La principessa e il suo primo desiderio
Voi zingari dovreste solo bruciare come questa casa.
Il mio cuore si è fatto di granito, le mie palpebre non riescono più a riabbassarsi, sento il fuoco divorare il petto, i polmoni, il cuore, il mio intero corpo. Resto ferma a guardare - è l'unica cosa che posso fare - mentre ogni sillaba di questo insulto si ripercuote nella mia testa in un'eco frastagliato e sconclusionato che fa tremare le mie gambe e le mie labbra.
Un pizzicore doloroso avvolge la mia pelle, scivola lentamente sotto le dita per raggiungere il collo e accalorarlo di furibonda ira, mentre le mie iridi si riempono di lacrime amare e sogni infranti.
La roulotte dove Kostana viveva, ora, è solo un ammasso di carbone che è stato spento grazie all'intervento dei pompieri. Ma di quella che era stata la casa della mia amica, ora, non c'è più traccia. Vedo solo nero, solo e soltanto nero, e per terra scorgo le lettere lasciate con una vernice spray colorata di rosso da parte dei colpevoli che hanno portato a tutto questo.
La famiglia di Jack sembra sconvolta e spaventata, si aggirano per il campo che ora non può più essere il loro sicuro rifugio, i loro piedi scalzi fanno avanti e indietro, scorgo la figura di Anifa e suo marito cercare di tranquillizzare i bambini, Jasmine che piange disperata fra le braccia del padre, Lala che prova a calmare tutti col pacato tono della sua voce. Ma non c'è niente che si possa fare quando una parte del mondo ha deciso che non sei più degno di una vita, non c'è niente che possa fermare il degradante presentimento di non esser voluto in questa terra che avrebbe dovuto esser per tutti e che, per qualche motivo, sembra esser diventata un luogo per élite.
Questo è quello che ha provato Andrew per anni, questo è ciò che lui è stato costretto a vivere sin dal primo giorno che ha fatto il suo ingresso nel nostro vecchio liceo. E forse è per ciò che sento un terribile masso scivolare nella gola per poi affossarsi nel cuore, impedendogli di battere come invece dovrebbe. Forse è per questo che sento queste parole nate per insultare scalfire la mia corazza e graffiare la pelle, fino a trovare il sangue fresco con i loro artigli affusolati.
No, non è solo per questo.
La famiglia di Jack - Jack stesso - sono diventati una parte integrante di me. Ho sempre saputo di non poter far parte del loro mondo, non completamente per lo meno, eppure, nonostante ciò, sono riuscita a sentirmi viva grazie ai loro abbracci, grazie alle loro risate. L'ingenuità di Jasmine, l'amicizia di Kostana, la dolcezza di Anifa e la saggezza di Lala mi hanno permesso di sentirmi per la prima volta appartenere a un posto che potevo finalmente chiamare "casa". Un rifugio, un covo, uno scrigno.
E qualcuno ha appena deciso di spaccarlo, di romperlo, di distruggerlo. Il mio nuovo mondo, la mia nuova vita, la mia ultima speranza.
«Anja» la voce di Kostana mi ridesta. Sollevo lentamente lo sguardo, lei è al mio fianco, ed è più trafelata che mai. Ha gli occhi sporchi di pianto, il volto pieno di fuliggine, e le sue gambe tremano sotto l'ampia gonna floreale che sta indossando in questo momento. «Grazie per esser venuta.»
C'è timore nella sua voce, quasi sconcerto. Il dolore serra la mia gola fino a seccarla mentre per istinto la stringo a me in un abbraccio che serve più alla sottoscritta che a lei. Il respiro di Ella accarezza il mio collo quando la sento tremare sotto la mia stretta. «È stato spaventoso» mi sussurra a bassa voce «eravamo radunati nel tendone di Lala, ci stava raccontando una delle sue storie, quando all'improvviso abbiamo visto il fumo e-» La sua spalla ha una scossa convulsa. «Sapevo che non siamo mai i benvenuti in questo mondo, ma è sempre difficile.»
Vorrei poter tremare insieme a lei, ma è difficile, quasi impossibile. Ho il terrore di quanto sbagliato possa sembrare il mio dolore nei confronti di una simile vicenda, non so come potrebbero accettare l'idea che io - una gagia - abbia paura che gli possano aver fatto del male, quando sono stati proprio dei gagi come me a ferirli.
Kostana inspira forte, stringendo con convulsione le mani sulla mia schiena, lasciando sfogare la sua frustrazione attraverso tremolii lenti e ripetuti delle sue spalle, tremolii che, pian piano, tornano a rilassarsi fino a permetterle di staccarsi da me con pacatezza. «Grazie, Anja» mi ripete, dandomi una carezza sul viso «avevamo davvero bisogno di te, in questo momento.»
Le parole muoiono in gola, non sono sicura di poterle pronunciare correttamente ora che lei ha appena messo fine a uno dei miei tanti dubbi. Annuisco con lentezza, supplicando il mondo intero di darmi abbastanza forza da permettermi di non lasciarmi assalire ancora dai rimpianti di una vita che mai potrò riaggiustare. «Sapete chi è stato?»
Dopo un altro sospiro, Kostana scuote la testa e rivolge come me l'attenzione all'insulto scritto per terra. «Non è la prima volta che riceviamo simili atti di vandalismo» ammette alla fine, chiudendo e riaprendo gli occhi più e più volte. «A volte vengono per lasciarci scritte denigratorie sulle staccionate, altre ci spaccano i vetri delle case e altre ancora ci rubano il cibo. Ogni tanto riceviamo delle lettere di minaccia, ma prima di ora non si erano mai spinti a tanto.»
Il mio respiro si tende, ora molte cose tornano a farsi più chiare. La diffidenza di Jack all'idea di farmi entrare nel suo mondo, la sua rabbia nel constatare che c'è ancora tutta questa discriminazione... il trauma con Roy non è sufficiente, devono ricordar loro ogni giorno di quanto sbagliata sia la loro presenza in questo mondo.
«Avete chiamato la polizia?»
Ella annuisce lentamente. «Sarà comunque inutile» sussurra a bassa voce. «Non è la prima volta che li chiamiamo e... non hanno mai fatto nulla, prima d'ora.» Un lampo di dolore attraversa il suo sguardo. «Soprattutto quando Roy...»
«In un simile momento, ricordare i dolori del passato non servirà a nulla» il suono del bastone che tocca per terra ripetutamente distoglie l'attenzione di entrambe. Lala si avvicina a noi a passo lento, stringendo fra le mani la piccola Jasmine, che ha il capo chino e gli occhi che straripano di lacrime. «Hanno provato a spaventarci, non permettiamogli di riuscirci. Non abbiamo fatto nulla di male, Kostana» il suono delle sue parole è il vento sinuoso che accarezza i nostri visi distrutti.
L'atmosfera sembra rilassarsi solo nel sentire simili parole, i volti che si girano nella nostra direzione si fanno più calmi e rilassati non appena posano il loro sguardo su quello sicuro e determinato di Lala. «Anja» quando pronuncia il suo nome mi sembra di esser appena venuta al mondo «sono contenta che tu sia qui.»
«Volevo... no» scuoto lentamente la testa. «Dovevo esserci.»
Il suo sorriso spento si trasforma in una mezzaluna brillante, con il braccio stringe con più forza Jasmine al torace. «Anche se» mi ritrovo ad ammettere «dopo l'ultimo giochetto che mi hai tirato, Lala...»
Lala inarca un sopracciglio, quasi fiera di se stessa mentre ricorda il tranello con cui ha incastrato me e suo nipote. La pesantezza di quello che è appena successo si dissipa in una nuvola grigia che scompare nel biancore del cielo. «Anja» mi chiama ancora, di nuovo, pronunciando questo soprannome di cui ancora non conosco il significato «non è una coincidenza.»
Sollevo lentamente gli occhi, le sue iridi chiare - così simili a quelle di Jack - sono più profonde dell'universo intero. «Non è una coincidenza» ripete di nuovo. «Quello che è successo ora, quello che è successo in passato, il tuo incontro con Guar. Non è una coincidenza.»
«Non capisco, Lala, cosa vuoi dirmi?»
Le mani di Lala si spostano lentamente dal capo di Jasmine, che ci scruta con le lacrime ancora negli occhi, per arrivare a intrecciarsi alle mie dita. «Anja, tu pensi di esser persa, di aver smarrito la tua strada quando hai smarrito lui» non pronuncia il nome di Andrew, ma è come se lo facesse, come se lo invocasse a sé con la sua saggezza e il suo amore profondo e innaturale con cui riesce ad apprezzare anche questo increscioso atto di vandalismo. «Ma, Anja, una persona non per forza si perde e basta. A volte si perde per ritrovare qualcuno.»
Le sue dita sono così calde e ruvide, piene di calli nati per colpa di una vita intera passata a rubare, lavorare, prendersi cura dei cuori spezzati che poi avrebbe dovuto ricucire. Il suo volto è ancora così pieno di vita, nonostante ciò che è appena successo, nonostante ciò che hanno fatto alla sua famiglia. Credo di non aver mai visto una donna più bella di lei in questo mondo. Più bella persino di mia madre, più bella persino di me. Perché Lala sorride anche nel dolore, perché è qui per amare e farsi amare, e per permettermi di capire qual è il mio posto in questa terra fredda e arida che mi ha abbandonata.
«Anja» il dorso della sua mano scivola sul mio ricoprendolo come un mantello «non ti sei persa per soffrire e basta, ti sei persa per trovare ed essere trovata. E ora, bambina, ti chiedo di fare la prima cosa.» Il collo rugoso si tende di frustrazione e ansia. «Guar è scomparso, bambina. Non appena ha visto la roulotte andare a fuoco è andato completamente fuori di testa.»
Kostana, al mio fianco, si irrigidisce. «L'ultima volta che l'ho visto così imbestialito è stato...» non riesce nemmeno a terminare la frase, tanto è spaventata dal ricordo di quel giorno.
«Quando... Roy... è...» Jasmine singhiozza, asciugando il suo naso colante sulla gonna nera della nonna.
Una lama graffia la mia schiena congelandola, ripenso a ciò che Jack mi ha raccontato su ciò che ha fatto nascere la cicatrice sul suo zigomo, su come se la sia procurata, e l'amaro presentimento di poter vederlo a mia volta in simili condizioni mi avvolge fino a far tremare il mio corpo. «Sophia» balbetta Jasmine, avvicinandosi a me, tirando l'orlo della mia camicia «ti prego, aiuta Guar. Guar non può vincere, anche se è quello che vorrebbe. Guar non è così forte. Guar non può vincere perché non è felice.»
Sembrano così spaventate... tutte e tre. Tutti quanti. Si guardano attorno, alla ricerca della figura scaltra e decisa di Jack, col terrore di non poterlo più rivedere che li divora.
E che divora anche me.
Ho sempre considerato Jack un uomo particolarmente forte, sia fisicamente che mentalmente. Qualcuno nato con la presunzione di sapere quale sia il proprio posto nel mondo, abbastanza coraggioso da potersene fregare altamente del giudizio che la gente dà su di lui, o comunque abbastanza petulante da poter fronteggiare simili commenti con quella rabbia e furbizia che io, invece, non ho mai posseduto.
Ma non è così.
Non è mai stato così, e io sono stata una stupida a non rendermene conto prima. In fondo, me l'ha dimostrato più e più volte, sin dal nostro primo incontro di quattro anni fa. Non è odio quello che prova nei confronti di noi gagi, è paura.
Jack ha paura.
Paura di quello che possiamo fargli, paura di come possiamo trattarlo, paura di quello che possono fare a lui e - soprattutto - alla sua famiglia. Paura di perdere ancora una volta qualcuno che gli è caro, una persona che aveva legato al suo cuore al punto da poterla considerare un fratello di sangue.
Ha paura.
È spaventato, è solo, e sfoga questo terrore profondo di non poter proteggere ciò che più ama attraversa un'ira che fa star male sia lui che la sua famiglia. Che lo porta a compiere gesti folli come aggredire gli assassini di Roy e spaccare armadietti di sconosciuti.
La sua figura, prima così imponente, alta e muscolosa, ora sembra darmi le spalle. Lo vedo lontano, nella mia mente, così lontano, non posso neanche scorgere il suo volto perché ha deciso di darmi le spalle, di perdersi da solo nel limbo della sua stessa paura, di affrontare i propri demoni usando quella rabbia che è dannosa soprattutto per lui. La sua schiena così ampia, quei muscoli così guizzanti, quel collo proteso, quella pelle coperta di tatuaggi... un manto che protegge, un muro che difende. Che difende quello che contiene: quel piccolo cuore che lui vuole nascondere a tutti, persino a se stesso.
È perso anche lui. Come me. È sempre stato perso, ha sempre camminato in quel limbo che ha fatto perdere anche la sottoscritta, e io finora sono stata troppo cieca per notarlo, per vederlo.
Per trovarlo.
Il fuoco divampa nel mio stomaco, non il fuoco nero che mi divora coi rimpianti di una vita intera, no. Questo è il fuoco della rivincita, della redenzione. È caldo, è rosso, è coraggio, e a ogni respiro che faccio sembra scuotermi da dentro fino a far tremare la mia stessa pelle e scioglierla col suo calore, spogliandomi di quel lenzuolo di difese con cui mi proteggevo dal doloroso rancore verso i miei confronti.
«Andrà tutto bene, Jasmine» mi inginocchio lentamente, così che i miei occhi e i suoi siano alla stessa altezza. Lei mi scruta, gli occhioni giganti spalancati, le lacrime gigantesche che rigano le sue guance paffute marchiandone la pelle incredibilmente olivastra. «È tutto okay, Jasmine» la rassicuro a bassa voce, percependo lo sguardo di approvazione di Lala sul mio capo. «Non permetterò a Guar di vincere.»
Le palpebre di lei si sollevano ancor di più fino a far toccare le lunghe ciglia curvate con la pelle. «Non vincerà?»
«Non gli permetterò di farlo, non quando vuole vincere in questo modo.» Le sposto con delicatezza una ciocca di capelli, sfuggiti alla sua treccia spettinata, dietro l'orecchio. «Ehi, Jasmine, andrà tutto bene, te lo prometto. Riporterò a casa tuo fratello. Io sono qui per farlo perdere.»
«Lo farai perdere?»
«Se lui è la vittoria, allora io sono la sconfitta.» Le bacio delicatamente la fronte. «Lo riporto qua, te lo prometto.»
«Lascia che ti accompagni» mi suggerisce Kostana quando mi rialzo in piedi. «Posso provare a far ragionare Guar senza che tu-»
«No» a pronunciare questa parola - prima che possa farlo io - è Lala. Ella sbarra gli occhi e rivolge lo sguardo sbigottito alla propria nonna. «È un compito che spetta a Anja, Kostana.» Per enfatizzare il concetto, batte di nuovo la punta del bastone per terra.
«Nonna, sai com'è fatto Guar quando è in quello stato.» Kostana serra la mascella e deglutisce rumorosamente. «La sbranerà viva.»
«Sì, lo so» intervengo, e Ella sussulta. «Vorrà tagliarmi la testa non appena mi vedrà, ma non glielo permetterò. Ho un'amica che mi ha insegnato molti anni fa come rispondere ai ragazzi che vogliono fare gli stronzi.»
Inspiro a fondo una seconda volta, chiudendo e riaprendo gli occhi. Quando le mie palpebre si sollevano ancora, incontro lo sguardo di approvazione di Lala. «So dov'è.»
«Sai dov'è andato?» guaisce Jasmine.
Annuisco. «Lala...» faccio un passo in avanti, e l'anziana strega amplia il suo sorriso. «Ho bisogno di sapere un'informazione.»
«Tutto quello che vuoi sapere, mia piccola Anja.»
«In che ospedale è ricoverato Roy?»
***
Il sellino della moto di Jack è estremamente scomodo.
Quando sono arrivata con la mia macchina al gigantesco parcheggio che fronteggiava l'Hope Hospital, la grossa Harley Davidson è stata la prima cosa che ho visto, anche se si trovava in un angolino buio persino alla luce del sole, nascosta sotto l'ombra di un grosso pino che delimita il marciapiede perimetrale del parcheggio.
È stato un sollievo vederla, quando sono scesa. Lo scintillare della vernice nera di quel veicolo mi ha portato ad apprezzarlo per la prima volta, nonostante io e i ciclomotori - fino ad ora - non fossimo mai andati molto d'accordo. Ma se è qui, allora ciò significa che Jack non è ancora uscito dall'ospedale e non è ancora andato a compiere qualche gesto estremo come andare in giro per la città alla ricerca dei tizi che ha a malapena intravisto (da come Kostana mi ha descritto la scena) mentre scappavano via dopo aver dato fuoco alla roulotte.
Ho parcheggiato a due posti dietro di essa, così che la mia jeep fosse nascosta dalle due grosse macchine di fronte a lei, perché so che se Jack la vedesse subito allora potrebbe semplicemente decidere di correre via dall'ospedale senza ricorrere alla sua moto, tutto pur di scappare da me.
Ed è una cosa che non gli posso permettere.
Dall'angolino dove sono seduta posso vedere le porte a vetro d'ingresso dell'ospedale, ma stessa cosa non vale al contrario. Quando uscirà da quel posto dovrà camminare verso la mia direzione per rendersi conto della mia presenza sopra il suo veicolo preferito.
Mentre guidavo fino a qui ho pensato a centinaia di cose che avrei potuto dirgli una volta averlo incontrato, ma ogni volta che formulavo un pensiero questo si spegneva come un fuoco d'artificio in un giorno di turbolenta pioggia, così, alla fine, ho deciso di abbracciare la filosofia "vivi al momento", e di scegliere di lasciare che le cose vadano come devono andare.
A ogni respiro mi sembra di star inghiottendo sassolini, e non riesco davvero a capire il perché di tutto questo nervosismo. Sto facendo quello che è giusto, sto facendo quello che è meglio sia per me che per lui, quindi perché fa così male?
Stai andando avanti.
Questo è il secondo passo, non è così? L'empatia, il trovare un dolore diverso da quello del lutto, il condividere una nuova sofferenza con una nuova persona in una nuova vita.
No, non è solo questo.
Non si tratta di un semplice condividere, è un capire, un provare. Perché Jack non è un semplice amico che sta passando un brutto periodo e che io voglio confortare. Non so nemmeno in che modo definirlo, ma non sono certo così sciocca da poterlo definire "amico", a onor del vero non posso dire che ci sia stato un solo momento dove abbia mai potuto chiamarlo in questo modo.
Jack è sempre stato... qualcuno di irraggiungibile. Non solo per il suo comportamento e il suo carattere che - sinceramente - agli inizi non era dei migliori, ma anche per il suo sguardo così arrogante, così sicuro, così spezzato. Nei suoi occhi ho ritrovato il ghiaccio distrutto del mio cuore, e questo mi ha spaventato da morire, nella sua rabbia ho scorto la sofferenza delle mie cicatrici, nel suo corpo ho sentito il piacere e il desiderio lussuriosi di voler esser toccata, stretta, amata e voluta a mia volta.
Tutto questo è terrificante. Non ho mai permesso a nessuno di farmi provare queste sensazioni, non ho mai permesso a nessuno di scavare così a fondo nelle macerie della mia vita fino a ritrovare tutti quei desideri sopiti che pensavo di aver perso per sempre. Ero convinta di averli lasciati indietro, nel lungo e straziante cammino della mia vita,
Sento il mio cuore sprofondare quando le porte a vetro si spalancano automaticamente e un'ombra si staglia dall'ingresso della grossa struttura ospedaliera. Riconoscerei quell'ombra anche a miglia di distanza: alta e imponente, trasmette un'aura di ira così profonda da farmi accapponare la pelle.
Non ho mai visto Jack in simili condizioni, il suo volto è annerito da un'ombra scura che cancella ogni traccia di umanità sulla sua pelle. Cammina furibonda, sbattendo i piedi per terra come se volesse scaturire un terremoto a ogni suo passo, e più si avvicina a me, più il cuore rischia di guizzare nella gola e sgusciare via dalla mia bocca.
Si ferma a mezzo metro da me, non appena solleva lo sguardo e mi vede. Per un istante - un terribile istante - pare quasi non riconoscermi. È così preso da se stesso e dalla frustrazione che non è in grado di realizzare ciò che lo circonda, la t-shirt - il cui bianco è ancora sporco di fuliggine - si tende drammaticamente non appena lui ispira un'iracondo boccone d'aria quando finalmente comprende chi sono e perché mi trovo qui, ad aspettarlo sulla sua moto.
«Non ho tempo da perdere con te, principessa.»
Sputa fuori ogni parola come se fosse di calcestruzzo, sassate che lapidano la mia mente e il mio cuore. Stringo con più forza le mie mani, tremante sul sellino, mentre provo a tirar fuori il coraggio che credevo ormai perduto. «Dove credi di andare?»
«Non sono affari che ti riguardano.»
«Mi ha mandato Lala.»
«Be', Lala dovrebbe imparare a farsi una sana dose di cazzi suoi, una volta tanto.»
Il suo accento da ragazzo di strada si è fatto più forte, ora che ci ripenso è sempre molto più demarcato del solito quando è turbato da qualcosa. «È preoccupata per te, lo sono tutti.»
«Principessa, levati dalla mia moto.»
«Così puoi andare a farti ammazzare da quelli che hanno dato fuoco alla roulotte?»
Il fuoco guizza nei suoi occhi con così tanta furia da farmi tremolare, serro la mascella quando fa un passo in avanti per fissarmi con disprezzo dall'onnipotenza della sua altezza. «Perché, non è quello che vuoi?» Sono estremamente felice, in questo momento, che la mia voce non tremi come invece temevo. Sto ritrovando una forza che non sapevo nemmeno di avere, un coraggio che pensavo di aver lasciato andare insieme a Andrew. «Non mi dirai che vuoi andare a mangiare altre ostriche crude per farti sbollire la rabbia, Guar.»
«Anja, non mi ripeterò un'altra volta: sparisci dalla mia vista.» Le sue dita afferrano il mio polso con una forza spaventosa, mi tira a sé senza che io possa fermarlo, sollevandomi dal sellino della moto e facendomi sbattere la testa contro il suo torace. Si allontana di un passo, per poi scansarmi con violenza spingendomi da un lato: così che possa proseguire verso la sua condanna a morte.
La paura di non poter comunicare con lui - con la sua anima persa - viene, in questo momento, sostituita dalla rabbia più feroce che abbia mai provato in tutta la mia vita. Le mie gambe si muovono da sole, portandomi a frappormi ancora una volta fra di lui e la moto. «Tu non andrai da nessuna parte!» grido, strillo, supplico.
Le sopracciglia di Jack calano come un masso sopra i suoi occhi che saettano di iraconda furia. «Non sono affari tuoi!» urla, afferrandomi per le spalle e tentando di spostarmi. L'orrore di non poterlo fermare mi assale, le mie mani si ammanettano alle sue braccia così da non potermi staccare da lui, vedo le sue palpebre serrarsi di stupore per un secondo quando con le unghie arpiono la sua pelle. «Non sono affari tuoi e non lo sono mai stati! Tu non puoi capire e non capirai mai! Sei solo una stupida spocchiosa che crede di saperne tutto dalla vita quando hai sempre avuto tutto servito su un piatto d'argento! Non ho alcuna intenzione di farmi fermare da una principessa con la puzza sotto il naso per nessuna ragione al mondo! Levati prima che ti costringa io a farlo!»
Fino a poco tempo fa, le sue parole mi avrebbero ferita. Ma ora, guardandolo meglio, credo di aver capito finalmente un altro tassello di Jack Valentine. I suoi occhi, la sua ira, la rabbia che mi sta indirizzando, sono solo una gigantesca e sostanziale bugia nata da un castello di errori che sta cercando di non far crollare, è un muro con cui cerca di allontanarmi da sé, e io mi ritrovo, così, a pronunciare con una freddezza e una consapevolezza sincera delle parole che prima d'ora non erano mai sgusciate fuori dalle mie labbra:
«La tua recita da bad boy stronzo è così patetica che mi viene da ridere.»
Sollevo lentamente lo sguardo per guardarlo dritto negli occhi, mentre sussurro queste parole, il suo volto si incatena al mio, la sua espressione viene attraversata da un lampo di umiliazione e scoperta: l'ho smascherato, proprio quando meno se l'aspettava, nel momento perfetto in cui, invece, avrei dovuto odiarlo più di ogni altra cosa al mondo.
Hai perso, Guar.
«Cosa vuoi fare, Jack?» Le mie dita si avvolgono attorno i muscoli delle sue braccia fino a stringerli con forza. «Andare dalle persone che hanno dato fuoco alla casa di Kostana così che possano deturparti l'altro lato della faccia, o peggio? Fare la fine di Roy?»
«Non osare pronunciare il nome di Roy!»
«Allora tu smettila di comportarti come uno stupido!» Grido furibonda. «Non ti permetterò di andare da quelle persone e farti distruggere di nuovo da loro! Hai una famiglia che ti aspetta a casa, hai qualcuno che è preoccupato per te, smettila di avere paura di quello che ti possono fare e reagire d'istinto, perché non ne uscirà mai niente di buono!»
«Paura? Paura? Io avrei paura? E di cosa, Anja?»
«Di perdere di nuovo tutto.»
Non lo dico solo a lui, lo dico anche a me stessa. Lo dico a quella parte di me che ancora non è stata in grado di accettare la perdita del mio grande a more, a quella parte di me che, quando lui si è spinto per baciarmi, ha automaticamente alzato le difese facendomi pensare ad Andrew, il ragazzo che più mi manca, colui che più vorrei indietro, fra le mie braccia, a regalarmi elastici per capelli.
Una luce di dolore acceca per qualche istante i suoi occhi, l'azzurro delle sue iridi torna a farsi vivo e concreto mentre la genuina sofferenza del passato gli arrochisce la gola. Si allontana di un passo, poi di due, poi di tre e infine, senza proferir parola, inizia a camminare dall'altra parte: dandomi le spalle.
Le stesse spalle solitarie con cui vuole perdersi nel limbo.
«Tieniti la moto, Anja, e fai quello che ti pare.» mi grida mentre si allontana «Posso andarci anche a piedi, e tu non potrai fermarmi.»
Di nuovo, la rabbia torna a dilagare: brucia le vene e la pelle, scioglie i neuroni nel cervello. «Oh, capisco, quindi vuoi fare il bambino, eh? Molto bene!» Lui mi ignora, continua a camminare, e non importa, davvero, non importa, mi muovo verso la mia macchina velocemente, le mani già pronte per aprirla e prendere ciò che mai avrei pensato avrebbe potuto servirmi in un momento del genere.
Un minuto solo, un minuto solo, e quando torno alla sua moto con ciò che mi serve lui è già al delimitare del gigantesco parcheggio. Non ho bisogno di chiamarlo, non ho bisogno di reclamarlo a me, so già che, non appena farò quello che devo fare, mi correrà incontro fra l'ira e lo sconcerto.
Sasha, mi hai convertito alla vendetta.
Un boato si ripercuote come un tuono nel cielo, l'impatto col metallo è più forte di quello che mi aspettassi e assorda le mie orecchie. Ed eccolo, lo sento, il suo sguardo, la sua ira, la sua rabbia.
«Cosa cazzo stai facendo alla mia moto?»
Sollevo lo sguardo, è fermo, immobile, sul marciapiede, a metri e metri da me. Stringo con più forza la chiave inglese che ho preso dalla cassetta degli attrezzi nella mia macchina e sollevo le braccia così che le mie intenzioni siano più che evidenti: «Non lo vedi, Jack Valentine?» Grido con furia, grata al mondo intero che ora, in questo momento, siamo solo noi due a infestare questo parcheggio. «Mi hai detto di fare quello che volevo con la tua moto, o sbaglio?» Il colpo con cui abbozzo per la seconda volta il fianco destro della Harley Davidson mi fa sobbalzare e si ripercuote nelle ossa delle mie braccia. «Be', sto facendo esattamente quello che mi hai detto: i cazzi miei!»
«Sei completamente impazzita?» Marcia su di me trascinandosi dietro l'ombra della sua rabbia. «Cosa diavolo vuoi fare, farmi incazzare al punto da prendermela con te invece che con quei bastardi?»
«Sto esaudendo i miei desideri!» Strillo io, fra un colpo e l'altro, fra un dolore e l'altro, fra una cicatrice e l'altra. «Tu dici che io sono una principessa, Jack, ma non è così! Non sono mai stata una principessa!» La voce muta per colpa delle lacrime che seccano la mia gola. Sollevo di nuovo la chiave e stavolta colpisco il manubrio fino a fargli perdere un pezzo di angolo. «Non ho mai potuto desiderare niente, niente di niente! Ero così disperatamente alla ricerca di approvazione che non mi sono mai concessa il lusso di pensare a quello che volevo io, quello che volevo veramente solo e soltanto io!»
Il dolore mi serra il respiro mentre colpisco e colpisco e colpisco. E vedo tutto in questi colpi, sento tutto. L'assenza dei miei genitori che avrei voluto avere affianco, l'incapacità di poter chiedere a Andrew come si sentisse, la totale e assoluta convinzione di non aver bisogno di cambiamenti perché al fianco del mio amore tutto era perfetto. Colpisco la moto e colpisco me stessa, ferisco Jack e ferisco Sophia King. Quella stupida Sophia che non si è mai concessa niente, che ha sempre lasciato che fossero gli altri a fare e soffrire, quella sciocca ragazzina che credeva di potersi fare andare bene tutto, che pensava di non dover cambiare, di non avere il diritto di esprimersi perché già aveva tutto quello che gli altri invece non possedevano.
Non ho mai avuto un desiderio mio, vero e proprio. Che riguardasse solo e soltanto me. Non l'ho mai espresso a parole, non l'ho mai detto ad alta voce. Sono sempre rimasta intrappolata nei pensieri, troppo spaventata per renderli concreti con la musica della mia bocca. Non ho detto a Andrew che non mi piaceva quando era così triste perché volevo mi parlasse, non ho mai detto a mia madre e mio padre che li avrei voluti accanto invece che a giudicarmi e basta, non ho mai detto ai miei fratelli che volevo avere delle amiche mie, non ho mai detto a Avery che voglio provare a capirla.
Non ho mai detto a me stessa che posso farcela.
Non ho mai espresso nulla, niente.
Delle mani afferrano le mie braccia sollevate, l'impatto della loro presa è così forte che rischia di farmi cadere. La mia schiena si schianta contro un petto solido e di marmo, dita violente mi strappano la chiave inglese, il mio corpo collide contro quello forte e duro di Jack, i suoi occhi sono su di me, il suo respiro è lava bollente che mi innaffia dall'alto della sua imponenza, e io grido e lo umilio, e grido e umilio me stessa, mentre lottiamo - lui che prova a staccarsi da me e io che provo ad aggredirlo coi miei pugni - e la rabbia dilaga in entrambi.
«Ecco il mio primo desiderio, Jack Valentine!» Strillo fuori di me, mentre lui blocca i miei pugni prima che possa colpirlo ancora una volta al petto. «Desidero trovarti!» L'aria brucia la mia gola mentre respiro, la sua presa è così forte da farmi male ai polsi, percepisco il peso della sua indifferenza e confusione addosso, la sua irritazione salire mentre entrambi ci feriamo per guarirci. «Perché tu sei come me!» Non ho fiato, ogni parola che esce dalla mia bocca è un affanno. «Sei come me! E io non posso ritrovarmi se non ritrovo prima te! Così come tu non puoi ritrovarti se non trovi prima me! E non ti permetterò di distruggerti perché hai paura! Non ti permetterò di rovinarmi la possibilità di scoprire dove sono solo perché sei troppo spaventato all'idea che questo mondo possa non volerti qui! Puoi nasconderti quanto ti pare dietro quella maschera d'ira che pensi sia tutto te, ma io ti troverò comunque! Puoi andare all'inferno e ritornarci, e io ti troverò lo stesso! Ti troverò ovunque tu sarai, Jack Valentine! Perché questo è il mio primo desiderio!»
Non riesco a tradurre il suo viso, è una maschera di mille emozioni che cambiano e mutano a ogni secondo, sembra arrabbiato, perplesso, confuso, felice, irritato, adombrato, non riesco a capire, non riesco a respirare, perché stiamo continuando a lottare e ogni nostro tocco sembra un fulmine che si schianta per terra, ogni nostro attimo sembra un agonizzante battaglia con noi stessi.
«Dio, quanto ti odio, Sophia.»
Il suo corpo sovrasta il mio, usa tutta la forza che possiede per paralizzarmi, ma a divorarmi non è la paura né la confusione, l'assoluta mancanza di correttezza da parte sua non mi sorprende né spaventa, perché sono ancora frustrata e triste e amareggiata e tante altre cose insieme che non riesco spiegare nemmeno a me stessa. Il suo viso è sul mio, le sue mani premono con forza sulla mia schiena mentre si china e mi racchiude dentro il suo voluminoso corpo.
L'istante dopo, le sue labbra sono sulle mie.
Nota autrice:
Da qui in poi inizieranno i capitoli alla "Girl on Fire", così li chiamo io!
Come già detto in passato, il rapporto di Sophia e Jack è molto particolare, e non si svilupperà come di solito si sviluppano le normali relazioni. Quella che Sophia ha fatto a Jack può essere considerata una quasi-confessione più per se stessa che per lui, perché entrambi hanno un po' di strada da fare per poter capire come reagire di fronte a simili sensazioni.
Piccolo particolare, questo romanzo rosa è nato come spin off sequel per parlare di Sophia e del suo dover affrontare una volta per tutte il lutto di Andrew, ma come sapete a me piace amalgamare molto i vari argomenti, ed è per questo che ho riportato anche la situazione degli zingari. Visti gli ultimi avvenimenti politici, mi era sembrato doveroso parlarne in questo libro, sebbene non in maniera ben precisa e catalogata: il trattamento che si riserva a quelle "comunità" che consideriamo diverse e ci spaventano, e a cui affibbiamo spesso aggettivi come "ladri, mascalzoni, truffatori, fecce delle società" è un qualcosa che, semplicemente, non potevo ignorare.
Grazie mille per star seguendo quest'opera: fatemi sapere cosa ne pensate e, soprattutto, che pensate che accadrà dopo questo bacio! EHEHEHEHEH
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