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5. Suicidal




·≈· PANSY'S POV ·≈·

La McGranitt era stata chiara: non sarei dovuta andare a lezione fino a quando non mi fossi sentita pronta, ma questo non voleva dire ignorare i miei doveri scolastici; dovevo impegnarmi a svolgere i temi assegnati entro le scadenze e leggere i capitoli svolti in classe autonomamente.

Guardai i libri di scuola, ammassati disordinatamente nel baule ai piedi del mio letto e venni colta dallo sconforto.

Non ero mai stata una scansafatiche, avevo sempre dato il massimo nella mia carriera scolastica, senza però intaccare la mia vita sociale.

Ora non avevo più nulla, non ero nessuno.

Osservai distrattamente il mio Rossetto-bacio-perfetto, appoggiato sul comodino. Mi ricordava un periodo più spensierato della mia vita, un periodo in cui mi ritenevo ancora una bella ragazza.

Lo afferrai e me lo rigirai tra le mani.

Senza pensarci mi alzai dal letto e mi diressi in bagno.

Avvicinai il viso alla superficie dello specchio e mi passai il rossetto sulle labbra, attenta a non sbavare il prodotto.

Osservai la mia bocca, la arricciai leggermente, sentendo la consistenza cremosa del prodotto.

L'ultima volta che l'avevo indossato, Theo era ancora vivo.

Chiusi momentaneamente gli occhi poi, ignorando il groppo in gola, li riaprii e tornai in camera, colta da una risolutezza che non pensavo potessi ancora avere.

Mi accovacciai accanto al mio baule fino a quando non recuperai la mia trousse di trucchi e tornai in bagno.

Sparsi i prodotti accanto al lavandino, facendo una cernita tra i vari cosmetici alla ricerca dei miei preferiti e riposi nel nécessaire quelli che non mi servivano.

Impiegai circa venti minuti davanti allo specchio tra fondotinta, blush, mascara e ombretto.

Quando fui abbastanza soddisfatta del risultato tornai in camera, senza preoccuparmi di sistemare i prodotti che avevo lasciato sparsi accanto al lavandino.

Ora che assomigliavo alla Pansy di un tempo volevo sentirmi come la Pansy di un tempo.

Mi tolsi il pigiama e indossai la divisa scolastica, storcendo leggermente il naso quando mi resi conto che la gonna mi stava leggermente larga. Ero dimagrita e non me ne ero resa nemmeno conto. Spostai lo sguardo verso il vassoio della colazione, intatto accanto al mio letto.

Sospirai piano e afferrai un biscotto al cioccolato, l'odore era buono e all'improvviso mi resi conto che la pancia mi faceva male da quanta fame avevo.

Addentai il dolce e aspettai che il boccone mi si sciogliesse in bocca, prima di morderne un altro pezzo. Era dalla sera prima che non toccavo cibo, quando avevo assaggiato con riluttanza lo sformato di zucca e le patate al forno sotto l'occhio vigile di Madama Chips, che era venuta di persona ad accertarsi che stessi bene.

Riuscii a mangiare in totale quattro biscotti prima che mi si chiudesse lo stomaco, impedendomi così di ingerire altro.

Presi una pastiglia Sorriso Smagliante 24h, sentendo subito in bocca il sapore fresco della menta e finii di prepararmi, pettinandomi i capelli corti in modo che mi incorniciassero il viso alla perfezione.

Afferrai la mia borsa e vi infilai all'interno alcuni fogli di pergamena, la piuma d'oca e la boccetta d'inchiostro, mi strinsi nel mantello e uscii dalla camera.

Hogwarts sembrava deserta, tutti gli studenti erano a lezione.

Entro qualche minuto i corridoi si sarebbero riempiti a causa della pausa pranzo, ma avevo abbastanza tempo per raggiungere l'aula studio accanto alla torre di Astronomia, dove non avrei trovato nessuno e dove contavo di dedicarmi alla stesura delle lettere che avevo intenzione di scrivere prima di mettere definitivamente fine alla mia vita.

Avevo passato la notte intera a rimuginarci su, motivo per cui avevo avuto profonde occhiaie sotto agli occhi fino a pochi minuti prima, quando avevo coperto tutto con il Togli-occhiaie della Mag. Che senso aveva vivere in un mondo dove nessuno teneva a me? Nessuno tranne, forse, l'insopportabilmente felice Hermione Granger? Non potevo reggere la sua vista, figurarsi qualsiasi sorta di aiuto da parte sua.

Raggiunsi l'aula studio e mi sedetti al primo banco disponibile, srotolai subito di fronte a me una delle pergamene che mi ero portata dietro e cominciai a scrivere la prima lettera, poi passai alla seconda e in fine alla terza; una per mia madre, una per la McGranitt e una per Draco Malfoy.

Nella lettera per mia madre scrissi tutto quello che non avevo mai avuto il coraggio di dirle, tutto il dolore che direttamente o indirettamente aveva portato nella mia vita. Malgrado mi avesse diseredato perché mi considerava inservibile per la continuazione della discendenza pura a cui aspirava, continuavo a volerle bene. Era mia madre e anche se non era riuscita a proteggermi come avrebbe dovuto, ci aveva provato a volermi bene, anche se nel modo più sbagliato di tutti. Speravo con tutta me stessa che Charles potesse avere una vita migliore della mia.

Nella seconda lettera ringraziai la McGranitt per avermi accolta ad Hogwarts dopo la guerra. Certo, grazie alla testimonianza della Granger ero stata assolta da tutti miei peccati; ero passata dalla parte dei buoni, avevo aiutato nell'uccisione di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato, quindi potevo ancora considerare Hogwarts casa mia. Rimanevo comunque un licantropo, e questo la McGranitt lo sapeva. Avrebbe potuto rispedirmi a casa, o suggerirmi di frequentare un'altra scuola di magia, magari una meno prestigiosa. La nuova preside di Hogwarts non aveva fatto nulla di tutto ciò. Mi aveva accolta nella sua scuola, mi aveva aiutato e mi aveva protetto. E per questo non avrei mai potuto ringraziarla abbastanza.

Nell'ultima lettera, quella indirizzata a Malfoy, faticai a trovare le parole giuste da scrivere. Era difficile spiegare al ragazzo che avevo amato e a cui continuavo a voler bene che non mi stavo suicidando per colpa sua, ma perché non avevo più nessuno che mi teneva ancorata al mondo reale. Nessuno tranne lui. Il sentimento che ancora mi legava a lui sarebbe potuto essere l'unico che avrebbe potuto effettivamente persuadermi dal suicidarmi, ma non era abbastanza. Non quando lui amava un'altra, non quando lui aveva Hermione Granger. Non provavo però rabbia o rancore nei suoi confronti e volevo che lo sapesse. Ero felice per lui e mi auguravo che potesse vivere la vita perfetta che si meritava di vivere.

All'improvviso sentii chiaramente le porte delle aule aprirsi e gli studenti e professori iniziare a sciamare verso la Sala Grande. Faticavo ancora un po' a sopportare i rumori forti, infatti sussultai quando sentii qualcuno urlare a pochi passi dall'aula studio in cui mi trovavo.

Sigillai le pergamene nelle loro buste e le riposi nella mia borsa. Non avevo tempo di andare in guferia a spedirle, una volta rinvenuto il mio cadavere avrebbero anche trovato la mia borsa e le lettere.

Mi chiesi chi avrebbe scoperto per primo il mio corpo morto e un brivido mi attraversò la schiena.

Volevo davvero farlo?

Quando sentii che il rumore per i corridoi era drasticamente diminuito, mi alzai in piedi e uscii dall'aula, diretta verso la Torre di Astronomia.

Salii i gradini lentamente, chiedendomi ad ogni passo se, una volta arrivata, sarei davvero riuscita a trovare il coraggio di buttarmi.

Gettai un'ultima volta un'occhiata all'aula di Astronomia, dove allineati si potevano trovare numerosi telescopi e mappe della volta celeste appese lungo le pareti. Ma non prestai più di tanta attenzione ai dettagli, certa che altrimenti sarebbe sopraggiunta la malinconia.

Continuai a salire fino a quando raggiunsi l'ultimo piano della torre.

Presi un profondo respiro e mi passai nervosamente una mano tra i capelli, chiedendomi se il trucco fosse perfetto come quando era uscita dalla mia stanza.

Quel pensiero mi fece ridere nervosamente.

Stavo per buttarmi dalla Torre di Astronomia, stavo per terminare una volta per tutte la mia vita, possibile che tutto quello a cui riuscivo a pensare era il mio aspetto fisico?

Appoggiai al centro della stanza la mia borsa, mettendo in bella mostra le tre lettere, poi mi avvicinai con risolutezza ad una delle ampie finestre che davano sul cortile di Hogwarts.

Tutto quello che riuscivo a sentire, oltre all'ululato del vento, era il battito impazzito del mio cuore e il respiro corto che mi usciva dal naso. Non ero mai stata così tanto consapevole del mio corpo e del suo funzionamento vitale fino a quel momento.

Avrebbe fatto male?

Avrebbe fatto più male rispetto al dolore che già provavo?

Chiusi gli occhi e cercai di non scoppiare a piangere.

Mi tremavano le mani e le ginocchia sembravano faticare a sorreggermi.

Fu in quel momento, quando mi resi conto che non potevo farlo, che non ero abbastanza coraggiosa da porre fine alla mia vita, che sentii un rumore alle mie spalle.

Voltai il viso rigato dalle lacrime quel tanto che bastava per vedere la figura di Neville Paciock a tre metri di distanza che osservava la scena con gli occhi verdi colmi di orrore e stupore.

Nessuno dei due disse niente, rimanemmo a fissarci per lunghi interminabili secondi, poi lui si mosse nella mia direzione, le mani alzate e allungate verso di me: «Non farlo».

Distolsi lo sguardo dal suo e tornai ad osservale il cortile ai miei piedi, dove foglie variopinte venivano sollevate dalla forza del vento, per poi essere nuovamente scaraventate a terra.

Avrei voluto dire al Grifondoro che non volevo uccidermi, non più, ma non riuscivo a parlare, non riuscivo a muovermi. Sembravo congelata in quel momento.

Percepii lo spostamento di Paciock e non mi opposi alla sua stretta intorno alle mie braccia, alla delicatezza che utilizzò per allontanarmi dalla finestra, portandomi al centro della torre, proprio dove avevo lasciato la mia borsa.

Iniziai a singhiozzare, accovacciandomi al suolo senza forza. Non m'importava che lui mi vedesse in quello stato, anzi, provavo nei suoi confronti una strana forma di gratitudine. Senza di lui non sapevo quanto ci avrei messo ad allontanarmi dal vuoto sotto di me e dal fascino che esercitava sul mio spirito debole.

Sentii le braccia di Paciock avvolgermi delicatamente e non mi opposi. Mi lasciai stringere, godendo del senso di pace che mi trasmetteva avere quel tipo di contatto con un altro essere umano. Quand'era stata l'ultima volta che ero stata abbracciata da qualcuno? Non riuscivo a ricordarlo.

Continuai a piangere fino a quando non terminai le lacrime, fino a quando non provai più alcun tipo di dolore. Tutto quello che era rimasto era un senso di vergogna e timore.

Mi mossi tra le braccia di Paciock, così da fronteggiarlo e quello che notai mi lasciò senza fiato.

Mi ero voltata con l'intento di parlargli, dirgli magari che gli ero grata, che non volevo davvero farlo, che quello a cui aveva assistito era stato un attimo di debolezza e che non si sarebbe ripetuto. Ma non uscì niente dalle mie labbra, perché i miei occhi scuri erano rimasti incantati a scrutare quelli di Paciock che mi osservavano con preoccupazione.

«Sei tu», dissi con stupore, guardandolo come se lo stessi accusando di chissà quale crimine terribile.

Lui sembrò confuso dalle mie parole, aggrottò le sopracciglia e storse leggermente la bocca, ma non disse nulla.

«Sei stato tu a salvarmi», mormorai, gli occhi nuovamente colmi di lacrime: «Tu mi hai salvato da Greyback».

Non avevo dubbi in proposito, avrei riconosciuto quegli occhi in mezzo a mille altri; con la loro sfumatura blu intorno all'iride e il verde limpido misto al castano chiaro vicino alla pupilla.

Mi asciugai le lacrime e mi stupii nel vedere il volto di Paciock colorarsi di rosso, sembrava quasi in imbarazzo.

Sciolse l'abbraccio, mettendo qualche centimetro tra i nostri corpi.

«Non lo ricordavi?», mi chiese, tenendo lo sguardo basso, mentre si passava nervosamente le mani sui pantaloni della divisa.

«No», ammisi, arrossendo a mia volta; mi sentivo una stupida senza sapere bene il perché: «Ricordavo solo...»

Lasciai la frase in sospeso, chiedendomi se fosse il caso di confessargli che del mio salvatore ricordavo solo il colore degli occhi e nient'altro.

«Sono in debito con te», dissi semplicemente, mordendomi nervosamente il labbro inferiore: «Doppiamente in debito», mi corressi, spostando lo sguardo verso la finestra dalla quale mi ero quasi buttata.

Paciock si sollevò in piedi, passandosi la mano sui pantaloni per pulirli dalla polvere, si issò sulla spalla la mia borsa e mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi «Andiamo, ti accompagno in infermeria».

Accettai il suo aiuto senza protestare e non mi lamentai nemmeno del braccio che avvolse intorno alla mie spalle fragili mentre mi scortava giù dalla Torre di Astronomia.





**********

Ciao a tutti!

Chiedo venia per l'interminabile attesa a cui vi ho sottoposto, ma questo capitolo non è stato facile da scrivere.

Vi aspettavate che fosse Neville il salvatore di Pansy?

Spero abbiate tempo di farmi sapere cosa ne pensate.

Un bacio,

LazySoul_EFP

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