la mano sulla maniglia, quando sentii una morbida voce familiare chiamarmi.

Quando mi girai vidi una figura in ombra in fondo alla stanza.

"Chi sei?" chiesi, con un cattivo presentimento.

La figura si fece avanti e comparve quella che grazie ai sogni sapevo essere mia madre. O perlomeno la sua copia. Ma in quel momento non mi importava.

"Mamma..." sussurrai con la voce rotta.

"Sì tesoro, sono io," mi sorrise con le lacrime la bellissima donna che avevo davanti agli occhi.

Senza pensare le corsi incontro abbracciandola. Mi sentivo legata a lei, nonostante ricordassi soltanto qualche irrilevante episodio dei dieci anni passati insieme. Era l'amore tra madre e figlia. Una cosa che nulla poteva scalfire. Nulla. Neppure uno scherzo di un mistico Salice piangente, in grado di mandare persone a spasso per i Mondi. Neppure la morte di lei...

Lasciai libere le lacrime di scendere lungo le mie guance, singhiozzai tra le sue braccia, mentre lei amorevolmente mi coccolava nel suo abbraccio. Accarezzava con estrema delicatezza la mia chioma castana, uguale alla sua, e mi sussurrava parole dolci per consolarmi. Mi sentii improvvisamente a casa.

Dopo un po', quando fui di nuovo padrona di me stessa, mi accorsi della presenza di un'altra persona nella stanza: mio padre. Era al fianco di mia madre e, mentre mi rivolgeva un sorriso radioso, le prese la mano. Sgranai gli occhi, ancora sotto shock: per la prima volta nella mia vita vedevo entrambi i miei genitori davanti a me. Tutto il resto spariva di fronte a quell'immagine.
Non riuscii a parlare e l'unica cosa che fui in grado di fare fu sorridere. Il sorriso più sincero della mia vita.

Una remota parte di me forse si rendeva conto che tutto ciò che vedevo, sentivo e toccavo era solo fantasia. Nel profondo forse sapevo che era un'illusione, una semplice visione. Ma non volevo pensarci, avevo tutto quello che volevo. E ciò che provavo era vero.

Passammo quelle che immagino furono ore a parlare, ridere, scherzare. Ci raccontammo tutto ciò che avremmo voluto raccontarci. Ci volemmo bene. E nella nostra felicità decidemmo di andare a fare una passeggiata.

Fu tra le vie allegre e soleggiate della Città che mi scontrai, ancora una volta, con Christopher.

Stavo svoltando a un incrocio con la testa tra le nuvole, mentre ridevo per una battuta sciocca di mio padre, quando finii addosso al ragazzo, rimbalzando contro il suo petto solido.

Io mi pietrificai, non capendo cosa ci facesse lui in quel posto. Sarebbe dovuto essere ancora nella sua camera a dormire nella Domus. Mi aveva seguita? Era riuscito a entrare nel mio sogno? Era lì per portarmi via?

Invece, contro ogni mia congettura, lui mi rivolse un meraviglioso sorriso e vedendo la mia reazione mi abbracciò di slancio. Io rimasi rigida nelle sue braccia, confusa.

Allora lui si allontanò leggermente da me, in modo da potermi guardare dritta negli occhi, con uno sguardo che mi spiazzò totalmente. Dunque, prese il mio volto tra le mani e mi baciò con dolcezza e passione allo stesso tempo. Io rimasi imbambolata, incapace di dire e fare qualsiasi cosa. Ahimè, nonostante la sorpresa, non potei fare a meno di sentirmi sciogliere tra le sue braccia. Era stato bellissimo. Quel bacio. Quello che desideravo. Inevitabilmente mi ritrovai a rispondere a quel gesto inatteso, inebriata da quel fresco sapore di menta e dal suo dolce e irresistibile profumo. Quando staccammo le nostre labbra lui mi sorrise dolcemente. Esitai solo un istante, ma poi risposi nello stesso modo.

Avevo davvero tutto ciò che avevo sempre desiderato.

Passai ore con la mia famiglia, il mio ragazzo Chris e i miei amici Aly, Ollie, Zac e perfino Jas. Tutto era perfetto. Armonioso. Una vera meraviglia.

Mi sembrava di essere in una di quelle fiabe stupende che si raccontano ai bambini e mi sentivo felice come mai prima di quel momento.

Eppure, presto mi resi conto che mancava qualcosa.

Qualcosa a tutto.

La libreria era mia, ma non avevo dovuto minimamente impegnarmi per ottenerla.

Mio padre era sempre sorridente... sembrava non essere lui.

Mia madre era priva di una vera caratterizzazione: era nata dai pochi ricordi che avevo di lei.

Chris era troppo disponibile.

I miei amici sembravano idolatrarmi.

Tutto era solo una proiezione dei miei desideri. Una realizzazione di quelli più profondi. Ma non era la realtà.

Ciò nonostante, sarei rimasta, davvero. Lo avrei fatto. Se non fosse stato per Chris. Il vero Chris.

Assurdamente il motivo per il quale rifiutai quell'angolo di paradiso fu che volevo capire cosa nascondesse il mio ex migliore amico e in quel luogo non avrei mai scoperto nulla. In quella realtà alternativa sarebbe stato sempre tutto uguale. No, non era quello ciò che desideravo davvero. Volevo evolvere, crescere, imparare nuove cose.

E mi resi conto che non potevo lasciare perdere la mia missione. Ero stata scelta dall'Albero per un motivo. Non mi sarei tirata indietro.

E mio padre, il mio vero padre... sarebbe rimasto distrutto dalla mia scomparsa.

Ero stata sciocca, avevo velocemente dimenticato le parole di Kyra, lasciandomi ingannare. Dovevo andarmene.

Fu così che presi coraggio e dissi addio a tutti. La cosa peggiore fu salutare mia madre, la donna che mi aveva dato la vita. Certo, non era davvero lei e io non la ricordavo nemmeno. Ma fu comunque straziante. Mi resi veramente conto di cosa significasse dire addio per sempre a qualcuno.

Quando alla fine fui pronta, chiusi gli occhi e salutai con il cuore a pezzi quel meraviglioso sogno.

Ritornando in me nei sotterranei avevo il volto umido di pianto. Mi sentivo distrutta interiormente, straziata nel profondo. Avevo appena perso mia madre. Di nuovo. E questa volta non me la sarei mai dimenticata.

"Sei tornata," richiamò la mia attenzione Kyra, accovacciata in un angolo.

"Sembri sorpresa," commentai, lo sguardo perso.

"In verità per nulla. Non ho mai avuto dubbi su di te. Sei una ragazza forte e coraggiosa. Per questo ti ho scelta: saresti stata l'unica in grado di farcela fino a questo punto da sola."

"Tu mi hai scelta... come facevi a sapere che non avrei chiesto aiuto a nessuno?" domandai, scuotendo il capo, come se così facendo potessi buttare fuori le distrazioni e riottenere lucidità.

"Perché non avresti potuto fare altrimenti. C'è un incantesimo legato al diario che ti ha impedito di condividere le tue scoperte con gli altri, spettava a te e solo a te giungere qua per prima. Come ti ho appena detto, io ti ho scelta," mi spiegò la ragazzina lasciandomi a bocca aperta. Allora era vero, davvero c'era qualcosa che mi aveva costretto a comportarmi in quel modo e a mentire a tutti. Non ero io pazza. Ero sollevata e arrabbiata al contempo.

"Perché lo hai fatto? In questo modo hai messo a dura prova i rapporti che con tanta fatica stavo finalmente iniziando a creare," le domandai, cercando di non far trasparire il mio furore.

"Sono le regole, credimi, mi dispiace. Ma i tuoi compagni ti assicuro che la prossima volta che li vedrai ti avranno già perdonata, anche se non c'è nulla da perdonare in realtà," mi rispose, stringendosi nelle spalle, il volto fanciullesco arricciato in un'espressione di rammarico.

"Sei per caso una veggente?" le domandai alzando gli occhi al cielo. Avevo capito che non era stata lei di sua volontà a mettermi in quella situazione spiacevole, era semplicemente l'ambasciator che non porta pena. Non avrei fatto di quella poveretta il mio capro espiatorio.

"Non proprio, ma fidati di me," mi sorrise enigmatica, una luce birichina nello sguardo.

"Va bene. E grazie," sorrisi grata alla piccola per avermi condotto fin lì. "Magari un giorno sarai libera..."

"No. Non credo potrà accadere. Posso avere tutto quello che voglio tranne quello che più voglio: la vita. Sono felice che tu sia tornata," mi disse con una tranquilla accettazione e lì mi accorsi che anche se avesse potuto forse non sarebbe mai andata via: credeva che quella fosse la giusta punizione per aver abbandonato i suoi compagni un secolo prima. Mi sentivo combattuta, ma ero anche consapevole che non avrei mai potuto fare nulla per cambiare la sua... "vita".

"Ora va" e alle sue parole i pesanti battenti si spalancarono, permettendo l'accesso nella stanza successiva.

Mi volsi un'ultima volta per ringraziare la ragazzina, ma lei era già sparita, probabilmente tornata al suo angolo di oblio. Lei aveva scelto il nulla, mentre io la vita, per quanto complessa e difficile; per quanto facesse male.

Avevo scelto di vivere.

E nella vita si può fare solo una cosa: andare avanti.



E così, dopo ore - non avevo effettivamente idea di quanto tempo fosse passato da quando ero entrata in quel sotterraneo - ero arrivata alla fine: lo Shidashi era là, dritto davanti a me, in tutto il suo splendore.

Una sfera bianca perfetta, irradiante luce e magia. Rimasi stupefatta al suo cospetto, incredula di averla effettivamente trovata.

Mi avvicinai, la raggiunsi e mi soffermai un secondo ad ammirarla. Poi presi coraggio, e allungai la mano a toccare la sua superficie liscia.

E tutto fu buio.



ANGOLO AUTRICE: 

Buongiorno!

Eccomi con un nuovo aggiornamento e un capitolo pieno di azione! 

Kate ormai è a un passo dallo Shidashi , ma qualcosa sembra essere andato storto. Cosa sarà successo? Vi prometto che si scoprirà tutto nel prossimo capitolo!

Intanto, fatemi sapere se questo vi è piaciuto e, se vi va, commentare e lasciatemi  qualche stellina! Alla prossima!

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