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(R) CAPITOLO 21: La Domus della Follia



"Inammissibile! È del tutto inammissibile!" sbraitò entrando nel grande salone un ometto di bassa statura.

"Onorevole Varyen, via, non sia sgarbato. Abbiamo degli ospiti," lo redarguì pacatamente l'uomo che ci aveva accolto, il veggente Toriem.

"Ospiti! È questo il problema: noi non dovremmo avere degli ospiti!" rispose invece il nuovo arrivato, con il volto ovale e glabro arrossato dall'ira. Era talmente ridicolo che mi dovetti sforzare parecchio per evitare di scoppiare a ridergli in faccia.

"Suvvia, Varyen, si calmi. La rabbia le nuoce alla salute," riprese allora l'altro, trattenendo anche lui a malapena un sorrisetto divertito.

"Eh no, Toriem, non si azzardi a deridermi! Sa benissimo che ho ragione e le porte della Domus sono chiuse a chiunque non abbia la Vista. Quindi questi mocciosi non sono ammessi qua dentro!" strillò Varyen, diventando se possibile ancora più rosso.

"Non sono dei mocciosi. Sono i Prescelti," disse semplicemente Toriem, con quel suo sorriso calmo e rilassato.

A quel punto il nanetto ammutolì di colpo e spalancò la sua bocca.

"I Prescelti? Ma c-come?" balbettò. "Normalmente loro non si presentano all'entrata, ma entrano di nascosto, non capisco cosa..."

"Amico mio, si dà il caso che questi ragazzi, a differenza dei precedenti, hanno avuto il buon senso di bussare al portone principale. E mi chiedo, se loro sono stati tanto cristallini da non ricorrere a sotterfugi, perché noi dovremmo negare loro ospitalità? In fondo, sappiamo alla perfezione chi sono e ancora più che cosa sono venuti a fare," rispose l'altro. Aveva una voce così profonda e rilassante che mi chiedevo come facesse il suo compagno Veggente ad essere ancora così irritato. Probabilmente era consapevole, sotto sotto, di sembrare ridicolo e la cosa... lo irritava ancora di più.

Stavo per ridacchiare a quel pensiero, quando qualcosa fece clic nella mia testa. I Prescelti che ci avevano preceduto erano stati lì per fare qualcosa e, siccome non credevo fino a quel punto alle coincidenze, finalmente mi sentivo certa del fatto che fossimo sulla strada giusta per portare a termine il nostro compito su Candor e raggiungere il mondo successivo, Mondeor.

"Capisco... sì, capisco," sussurrò quasi tra sé e sé l'uomo calvo, abbassando il capo pensieroso. Poi lo rialzò deciso, con un'espressione seria e dura, e si rivolse direttamente a noi: "Dunque voi siete i Prescelti di quest'anno. Bene. Vi facevo un po' più... grandi. Sembrate dei bambocci. Sappiate che io vi terrò d'occhio, sempre: non mi convincete per nulla."

Assurdamente mi sentii quasi intimidita dalle sue parole, anche se a ben pensarci potevano essere paradossali: Varyen era una spanna più basso di me - e sia chiaro che io non sono una spilungona - e il suo volto privo di peli poteva ben essere paragonabile a quello di un bimbo, se non avesse avuto numerose e sottili pieghe ai lati degli occhi che tradivano la sua età.

"Lo terremo in mente, signore," disse sicuro di sé Christopher, per nulla intimidito dal pallone gonfiato.

Per un tempo che mi parve interminabile, assistetti a uno scontro visivo tra i due uomini, i quali sembravano voler dimostrare di essere uno più macho dell'altro. Peccato che uno dei due era una specie di nanetto da giardino senza barba ed entrambi erano in gonnella. No, non mi abituerò mai del tutto a quel modo di vestire: non che ci sia nulla di male, ma quando cresci in una realtà dove le gonne vengono associate alle figure femminili è difficile adattarsi al contrario. Forse devo solo ampliare le mie vedute.

Onestamente non avrei biasimato Varyen se alla fine avesse distolto lo sguardo dai gelidi occhi azzurri di Chris, ma non lo fece. Alla fine, fu Toriem, il veggente simpatico, a interrompere la guerra a testosterone in atto, comunicandoci che ci avrebbe mostrato le nostre sistemazioni, nelle quali saremmo potuti restare per tutto il tempo che desideravamo.

Fummo allora guidati attraverso le sale del gran palazzo, di una bellezza antica ed eterea, molto diversa da quella barocca del Palazzo Cittadino di Majesten. Quando a ognuno di noi fu assegnata la propria stanza, decidemmo di ritirarci, per poter riposare decentemente dopo diverso tempo. Era strano riconquistare, tutto d'un tratto, la mia vecchia intimità, dopo giorni di convivenza in tende o piccole camere di locanda.

Stanca per via del lungo cammino, mi coricai e in pochi secondi caddi nel sonno.

Ma non fu un riposo tranquillo: sognai di nuovo quell'incubo oscuro, che culminava con la mia morte, tanto assurda quanto spaventosa. Ormai mi ero convinta che quel sogno dovesse per forza avere un qualche significato, visto il suo ripetersi. Doveva esserci un messaggio che il mio subconscio, o qualcos'altro, voleva comunicarmi. Ma non riuscivo a capire cosa.

Quando mi risvegliai tremante nel letto ebbi bisogno di qualche secondo per capire dove mi trovassi. Stavo gelando, un gelo che mi invadeva da dentro e mi faceva scuotere da brividi violenti.

Fu allora, dopo qualche secondo, seduta nel letto col terrore nelle ossa, che sentii l'impulso di alzarmi e uscire dalla mia camera di corsa. Il sogno era sempre lo stesso, ma l'intensità era stata diversa, mille volte maggiore, così come il dolore che avevo sentito quando la lama era penetrata dritta nel mio petto.

Quando fui fuori dalla stanza non ebbi nessun dubbio su dove andare: dovetti fare mente locale per un attimo, ma poi trovai la stanza che cercavo e senza neppure pensare bussai alla porta.

Dopo pochissimo questa si aprì e comparve sulla soglia Chris in tutto il suo splendore. Notai immediatamente che era a petto nudo e imbarazzatissima abbassai velocemente lo sguardo, anche se i miei occhi sembravano voler tornare a posarsi su quella pelle bronzea.

"Kate," disse lui, chiaramente stupito di trovarmi lì, "che cosa ci fai qui?"

Io mi strinsi nelle spalle, a disagio, il volto sempre abbassato. Mi sentii una stupida: che cosa ero andata a fare da lui? Anche se negli ultimi giorni eravamo ritornati ad essere in sintonia, ciò non voleva dire presentarglisi davanti a ogni occasione. Eppure, con quella poca audacia e follia che mi era rimasta, chiesi: "Posso entrare?"

Lo vidi fissarmi per un po' di secondi, per studiarmi e cercare di capire cosa mi stesse passando per la testa. Alla fine annuì, spostandosi di lato e facendomi passare.

La sua camera appariva uguale alla mia, ampia e minimalista, con la sola differenza che il letto non era sfatto. Probabilmente aveva preferito lavarsi, piuttosto che riposare. La sua solita insonnia, supposi. Mi chiesi se forse anche lui soffrisse di incubi.

"Siediti pure sul letto, tranquilla," mi suggerì, vedendomi incerta sul da farsi. Ero ancora convinta di aver fatto una sciocchezza. Ciò nonostante, mi sedetti composta sulle lenzuola di lino, e lui mi raggiunse subito dopo, ponendosi al mio fianco.

"Hai avuto di nuovo quell'incubo?" mi domandò con premura, senza perdere tempo. Ma io ero distratta perché ormai non riuscivo più a ignorare il fatto che indossava solo un paio di pantaloni da tuta. Mi sarei anche domandata dove li avesse presi, ma ero fin troppo impegnata a non andare in iperventilazione per via dei suoi addominali da film. Per tutti i Mondi, quanto ero banale, mi sentivo una di quelle sciocche protagoniste dei romanzi, sempre in preda agli ormoni. Alzando lo sguardo la cosa non migliorava: il petto era perfetto, scultoreo, ma non eccessivamente massiccio. Ogni muscolo era tonico quanto doveva e mi chiesi quanto cavolo si dovesse essere allenato per avere un corpo simile. Io già tanto se riuscivo a mantenere una pancia piatta e due gambe sufficientemente magre, considerando quanto mangiassi. Beh, almeno quello che mangiavo prima di lasciare Majesten.

"Kate!" mi riscosse il ragazzo, ricordandomi che mi aveva posto una domanda.

"Oh, scusami..." mormorai imbarazzatissima, riportando lo sguardo sulle mie mani intrecciate. "Sì, era lo stesso incubo..." Appena pronunciai quelle parole fui scossa da un brivido, turbata dalle immagini che mi si riproponevano ogni volta che chiedevo gli occhi.

"Capisco," annuì pensieroso il ragazzo. Dovevo ammettere che era sempre stato incredibilmente paziente riguardo a quell'argomento: dopo quella sera in cui io ne avevo accennato, lui non mi aveva fatto più domande, rispettando i miei tempi.

Pensavo che avrebbe detto qualcos'altro, qualsiasi cosa, ma lui rimase silenzioso, lo sguardo assente, catturato da chissà quale ragionamento. Sentii un altro brivido, ma questa volta a preoccuparmi non era più il sogno, ma bensì il gelo che emanava in quel momento il mio... il mio cosa? Amico? Potevamo definirci amici? Scossi la testa. Odiavo quando la mia mente passava da un pensiero a un altro, distraendomi.

"Chris, va tutto bene?" domandai allora, incerta e con voce tentennante.

Lui però rimase immobile e non accennò minimamente a rispondermi, come se non mi avesse nemmeno sentito.

"Chris?" lo richiamai ancora, più confusa che mai.
Non ricevendo ancora un cenno di vita lo scossi lievemente e neppure allora ebbi un riscontro. La sua pelle era veramente fredda, nonostante la camera fosse calda

Inutile dire che iniziai davvero a preoccuparmi, ma tentai di non farmi prendere dal panico e dopo altri vani tentativi di risvegliarlo decisi di andare alla ricerca di aiuto. Dovevo andare da Zac, lui avrebbe saputo sicuramente che fare.

Ma quando posai la mano sulla maniglia della porta lo sentii: "Cosa stai cercando di fare?"

Immediatamente mi irrigidii e bloccai la mano. Mi ci volle solo un secondo per capire che quelle parole non erano state pronunciate ad alta voce da nessuno, ma che erano risuonate nella mia testa.

"Devi lasciarmi stare, ti odio, sei la mia rovina. Lasciami in pace, lasciami."

Sussultai al suono di quelle altre parole e mi resi finalmente conto che non erano rivolte a me.

Lentamente, terrorizzata, mi girai, ma vidi solo il ragazzo più bello che avessi mai visto ancora con lo sguardo fisso, seduto sul suo letto, immobile, le sopracciglia inclinate in giù e la fronte leggermente corrugata.

Le voci dovevano provenire da lui.

Fu l'istinto, suppongo, quello che mi spinse a raggiungere quelle voci, ad andare loro incontro e, seguendone il flusso, a farmi strada nell'intricato
mondo che era la mente del ragazzo che avevo davanti.

Ma non appena appoggiai un piede su quel pianeta sconosciuto, mi sentii spingere via, come se qualcosa mi respingesse con tutte le sue forze. Qualcuno mi ruggì nelle orecchie di andarmene, quella che percepivo intorno a me era una rabbia assoluta e, nonostante io stessi tentando con ogni fibra dalla mia mente di aggrapparmi a qualcosa in quel luogo, intorno a me trovai solo deserto e inesorabilmente fui ricacciata indietro, con tanta violenza che una volta tornata nel mio corpo caddi all'indietro, sbattendo contro la porta. Sentii immediatamente male a una spalla, la quale era cozzata contro la maniglia, ed emisi un gemito strozzato.
Quando rialzai il volto mi trovai davanti Christopher, con un'espressione furente e sconvolta. Istintivamente mi ritrassi, schiacciandomi contro la porta alle mie spalle, spaventata da tutta quella rabbia che certamente era indirizzata nei miei confronti.

"Cosa diamine credevi di fare?" mi urlò in faccia il ragazzo, spaventandomi ancora di più. "Chi ti ha dato il permesso di entrare dentro la mia testa? Non ci devi provare, mai!"

"I-i-io...." balbettai senza riuscire a trovare le parole. "Io volevo solo aiutarti, tu eri... sembravi paralizzato e io stavo per andare a chiedere aiuto, ma poi... poi ho sentito quelle voci e ho pensato che f..."

"Voci? Quali voci?" mi domandò gelido, con la voce talmente dura che mi provocò quasi più dolore della spada che ogni notte mi trafiggeva nei miei incubi.

"Sembravano... due persone che litigavano e venivano da te," risposi, cercando di riprendere controllo di me stessa e mostrarmi sicura. Piano piano iniziai a rialzarmi, appoggiandomi alla parete e tentando di ignorare il dolore alla spalla che sentivo ogni volta che la premevo per sbaglio sulla superficie della porta dietro di me.

Ma mi bloccai, non ancora del tutto sollevata, quando vidi Chris diventare bianco come un lenzuolo, il suo viso contrarsi in una espressione totalmente furiosa e, ancora prima che lui aprisse bocca, capii che il suo tono sarebbe stato in grado di farmi tremare. E fu così.

"Vattene! Vattene via e stammi lontano!" ruggì e io non me lo lasciai ripetere due volte. Velocemente spalancai la porta e uscii da quella stanza, lasciandomi quel momento di follia alle mie spalle.

Rientrai nella mia camera, con il fiato grosso, il cuore che mi batteva nel cervello e la spalla dolorante.

Non riuscivo a capire più nulla. Tutto quello che era successo in quella stanza per me era assurdo, sembrava tutto follia pura, quasi uno di quei sogni sconclusionati a cui non è possibile dare un senso.

Ma come diamine potevo pensare di voler ristabilire un qualche tipo di rapporto con lui? Ma soprattutto come avevo potuto credere di essere perfino innamorata di quel ragazzo? Perché sì, lo ammetto, ci avevo davvero pensato. Mi sentivo attratta come forse non mi era mai successo nella mia vita, ma non era di certo uno come lui quello che volevo al mio fianco. Ero folle se pensavo di poter stare con qualcuno di simile, così duro e rancoroso. Non avevo idea di cosa stesse succedendo nella sua mente e in un certo senso neppure mi importava saperlo. Perché il Chris che mi aveva respinta con tutte le sue forze era freddo come le lastre di ghiaccio delle sue iridi. Dove era finito il calore che mi era sembrato sempre più evidente nei suoi occhi nei giorni precedenti? Dove la sua gentilezza e premura?

Ma in fondo gli occhi non sono forse lo specchio dell'anima?



Avevo pensato che i Veggenti fossero persone che prediligessero l'umiltà e la semplicità, ma dovevo essermi davvero sbagliata, data la ricchezza della cena. Cibo di ottima qualità, piatti prelibati e assolutamente squisiti. Molte delle portate che ci furono servite non avevo la minima idea di che cosa fossero, ma rimasi entusiasta di tutto. Mi sembrava un miracolo poter finalmente mangiare del cibo degno di essere chiamato tale. Da brava ragazza viziata qual ero, la buona cucina era sempre stata importante nella mia vita e quel periodo di "denutrizione" era stato davvero duro per me.

Ma avrei sicuramente goduto maggiormente di quella meraviglia culinaria, se non mi avessero piazzato proprio a fianco al capotavola, dove sedeva niente meno che il Gran Veggente, il più saggio di tutti i Confratelli. Lui era quel tipo di uomo che, non importava quanti anni avesse, avrebbe sempre avuto la capacità di mettere in soggezione il suo interlocutore: aveva una lunga barba bianca, un naso dritto e lungo, due grossi baffi dall'aria soffice e occhi azzurri penetranti, talmente chiari che facevano a gara con quelli di Zac, anche se di colori differenti.

Io ero decisamente intimidita e a mettermi ancora più in difficoltà era l'evidente interesse che lui stava manifestando nei miei confronti: da quando mi ero seduta, non aveva smesso di studiarmi, senza però mai rivolgermi la parola. Davvero, non avevo idea di come comportarmi, mi sarei voluta mimetizzare con la comoda sedia che mi sorreggeva, ma dubitavo di avere tale potere. O almeno, per il momento non ne conoscevo ancora l'applicazione.

Come se non bastasse, di fronte a me c'era Chris, di cui evitavo continuamente lo sguardo. Dopo quello che era successo nel pomeriggio avevo tutte le intenzioni di girargli alla larga: sulla spalla che mi aveva fatto sbattere contro la maniglia si era formato un bruttissimo livido, grosso e nero, con delle sfumature giallognole. Era veramente doloroso, sia a livello fisico, sia come promemoria della sua fredda ira.

Per fortuna al mio fianco c'era Alysha, anche se le rivolsi raramente parola, troppo a disagio per via delle due paia di occhi azzurri che mi fissavano. Mi sarebbe piaciuto riuscire a inserirmi in un qualsiasi discorso, ma bloccata in quella situazione snervante non aprii quasi bocca, facendo probabilmente la figura della maleducata davanti ai Confratelli.

Quando la cena abbondante terminò, i nostri ospiti ci ringraziarono per la nostra presenza e ci augurarono di passare una buona notte ristoratrice. Stavo per andare via con i miei compagni, ma venni fermata da una voce autoritaria e profonda. Mi girai e senza molta sorpresa mi ritrovai davanti il Gran Veggente.

"Signorina Forrest. Non voglio trattenerla a lungo, deve essere molto provata. Volevo solo invitarla a colazione con me e con il Confratello Toriem. Domani mattina, alle 9.00, venga qui nella sala da pranzo e chieda della Sala degli Arazzi. Ci farebbe davvero molto piacere poter godere della sua compagnia." Furono quelle le parole che mi rivolse il vecchio saggio, misterioso e a suo modo affascinante. No, tranquilli, decisamente non in quel senso.

"Certo, non mancherò!" risposi con tono eccessivamente squillante, sorpresa e preoccupata da quell'invito.

"Bene. Buona notte, Signorina Forrest."

E senza neppure aspettare una mia risposta se ne andò.

La mattina seguente mi svegliai davvero di pessimo umore, perché, sommando alla paura per la colazione che mi aspettava l'angoscia del mio solito incubo, la mia ansia era arrivata alle stelle e, per tutto il tempo che impiegai per prepararmi con una certa cura, mi sentii lo stomaco stretto in una morsa.

Mentre mi vestivo feci attenzione a nascondere il grosso livido sulla spalla, che per il male mi aveva dato problemi ad addormentarmi. Rammentando il comportamento di Christopher, sentii il mio malumore aumentare esponenzialmente.

Arrivai nella sala pranzo in anticipo e, dopo aver chiesto indicazioni, raggiunsi a passi lenti la stanza in cui avrei incontrato i due Veggenti. Non riuscivo a evitare di domandarmi che cosa mai l'anziano volesse da me, ma da un lato iniziavo a pensare che potevo sfruttare quella occasione per scoprire qualcosa riguardo allo Shidashi.

Quando giunsi nella stanza rimasi estasiata dalla bellezza dei numerosi arazzi appesi alle pareti. Se la Sala del Calore nel Palazzo Cittadino di Majesten era resa meravigliosa dai suoi affreschi vivaci, la Sala degli Arazzi mostrava la propria magnificenza con l'uso accurato di tonalità tenui e delicate, che andavano a contrastare il nero delle pareti. Seduti composti al tavolino riccamente imbandito posto al centro dell'ambiente, c'erano già i due Confratelli.

"Signorina Forrest! Che piacere, siete squisitamente in anticipo. È raro, ormai, trovare persone che conoscano il valore del tempo," mi accolse amabilmente il saggio, sorprendendomi. Evitai accuratamente di puntualizzare di essere invece solitamente una ritardataria cronica e risposi con un semplice cenno del capo e un sorriso di cortesia.

Mi invitarono ad accomodarmi con loro e, sperando non si notasse il fatto che io stavo tremando come una foglia, mi avvicinai, sentendomi peggio che prima di un'interrogazione ai tempi di scuola.

Per fortuna non mi dovetti applicare molto nella ricerca di un argomento per rompere il ghiaccio, perché ci pensarono i miei ospiti.

"Immagino che abbiate affrontato un lungo viaggio per arrivare fin qua. Spero non abbiate trovato troppi imprevisti lungo la strada," iniziò a dialogare il misterioso anziano con tono tranquillo ma fermo, mentre sorseggiava la sua tisana.

"No, in effetti non molti. In verità solo uno. Nel deserto," risposi con tono forse un po' brusco. Mi sorprendevo sempre dei miei repentini cambiamenti d'umore: un secondo prima ero agitata, quello dopo scocciata al ripensare alle disavventure che avevo vissuto, tanto da adottare un atteggiamento quasi impertinente.

"Oh," fece l'uomo, sorpreso dal mio tono e anche Toriem, che era rimasto impassibile fino ad allora, alzò un sopracciglio divertito. "Immagino vi stiate riferendo agli spiriti vaganti nel Deserto dei Sussurri, noi lo chiamiamo così."

"Esattamente," risposi ferma, prima di dare un grosso morso a un meraviglioso dolcetto con la glassa color ciliegia.

"Certo che è strano... pensavo che l'Albero non vi avrebbe mai esposto a simili rischi, in fondo non sono loro il vostro limite da abbattere qui... ma è anche vero che date le circostanze, forse..." iniziò a ragionare l'uomo, con improvvisamente gli occhi più vacui, tanto che mi chiesi se stesse per avere una delle visioni che caratterizzavano i Veggenti.

"Le circostanze?" domandai incerta, non comprendendo cosa ci fosse di diverso nel nostro Viaggio da quello dei nostri predecessori.

"Insomma, ci siete Voi..." mi rispose senza quasi ascoltarmi, ancora perso nei suoi ragionamenti.

"C-cosa state d-dicendo?" balbettai quanto mai confusa. Ma lui non sembrò neppure sentirmi.

"Sì, deve averlo fatto per te, per testare le tue capacità, per metterti alla prova... e a quanto pare l'hai superata." Borbottò, passando tranquillamente a darmi del tu. A un tratto si voltò verso di me, di scatto, fissandomi con quegli occhi celestiali provocandomi i brividi. "Tu... sei così diversa, diversa da come pensavo. Ti immaginavo più... non lo so. Ma il destino è sempre imprevedibile anche nella sua prevedibilità..."

Io ero rimasta atterrita, la mano ancora sollevata nel procinto di afferrare la tazza. Non erano tanto le sue parole a spaventarmi quanto il modo inquietante con cui mi si rivolgeva. Sembrava essere sul punto di saltarmi addosso e cercare di strapparmi con la forza tutti i miei segreti.

"Signore! Signore! Si riprenda, la smetta! Non vede che la sta terrorizzando!" lo riprese allora il Confratello Toriem, notando probabilmente che la situazione stava rapidamente degenerando. Lo scosse, portandolo a distogliere gli occhi dai miei e mi sembrò quasi di essermi risvegliata da un incantesimo. Scossa dai brividi, vidi come il Gran Veggente ricominciò a riacquistare un aspetto normale, prendendosi il volto rugoso tra le mani. Che cosa diamine era successo?

"Perdonami, Katherine. Io, non volevo spaventarti, ma tu... per me è stranissimo trovarmi davanti finalmente la Prescelta, la protagonista della profezia più importante di sempre. La profezia a cui ho dedicato la mia vita di studioso," si scusò una volta ripresosi, nominando quella misteriosa e odiosa profezia che tutti erano convinti riguardasse me.

"Che cosa dice la profezia?" chiesi senza quasi accorgermene, ancora turbata da prima.

"Mia cara... È ancora troppo presto, non è ancora il tempo per te di scoprire il tuo destino."

Sospirai affranta: forse avrei dovuto smetterla di sperare che qualcuno mi desse una risposta diversa.

"Certo, è ovvio..." mormorai.

"Perfetto, che ne dite di rasserenare un po' gli animi e riprendere la nostra colazione?" intervenne Toriem, con fare conciliante. Annuii, ancora scura in volto, e ripresi a mangiare in silenzio. Ma non riuscii a trattenere la mia lingua lunga per troppo tempo.

"Scusatemi, ma perché mi avete invitato qui? A colazione intendo," domandai troppo curiosa.

"Volevo conoscerti mia cara. Immagino tu abbia già capito per quale motivo," mi rispose il vecchio, personaggio che iniziava a darmi davvero sui nervi. Toriem, pur essendo molto più giovane, sembrava decisamente il più controllato e affidabile dei due Veggenti.

"Sì, ho capito," annuii con tono amaro. Odiavo quella situazione in cui mi ero ritrovata, era come se tutti pensassero di conoscermi, come se fossi un soggetto da ammirare e non una vera e propria persona dotata di libero arbitrio. Era soffocante.

"Spero tu ti stia trovando bene qui da noi, Katherine," prese la parola il veggente più giovane, per evitare di ricadere in quello spinoso argomento e io gli diedi corda, anche solo per poter portare a termine in modo decente quell'incontro così strano.

Mi strinsi nelle spalle ed esibii il mio miglior sorriso, dicendo: "È tutto così meraviglioso! Come potrei trovarmi male? È un luogo davvero piacevole e finalmente tutti noi abbiamo un alloggio comodo e confortevole. Poi anche solo per questo cibo squisito non posso che apprezzare questo soggiorno. E mi rendo conto che non vi ho ancora adeguatamente ringraziati per la vostra strepitosa accoglienza, soprattutto visto che voi non siete soliti ad avere ospiti, da quanto ho capito."

Entrambi gli uomini sorrisero soddisfatti e fieri per i complimenti che avevo rivolto loro. Io invece mi dovetti trattenere dal punzecchiarli riguardo alla terribile ingiustizia di cui erano complici, ossia la povertà di molti abitanti di Candor.

"Ne sono davvero felice," disse allora con sorriso sincero il Gran Veggente. Mi resi conto solo in quel momento di non avere la minima idea di quale nome egli avesse e allora lo domandai.

"Mi chiamo Kyten, ma non ho mai amato molto il mio nome. Preferisco quindi farmi conoscere solo come Gran Veggente," disse ridacchiando l'interessato. Visto così appariva davvero molto diverso da quando prima mi fissava con sguardo folle.

Dopo quelle parole tra di noi ritornò il silenzio, un silenzio che per quanto mi riguardava si stava impregnando di imbarazzo. Eppure, sapevo che non potevo lasciar crollare ogni discorso, così colsi l'occasione per chiarirmi un dubbio. "Gran Veggente, volevo soddisfare una mia curiosità: cosa sono esattamente gli spiriti?" domandai cauta, concentrando tutta la mia attenzione sul cucchiaino con cui stavo mescolando da tre ore la mia tisana ai frutti rossi.

"Oh, sinceramente, è difficile definirli. Da tempo immemore nessuno si azzarda ad addentrarsi nel Deserto dei Soli, le leggende terrorizzano ancora la popolazione. Leggende che rispecchiano parecchio la realtà: davvero chi entra in quel territorio non è più in grado di uscirne. Certo, a parte voi direi e per questo avete tutto il mio rispetto. In ogni caso, tra i corridoi della nostra Domus, corre da tempo una voce: si ha il sospetto che gli spiriti siano le anime dei Veggenti morti. Pare che anche loro possano conoscere il futuro, probabilmente con maggiore chiarezza di noi vivi. Sono solo delle supposizioni e suppongo che scoprirò se è la verità solo quando il mio cuore si fermerà," mi spiegò pacificamente l'uomo, sconvolgendomi. Quella possibilità mi aveva scosso, ma allo stesso tempo la trovavo plausibile, avrebbe spiegato tante cose sulla natura di quegli esseri inquietanti con cui avevo avuto la sventura di avere a che fare.

"Ammetto che non mi aspettavo questa spiegazione" dissi mentre soffiavo per raffreddare un po' il liquido rossastro nella tazza di porcellana, decorata con delicati disegni floreali.

"Non ti preoccupare, lascia perplesso anche me," commentò con un sorriso complice Toriem, forse troppo razionale per credere a semplici voci di corridoio. E a proposito dei corridoi della Domus, dovevo scoprire qualcosa di più su quel posto, se volevo risolvere il mistero della collocazione dello Shidashi.

"Non mi sorprende che girino delle voci tra queste mura, questo palazzo è talmente immenso da sembrare una città," commentai furbamente, per condurre il discorso dove mi serviva. Dopo una piccola pausa, durante la quale presi un sorso della mia tisana, decisamente meno buona di quanto mi aspettassi, aggiunsi: "Devo ammettere che ho paura di perdermi al suo interno. Non potreste darci una mappa, in modo da poterci orientare?"

"Sì, in effetti avete ragione mia cara. Per ogni nuovo arrivato è sempre faticoso riuscire a muoversi nella Domus. Nella nostra amplia biblioteca troverete tutto quello che vi servirà. Inoltre, non è molto distante dai vostri alloggi, chiedendo qualche indicazione dovreste trovarla facilmente," mi rispose Toriem, con il benestare del suo superiore.

"Vi ringrazio, mi ci recherò oggi stesso," risposi con cortesia, per poi nascondere un sorriso vittorioso dietro il bordo della tazza. Ora che lo stesso Gran Veggente mi aveva garantito un accesso alla biblioteca mi ci sarei potuta recare senza destare alcun sospetto.

Arrivammo al termine della colazione con un clima sereno e disteso. Non avevo provato a indagare maggiormente, l'impressione era che non ci avrebbero aiutato in alcun modo a trovare lo Shidashi e che ci avrebbero reso il nostro compito più complicato. Dopotutto che senso avrebbe avuto il Viaggio se fosse stata una passeggiata? Una volta ottenuta una mappa, con l'aiuto delle annotazioni di Irvin, potevo riuscire a individuare il luogo in cui era tenuto l'oggetto sacro.

Appena mi congedai dai due illustri uomini, non persi tempo e mi diressi subito alla biblioteca, che scoprii essere talmente bella e grande da rendere quella di Zentor solo un'umile libreria di periferia al confronto. Il sapere dei Veggenti doveva davvero essere immenso, proprio come si diceva.

Diversi Veggenti già popolavano la grande ala della Domus, dedicandosi con attenzione agli studi. Mi guardai intorno finché non individuai la cattedra del custode e mi ci avvicinai.

"Salve, il Gran Veggente e il Confratello Toriem mi hanno detto che qui avrei potuto trovare delle mappe della fortezza. Sa, ho delle difficoltà a orientarmi e vorrei evitare di perdermi..." mi rivolsi all'uomo magro e leggermente ricurvo che occupava la postazione. Gli rivolsi un dolce sorriso gentile, sperando di non creare problemi.

Lui, sorpreso, alzò lo sguardo, puntando i suoi occhi nocciola su di me. Inarcai leggermente il sopracciglio quando vidi le sue guance lattee colorarsi di porpora. Ma dai, davvero? Avevo intimidito il bibliotecario? Vero che mi ero finalmente data una bella sistemata per il mio incontro con il Grande Veggente, ma quella reazione era esagerata.

"Oh... ma certo signorina. Mi, ehm... mi segua pure," rispose impacciato il giovane uomo, sistemandosi nervosamente la spilla che teneva chiusa la tunica. Si alzò e mi fece cenno di seguirlo, cosa che feci, ma non prima di aver alzato gli occhi al cielo, scocciata.

Nel giro di pochi minuti mi trovai davanti a una sezione dedicata unicamente alle mappe del palazzo. Avevo l'imbarazzo della scelta e una volta optato per quella che mi sembrava la più precisa, chiesi all'uomo se mi poteva dare anche del materiale per scrivere ed egli rapido me lo consegnò, rischiando anche di inciampare malamente nel mentre. Dopotutto mi faceva tenerezza quel goffo spilungone: doveva essere un topo di biblioteca, proprio come me. Uno tranquillo, timido e impacciato. Forse a volte apparivo anche io così all'esterno, almeno nei momenti in cui evitavo di fare l'antipatica scontrosa.

Ottenuto quello che mi serviva, mi congedai con un sorriso gentile dal custode, avviandomi lungo il corridoio, verso la mia camera. Dopo neppure due minuti, mi imbattei però in Zac, che proveniva dalla direzione opposta alla mia. Il bel ragazzo dagli occhi verdi aveva un volto rilassato e tranquillo, come al suo solito, ma quando mi vide la sua fronte si aggrottò e il viso assunse un'aria preoccupata.

"Kate! Che ci fai qua?" mi chiese, spalancando leggermente gli occhi.

"Sono andata a cercare una mappa per... per non perdermi," decisi ancora una volta di nascondere le mie vere intenzioni. Che diamine mi prendeva di nuovo? Era una cosa più forte di me.

"Brava, hai avuto un'ottima idea," annuì lui, senza apparentemente sospettare alcunché. Doveva essere sopra pensiero per non essersi accorto della mia bugia. Serio, mi chiese: "Va tutto bene? Ho sentito ieri sera le urla nella stanza di Chris. Ieri non ho detto nulla perché non mi sembrava il caso, ma adesso... cosa diamine è successo?"

Immediatamente sentii salirmi l'irritazione, già solo al sentire il nome di Christopher.

"Nulla, Zachary, nulla di importante," risposi incapace di nascondere il mio cambiamento di umore, riprendendo a camminare nella direzione della mia camera. Lui però mi trattenne per un polso, facendomi girare.

"Non prendermi in giro Kate, pensavo l'avessimo superata questa fase. Dimmi che cosa è successo!" mi sibilò contro, offeso dal mio comportamento.

"Perché non lo chiedi direttamente al tuo grande amico?" ribattei, mentre mi liberavo il braccio con un potente strattone.

"E credi che non l'abbia fatto? Diciamo che non era abbastanza in sé da volermi rispondere," disse, incrociando le braccia al petto e socchiudendo a fessura gli occhi chiarissimi.

"Già, l'ho notato anche io," sorrisi sarcastica, alzando gli occhi al cielo.

Il ragazzo di fronte a me sospirò, triste, come se gli fosse tornato in mente qualche brutto ricordo.

"Mi dispiace, Kate, se ti fa soffrire. Mi dispiace davvero. Però ti prego, non odiarlo, lui..."

Quelle parole sicuramente furono pronunciate per consolarmi e tranquillizzarmi, ma sortirono in me un effetto ben diverso.

"No, Zac. Non ci provare. Non provare a dirmi cosa devo provare nei suoi confronti. Non provare a dirmi che devo comprendere. Io non devo comprendere un bel niente. Non posso e non voglio comprendere un ragazzo che mi sbraita addosso senza ascoltare, mentre io stavo solo cercando di aiutarlo. Ed è sicuramente meglio odiare qualcuno così, che amarlo," lo interruppi prepotentemente, dapprima con un tono sibilante e poi quasi urlando. Se avessimo continuato a fare tutto quel baccano ogni giorno, probabilmente ci avrebbero sbattuto fuori dalla Domus.

Sgranai gli occhi, rendendomi conto di quello che avevo appena detto. Avevo come ammesso di esserne innamorata, ma chiaramente non doveva essere così. Anche Zac strabuzzò gli occhi, colpito dalle mie parole.

Velocemente mi girai per andarmene, ma lui per tentare di fermarmi ancora mi afferrò per la spalla, stringendola.
Immediatamente emisi una esclamazione di dolore, dato che mi aveva toccato proprio il livido.
Lui allora mi fissò, confuso e prima che io potessi fare qualcosa per fermarlo mi scoprì la pelle trovandola violacea.

A quella vista il suo sguardo cambiò: dapprima vidi lo stupore, poi la preoccupazione e, infine, forse la comprensione, accompagnata da dubbio e ira allo stesso tempo.

"Cosa diavolo e successo, Kate?" mi intimò con la rabbia negli occhi.

Io, incapace di rispondere, distolsi lo sguardo, ma quella fu solo la conferma al suo sospetto.

"Quel deficiente..." imprecò, affettandosi il volto. Sembrava deluso, quanto stanco.

"Già," sussurrai, prima di correre via da lì.

Solo quando fui abbastanza lontana dal mio amico, mi fermai a riflettere su quello che avevo detto.

"Meglio odiarlo, che amarlo"

Scossi la testa e, imprecando sottovoce, andai velocemente a chiudermi nella solitudine della mia stanza, lontano dai casini della vita.



Dopo tre giorni di ricerche e studi ebbi finalmente il tanto sospirato lampo di genio.

Nel più completo buio, mi si era accesa una miracolosa lampadina in grado di farmi mettere insieme tutti i dati che avevo tra le mani.

Finalmente ero riuscita a capire dove doveva trovarsi il mistico Shidashi.

Da quando ero tornata dalla biblioteca mi ero immersa completamente nell'analizzare il diario di Irvin insieme alla mappa della Domus per trovare una correlazione. Non avevo detto a nessuno di quelle mie ricerche, dato che Aly mi aveva detto che Ollie le aveva detto che Chris ci aveva consigliato di aspettare con le ricerche qualche giorno, evitando così di sollevare sospetti nei Veggenti e aggiungere ulteriori ostacoli alla nostra missione. Io, sinceramente, reputavo tale decisione una sciocchezza, dopotutto bastava essere discreti, ma gli altri sembravano tutti noiosamente d'accordo con il ragazzo dagli occhi di ghiaccio. Irritante. Così, ovviamente, me ne ero infischiata delle sue direttive, non era il nostro capo, e avevo preferito fare di testa mia.

Così, con determinazione e tenacia avevo iniziato a curiosare in giro, a conoscere il grande palazzo e a rileggere più e più volte con attenzione il diario.

Le ultime pagine recitavano:

Siamo terrorizzati. Tutti e tre.

Sono cambiate così tante cose da quando sono partita da Zentor e, se allora eravamo spavaldi e sicuri, adesso conosciamo davvero il mondo e siamo solo amareggiati e tremanti. Ma ci siamo. Nonostante le difficoltà che abbiamo incontrato alla fine ci siamo riusciti. Entro pochissimo avremo tra le mani il nostro sogno, eppure faccio fatica a crederci. Potrò finalmente esprimere il mio desiderio più profondo, ma ne è valsa la pena?
Assurdo, a un passo dalla fine dell'avventura più assurda della mia vita, tentenno, io che sono sempre stata la persona più decisa. Assurdo.
Eppure qui tutto mi innervosisce: l'umidità che mi dà i brividi, il rumore dell'acqua che fa tutto tranne che rilassarmi... il fatto che questo sarà probabilmente l'ultimo momento che avrò di poter scrivere questo diario prima di affrontare il mio destino.

Domani sicuramente tutto sarà diverso, in un modo o nell'altro.

Domani sarà una nuova vita.

Oppure sarà la fine.

Il domani di quella ragazza rimaneva però misterioso, perché come aveva previsto, non aveva scritto altro. In qualche misterioso modo quel libretto era ritornato al suo luogo di origine, la città Sacra di Zentor ed era finito miracolosamente nelle mie mani. Tutto un caso fortuito?

Non potevo saperlo.

Gli ultimi pensieri di Irvin mi avevano dato pochi, ma importanti indizi su dove era nascosto lo Shidashi ed era ovvio che si trattasse di un posto vicino all'acqua.

Peccato che sulle cartine non avevo trovato nessun riferimento a un luogo simile.

Fu solo quando incrociai nei corridoi due Veggenti donne, una giovane e una decisamente più avanti con gli anni, che capii chiaramente che quelle piantine non indicavano tutto il palazzo: erano stati tralasciati i sotterranei. Infatti, avevo sentito la più grande spiegare alla ragazza, probabilmente arrivata da poco, che sotto di noi c'era uno spazio enorme, costituito da gallerie e cunicoli.

Come un fulmine mi ero precipitata nuovamente in biblioteca e avevo trovato con una certa fatica ciò che cercavo, ossia una mappa, fin troppo approssimativa in verità, che rappresentava ciò che si nascondeva sotto i nostri piedi.

E lì, nell'ala ovest, c'erano quelle che cercavo: le cisterne.

Sorrisi, ormai tutto aveva un senso. Sapevo perfettamente come arrivare dove volevo.

Per il resto della giornata mi dedicai all'organizzazione dell'avventura. Avevo deciso di aspettare la notte, in modo da non destare sospetti, ma mi sarei comunque dovuta muovere con attenzione, infatti avrei dovuto attraversare tutto il palazzo, andando dall'ala est, dove erano i nostri alloggi, all'ala ovest, dove sapevo esserci la porta che mi avrebbe permesso l'accesso alle cisterne.

Avevo preso poche cose da portare con me, solo una sacca con dentro un po' d'acqua, qualche alimento in caso di bisogno, una corda e qualche altro oggetto che pensavo mi sarebbe potuto tornare utile.

Prima di uscire mi guardai allo specchio, prendendo in mano il ciondolo che mi aveva regalato papà. Ormai lo indossavo sempre, ma lo tenevo nascosto sotto le vesti, come se fosse una cosa intima. Mi sentii meno sola e ne avevo maledettamente bisogno, perché ero terrorizzata ad andare incontro all'ignoto senza l'aiuto dei miei compagni. Eppure, ancora una volta, sentivo di non doverli coinvolgere, qualcosa mi spingeva a cercare lo Shidashi senza chiedere aiuto a nessuno. Era più forte di me. Più forte della paura che mi attorcigliava le viscere.

Ero pronta.

Mi aggirai nei corridoi con un comodo paio di pantaloni di pelle che mi avevano gentilmente donato i padroni di casa e uno stretto corpetto. I miei capelli erano raccolti in una coda alta e mi muovevo con totale circospezione, evitando di fare rumore.

Avevo attraversato due terzi della strada senza incontrare alcun imprevisto, ma non potevo continuare ad essere così fortunata e infatti improvvisamente mi imbattei in Varyen.

Fu solo un colpo di fortuna quello che mi salvò: l'uomo era voltato di spalle e non mi vide, dandomi il tempo necessario per tornare sui miei passi e imboccare un altro corridoio.

Maledissi mentalmente il nanetto per avermi complicato le cose e cercai di concentrarmi per evitare di perdermi. Percorrendo una strada più lunga, a un certo punto mi ritrovai in una zona piena di quadri e illuminata da numerose torce. Senza ombra di dubbio quella era la galleria dei Gran Veggenti.

Il salone conteneva i ritratti di tutti i Gran Veggenti, dal primissimo fino all'ultimo che avevo potuto conoscere. Avanzai, a disagio, con la sensazione di essere fissata da quei volti, sentendomi allo scoperto nella luce.

Il silenzio era interrotto solo dai leggeri tonfi che provocavano mio malgrado i miei passi e nella maestosità di quel posto mi sentii minuscola e smarrita. Lasciai correre lo sguardo lungo le pareti, preoccupato e curioso al tempo stesso. Fu così che, inaspettatamente un ritratto attirò la mia attenzione.
Mi avvicinai, confusa, attratta dalla famigliarità di quel volto. C'era qualcosa nella donna dallo sguardo incredibilmente determinato che mi ricordava qualcuno, ma mi ci volle un po' a capire di chi si trattasse. Quando però la risposta si affacciò nella mia mente, rimasi di sasso.

Era identica a me.

Okay, non eravamo totalmente identiche, i suoi occhi erano verdi con delle pagliuzze dorate, mentre i miei blu mare, e la tinta dei capelli sembrava un po' più scura rispetto alla mia, ma i tratti del volto, la sua espressione, la linea delle sopracciglia. Poteva benissimo essere una mia sorella maggiore.

Shaeden Gattroc di Zentor,
la Progenitrice.
Grande Veggente per 5 anni, prima della sua prematura scomparsa.

Così recitava la targa informativa sulla cornice del dipinto.

Quella situazione mi metteva davvero i brividi. Doveva essere una mia sorta di sosia. Per forza. Poi che strano nome, la Progenitrice. Chissà cosa poteva significare. La didascalia parlava di prematura scomparsa, quindi supposi che fosse morta giovane.

Cosa le sarà successo?

Ma in realtà quegli interrogativi passavano in secondo piano rispetto a quello più grande di tutti: perché diamine mi assomigliava tanto? Faceva davvero impressione!

"Diamine, Kate, non è il momento," mi rimproverai a bassa voce, ben sapendo di non poter perdere altro tempo in quella galleria. Ero allo scoperto e avevo altro da fare.

A malincuore voltai le spalle a quella stanza e senza incontrare nuovi imprevisti giunsi infine alla porta che permetteva l'accesso alle cisterne. Non mi stupii nel trovarla chiusa a chiave, ma per fortuna avevo dalla mia la magia.

Sorrisi, soddisfatta. Con i miei poteri sarei riuscita ad affrontare tutto. Da sola potevo benissimo arrivare al mio obiettivo e dimostrare il mio valore. Perché altrimenti per quale altro motivo avrei affrontato tutto ciò senza chiamare gli altri?

Bastò solo una parola, un pensiero e un leggero movimento delle mani e la porta si spalancò, aprendo una nera voragine.

Entrai.



ANGOLO AUTRICE:

Come vi avevo annunciato nello scorso capitolo e come lo stesso titolo fa presagire, in questa parte accadono un po' di cose "folli". Vediamo un Christopher inedito, completamene fuori di sé. Secondo voi cosa starà nascondendo il nostro Monhar dagli occhi di ghiaccio? Ancora è molto presto per scoprire la verità, ma gli indizi iniziano a farsi sempre più numerosi!

Anche il Gran Veggente spaventa la nostra protagonista, che si sente sempre più confusa su quello che dovrebbe essere il suo futuro: infatti, ancora una volta, sente parlare di quella famosa profezia che le aveva riportato May, ma senza scoprire davvero nulla di più al riguardo.

Alla fine vediamo Kate che fa di testa sua, pronta a raggiungere lo Shidashi da sola. Riuscirà nella sua impresa? Al prossimo capitolo per scoprire cosa combinerà la nostra Mahir nei sotterranei della Domus Alba!

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