(R) CAPITOLO 14: La Sala del Calore
"Cosa?!" esclamai rivolta a Christopher, che stava invece guardando Zac, ignorandomi completamente.
"Nessun problema, è tutta tua. Kate è un'ottima compagna di danze," ammiccò il mio cavaliere, per poi piantarmi là con Chris. Lo maledissi mentalmente. Non mi potevano trattare come merce di scambio!
"Non credi che forse dovresti chiedere a me se ho intenzione di ballare con te?" lo rimbeccai incrociando le braccia al petto.
"Okay, mi scusi signorina. Vuole ballare con me?" mi invitò allora con un ghigno divertito, accennando a un inchino.
"No."
Avevo assolutamente bisogno di aria e pace, mi sentivo soffocare in quel salone e dopo tre balli ero anche stanca. Danzare con Chris era una pessima idea.
"No? Davvero?" mi chiese inarcando le sopracciglia. Poi più seriamente mi domandò: "Kate perché mi stai evitando in questi giorni? Cosa succede?"
"Niente," risposi semplicemente e feci per andarmene, ma lui mi afferrò per un braccio e mi trattenne.
"Katherine Forrest, fidati di me: devo parlarti e sono sicuro che ti interesseranno le cose che ti dirò. Quindi te lo richiedo: vuoi ballare con me?"
Ero combattuta. Non volevo farlo. Però se mi poteva dire qualcosa d'importante... era meglio fare uno sforzo.
"Sì..." risposi storcendo la bocca.
"Fantastico!" esclamò allargando le braccia, invitandomi ad avvicinarmi. Così mi ritrovai a ballare con lui. Non sapevo che fare. Ero a disagio, imbarazzata e spaventata. La sua presenza mi rendeva rigida e morbida al tempo stesso e ciò mi scombussolava. Iniziai a fissarlo, curiosa di capire cosa mai avesse risvegliato quell'attrazione che sentivo nelle viscere, andando contro la mia volontà. Era forse la sua bocca sensuale? I tratti ben definiti? La sua pelle perfettamente abbronzata? O forse erano i suoi glaciali occhi e quello che nascondevano dietro?
"Perché mi stai fissando?" mi chiese con noncuranza, accennando ad un sorriso malizioso.
"Non ti sto fissando!" strillai con voce strozzata, colta in fallo. Cercare di negare l'evidenza era un tratto distintivo del mio carattere, un difetto di cui mi vergognavo, ma di cui era difficile liberarsi.
Per evitare altri commenti e deviare l'attenzione dal mio strano comportamento, formulai velocemente una domanda: "Cosa mi dovevi dire?"
Mi squadrò un paio di secondi divertito e rassegnato. "Ah, vai dritta al punto..." concluse alla fine. "Ricordi la prima volta che noi due abbiamo ballato insieme? Tu mi avevi chiesto se potevi farmi una domanda e io ti ho risposto di sì, a condizione di potertene fare una anche io. Venimmo interrotti. Credo che sia il momento di riprendere quel discorso."
"Certo, okay," risposi fingendomi disinteressata, quando in realtà avevo perso un battito: finalmente avrei potuto chiedergli spiegazioni sulla visione che avevo avuto il giorno della scelta e forse scoprire un piccolo pezzo del mio passato.
"Vuoi iniziare tu?" chiese con cortesia.
"No," risposi, "quello che voglio chiederti è molto personale, non posso farlo qua in mezzo a tutta questa gente. Finiamo questo ballo e cerchiamoci un posto più tranquillo per parlare."
"Possiamo andare anche subito se preferisci..." propose lui rallentando.
"No, aspetta, mi piace questo pezzo. Visto che hai liquidato il mio compagno di danza ora dovrai pensarci tu a rimpiazzarlo." Sollevai leggermente le spalle, mentre volteggiavo nel mio voluminoso abito.
"Okay... come preferisci," sorrise lui. C'era qualcosa di strano nel suo sguardo, ma non riuscivo a capire di cosa si trattasse.
"Dunque... sei pronta per partire?" mi domandò dopo un po'. Sembrava quasi a disagio, come se avesse per forza bisogno di riempire i silenzi in qualche modo.
"Mmh... sì..." risposi poco sicura.
"Non sembri molto convinta."
"No, infatti. Ma tanto bisogna partire comunque. Imparerò strada facendo quello che ancora non so, spero," sospirai.
"Se ti può consolare neppure io mi sento prontissimo. Voglio dire, è tutta la vita che mi preparo per questo, ma non mi sembra ancora abbastanza," ammise lui, lasciandomi senza parole.
Tra noi era sempre stato così. Ci bastava poco per poter comunicare. Per poter confessare la verità. Per essere il più possibile noi stessi. Pensavo che non avrei più potuto avere momenti come quelli, in cui abbassavamo un po' le nostre barriere di solito insormontabili, diventando più autentici, e in quel momento non potevo non pensare a come avevamo fatto a stare lontani così a lungo senza mai ritornare a parlare liberamente.
Cos'era successo davvero a Chris? Perché si era allontanato da me? E perché ora stava tentando inaspettatamente di ricucire un rapporto, dopo tutto quel tempo? Cosa stava succedendo dentro di lui?
"So cosa intendi dire," mormorai, pensando a come mi ero sentita io per tutta la vita.
"Lo so," sussurrò lui, con gli occhi persi nei ricordi.
Ballammo quel ballo e anche quello dopo, senza più rivolgerci neppure una parola. Ero attratta da lui, dal suo aspetto e da quel che sapevo essere nascosto nel suo cuore. I suoi occhi sembravano più profondi del solito e vedevo tramite essi la sua anima in subbuglio. Dentro di lui stava succedendo qualcosa, stava cambiando e questo lo confondeva.
Per un po' mi illusi, persa nei suoi occhi, di essere ricambiata, che anche lui non fosse indifferente a me. Ma, non appena osavo avanzare una simile ipotesi, mi davo subito della stupida e la cancellavo. Non mi dovevo dare false speranze.
Non potei però evitare di godere della sua vicinanza e del piacere che mi dava la leggera ma salda pressione della sua mano sulla mia schiena.
Quando si concluse anche il secondo ballo, mio malgrado mi allontanai, facendogli cenno di seguirmi per parlare. Staccarmi dalla sua presa era stato difficile tanto mi ero sentita al sicuro e libera tra le sue braccia.
Cercammo di farci strada tra la folla per raggiungere l'uscita del salone da ballo, ma, sballottati da una parte all'altra in mezzo alla ressa di persone, finimmo con il perderci di vista. Iniziai a cercarlo dappertutto con lo sguardo, ma era difficile fuggire alle tante pettegole che cercavano di fermarmi in cerca di nuove cose su cui blaterare. Per quanto scrutassi in giro, c'era troppa gente per riuscire a individuare Christopher da lì in mezzo e allora pensai di spostarmi in una zona più agevole.
Mentre mi facevo strada tra ingombranti gonne e gesticolanti signori, mi sentii improvvisamente strattonare bruscamente per un braccio e venir trascinata verso uno dei tavoli imbanditi.
La fulva chioma della mia sequestratrice non lasciava alcun dubbio sulla sua identità: Elsa. Come avevo immaginato avrebbe cercato di tirarmi da parte per ricoprirmi di insulti come il suo solito. Ci sarebbe andata giù pesante di sicuro, in fondo, se prima non mi sopportava, in quel momento rappresentavo la persona che avrebbe volentieri ucciso.
"Tu brutta idiota che non sei altro. Come hai osato soffiarmi il posto tra i Prescelti? Come hai fatto a convincere l'Albero? Hai usato tuo padre?!" mi urlò contro appena ci fermammo, arrabbiata come non l'avevo mai vista. La sua presa si stava facendo secondo dopo secondo sempre più forte e sentivo come se dalle sue mani si diffondesse del calore.
Mani incandescenti. Avevo numerosi brutti ricordi legati a quella sua tecnica di tortura. Non avevo intenzione di permetterle di lasciarmene altri.
"Elsa, lasciami. Mi. Stai. Facendo. Male," le dissi lentamente, dando peso a ogni singola parola.
"Non mi interessa se ti sto facendo male!" esclamò lei esercitando ancora più forza. "Sei solo una sporca imbrogliona che ha deciso di rovinarmi la vita!"
"Buffo. Pensavo fossi tu quella con la specializzazione nel rendere la vita degli altri un inferno," la provocai assottigliando lo sguardo.
"Come hai fatto a soffiarmi il posto, maledetta Senza Poteri? Rispondimi dannazione!" sbraitò lei, rossa in volto, continuando sulla propria linea. Quella ragazza rasentava la follia.
"Maledetta Senza Poteri... che cosa divertente. Sai ho una bella notizia. O forse brutta, dipende dai punti di vista. Mi hai chiamato Senza Poteri, ma ti devo informare della novità," le sibilai addosso, liberando con un forte strattone il braccio.
Poi, presa da un impulso, sollevai con il pensiero un bicchiere con dentro un liquido azzurro intenso e lo feci ricadere soddisfatta in testa alla stupefatta Elsa. "Indovina un po': sono una fata."
I suoi capelli elaboratamente acconciati si afflosciarono e un po' di trucco le colò sotto gli occhi. Il suo sguardo era un misto di odio e di stupore che mi provocò un sorriso soddisfatto.
"Oh, scusami. Non sono ancora molto pratica con certe magie, sai è tutto così nuovo," dissi falsamente innocente, mentre usando la telecinesi mi feci arrivare tra le mani un altro drink e con nonchalance iniziai a berlo dalla cannuccia.
La guardai freddamente con un sorriso maligno, gustandomi lo sbalordimento della ragazza. Lei non era abituata a sentirsi mettere in ridicolo, era lei di solito a destabilizzare gli altri. Un tempo ci riusciva anche con me, ma non avrei più permesso che ciò accadesse.
"Sai, penso proprio che tu debba andare a sistemarti. Comunque ci vediamo, sfigata," la salutai usando l'epiteto che aveva sempre affibbiato a me. Poi girai i tacchi e me ne andai con passo sicuro, le spalle dritte e l'orgoglio in volto.
Quella ragazza mi aveva distrutto. Giorno dopo giorno, insulto dopo insulto, dispetto dopo dispetto mi aveva spezzato. Forse dovevo anche ringraziarla. Se non mi avesse fatto cadere così in basso non sarei mai diventata così forte rispetto a prima.
Tutt'ora so che è anche grazie a lei che sono diventata quella che sono. Mi aveva spinta a tirare fuori il carattere e la forza quando sembravo solo un guscio privo di personalità.
Ero felice, sadicamente felice, di averla umiliata. Di averle tolto il posto tra i Prescelti. La rivincita è un piatto dolce e irresistibile, ma con il tempo lascia un orribile retrogusto amaro. Questo però lo avrei scoperto solo diverso tempo più tardi.
Riuscii a emergere dalla folla in cui mi ero avventurata nuovamente e mi appostai in un angolo per calmarmi un po' e bere in pace il drink leggermente alcolico che ancora avevo in mano.
Finito quello me ne procurai un altro, usando ancora la telecinesi, che ormai sapevo controllare alla perfezione. Da quando avevo imparato a sviluppare la magia la mia vita era diventata in generale incredibilmente più complicata, ma contrariamente nelle piccole cose incredibilmente più semplice, incoraggiando la mia pigrizia.
Feci per portare la cannuccia alle labbra, quando mi sentii sottrarre il bicchiere da qualcuno. Annaspai alla cieca cercando di riafferrarlo, inutilmente, quindi alzai lo sguardo stizzita verso il ladruncolo, che si rivelò essere Christopher, e mi imbronciai incrociando le braccia. Avevo voglia di rilassarmi un po' e quel liquido dolceamaro mi deliziava con il suo buon sapore.
"Ridammelo!" esclamai.
"Ti stavo cercando dappertutto e dove ti trovo? In un angolo a ubriacarti! Sei una vera ragazzaccia, Katherine Forrest" mi disse lui a metà strada tra l'essere divertito e il farmi la morale.
"Non essere sciocco! Non mi sto ubriacando. In questi bicchieri ci sarà sì e no un goccino d'alcol. Comunque, anche io ti stavo cercando... certo prima di venire trascinata da parte ed essere insultata, stranamente, da Elsa Shuffel, ma questa è un'altra storia. Va beh, allora, andiamo a parlare?" blaterai io, mangiandomi le parole, un po' troppo su di giri.
Lui mi guardò con una strana espressione, come se fosse divertito da qualcosa, e non accennò né a muoversi né a rispondere, irritandomi.
"Cosa c'è?" domandai brusca.
"Nulla... solo mi mancava sentirti vaneggiare così. Dovresti respirare ogni tanto," mi consigliò facendomi l'occhiolino. Avvampai, imbarazzata da quel tenero appunto, e mi pietrificai sul posto.
"Andiamo?" mi domandò ironico, notando la mia reazione di disagio.
"Certo," annuii con voce strozzata.
Ci dirigemmo verso l'uscita del salone e lui mi prese la mano per evitare di perderci di nuovo fra i tanti invitati.
La sua mano salda e calda teneva la mia, procurandomi un brivido piacevole lungo la schiena. Mi detestavo: dovevo proprio prendermi una cotta per lui? C'era Zachary, un ragazzo intelligente e dolce, per non dire bellissimo. Perché proprio O'Connor? Scossi la testa rassegnata.
Alla fine, arrivammo in una stanza in cui un allegro fuocherello magico scoppiettava nel camino. Al centro di essa c'era un lussuoso divanetto rivestito di velluto rosso rubino e le pareti erano completamente affrescate con colori sgargianti.
La mia forte passione per ogni genere d'arte mi spinse a iniziare a osservare e analizzare con attenzione quei capolavori: gli affreschi rappresentavano la storia di Majesten.
Nel primo erano raffigurati gli antichi abitanti del nostro mondo, maghi e fate non ancora pienamente consapevoli delle loro capacità. A quei tempi tutti vivevano nel Continente, territorio al di là del mare. Ormai da secoli nessuno si avventurava più in quel luogo ridotto a una landa deserta, ma millenni prima quel posto era rigoglioso, la natura regnava sovrana e la magia era ancora visceralmente legata a essa.
Nell'affresco successivo si vedeva come Sorhai, una giovane esploratrice del passato, avesse trovato nei suoi viaggi un passaggio per un altro mondo, Gerlin. Era la prima volta che qualcuno su Majesten Viaggiava tra i mondi. Al suo ritorno lei raccontò tutte le sue scoperte, del pianeta completamente diverso in cui si era ritrovata e di come la possibilità di aprire i loro orizzonti sarebbe potuta essere preziosa per i majestani. Nessuno però le credette, né le diede ascolto.
Nella rappresentazione adiacente si vedeva come Majesten venne attaccata improvvisamente dal Gelido, un crudele despota che puntava a conquistare il nostro mondo. Era arrivato da Gerlin, tramite lo stesso passaggio che aveva percorso Sorhai e che aveva lasciato incautamente aperto.
L'arrivo del Gelido nel nostro mondo seminò distruzione e morte. Sembrava impossibile batterlo, era dotato di poteri a noi sconosciuti, che attingevano dall'oscurità e infatti, poco a poco, conquistò sempre un maggior numero di territori del Continente. Nei dipinti successivi si vedeva con immensa chiarezza e in modo tremendamente realistico la devastazione e l'orrore che invasero il nostro meraviglioso pianeta in quei tempi bui.
Fu Sorhai a salvare il nostro popolo: spinta dai sensi di colpa, decise di partire per mare insieme a cinque suoi fedeli compagni. Una leggenda narrava dell'esistenza di un'isola nella quale si poteva trovare un potere tanto grande da scacciare qualunque nemico. Il viaggio fu difficile, ma i sei ragazzi trovarono la loro meta, sbarcando sull'isola. La stessa isola su cui oggi sorge la Città, mentre la grande fonte di magia che cercavano si rivelò essere niente di meno che l'Albero dei Mondi.
Scoprirono che in quella terra vivevano umili persone che dedicavano la loro vita alla salvaguardia di quell'essere estremamente potente. Erano pacifici e accolsero gli avventurieri con gioia e curiosità. Quando seppero del pericolo che incombeva su tutti, non esitarono a organizzare un incontro con il Salice, il quale concesse loro poteri maggiori, necessari per sconfiggere il Gelido.
I sei avventurieri tornarono nel Continente appena in tempo per salvare la popolazione dall'attacco finale del tiranno di Gerlin e, con la loro nuova magia e l'inganno, riuscirono a rispedirlo da dove era arrivato e a intrappolarlo nel suo Mondo per l'eternità con un potentissimo incantesimo: secondo la leggenda egli fu rinchiuso in una parete di ghiaccio, gelida come il suo cuore duro e spietato.
invece, il portale che permetteva di arrivare a Gerlin venne sigillato, impedendo tutti i possibili spostamenti con quel mondo. O almeno così credevano.
Nell'ultimo dipinto erano rappresentati i sei avventurieri mentre venivano nominati i Primi Guardiani proprio dall'Albero dei Mondi. Infatti, ormai, la terra meravigliosa in cui avevano vissuto i nostri avi era irrimediabilmente distrutta, perduta, perciò i sopravvissuti della Grande Guerra decisero di spostarsi su quell'isola che aveva donato loro la salvezza già una volta. Fu allora che venne costruita la Città, nel cui nucleo si trovava il Salice, ormai quasi idolatrato e considerato il vero salvatore di tutti loro. Questa entità saggia e benevola aveva rivelato loro dell'esistenza dei Sette Mondi, affermando di essere in grado di creare dei portali che avrebbero permesso di Viaggiare senza pericoli e sotto suo consiglio fu deciso che ogni anno sarebbero stati scelti sei giovani, destinati ad affrontare difficili prove in un Viaggio difficile per provare le loro capacità, con il fine di diventare i nuovi Guardiani. Una tradizione che avrebbe celebrato la rinascita per il popolo di Majesten, ma che avrebbe garantito anche protezione alla nostra dimensione.
Conoscevo quella storia alla perfezione, ma mai mi ero sentita tanto affascinata da essa come in quel momento. L'artista che aveva realizzato quel capolavoro sembrava essere stato in grado di far trasparire tutte le emozioni dei personaggi raffigurati, trasmettendo tutta l'epicità di quei momenti che avevano cambiato radicalmente la vita di noi majestani.
"È la Sala del Calore. L'hanno chiamata così per antitesi al freddo del Gelido. I dipinti sono stati fatti da Broxan l'Artista in persona," mi spiegò Christopher alle mie spalle, notando probabilmente il mio stupore.
"Broxan l'Artista? Uno dei Primi Guardiani? Questo posto non sembra così vecchio..." affermai stupita, girando il collo per guardarlo, mentre lui nel frattempo mi si era avvicinato affiancandomi.
"La sua magia era fortemente legata alle sue capacità artistiche. Come sicuramente avrai notato è riuscito a infondere sentimenti ed emozioni in tutto quello che ha realizzato."
Ero affascinata. "È meraviglioso..." riuscii solamente a mormorare.
"Sì, lo è." assentì Chris, con un tono appassionato. Non sapevo gli piacesse tanto l'arte.
Girai nuovamente il volto verso di lui, per cercare di capire meglio cosa stesse provando, e lui, dopo un paio di secondi, fece lo stesso con me. Ci guardammo negli occhi per qualche secondo, finché, imbarazzata dall'intimità di quel contatto visivo, abbassai il capo. Gli feci dunque cenno di venire a sistemarsi con me sul divano per parlare.
Ebbi un po' di difficoltà a sedermi a causa del vestito che indossavo: era un capolavoro sartoriale e mi faceva sentire una principessa, ma non era di certo un esempio di praticità.
Dopo un po' di sbuffi e imprecazioni soffocate, riuscii ad accomodarmi, per poi vedere l'espressione divertita di Chris. Possibile che quella sera non riuscisse a fare altro che ridere di me?
"Smettila!" sbottai.
"Scusami, ma non ce la faccio. A volte sei così buffa," sghignazzò lui spensierato, lasciandomi interdetta. Era raro che ridesse per davvero ed era un bene che lo facesse perché, quando gioiva sul serio, toccava il cuore.
Sembrava stranamente carino. Non figo e mortalmente attraente. Carino. Tenero. Dolce. Spontaneo. Il modo in cui si passava la mano tra i setosi capelli biondi, le piccole rughe che gli si formavano ai fianchi della bocca, la luce smagliante che brillava nei suoi occhi. Era una visione che lasciava a bocca aperta.
Contagiata dalla sua leggerezza scoppiai a mia volta a ridere, sentendo nel cuore un tripudio di emozioni.
Ma poi mi ricordai il motivo per cui ero veramente là: risposte. Riportai quindi l'attenzione sulla serietà dell'incontro e domandai: "Posso porti la famosa domanda?"
"Siamo qua per questo, no?"
Presi un respiro. Era arrivato il momento.
"Ecco... il giorno della Scelta, qualche istante prima di venire chiamata, abbiamo incrociato lo sguardo e ho avuto una visione. Io che ti cadevo addosso, uscita da un portale fatto dall'Albero. Da bambini. Ricordi questo episodio?"
Un leggero tic al sopracciglio sinistro tradì la sua agitazione, mentre il resto del corpo era come fatto di pietra. Lo vidi aprire e chiudere la bocca, come se stesse per parlare, ma poi si trattenesse.
Alla fine, dopo qualche secondo, si decise a dire: "Kate... se come dici eravamo bambini è molto difficile che io me ne ricordi. Mi spiace, ma non mi viene in mente..."
Quelle parole sarebbero state motivate. Ormai ero convinta che non si trattava di una semplice visione, ma di un ricordo vero e proprio che era riaffiorato nella mia mente, quindi non avevo più dubbi che ciò fosse realmente accaduto, ma non sapevo se anche lui fosse stato soggetto alla manipolazione della memoria. Sua madre era riuscita a scamparla, ma ciò non significava che valesse la stessa cosa per lui.
Eppure, mi bastava guardarlo per capire che non era sincero.
"Cristopher... perché mi stai mentendo?" lo misi alle strette fissandolo decisa. Sapevo quello che volevo e per una volta nulla mi avrebbe portato a mollare.
"Ma io non..." iniziò lui, sistemandosi impacciatamente sulla poltrona. Era talmente strano vederlo in difficoltà che era palese che mi stava mentendo. E lo sapeva anche lui.
"Christopher, non so dire se sei un pessimo bugiardo in generale, ma... in questo momento sei davvero un pessimo bugiardo..." lo ammonii, aggrottando le sopracciglia e facendogli un sorrisetto perplesso.
Sospirò, chiudendo gli occhi rassegnato.
"Dannazione... non lo so neanche io se sono un pessimo bugiardo. Credevo di essere più bravo onestamente, ma è tutto così complicato," borbottò lui, buttando fuori il fiato. Si prese la testa tra le mani, stropicciandosi stancamente gli occhi.
"Cosa intendi per tutto così complicato?" chiesi non riuscendo a collegare le sue parole con il discorso."
"Oh, uhm. Niente. Niente," mi rispose evasivo, liberando il volto dalle sue ampie mani. Aveva delle dita lunghe e stranamente curate per essere un ragazzo, soprattutto un guerriero, ma dei piccoli calli tradivano il frequente uso di armi. "Sai, non mi aspettavo questa domanda. Devo essere sincero, ma non capisco molto bene la tua posizione in questo momento..." disse allora grattandosi il mento.
"La mia posizione?" Domandai io.
"Non so più esattamente chi tu sia, né quanto tu sappia di te stessa."
"Ah... ne so decisamente meno di quanto vorrei, ma allo stesso tempo molto di più di un mese fa. Il punto è che non so fino a che punto io possa parlartene senza lasciarti sorpreso," ridacchiai, anche se forse non c'era nulla di divertente. Avevo fatto una domanda e invece di avere una risposta mi sembrava di essere finita io sotto interrogatorio.
"Beh, mi sembra un po' un vicolo cieco," commentò lui, scuotendo il capo.
"No. Non direi," dissi. "Mi sembra che io ti abbai fatto una domanda, e vorrei tu mi rispondessi indipendentemente da qualsiasi altra cosa."
Non sembrava contento della situazione in cui si trovava, ma dopo qualche istante lo vidi annuire, accondiscendente.
"Avevo quasi dieci anni e stavo girovagando per il Giardino della Maxas. Ero vicino al Salice, mi ero fermato un attimo, non so, forse ad ammirare il panorama, quando da un momento all'altro si è alzato un vento fortissimo e dal nulla sei sbucata tu, cadendomi addosso. Siamo finiti entrambi a terra e ti assicuro che, nonostante tu fossi al limite dell'anoressia in quel momento, è stato davvero doloroso. È evidente che hai una particolare passione per finirmi addosso ogni volta, no?" mi spiegò, aggiungendo una battuta per smorzare un po' la tensione che si percepiva nell'aria.
"Io direi il contrario piuttosto," borbottai, reprimendo un piccolo sorriso. Poi gli feci cenno di proseguire.
"Beh, non c'è molto da dire in più. Mi sei caduta addosso e dopo poco è sbucato fuori tuo padre, evidentemente contrariato dalla mia presenza. Dopo un battibecco, me ne andai incazzato. Dopo un paio di settimane ti vidi a una festa, sembravi davvero spaesata e non ho resistito alla curiosità di capire chi tu fossi. Mi ci volle un attimo per capire che non ti ricordavi assolutamente nulla del nostro incontro turbolento. Due attimi per notare che nessuno si faceva domande sulla tua presenza. Sembravo essere l'unico a riconoscerti come una straniera, come qualcuno che non era mai stato a Majesten prima di allora. Non capivo cosa stesse succedendo, quindi incuriosito sentivo il bisogno di frequentarti. Poi è nata la nostra amicizia e fondamentalmente ho rinunciato a capirci qualcosa, non volevo metterti davanti a realtà che ti avrebbero scombussolato. Il resto della storia la sai."
Mi si appannò la vista, il mondo esterno divenne sfocato mentre io mi chiudevo nella fortezza della mia mente analizzando e rianalizzando ancora le parole appena ascoltate. "Non mi hai mai detto nulla..." mormorai assente, ma forse con un filo di risentimento.
"No. Kate mettiti nei miei panni: ero un bambino, non capivo neppure la metà delle cose che succedevano intorno a noi, come avrei potuto spiegarti che tutti i ricordi che avevi dovevano essere finti, perché tu eri arrivata a Majesten solo di recente? Eri una bambina felice, ti avrei distrutto la vita. Forse mi avresti anche odiato. Allora la cosa mi terrorizzava, quindi semplicemente a un certo punto ho messo da parte tutto ciò, non volendo più fare domande."
"Chris, sai, non credo di avercela con te. Solo che ultimamente mi sto rendendo conto di quante menzogne le persone a me vicine mi hanno rifilato e so che alla base c'erano le migliori intenzioni, ma non riesco più a distinguere la finzione dalla realtà." Lo guardai con un sorriso triste. Mi sentivo davvero stanca. Era davvero tutto più facile quando mi cullavano le bugie, ma ormai quei tempi non ci sarebbero più stati.
"Mi dispiace tanto," disse lui, appoggiandomi una mano sulla gamba, non che la potessi sentire con i numerosi strati di tessuto che la dividevano dalla mia pelle. Diamine, sembrava quasi più confuso e provato di me.
"Onestamente, tra le varie cose, non capisco come sia possibile che tu ora ricordi. La verità è che il Salice ha fatto sparire la mia memoria del passato, mentre mio padre ha modellato quella di tutti i majestani. Perché con te non ha funzionato? È stato grazie a tua madre?" la testa mi pulsava dolorosamente, forse era davvero troppo tutto insieme da gestire.
"Eh? Cosa c'entra lei?" mi domandò con lo stupore negli occhi.
"Anche lei è riuscita a non farsi manovrare la mente... pensavo lo sapessi!" gli spiegai, colpita dalla pura sorpresa che gli leggevo negli occhi.
"Io non... diamine non ci ho mai pensato!" esclamò distogliendo lo sguardo. Riuscivo a percepire il suo cervello che lavorava, cercando anche lui di mettere insieme i giusti tasselli di tutta quella storia. Mi domandai però se le tessere del puzzle fossero uguali alle mie. "Ma tu come fai a sapere che mia madre sa?" aggiunse solo allora, probabilmente realizzando solo in quel momento.
Il mio stomaco si chiuse come se avesse ricevuto un pugno in pieno, lasciandomi senza fiato. Sally mi aveva minacciata che se mi fossi messa in mezzo tra lei e suo figlio avrebbe rovinato mio padre. Parlargli dell'incontro era un grosso rischio.
"E tu come fai a sapere che tua madre ne è al corrente? Cos'è, l'argomento principale in casa vostra?" lo contro attaccai.
"Cosa? Ma ovvio che no! Lei voleva aprirmi gli occhi sulla verità riguardante la tua famiglia, ma non si aspettava che io già la sapessi. Per questo non sono così sicuro che sia grazie a lei che ricordo," mi rispose spalancando gli occhi.
"Scusa. Mi spiace, so cosa si prova a non capire nulla di quel che accade," riuscii però a dirgli, con tono addolcito. Lui mi rivolse un sorriso tirato.
"Ma piuttosto... cosa ci facevi là, quella notte? Non è permesso dalla legge girovagare per la città dopo il coprifuoco e tanto meno entrare nel Giardino della Maxas. Eri solo un bambino," cambiai il discorso, ricordando un dettaglio che mi aveva lasciata perplessa.
Rimase spiazzato, visibilmente a disagio. Poi però sorrise furbetto e mi disse: "Questa è un'altra domanda. Ne avevi diritto solo ad una. Ora tocca a me chiedere."
Ci rimasi di sasso e la cosa mi infastidì, perché di dubbi ne avevo ancora troppi, ma nervosamente annuii, un po' preoccupata. Non sapevo cosa mi avrebbe potuto domandare, ma c'erano un sacco di cose che non avrei voluto dirgli.
"Perché non hai mai detto a nessuno di essere una fata? Hai mentito anche a me quando eri piccola?"
Mi irrigidii. La risposta a quella domanda era molto delicata. Avrei dovuto parlare del sigillo e ciò era pericoloso.
"No! Non ti ho mai mentito, non avrei mai potuto." Avevo la pelle d'oca. "Neppure io lo sapevo perché... mio padre non si è limitato a modificare i ricordi delle persone. Si è anche assicurato che io non manifestassi i miei poteri. Ho scoperto di essere una Mahir solo dopo la cerimonia," confessai con volto chino, cercando di non tornare a deprimermi per le menzogne di mio padre e di dare meno informazioni possibili. Incominciai a giocare con una ciocca di capelli, portando tutta la mia attenzione su di essa.
"E come ha fatto? Che io sappia non ci sono modi per bloccare la magia di una persona. Beh, a parte i sigilli, ma dubito che..." iniziò a ragionare Christopher, ma si interruppe subito vedendo il mio corpo rabbrividire. Probabilmente ero anche sbiancata di colpo.
"NO. Ti prego Kate, dimmi che non è così," insistette cercando di afferrarmi la mano, appoggiata sul mio abito, ma io la ritirai rapida. Quel gesto, mio malgrado, fu per lui la conferma definitiva. Si alzò di scatto e iniziò a camminare avanti e indietro. Era sconcertato. Era comprensibile. Nessuno avrebbe mai ritenuto mio padre tanto sconsiderato. I sigilli sono estremamente pericolosi e mi sorprendeva che mio padre fosse ancora vivo. O di esserlo io.
"Sì, Chris... è un trauma anche per me," dichiarai cercando di limitare la sua reazione con un tono un po' ironico, ma lui non ci fece neppure caso e iniziò a blaterare tra sé e sé.
"Ha rischiato di uccidere sua figlia, di distruggere sè stesso. Questi malefici sono proibiti proprio per il prezzo troppo alto che comportano, non posso credere che avrebbe corso anche lui un simile rischio. Non posso credere che l'abbia fatto, doveva essere convinto di riuscirci, non c'è altra spiegazione. Ma cosa può averlo rassicurato, non riesco a pensare a nulla a parte che..." alla fine si fermò, come se avesse finalmente capito qualcosa. Non mi sembrava nulla di buono dalla durezza del suo sguardo puntata sulla parete magicamente dipinta. Poi si girò verso di me e mi disse: "Mi dispiace, Kate. Mi dispiace tantissimo."
L'intensità che aggiunse a quelle semplici parole mi fece venire la pelle d'oca. Sembrava davvero dispiaciuto per me, come se per lui fosse una cosa estremamente personale.
"Non ti preoccupare." Dissi con voce rotta. Mi schiarii la gola, vergognandomi. "Non è colpa tua."
"Non di questo, ma ho altre colpe nei tuoi confronti. Mi dispiace."
Mi si sciolse il cuore a quelle parole. Erano anni che desideravo sentirle. Ero talmente ammorbidita da quello che aveva detto che quasi non mi chiesi cosa c'entrassero le sue scuse in quel momento. Mi dissi che probabilmente ad aver saputo quanto si stava complicando la mia vita, si sentiva in colpa per avermi tormentata tanto. "Grazie," mormorai commossa.
Ci guardammo negli occhi per qualche secondo, ma fu abbastanza per permettere al mio cuore di andare in tempesta. Ero troppo vulnerabile a lui in quel momento e la cosa mi spaventava. Mi alzai di scatto, con l'intenzione di allontanarmi il prima possibile, ma mi ero stupidamente dimenticata di come fossi agghindata tra l'abito ampio e i trampoli ai piedi, così mi sbilanciai, rischiando di ricadere seduta sul divanetto. Già pronta ad atterrare sul morbido velluto, sentii invece una mano afferrarmi il braccio, mentre un'altra mi passava dietro alla schiena, forte, raddrizzandomi. Sentii un brivido attraversarmi la spina dorsale e il cuore prima saltare un battito, poi iniziare a pulsare sempre più velocemente. Sperai con tutta me stessa che lui non se ne accorgesse.
Alzai gli occhi su di lui, ritrovandomi fin troppo vicino al suo volto. Le sue labbra erano a qualche centimetro di distanza dalle mie e apparivano straordinariamente morbide e invitanti. Era la prima volta che avevo davvero voglia di baciarlo, in preda a un'attrazione che sapevo mi avrebbe portata dritta all'autodistruzione.
Per qualche secondo continuai a guardare alternativamente la sua bocca e i suoi occhi, che nel frattempo si stavano posando sulle mie labbra. Anche lui voleva baciarmi?
Delicata, ma ferma, mi scostai dalla sua presa, facendo due passi indietro. Mi venne voglia di girare i tacchi e correre via, ma non avrei mai avuto il coraggio di farlo: avrebbe reso ancora più evidente quello che iniziavo a provare. Quindi rimasi lì, a fissare immobile il ragazzo di fronte a me, che mi guardava confuso e sorpreso. Fece per aprire bocca, ma io lo anticipai, spaventata da quello che avrebbe potuto dire.
"Grazie per avermi sostenuta," esclamai di getto.
Lui allora richiuse la bocca, per poi dischiuderla di nuovo e dichiarare: "Non c'è di che. E tranquilla, non dirò a nessuno quello che ha fatto tuo padre"
"Grazie anche di questo allora," accennai un timido sorriso.
Ci guardammo per qualche istante sorridendo e, anche se ero imbarazzata, mi imposi di non distogliere lo sguardo.
Poi lui riprese a parlare: "Senti, forse sarebbe meglio tornare alla festa, manchiamo da davvero tanto e siamo pur sempre gli ospiti d'onore."
Annuii, un po' dispiaciuta. Nessuno dei due si mosse, come aspettando qualcosa. Dopo un po' lui aggiunse: "Io, Jas e Zac pensavamo di stare svegli fino a tardi a parlare e ubriacarci. Crediamo che goderci l'ultima serata prima di partire sia una buona idea. Che ne dici di venire anche tu? Ovviamente puoi dirlo pure a Alysha e Oliver."
"Oh..." mormorai. Mai mi sarei aspettata quella proposta. Non sapevo se accettare: non era sicuramente una buona idea. Non avevo mai bevuto veramente alcool, solo cose leggere che venivano servite alle feste per adulti e quindi ovviamente non mi ero mai ubriacata. Non avevo neppure idea di come mi sarei potuta comportare in quella situazione. Inoltre, il giorno dopo saremmo dovuti partire e sarebbe stato meglio essere riposata e in forma ed ero anche abbastanza sicura che se ci avessero scoperto saremmo finiti in guai seri. Sì, era davvero una pessima idea.
"Va bene, ci sono anche io," risposi con un sorriso radioso.
ANGOLO AUTRICE:
Ecco finalmente uno dei capitoli più importanti di questa prima parte del romanzo!
Intanto mi scuso per la lunghezza, ho superato ampiamente le 5k parole, ma è un passaggio ricco di eventi ed importanti informazioni, e tutte meritavano il loro spazio.
Per la prima volta viene affrontata in modo maggiormente approfondito la storia di Majesten, e molte delle usanze particolari della Città iniziano ad acquisire un senso, prima tra tutte la cerimonia della Scelta. Spero davvero di aver raccontato tutto in modo chiaro e di avervi incuriositi!
Abbiamo poi anche un incontro con Elsa, prevedibilmente arrabbiata con Kate. Purtroppo è un personaggio che in questo libro non avrà molto spazio, ma vi assicuro che quando tornerà porterà non pochi guai nella vita della nostra protagonista.
Invece, per quanto riguarda la scena tra Kate e Chris, cosa ne pensate? Vi posso solo dire che è stato un dialogo a cui tengo molto e che è stato molto difficile da narrare, dato che nasconde molto più di quanto si possa pensare!
E per finire: come sarà andata la serata alcolica dei nostri Prescelti? Per scoprirlo, correte al prossimo capitolo!
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