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L'inizio di un'altra favola


«Perché?»

«Non me lo chiedere, non l'ho capito neanche io.»

«Perché?!»

«Jack, è inutile che te lo domandi, non lo capirai mai.»

«Non ha senso!»

«Su questo non sono d'accordo, secondo me, invece, è stata un'ottima idea. Sarà divertente. E Aaron non si è lamentato, perciò non vedo cosa possa andare storto.»

Dall'altra parte del telefono, mentre aspetto che l'ascensore salga e mi porti all'appartamento verso cui sono diretta, sento la profonda risata di Guar investirmi. «Si tratta del matrimonio della tua cognata pazza, dolcezza, vuoi davvero dirmi che nulla andrà storto?»

Per qualche secondo, provo ad assumere un atteggiamento composto e rilassato, ma la verità nelle sue parole è troppo forte perché io possa ignorarla, e mi ritrovo a esplodere a mia volta in una grossa e fragorosa risata. «Ha deciso lei di invitare tutta la tua famiglia» replico alla fine, ancora sghignazzante, «ha detto che Lala è la sua sorella gemella separata dal tempo e che si sarebbe sentita vuota se non avesse partecipato, non chiedermi perché, è pazza, tre quarti delle cose che dice non hanno senso.»

«La cosa più preoccupante è che quando l'ho detto a Lala lei mi  ha risposto "lo sapevo", con una calma inquietante» è la sua risposta, che mi porta a ridere ancora. L'ascensore si ferma e apre, rivelandomi la visione del pianerottolo e della porta d'ingresso dell'appartamento di Sasha, stranamente aperta. «Ho paura di cosa quelle due potrebbero combinare insieme.»

«Per oggi dovremmo esser salvi» lo rassicuro, muovendomi dentro il pianerottolo dell'edificio. «Aaron non permetterà a Sasha di rovinar-»

«ALEKSANDRA PORTER, NON OSARE MANGIARE QUEL PANINO AL SALAME!»

La voce furibonda  e acuta di Sarah Porter, la cugina di Sasha, mi paralizza di fronte alla porta spalancata dell'appartamento. Il mio corpo si raggela di fronte alla visione più assurda che abbia mai avuto prima d'ora in vita mia. «Sophie?» Jack pare confuso. «Tutto ok?»

«Io... Sì, sta per scoppiare una bomba. Ci rivediamo fra poco in chiesa.»

Il tempo di chiudere la chiamata e la voce di Sasha esplode di nuovo per tutta la casa e l'edificio, sovrastando quella della cugina. «Non puoi impedirmi di mangiarmi un panino al salame il giorno del mio matrimonio, andiamo!»

Papillon, agganciato al guinzaglio, pare sconvolto quasi quanto me di fronte all'immagine che abbiamo davanti. Sasha, vestita con un meraviglioso e bianco abito da sposa, dalla scollatura a cuore, aderente sulle sue curve, che si apre poi in una gonna semplice e svolazzante fino ai piedi, sta cercando di aprire il frigo con forza mentre sua cugina lo trattiene per mantenerlo chiuso. Non ho avuto molto a che fare con quest'ultima, anche al liceo i nostri rapporti non erano molto stretti, ma non immaginavo che il suo rapporto con la pazza fosse sufficientemente aperto da permetterle di affrontarla in quel modo senza il terrore di venire sbranata viva.

Il mio sguardo ricade lontano, sul divano dove Pamela e un'altra ragazza mai vista prima d'ora sono sedute. La prima, meravigliosamente bella in quel vestitino floreale e dalla gonna a sbuffo, sta osservando la scena in un misto di terrore e divertimento; la seconda, invece, sorride e ridacchia come non mai. Una bellissima donna, dalla pelle color cioccolato e i ricci più belli che abbia mai visto in tutta la mia vita, il lungo e elegante abito nero avvolge il suo piccolo e gracile corpo, esaltandone le curve e mostrandone il fascino: una meravigliosa visione che viene, tuttavia, spezzata dall'inquietante sorriso che calca le sue labbra carnose.

«Dai, lasciala mangiare il suo panino al salame, Sarah» sghignazza, facendo volteggiare una mano per aria con nonchalance, «cosa vuoi che sia?»

«Non ho ancora finito di truccarla!» strilla Sarah che, con una gomitata, fa allontanare Sasha dal frigo. «Se mangia rovinerà tutto il lavoro che ho fatto fino ad ora, perciò, almeno per oggi, deve rinunciare al suo feticismo per il salame.» Gli occhi chiari di lei si sollevano, andando a incrociarsi coi miei. «Oh, Sophia King» mormora, passandosi una mano sul volto trafelato. Pare distrutta, completamente soggiogata dal tornado che è la cugina, si passa una mano sul completo rosso che indossa, sistemandone le pieghe invisibili. «Ti prego, dammi una mano.»

«Cosa sta succedendo qui?» È la mia domanda.

«Ah, Sarah stava truccando Sasha quando questa ha deciso di avere improvvisamente fame» è la spiegazione di Pamela, il cui sguardo è rivolto unicamente al mio abito. «Sei bellissima, Sophie, mi piace davvero tanto questo vestito.»

«Io ho sempre fame, non lo decido» la voce di Sasha interrompe il nostro discorso. Quando torno a rivolgermi a lei, per poco non scoppio a ridere nell'osservarla così da vicino. Mai nella vita avrei creduto che un giorno avrei visto Sasha Porter farsi applicare delle extension ai capelli così che potessero renderla un minimo più femminile, eppure è così. Boccoli corvini scivolano lentamente sul suo viso, plasmando la durezza dei suoi lineamenti e rendendola più dolce, andando a render più elegante che mai il meraviglioso abito che indossa. Gesù, indossa persino degli orecchini e una collana di perle, sto per piangere dalla commozione. «Cosa c'è?» mi domanda poi, notando le lacrime nei miei occhi. «Ehi, guarda che io non sono felice! Mi ha incastrata Sarah!» Con uno sguardo carico di rancore, punta i suoi occhi furibondi sulla cugina. «Ti avevo detto chiaramente che non volevo avere nulla a che fare con trucco, cose fru fru e roba simile.»

«Be', sì, quattro anni fa avevi anche detto che Aaron King era solo un inutile Stoccafisso, e ora sta per diventare tuo marito» ribatte lei con voce maliziosa, «so che per te è un vero affronto ammetterlo, ma hai avuto torto.»

Papillon latra con orgoglio, probabilmente godurioso quanto Sarah per aver visto la sua più grande rivale e il suo incubo più grande, Sasha Porter, venir messa al tappeto in questo modo dalla cugina. «Ora capisco perché dici sempre che vorresti infibulare tua cugina, Sasha» ridacchia l'altra ragazza, di cui ancora non mi è noto il nome.

«Taci, Cioccolatino.»

«Cioccolatino?» ripeto, perplessa.

«Un soprannome con cui mi perseguiterà per sempre» ridacchia colei che lo ha ricevuto. Si alza lentamente dal divano, i suoi occhi scuri puntati su di me, ha un che di familiare e piacevole, mentre mi si avvicina per stringermi la mano. «Tu sei Sophia King, vero?» mi domanda; la sua stretta è forte e dura come quella di un granchio. «Com'è stato andare ad un appuntamento col mio ragazzo? Gerard ci sa fare, eh? Ci sei cascata alla grande, eh?»

 «Cos-»

«Mi ha detto che è stato divertentissimo» prosegue lei, continuando a muovere la mia mano in su e giù con furia, «sono morta dalle risate quando mi ha detto che il tuo fidanzato è venuta a prenderti e gli ha gridato contro "lei è mia". Che roba romantica. Io gli avrei dato direttamente un pugno e ti avrei portata via con me.»

Qualcosa in tutto questo discorso mi sta confondendo. 

«Ehi, Cioccolatino» Sasha si avvicina a noi con un sorriso malizioso, il suo braccio circonda le spalle della ragazza e le due si scambiano un sorriso complice, «non badare a Sophia, lei è troppo normale per capire.»

«Un momento...» Finalmente, nel vederle così affiatate insieme, il cervello riprende a funzionare. «Tu sei Veronica? L'amica di Sasha? La...»

«Oh sì, sono io» con una risata sardonica, Veronica batte un cinque a Sasha. «Quando Sasha mi ha proposto di usare Gerard come cavia per il suo piano, non ho potuto che approvare.»

Solo una persona pazza poteva essere così amica di Sasha da accettare la possibilità di mandare il proprio fidanzato a un appuntamento. Avrei dovuto immaginarlo, sin da subito. 

«Ti adoro, Cioccolatino» sghignazza Sasha, per poi paralizzarsi non appena scorge Sarah avvicinarsi a lei, con uno strumento in mano. «Cosa diavolo è quella roba?»

Sarah scrolla le spalle, imperterrita. «Un piegaciglia.»

Pamela, ancora seduta sul divano, soffoca una risatina con la bocca. 

L'espressione di Sasha, in questo momento, è così confusa da dover essere immortalata. «Un piegacosa?»

«Un piegaciglia» ripete ancora Sarah.

«A che diavolo serve?»

«A piegarti le ciglia.»

«Perché dovrei volermi piegare le ciglia?»

«Perché così sono più curvate.»

«Perché dovrei voler curvare di più le mie ciglia?»

«Perché almeno per una volta in tutta la tua vita sembreresti una donna.»

«Non mi farò piegare le ciglia.»

«Lo farai, invece, se non vuoi che il tuo futuro marito pensi che si sta per sposare con un camionista.»

«Avrebbe dovuto iniziare a pensarlo dal momento in cui si è inginocchiato e mi ha chiesto di sposarlo.»

Osservare le due cugine litigare è, sopra ogni modo, la cosa più bella che mi sia capitata di vedere. Anche Papillon sembra troppo preso dalla visione di un simile spettacolo per potersi lasciare andare alla sua natura di demone in miniatura. Le mie spalle tremano per contenere le risate non appena gli occhi di Sasha si spostano dal piegaciglia a Sarah e da Sarah al piegaciglia.

L'attimo dopo scappa, rivolta verso la porta della sua camera.

«ALEKSANDRA PORTER! NON OSARE FUGGIRE DALLE SCALE ANTICENDIO DELLA TUA FINESTRA! RISCHI DI SPORCARE IL VESTITO! SASHAAAAA!»

«Adoro quella ragazza» canticchia Veronica fra le risate, mentre sculettando insegue le due che si stanno rincorrendo, scomparendo insieme a loro dentro la camera di Sasha.

«Siamo una famiglia di matti» è il mio commento finale, mentre, alla fine, con un'ultima risata, mi avvicino a Pamela e mi siedo al suo fianco. Lei sorride lentamente, in silenzio, com'è solita fare quando vuole godersi il momento di esser qui, così, finalmente, meravigliosamente felice. I suoi capelli, ora tornati della loro colorazione naturale, accarezzano la mia guancia quando lei posa il capo sulla mia spalla.

«Siamo stati forti, Sophie» mi sussurra alla fine. E in queste parole io ritrovo forza e coraggio, calore profondo. «Ora possiamo smettere di lottare.»

***

La chiesa in cui Sasha e Aaron si sposeranno si trova in periferia, ed è una piccola struttura dalla capienza massima di cinquanta persone. Non è decorata, non ha quadri o dipinti di estrema eleganza ad abbellire l'abitacolo interno: è una struttura molto povera, modesta nel calore che riesce a infondere. Le pareti in pietra antica, bianca, si stagliano e illuminano il posto grazie alla luce che penetra attraverso l'unica vetrata presente in questo luogo: in alto, nascosta dietro l'altare. 

È un luogo praticamente perfetto per consacrare l'unione di due persone che, nella vita, non hanno desiderato altro che semplicità. Una chiesa che rappresenta il loro amore: modesto, sincero, umile. Fatto di errori e di compromessi, di follie e di inventive.

Gli invitati non sono molti, una trentina, massimo quarantina, proprio come c'era da aspettarsi da persone così riservate come Sasha e Aaron, che desiderano condividere questo momento solo con chi amano veramente e da cui sono amati veramente. Nella consapevolezza dell'importanza di questo momento, persino Jack ha deciso di indossare un vestiario con cui mai avrei immaginato di vederlo: giacca e cravatta nera, camicia bianca. Elegante, preciso, coordinato. È una bellezza meravigliosa, incantevole, che pare soffocare con questi vestiti così raffinati.

La sua mano grande, callosa, ricerca la mia mentre in piedi attendiamo l'arrivo della sposa. Da dove ci troviamo, sulla panca che si affaccia all'altare, abbiamo la visione del futuro marito che tenta di calmarsi attraverso respiri troppo profondi e disarmonici. «Cosa sta facendo Bill?» mi domanda sottovoce Jack, osservando con me mio fratello che bisbiglia qualcosa all'orecchio di Aaron. 

«Credo gli stia dicendo che è ancora in tempo per scappare in Alaska.»

Pamela, in piedi al mio fianco, si avvicina ai gradini dell'altare e afferra Bill, trascinandolo lontano dal fratello fra i rimproveri e gli schiamazzi di lui. I due si punzecchiano come non mai, mentre lei lo rimprovera e lui le ridacchia contro. Vederli così, insieme, mentre lui le carezza i capelli, portandole una ciocca dietro l'orecchio, e lei lo rimprovera con volto pieno di disapprovazione, crea una fonte di calore immensa nel mio cuore.

La presa di Jack sulla mia mano si fa più forte, i suoi  occhi azzurri, quei ghiacciai durati, distese di neve, dentro cui io sprofondo, incrociano i miei, e ogni cosa assume un senso sia nella mia vita che nel mio mondo. Ci guardiamo, l'istante più bello di tutti, la favola che ha avuto fine e quella che sta ricominciando da capo si uniscono in questo preciso momento dove persino le stelle ci sorridono e il vento canta per la nostra gioia.

Il suono dell'organo parte nel momento esatto in cui lui mi sorride, distraendoci dalla tensione. Aaron è rigido, composto, il volto impassibile mentre insieme a tutti gli altri invitati rivolge il suo sguardo sul portone d'ingresso della chiesa.

Ed eccola lì, più bella che mai, col suo vestito da sposa che le sta d'incanto: una donna e un'amica, una cognata e una sorella. Una custode di cuori che ora, finalmente, può custodire anche il proprio. Accompagnata a braccetto dallo zio e dal fratello, un sorriso lucente che fa splendere il suo volto e un mazzo di fiori in mano: mimose gialle e raggianti come lei.

Le lacrime bruciano i miei occhi nel momento stesso in cui la vedo farsi avanti lungo il corridoio, verso l'altare. Vedo le palpebre di Aaron tremare per l'emozione del momento, di vederla così, qui, di fronte a sé, di poterla far sua, e vedo tutto ciò che non è stato detto ma che ora ci appare davanti: la fine di ogni cosa.

L'emozione dilaga mentre Sasha avanza, gli invitati non parlano, osservano il miracolo, la magia di due cuori che si sono uniti, di decine di vite che si sono perdute e poi ritrovare. 

Quasi alla fine del tragitto, Sasha si ferma, per un secondo. Guarda Aaron e lui guarda lei, l'istante dopo afferra la sua gonna e la solleva. All'improvviso. Alle mie spalle sento Pamela sul punto di bestemmiare, quando tutti quanti si rendono conto di cosa indossi sotto l'abito.

Un paio di pantaloncini.

Quasi questa visione fosse un messaggio che solo loro due possono comprendere, Aaron scoppia ancora a ridere. Una risata fragorosa, che riecheggia fra le pareti e rimbalza nei nostri cuori. Sasha sorride ancora, si stacca dalle braccia del fratello e dello zio e lascia che il suo futuro marito la sorregga mentre sale i gradini della navata.

Un'altra favola sta cominciando.

***

Nel corso della mia vita, ho pensato innumerevoli volte a cosa sarebbe cambiato se Andrew non fosse morto.

Fino a poco tempo fa, mi ritrovavo a ricercare solo i lati positivi di un'eventuale situazione.

Pensavo alla gioia di averlo accanto a me, di poter ballar con lui, di poter ridere insieme a lui e ai miei fratelli e amici. Pensavo a Aaron e Bill, che avrebbero avuto di nuovo un compagno di giochi. A Pamela, che non avrebbe perduto il fratello e forse, probabilmente, si sarebbe ritrovata con Bill molto tempo prima, rispetto a ora. Ripensavo al suo sorriso, alle sue guance, a quegli caldi, cortecce su cui aggrapparmi per ritrovarmi felice.

Ultimamente, tali pensieri non sono più arrivati alla mia mente, sostituiti da quelli che, invece, mi hanno portato a riconoscere che la morte di Andrew non ha portato solo conseguenze negative nella nostra vita.

Se Andrew fosse sopravvissuto, probabilmente Aaron e Sasha non si sarebbero mai sposati. Probabilmente, al loro primo incontro, sarebbero rimasti uguali, non avrebbero avuto la possibilità di cambiare e crescere assieme quel tanto che bastava per potersi dire perfetti se uniti; se Andrew fosse sopravvissuto, forse io avrei avuto sempre una concezione sbagliata di me stessa, mi sarei sempre vista come una principessa, mai avrei combattuto e lottato per ciò che desideravo, mai mi sarei privata del costume di Cenerentola e mai avrei espresso i miei più insiti e grandi desideri; se Andrew fosse sopravvissuto, non avrei conosciuto Jack Valentine e la sua famiglia, non avrei conosciuto il piacere di venire accolta da persone che mi hanno accettata quando nemmeno i miei genitori ne erano stati in grato, da un'anziana strega e da una bambina logorroica e da un ragazzo tremendamente scorretto tanto quanto dolcemente piacevole.

Forse non ci sarà mai un giorno dove non rimpiangerò la sua morte, forse ci saranno ancora dei momenti dove penserò a lui, ma adesso, proprio ora, mi rendo conto che tali attimi non saranno più come prima: non verranno più costellati dall'agonia del senso di colpa, divorati dalle fauci di quel mostro che io stessa avevo creato per proteggermi dal dolore.

Ripenserò a lui come si ripensa all'inverno durante l'estate: desiderandolo, ma consapevole di non poter più riprovare le stesse sensazioni quando il sole mi punge e io non posso fare altro che accettarlo.

E guardando ciò che ho davanti ora, guardando Sasha che balla con suo fratello, Aaron che chiacchiera sorridente con tutti e il lago che ho davanti a me, così bello e meraviglioso per quanto non possa esser lo stesso dove tutto è cominciato, non posso che gioire di questo momento. 

«Fra poco toccherà a te.»

La voce di Lala, rauca e profonda come sempre, mi ridesta da questi pensieri. Sollevo lentamente lo sguardo dalla superficie trasparente dell'acqua, rivolgendolo al volto rugoso di lei, che si avvicina a me accompagnata da un Papillon entusiasta e sorridente quasi quanto lei. «Ti ringrazio, Anja» mi sussurra, stringendomi per un braccio.

«Di cosa, Lala?»

«Per aver aiutato Guar» con un cenno del capo, indica Jack, che sta ballando insieme a Jasmine in mezzo al prato, mentre Sasha e Luke spronano entrambi a seguire il loro ritmo. «E per esser stata aiutata da lui. Due anime spezzate non ne fanno una completa, ma a volte sono sufficienti per poter reggersi insieme.»

Nel mio petto qualcosa si schiude: il bocciolo del dolore che si trasforma in fiore di speranza. Serro le labbra, mi aggrappo alla sua saggezza e al suo calore, mentre lascio che il mio sguardo vaghi su queste persone sorridenti e felici, che gridano e gioiscono per l'unione di due persone. «Lala, pensi... Pensi che sarebbe fiero di me?» La domanda sgorga dalle mia labbra come pioggia rovente, che bagna le mie guance. «Pensi che... Che mi perdonerà... Se sono felice anche senza di lui?»

«Ti ha già perdonato, Anja.»

Le mie labbra tremano, inghiotto le lacrime insieme all'ultima traccia di rimorso, lascio che svaniscano per sempre, risucchiate da questo fiore di speranza che mai più voglio sradicare. La mano di Lala mi accarezza la schiena, accompagna i miei singhiozzi fino a quando questi non si dissipano da soli. «Ora tocca a te, Anja» mi ripete, indicando con la mano tremula la figura di Sasha che Aaron trascina via da Luke, così che possa ballare insieme a lei. «Sono vecchia  e strega, non mi rimane più molto tempo, e ho sempre sognato di venir chiamata "bisnonna".»

Una risatina leggera gonfia la mia guancia mentre mi allontano da lei. «Ora non esagerare, Lala.»

«Tre. Anzi, no, quattro» pronuncia lei, con un volto così severo che non so davvero dire se stia scherzando o meno. «Saranno quattro, e a uno di loro darete il suo nome. E quando accadrà, Anja, anche l'ultima goccia di rimpianto sarà caduta per terra. Fidati.»

Nel momento in cui si allontana, insieme a Papillon, non so davvero cosa dire, ma nel mio cuore, proprio sul petto, percepisco la piacevole sensazione di esser tornata a respirare. 

Mi muovo lenta fra gli invitati, li vedo ballare, gioire, cantare, insieme e uniti, uniti e insieme, e quando il mio corpo si incrocia con quello di Sasha, troppo presa a prendere in giro tutti per rendersi conto di quello che sta succedendo, lo sguardo di lei si rivolge su di me. «Tieni» dichiara alla fine, porgendomi il suo mazzo di fiori. «Devi sposarti prima tu, Pam e Bill devono pagarla per lo scherzetto che mi hanno fatto.»

«Non funziona così il lancio del bouquette, Sasha.»

«Sono o non sono io la sposa? Decido io chi-» La voce di lei scompare non appena rivolge lo sguardo dall'altra parte del lago, dove la pianura dell'erba si spalanca di fronte al mondo della foresta. Per un istante, gli occhi scuri di Sasha si riempono di stupore e lacrime, uno solo. 

«Sasha, tutto ok?»

Lei sbatte le palpebre, più e più volte. Si passa una mano sul viso, torna a guardare di nuovo ciò che ha attirato la sua attenzione, e quando io seguo l'oggetto del suo interesse, ritrovo solo una panchina vuota, al di là del lago, che si affaccia di fronte a noi ed è quasi nascosta dalle ombre dei tronchi.

«Sasha?»

«Per un attimo mi era parso di-» Si blocca di nuovo, le labbra rosse si schiudono lentamente in un sorriso, mentre un'espressione di sollievo e al tempo stesso sofferenza calca il suo volto. «Sarebbe proprio da loro, immagino.»

«Di cosa stai parlando?»

Lei si stringe nelle spalle, con nonchalance e torna a guardarmi nella sua maliziosità. «Ehi, tu sei la mia testimone» mi ricorda, pizzicandomi il naso, «va' a ballare col tizio che da circa mezz'ora mi sta fissando male perché le ho rubato la fidanzata. Aaron!» strilla poi, rivolgendosi al suo ora marito, intrappolato in una conversazione con Bill. «Aaron! Secondo te quanto è pericoloso fare sesso nel bosco?»

Non riesco a crederci, una risata prorompe nella mia gola. Lontano da me, in mezzo agli altri invitati, mi ritrovo a sorridere di fronte a Jack.

Lui è lì.

Bellissimo, stupendo, spezzato quanto lo sono io, meraviglioso nel suo incanto e nel suo dolore. Quegli occhi azzurri, quel corpo alto e muscoloso, e quella cicatrice che nasconde molte più ferite che si possano credere, molte più agonie di quanti si immaginino.

Voglio conoscere tutto, ogni cosa, ogni silenzio, ogni parola. Calcare quelle ferite con la mano, alleviarne il dolore con i miei baci, così che, un giorno, io possa guardarmi indietro.

Allora rivedrò Andrew, un'ultima volta. Lo rivedrò lì, seduto su quella panchina, dall'altro lato del lago, dall'altro lato del mondo. Lo rivedrò, lui mi sorriderà, mi guarderà nella sua dolcezza e nella sua bontà. E in quel momento dove i nostri occhi si incroceranno un'ultima volta, lo rassicurerò. «Ce l'ho fatta» gli dirò. «Ora va tutto bene, ora sono felice, ora puoi riposare.»

E così, con questa gioia stretta al petto e sigillata nel cuore, un'ultima lacrima bagna il mio viso mentre osservo l'inizio di un'altra favola. Una nuova, meravigliosa e incantevole favola. Che porta il nome di Jack Guar Valentine.

Sorridente, felice per sempre nell'eternità, grido di gioia.

E corro da lui.


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