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(R) CAPITOLO 1: Lacrime dal cielo



Se ci fu davvero un qualche segnale premonitore ad anticipare il cambiamento, suppongo che fu la pioggia.

Fin dalla mattina del 5 maggio goccioloni d'acqua si erano riversati sulle strade della Città. Un fatto che non solo colse di sorpresa in tanti quel giorno a Majesten, visto che eravamo ormai ad un passo dall'estate ed il periodo delle piogge era passato da un pezzo, ma che fece anche infuriare praticamente tutti, perché metteva in difficoltà i preparativi della grande cerimonia che si sarebbe tenuta il giorno seguente.

I professori della mia scuola non si fecero però intimidire dal diluvio che imperversava fuori e ci chiusero nelle aule scolastiche per impartirci mille indicazioni riguardo a cosa avremmo dovuto fare la mattina successiva.

Già da troppe ore ero seduta al mio banco ad ascoltare la solita tiritera. O forse avrei dovuto dire ex banco, dato che una settimana prima avevo conseguito il mio ambito diploma. Ma, nonostante ciò, ero di nuovo in quell'ambiente soffocante, mentre facevo il conto alla rovescia per il mio diciottesimo compleanno. Incredibile come uno dei giorni che avrei dovuto amare maggiormente fosse allo stesso tempo uno di quelli che temevo di più: scoccata la mezzanotte sarei diventata maggiorenne, ma, invece di festeggiare, avrei dovuto partecipare alla cerimonia della Scelta, evento che avrebbe segnato simbolicamente il nostro passaggio all'età adulta.

Poco più di ventiquattro ore e sarei stata libera di costruire il mio futuro e realizzare i miei sogni. Io, come ogni mio coetaneo che aveva passato gli esami di fine anno, avrei finalmente preso la mia strada.

Tutti a parte sei, mi ricordò fastidiosamente il mio cervello.

I futuri Guardiani, coloro che l'Albero dei Mondi avrebbe indicato come Prescelti e che, se fossero sopravvissuti alle prove che avrebbero incontrato durante il Viaggio, avrebbero protetto la nostra dimensione Straix per tutto l'anno successivo.

La Cerimonia della Scelta in sostanza era l'evento più importante di ogni anno e tutti, meno me, erano super esaltati. In fondo era la migliore occasione per vedere l'Albero dei Mondi all'opera e si sapeva che ogni onesto majestano idolatrava come una divinità quel Salice dalle dimensioni spropositate. Ma no, quello che colpiva non era di certo la sua grandezza, né la sua antichità, anche se davvero notevoli, ma piuttosto il fatto che non solo fosse un'entità dotata di sorprendente raziocinio, ma anche immensamente saggia e dalle capacità magiche ineguagliabili. Infatti, da quando i portali verso gli altri luoghi della nostra dimensione Straix erano stati sigillati, lui rappresentava l'unico mezzo tramite il quale Viaggiare tra i Mondi e quindi raggiungere Candor, Mondeor, Shailang, Namawi, Terra e Gerlin. Questi, insieme alla mia casa, Majesten, erano i Sette Mondi, divisi dallo spazio, ma uniti dal... beh, onestamente allora non avrei saputo dire da cosa, ma oggi mi piace pensare dal destino.

Posso immaginare che il pensiero di saltare da un pianeta all'altro, per di più con la rapidità garantita dai portali intradimensionali che solo il Salice era in grado di evocare, possa risultare esaltante agli occhi dei più, ma purtroppo Viaggiare era un lusso concesso a pochissimi: solo coloro che di anno in anno venivano indicati dall'Albero avevano questo onore. O onere, dipende dai punti di vista.

I Prescelti, come forse già si è capito, erano sempre sei ogni trecentosessantacinque giorni e venivano accuratamente selezionati dal nostro protettore vegetale tra coloro che avevano terminato l'ultimo anno alla Scuola Collettiva, unica sede di istruzione dell'intera Città. E, ovviamente, tale percorso scolastico terminava nell'anno in cui avremmo compiuto diciotto anni: ecco così spiegato perché, non solo mi stavo preparando ad affrontare un compleanno orribilmente noioso, ma anche a superare uno degli eventi che più avevo temuto nella mia vita.

Da brava secchiona raramente non ascoltavo gli insegnanti mentre parlavano, ma quel giorno le loro parole mi sembravano vuote e prive di senso. Le raccomandazioni che ci davano erano superflue: era inutile che ci dicessero di comportarci bene e di avere eleganza, decenza, eccetera, eccetera: l'attenzione sarebbe stata tutta focalizzata sui sei prescelti e davvero nessuno avrebbe notato se mi fossi messa a sbadigliare durante la cerimonia.

Quando finalmente ci lasciarono liberi, aveva fortunatamente smesso di piovere, così pensai di andare a rifugiarmi nella mia oasi di pace. Non era niente di particolare, ma quel posto era mio, solo mio. Una semplice rientranza nella scogliera che dava vita ad una piccola grotta di un'insolita bellezza. Al suo interno c'era una spiaggetta riparata dalle onde e io con gli anni avevo reso più accogliente il mio rifugio segreto. La cosa che mi aveva fatto innamorare maggiormente di quel luogo era il panorama mozzafiato: avevo tutta l'immensità del mare a un paio di passi di distanza senza però correre il rischio di bagnarmi. Fu solo un caso fortunato trovare quel luogo, circa sette anni prima, ma da quel momento avevo trascorso lì talmente tante ore da considerarlo la mia seconda casa. Solo lì potevo stare davvero sola, lasciando cadere i muri che mi alzavo intorno ogni giorno per proteggermi dal giudizio degli altri. Solo lì mi sentivo davvero libera e il rumore delle onde era in pratica l'unica cosa in grado di tranquillizzare il mio animo.

Spesso portavo con me i miei romanzi, in modo da poter leggere indisturbata, però quel giorno non avevo nessuno dei miei tesori con me. Mi ero semplicemente limitata a sdraiarmi a pancia in giù sulla dura sabbia bagnata, appoggiando il mento sulle mani intrecciate per perdermi con lo sguardo nell'immensità della distesa d'acqua innanzi a me.

Finalmente sola con me stessa, non riuscivo a smettere di pensare a quello che aveva detto mio padre a colazione. Discorrendo, io avevo espresso la mia convinzione, a mio parere del tutto fondata e accompagnata anche da grande sollievo, di non essere una delle possibili scelte dell'Albero, ma lui aveva risposto in un modo talmente enigmatico e fuori luogo che aveva acceso in me timori inaspettati.

"Katie, tesoro mio, ricorda: nulla è sicuro fino a quando non accade. E forse neppure allora lo è," mi aveva detto misterioso. Quando avevo chiesto spiegazioni aveva scosso il capo dicendo che era un semplice consiglio paterno. Eppure, nonostante ciò, quelle parole mi avevano generato una certa inquietudine. Io ero felice di non essere una delle scelte, su questo non avevo alcun dubbio. Per quanto diventare un Guardiano avrebbe mantenuto alto l'onore della mia famiglia, io, non essendo una fata, ero convinta che non sarei stata in grado di affrontare le prove che il Viaggio attraverso gli altri sei Mondi mi avrebbe posto davanti; quindi, non volevo correre pericoli simili. Desideravo solamente proseguire con la mia vita.

Ma se qualcosa andasse storto? Scossi il capo, dandomi della sciocca. Sarebbe andato tutto come previsto e il giorno dopo a quell'ora sarei stata finalmente libera di fare quello che desideravo, priva dei vincoli della scuola.

Il mio sguardo rimase incatenato al mare per tutto il tempo. Amavo le onde, con il loro movimento ipnotico che mi incantava ogni volta. Purtroppo, però, rapita, rimasi più a lungo di quanto avrei voluto e non mi accorsi che il cielo si era tinto nuovamente di nero e che si era alzato un forte vento, agitando la distesa d'acqua. Mi resi conto dell'imminente temporale solo quando un potente tuono mi fece trasalire.

"Diamine, non di nuovo," imprecai, indossando nuovamente la giacca sopra la leggera uniforme primaverile, composta da una camicetta bianca a mezze maniche e una gonna a pieghe blu. Se non mi fossi data una mossa mi sarei ritrovata presto zuppa d'acqua dalla testa ai piedi, così mi alzai frettolosamente, presi la borsa e lasciai a malincuore la mia grotta, diretta verso casa.

Non ero andata molto lontano quando esclamai "Ahi", dopo che una goccia enorme mi aveva centrato in pieno un occhio. Neppure venti secondi dopo era già scoppiato nuovamente il diluvio. In un attimo mi ritrovai completamente bagnata, infreddolita e con il fiatone e, non vedendo l'ora di arrivare a casa per farmi una doccia calda, decisi di affrettare ancora di più il passo, tenendo la testa china per evitare di bagnarmi il viso e far colare il trucco in modo imbarazzante.

Di sicuro non mi aspettavo di trovare anima viva in giro con quel tempaccio, così non mi accorsi di finire addosso a qualcuno svoltando l'angolo, se non quando sentii di sbattere contro qualcosa, ritrovandomi un attimo dopo col sedere sulla strada in pavé.

Colta alla sprovvista emisi un gemito e dopo essermi girata su un fianco, iniziai a massaggiarmi il fondoschiena dolorante.

"Ma vuoi guardare dove vai?" disse una voce purtroppo molto familiare.

Alzai di scatto la testa. Nonostante avessi la vista appannata dalla pioggia, non ebbi problemi a identificare la persona che avevo davanti: Christopher O'Connor.

Perfetto. Peggio di così non poteva andare.

Ero rimasta talmente sorpresa che probabilmente mi si era dipinta in volto un'espressione da pesce lesso. Per fortuna ci pensò il ragazzo con le sue parole successive a ridestarmi.

"Tu!" disse lui trapassandomi con i suoi occhi glaciali. Poi sbuffò e aggiunse: "Non dovrei neppure essere sorpreso. Sei sempre stata un impiastro, Forrest."

Grazie al cielo sono una ragazza che raramente arrossisce, altrimenti in quel momento mi sarei ritrovata rossa come un pomodoro maturo. No, non per l'imbarazzo, ovviamente, ma per la rabbia. Del resto, perché prendersela, ero abituata alla sua maleducazione e freddezza. Tutto sarebbe stato normale finché al giorno fosse seguita la notte e Chris O'Connor e Kate Forrest si fossero odiati.

Eppure, nonostante ciò, il modo in cui aveva usato la parola sempre mi aveva ferito. Aveva ragione, lui conosceva molto bene la mia goffaggine, ma non aveva alcun diritto di rinfacciarmelo. Punta nell'orgoglio, distolsi lo sguardo dal suo e mi rialzai rapidamente da terra per mettermi al suo livello. O almeno avvicinarmici, dato che mi superava comunque in altezza di parecchi centimetri.

"Hai un bel coraggio, O'Connor!" sbottai. "E invece tu cosa stavi guardando? Hai un ombrello in mano, non avevi bisogno di chinare il capo come me per non rimanere accecato dalla pioggia." Fissai l'oggetto che teneva per proteggersi dall'acquazzone e mi diedi della stupida per non aver preso il mio appena prima di uscire di casa quella mattina, convinta che le nuvole non avrebbero portato con loro un temporale simile. Arricciai le labbra: certo che il ragazzo avrebbe potuto anche offrirmi di stare sotto il suo ombrello per qualche secondo, invece di lasciarmi lì a infradiciarmi come una sciocca. Ma del resto, nuovamente, cosa mi aspettavo: era Christopher O'Connor.

"Non è di certo colpa mia se vai in giro senza ombrello!" rispose lui con tono sereno, alzando le spalle.

"No, ma di essermi venuto addosso sì," risposi lapidaria, mentre venivo scossa da un brivido. Con il vento che continuava a soffiare e i vestiti completamente bagnati stavo iniziando a morire di freddo, così incrociai le braccia al petto, cercando di infondermi un po' di calore.

"Come vuoi," mi rispose alzando gli occhi al cielo. Poi, cambiando argomento, mi chiese: "Dove stai andando così di fretta?"

"A casa, dove vuoi che vada," risposi io, irrigidendomi.

"E da dove vieni?" Il suo sguardo sembrava stranamente interessato e la cosa mi inquietava non poco, perché voleva dire che c'era qualcosa di losco sotto.

"Non sono affari tuoi," dissi portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Iniziai a muovere nervosamente la gamba, come colpita da un tic, e cominciai a pentirmi di non essere tornata subito a casa dalla scuola.

"Era una semplice domanda." Nonostante non lo stessi guardando negli occhi, percepii il suo sguardo insistente che mi scrutava, scavandomi dentro. Odiavo i suoi occhi, bellissimi, ma in grado di pugnalarti l'anima.

"A cui non sono tenuta a rispondere."

Ma cosa diamine vuole? Pensai sempre più a disagio. Cosa diamine era quel brutto interrogatorio?

"Stai nascondendo qualcosa?" indagò lui con tono scettico, talmente irritante che mi portò a fissare il mio sguardo dritto nel suo.

"No," dichiarai ferma, sfidandolo a controbattere di nuovo. Non gli avrei rivelato in nessun modo l'esistenza della mia piccola oasi di pace. Non che potesse essere un'informazione di qualche utilità per lui: sapevo cosa stava facendo, ossia cercare di raccogliere informazioni per i suoi genitori riguardo alla mia famiglia, possibilmente su mio padre.

"E poi a cosa si deve tutto questo interesse?" lo apostrofai allora io, mentre cercavo di asciugare il più possibile il volto bagnato. Ormai dovevo assomigliare a un panda infreddolito, con tutto il mascara colato, ma almeno in quel momento la pioggia sembrava essere diminuita.

"Curiosità."

Bugia. Non mi fidavo neanche un po'.

"Sì, certo. Come no," ridacchiai. Ero stufa di essere presa in giro da quel ragazzo. "Credi che io sia così stupida da non avere capito il perché? Sicuramente vorrai sapere se noi Forrest stiamo tramando qualcosa. Come al solito sei il cagnolino dei tuoi genitori, giusto? Quanto sei ridicolo. E pensare che anni fa sembrava che tu avessi carattere, mentre ora ti fai perfino ingabbiare da un matrimonio deciso a tavolino."

Ammetto che potevo risparmiarmi le ultime parole, dopotutto si trattava di una cosa non del tutto ufficiale e decisamente non erano fatti miei, ma mi ero fatta prendere un po' la mano, dato che il mio autocontrollo cedeva facilmente quando ero in preda all'ira e io ero sempre, e dico sempre, arrabbiata con l'erede degli O'Connor.

Lui, da parte sua, non sembrava molto turbato: impassibile, aveva incassato le accuse con la massima tranquillità, non intaccando la sua maschera di indifferenza.

Rimanemmo per diverso tempo a fissarci, senza però vederci davvero. Io ero confusa dalla mia azione e, come al solito, delusa dalla sua reazione. Lui sembrava essere diventato una statua di marmo.

"Non mi sono fatto ingabbiare," si difese infine, sorprendendomi.

"Hai ragione. Immagino che in realtà tu ne sia felice. Dopotutto siete perfetti l'uno per l'altra, tu e la biondina," risposi allora io, sotto il suo sguardo indecifrabile.

Scossi la testa, schizzando ovunque. Non aveva senso stare ancora lì a parlare e rischiare di ammalarmi per il nulla.

"Ora devo andare." dissi. Iniziai a camminare e gli passai a fianco. La sua presa salda sul mio polso mi bloccò un attimo dopo e mi ritrovai faccia a faccia con lui.

"Lasciami passare Christopher. Sto gelando, sono fradicia e vorrei andare a riposarmi. Sai bene che giornata sarà domani," lo pregai, strattonando il polso, ma lui non mi lasciò.

Christopher mi squadrò da capo a piedi, come indeciso su cosa dire. Vidi passare nei suoi occhi diverse idee, che piano piano scartò. Poi gli rimase solo l'opzione della cattiveria.

"Oh, certo che lo so. Il grande evento. Sei pronta a farmi le congratulazioni?" mi domandò con un sorriso obliquo. "Spero davvero che tu non sia invidiosa del fatto che verrò scelto, mentre tu... no. Mi dispiace, sarà un brutto colpo per la tua famiglia, considerando che è da generazioni che i Forrest compaiono tra i Prescelti. Certo che deve essere tremendo dimostrarsi la pecora nera della tua rispettabile famiglia, vero Katherine?"

Lo schiaffo prese di sorpresa entrambi. Non mi ero neanche accorta di aver alzato la mano per colpirlo. Ebbi un déjà-vu: un'altra volta in passato mi ero trovata in quella situazione con lui e non avrei mai potuto dimenticare quel momento.

Il colpo gli aveva fatto girare il viso da quanto era stato violento. Ero così arrabbiata, ma allo stesso tempo sconvolta, perché in me si era riaperta una ferita mai del tutto rimarginata.

"Idiota," sibilai.

Lui mi stava guardando con una smorfia dolorante, tenendosi la guancia con la mano libera. Probabilmente avrebbe lasciato il segno. Bene.

Con un gesto secco mi liberai dalla sua presa, ora molto più leggera, e mi avviai verso casa con passo veloce. Avevo bisogno di mettere più distanza possibile tra me e lui prima che vedesse le mie guance bagnate da qualcosa di diverso della pioggia.



Vi ho mentito: non è vero che non avevo mai avuto amici. Un tempo ne avevo uno ed era per me più che un fratello. Quel bambino era Christopher O'Connor.

Noi due non ci eravamo sempre odiati: sette anni prima lui era il mio migliore amico ed eravamo praticamente inseparabili e passavamo tantissimo tempo insieme, anche quando ci era stato vietato. Lui era il figlio di Sally O'Connor e io di Malcom Forrest, i due Reggenti della Città. Ci eravamo conosciuti quando avevamo dieci anni, durante il primo ricevimento a cui ci era stato dato il permesso di partecipare e, nonostante il famoso astio che c'era tra le nostre due famiglie, instaurammo da subito un rapporto profondo ed esclusivo. Era la prima volta che mi sentivo così compresa da qualcuno e gran parte dei miei ricordi più belli erano legati proprio a lui. Ricordavo l'anno che avevo passato come sua amica come il migliore della mia vita. Accanto a lui la Kate triste e malinconica cessava di esistere, trasformandosi in una bimba viva e piena di entusiasmo. Nessuno come lui era stato capace di far emergere il meglio di me, ma purtroppo avevo scoperto a mie spese che era altrettanto bravo a tirare fuori il mio peggio.

Ad undici anni iniziammo la Scuola Collettiva a cui vanno tutti i ragazzi della Città. Fin da subito ci divisero tra maschi e femmine, allontanandoci per buona parte del giorno. Nonostante ciò, appena era possibile ci incontravamo, spesso di nascosto per non dover rendere conto ai nostri genitori che tanto disapprovavano il nostro legame. In quei momenti confidavamo l'uno all'altro quanto ci sentissimo fuori posto nella realtà estremamente inquadrata di Majesten e ci giuravamo, come solo i bambini sanno fare, che ci saremmo sempre stati l'uno per l'altra.

Pochi mesi dopo l'inizio delle lezioni notai però i primi cambiamenti: si stava allontanando sempre più. Presa dal panico gli chiesi spiegazioni, sperando di venire tranquillizzata, mentre invece avevo solo affrettato l'inevitabile. Mi spezzò il cuore. Fu allora che gli tirai quel famoso schiaffo. E come quel giorno anche allora ero corsa via in lacrime.
Mi aveva mentito. Non c'era più stato per me. Aveva infranto il nostro patto, trasformandosi nel mio ennesimo nemico, una persona in più che si divertiva a tormentarmi, come se non bastassero le tante bambine che avevano iniziato a bullizzarmi a scuola. Con orrore lo vidi da lontano mentre si trasformava in una persona completamente diversa: il ragazzo pieno di vita, sempre allegro, semplice, dolce e affettuoso con cui potevo essere sempre me stessa era sparito, rimpiazzato da un ragazzo presuntuoso e altezzoso, gelido come il ghiaccio. Di quel bambino speciale mi era rimasto solo un ricordo dolceamaro.

Non sapevo cosa fosse cambiato, cosa lo avesse spinto a distruggere il nostro legame. Ipotizzavo fossero stati i suoi genitori a fargli una sorta di lavaggio del cervello per allontanarlo dalla figlia di Malcom Forrest.

Con gli anni mi ero ormai abituata a trattarlo male, quasi a odiarlo, ma in verità una parte di me continuava a volergli bene, nonostante ne fosse rimasta incredibilmente delusa e ferita. Ciò mi rendeva la peggiore delle stupide, non credete? Volevo bene a quello che sicuramente non era altro che un ragazzo senza cuore, che mi trattava in continuazione in modo odioso.

Quando arrivai a casa non piangevo più, ma avevo il fiatone. Desideravo solamente entrare, fiondarmi su per le scale e farmi una doccia calda. Il gelo aveva raggiunto anche le mie ossa e ormai ero scossa da tremiti continui, irrefrenabili. Mi sarei fatta volentieri anche una tisana calda.

Salite le scale della veranda mi asciugai i piedi nello zerbino magico, che in un lampo risucchiò tutto il bagnato dalle mie scarpe. Almeno avevo di nuovo i piedi asciutti. Ormai al riparo mi fermai un attimo a riprendere fiato per la corsa, poi afferrai lo zaino, terribilmente inzuppato, e tirai fuori il mazzo di chiavi dalla tasca in basso. Quando però le infilai nella toppa e le girai, mi accorsi sconcertata che la porta era già aperta.

"Veronica, Genny! Siete voi?!" chiamai i domestici varcando la soglia di casa, subito dopo aver strizzato il più possibile i miei abiti. "Fred?! Non c'è nessuno? Papà?"

Mi rispose il silenzio più totale. Era normale che non ci fossero, era tempo di festa a Majesten e loro avevano i due giorni liberi. Eppure, mi sembrava strano che qualcuno avesse negligentemente dimenticato di chiudere la porta a chiave. Sospirai: a ben pensarci mio padre era uscito per ultimo e doveva avere la testa abbastanza piena di pensieri quel giorno. Magari aveva avuto solo un piccolo lapsus, niente di preoccupante.

Di nuovo tranquilla mi avviai verso la cucina, desiderosa di ingurgitare mezza bottiglia d'acqua dopo la lunga corsa. Un po' mi dispiaceva gocciolare ovunque, ma almeno non ci sarebbe stata Veronica, la governante, a rimproverarmi e io stavo veramente morendo di sete. Lasciai cadere per terra lo zaino e aprii il frigorifero. Mi spostai poi verso la sala da pranzo, convinta di averci lasciato un bicchiere usato quella mattina: conoscendo mio padre, viziato dalle attenzioni delle domestiche, ero praticamente certa non l'avesse messo a posto.

Avevo ragione, ma il bicchiere non fu l'unica cosa che trovai in quella stanza.

"M-May...?" balbettai, con il cuore che si dibatteva nel petto per lo spavento.

Avete presente quando all'improvviso tornano alla mente ricordi degli anni passati che non sapevi più di avere? Quella sensazione mista di sorpresa, malinconia e tenerezza che ti prende quando ripensi ai fatti della tua infanzia? E avete presente la gioia immensa che si prova nel momento in cui vedi comparire davanti ai tuoi occhi qualcuno a cui hai voluto tanto bene e che credevi sparito per sempre? Io sì, perché fu esattamente tutto quello che provai vedendo la vecchietta dai luminosi occhi verdi smeraldo che stava comodamente seduta su una sedia vicino al grosso tavolo di legno.

Rimasi a bocca aperta per un paio di secondi, mentre cercavo di placare il battito del mio cuore spaventato e osservavo allibita quella signora anziana che nel frattempo si stava aprendo a un sorriso dolce e sincero.

"May," ripetei con più calma. "Cosa ci fai qui?" Una parte di me voleva correre ad abbracciarla, ma erano passati anni dall'ultima volta che l'avevo vista, mi sentivo a disagio. Era stata la governante della mia casa circa otto anni prima e aveva rappresentato per me quanto di più simile a una madre. Le ero incredibilmente affezionata, ma un giorno l'avevo vista lasciare la porta della villa con la sua valigia. Non ne avevo saputo più nulla e ogni volta che la nominavo mio padre mi lanciava occhiate infuocate, portandomi a chiedermi cosa fosse successo tra di loro di tanto terribile. Con il tempo avevo semplicemente smesso di pensarci e quasi mi ero dimenticata della sua esistenza.

"Kate, piccola mia. Quanto sei cresciuta..." mormorò lei, socchiudendo gli occhi, come per vedere meglio. Sembrava così vecchia e fragile, eppure nei suoi occhi c'era una luce vividissima.

"Se stai cercando mio padre, beh, come avrai notato è fuori casa e onestamente non sono neppure sicura ritornerà per la notte. Credo ti convenga passare domani dopo la cerimonia," dissi tenendo un tono cortese, ma distaccato.

"In verità sono qui per parlare con te, Katie. Sono abbastanza certa che tuo padre non sarebbe molto felice di sapermi qui," ammise dando una piega triste al suo sorriso.

"E che cosa vorresti dirmi?" mi sfuggì con un tono più aspro di quando avrei voluto. Dopotutto forse un po' di rancore lo nutrivo nei suoi confronti, ero stufa di essere abbandonata dalle persone a cui tenevo. "Voglio dire... prego, parla pure." Mi corressi cercando di calmarmi. Avevo già avuto una discussione pesante per quel giorno, non ne avrei retta un'altra. Inoltre, la mia educazione mi impediva di comportarmi male con una persona tanto anziana.

Visto che c'ero, decisi di sedermi anch'io su una sedia, ignorando i miei vestiti bagnati, e mi riempii il bicchiere d'acqua.

"Katherine, non c'è bisogno che tu finga, posso capire che tu ce l'abbia con me, sono sparita all'improvviso," iniziò lei, tenendo alto lo sguardo. Distolsi gli occhi.

"Già," dissi semplicemente, stringendo i pugni sotto il tavolo. "Ma ora dimmi pure."

"Scusami, hai ragione, solo che ho così tante cose da dirti che non so neppure da dove iniziare. Suppongo che tu ti stia domandando dove io sia stata per tutto questo tempo. E sono altrettanto sicura che quello che ti sto per dire possa sembrarti assurdo e ti contrarierà, ma è giusto che tu sappia. Ho taciuto troppo a lungo" mi disse fissandomi seria negli occhi. Notavo che si muoveva a disagio sulla sedia, come se fosse incapace di rilassarsi. Il suo volto era solcato da diverse rughe e sembrava molto dimagrita e sciupata, eppure emanava un'aura di grande energia, come se avesse una sorta di elettricità sotto la pelle. Non capivo se fosse così per via dell'agitazione di quel momento o in lei ci fosse qualcosa di effettivamente diverso.

La luce nei suoi occhi...

Sembravano quelli di una bambina. Malgrado il rancore che sentivo nei suoi confronti mi veniva quasi spontaneo fidarmi di quella donna, ma non ero ancora disposta ad abbassare la guardia.

"Come ben sai, circa sette anni fa lasciai questa casa. Non avrei voluto, fu tuo padre a costringermi purtroppo. Io avevo deciso che non potevo più tacere e volevo dirti la verità, ma lui era disposto a far di tutto pur di tenerla nascosta. Una notte litigammo a lungo e alla fine venni cacciata da qui. Allora decisi di andare sull'isola di Bakli, dove iniziai a fare delle ricerche," mi guardò seria, "ricerche sul tuo conto".

"L-la verità? Quale verità?" chiesi. In realtà avevo un sacco di domande che mi affollavano la mente ed ero sempre più confusa. "Perché diamine avresti dovuto fare delle ricerche su di me?" aggiunsi poi, aggrottando le sopracciglia nel realizzare solo alla fine le ultime parole.

"Come dire... sei speciale, Katie. Forse non sarà il modo migliore di dirlo, ma tu sei destinata a grandi imprese e sei molto più forte di quanto tu possa immaginare. Però è meglio che partiamo dal principio. Suppongo che tu ti sia domandata come mai non hai ricordi precedenti ai tuoi... dieci anni, mi pare, giusto?"

"Come fai a sapere dei ricordi?" domandai interdetta. Come diamine poteva sapere una cosa simile? Che fosse in grado di leggermi la mente? Eppure, da quel che sapevo, lei era come me, una Senza Poteri.

"Sì, direi che te lo sei chiesto. Ora ho la risposta per te: semplicemente hai perso la memoria. Completamente, temo. Del resto, la tua vita di allora è molto diversa da come ti è stata raccontata. Io posso solo rivelarti quel poco che so." Parlava con massima serietà, mentre io ero sul punto di avere una crisi isterica che poteva concretizzarsi o in riso o in pianto. Da dove venivano tutte quelle assurdità? Magari si erano messi d'accordo per farmi uno scherzo di compleanno.

"Per prima cosa tu non sei nata su Majesten, ma sulla Terra e tua madre è originaria di quel mondo. Sei una mezzosangue, un punto di incontro tra più Mondi e, come puoi immaginare, questo ti rende speciale. Per dieci anni hai vissuto con tua madre nella tua terra natale, ma poi, purtroppo, tua madre è rimasta vittima di un incidente. Tuo padre ha scoperto della tua esistenza solo allora tramite il Salice che gli ha permesso di andarti a prendere, portandoti qua. Fu nel passaggio nel portale che tu hai perso completamente la memoria. Sapevi solo due cose: chi era tuo padre e dove ti trovavi. Il resto della storia già la conosci."

Cadde il silenzio nella stanza, l'unico rumore dato dalle gocce di pioggia che andavano a sbattere contro i vetri. Ero immobile, sotto il suo sguardo in attesa, pieno di aspettative.

Scoppiai a ridere.

"Okay, tutto molto divertente, davvero. Avvincente la storia. Ora possiamo passare alla parte in cui si grida scherzoo e mi vado a fare una doccia?" dissi stringendomi nelle spalle. Vedendola adombrarsi alle mie parole e rimanere seria, iniziai a preoccuparmi. Per lei ovviamente: era pazza! "Davvero, tu non credi a questa storia, no? Sei consapevole che è assurdo, giusto?" chiesi in apprensione, appoggiandomi con i gomiti sul tavolo. Vedendo la sua espressione invariata sospirai e dissi: "Va bene, e come può essere possibile che i miei genitori si siano conosciuti, se appartengono a mondi differenti? Poi trovo piuttosto strano che nessuno mai mi abbia parlato di questa cosa, l'arrivo di una bambina dal nulla di certo non passa inosservato nella Città."

"So che è una bella botta Kate, ma è la verità. Sai che tuo padre fu scelto dall'Albero e che intraprese il Viaggio dei Sei quando aveva diciotto anni. Fu allora che conobbe Natalie, tua madre. Si amarono molto, ma lui fu costretto a ripartire: non poteva immaginare che la sua amata fosse incinta di te. Invece, per l'altro tuo dubbio... Non mi fa piacere doverlo dire, ma tuo padre ha manipolato le menti dei majestani in modo che tutti credessero tu fossi sempre stata qui. Ti vuole molto bene e ha fatto di tutto per preservarti, ma ha sbagliato. Ormai è tempo che tu sappia."

Mi sentii sul punto di svenire. La testa mi girava e mi sembrava di essere all'interno di una follia. Ovviamente non credevo a tutte quelle assurdità, ma perché stavo tremando allora?

"Quindi, ricapitolando, mia madre era un'umana della Terra e io sono cresciuta laggiù, anche se non me lo ricordo? Ha dell'incredibile, lo sai vero? E poi perché mio padre avrebbe dovuto tenermi all'oscuro di tutto ciò?"

"C'è una profezia, Katie, a cui tu sei legata. Tuo padre lo sa e sta cercando da anni di trascinarti lontano dal tuo destino, ma ciò non è possibile. So che non mi credi, per questo dovresti parlarne con lui: non credo che giunti a questo punto possa continuare a mentire. Lo vedi dai miei occhi che questa è la verità."

"Ah, giusto. Ci mancava una profezia in effetti. Ora la storia sembra senza dubbio più credibile. Su di me poi," ridacchiai. Ormai potevo solo prenderla sul ridere, perché quella era follia, pura e inspiegabile follia.

"Oh, piccola mia, non essere così denigratoria nei tuoi confronti. Sì, ti aspetta un futuro difficile e pieno di ostacoli, tutt'altro che facile, ma di certo il tuo valore è innegabile, anche ora. Sei importantissima per tutti, indispensabile," mi rimproverò con un sorriso intenerito, quasi materno, mentre allungava le mani sul tavolo per afferrare una delle mie, ma mi tirai indietro. Dai suoi occhi vidi che ci era rimasta male, ma non si lamentò.

"Bene, e di cosa dovrebbe parlare la profezia?" chiesi in fondo un po' curiosa. Anche se non credevo a nulla, volevo sentire di che si trattava.

"Non è ancora giunto il momento di rivelartela, non sei ancora pronta. Però ci tengo a dirti due cose prima di andarmene. Devi essere forte, perché presto, molto presto, tutto cambierà. Cerca di prepararti perché tu sei nel centro del cambiamento." Parlando di profezie le sue parole mi suonarono fin troppo profetiche.

"L'altro è solo un consiglio, ma cerca di ricordare le mie parole. So che presto ti potrai sentire prigioniera del tuo stesso destino, ma il fato in realtà è solo una direzione, le scelte sarai sempre tu a farle, ogni volta, ogni giorno. Non sarà semplice capire quali decisioni prendere, devi trovare la tua motivazione, qualcosa per cui vivere e morire allo stesso tempo. Allora sono certa che ti apparirà tutto più chiaro."

Quel giorno non compresi quelle parole. Forse non ero abbastanza matura, oppure semplicemente ancora non avevo trovato quella "motivazione". Eppure, mi si impressero nella mente e, quando trovai ciò di cui May parlava, mi resi veramente conto di quanto fosse stata saggia.

Ma è ancora presto per questo discorso.

Finito di parlare, la vecchia si alzò, mi si avvicinò e prendendomi di sorpresa mi attirò con una forza che non credevo possibile in un abbraccio. Inizialmente rimasi immobile, ma poi mi sciolsi alla dolcezza di quel gesto. Sebbene non credessi a ciò che mi aveva detto, non potei nulla contro l'affetto che ancora provavo per lei: se davvero vuoi bene a qualcuno possono passare secoli, ma il legame esisterà sempre.

Quando si staccò da me si diresse lentamente verso la porta della stanza e, giunta sulla soglia, si girò, mi rivolse un sorriso e disse: "In bocca al lupo per domani. So che per te sarà una giornata ricca di sorprese. Non avere paura piccola, non sarai mai sola."

E, detto questo, uscì. Io rimasi immobile.

Ero confusa, avevo miliardi di dubbi, eppure la mia mente era focalizzata unicamente sulla piccola lacrima che avevo intravisto sulla guancia di quella strana vecchietta prima di andarsene. Rimasi immota per diverso tempo, mentre fuori la pioggia continuava a scendere senza sosta, lacrime di ragazza, confusa e triste.



ANGOLO AUTRICE:

Ciao a tutti!

Sarà un angolo autrice molto breve dopo un primo capitolo parecchio lungo. La nostra protagonista Kate ci trascina subito dentro la sua vita, presentandoci quello che per lei rappresenta l'inizio dello stravolgimento della sua esistenza.

Inoltre incontriamo due personaggi molto importanti della storia. Cosa ne pensate? Non molto simpatico Christopher, vero? E May? Avrà detto la verità? Kate si deve fidare della donna?

Alla prossima settimana con i nuovi aggiornamenti del secondo e terzo capitolo revisionati!


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