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9. Return the favor

{Draco's point of view}

«Quello è un semplice galeone», disse, la voce incerta sull'ultima parola, gli occhi che non sfiorarono i miei neanche un istante e le mani che torturavano insistentemente il bordo della maglia che le avevo imprestato.
Possibile che non si fosse ancora resa conto che come bugiarda faceva davvero schifo?
Accennai un sorriso e posai nuovamente il galeone in tasca.
I suoi occhi si assottigliarono mentre seguiva il mio movimento.
Le presi il mento tra le dita e avvicinai il viso al suo: «Tua madre non ti ha mai insegnato che non si dicono le bugie?»
Arrossì di colpo, socchiudendo le labbra carnose e specchiando i suoi occhi scuri nei miei.
Avrei potuto (anzi dovuto) imporre a me stesso di resistere e probabilmente, se mi fossi impegnato, ce l'avrei anche fatta a non baciarla.
Solo che la sua bocca era così vicina e la tentazione così forte... per non parlare del mio amichetto dei piani bassi, ancora fin troppo attivo dall'interludio di pochi minuti prima, che ormai aveva preso il controllo del mio corpo.
Era proprio vero che noi ragazzi a volte tendiamo a non usare il cervello per ragionare...
Appoggiai le labbra contro le sue, leccandone i contorni con la lingua e sentendo ancora su di essere il sapore della marmellata di lamponi.
Le morsi piano, beandomi della loro morbidezza, prima di approfondire il bacio, in modo da far scontrare le nostre labbra.
Tempo zero e mi ero già dimenticato che le stavo parlando di una cosa seria e che volevo da lei delle risposte sincere: tutta colpa dell'attrazione fisica che mi spingeva verso di lei, neanche fosse stata una calamita e io un misero pezzetto di ferro.
Ero certo che mi avrebbe fermato, ma volevo approfittare della situazione il più possibile, così allungai la mano verso i suoi seni, stringendone uno attraverso la stoffa della sua maglietta leggera, beandomi della sua pienezza. Sentivo chiaramente la durezza del suo capezzolo tra le dita, mentre piccoli gemiti fuoriuscivano dalle sue labbra rosse e gonfie per i baci che continuavamo a darci.
Era così bella...
«Draco», sussurrò contro le mie labbra, afferrando numerose ciocche dei miei capelli per avvicinare ulteriormente i nostri volti: «Giurami che non mi lascerai più».
Persi un battito, o forse anche più di uno, prima che il mio cuore cominciasse nuovamente a pompare sangue ad una velocità impressionante.
Era ancora più rossa in viso rispetto a prima e potevo capirne il motivo; si era esposta, forse senza nemmeno rendersene conto ed ora aveva paura di essere derisa.
Sorrisi, facendo scontrare i nostri nasi, prima di appoggiare la fronte contro la sua: «Mai. Non ti lascerò mai più».
Ci stringemmo in un abbraccio, entrambi con le lacrime agli occhi, ma nessuno dei due disposto ad ammetterlo.
Ci eravamo fatti del male così spesso, senza nemmeno rendercene pienamente conto.
Entrambi troppo orgogliosi per poter ammettere le nostre colpe...
Nessuno è perfetto eppure avrei voluto esserlo per lei e mi odiavo per averla fatta soffrire.
Ma odiavo soprattutto il fatto che le avessi dato motivo di dubitare della fiducia nata tra di noi con così tanta fatica.
Avevo rovinato tutto, ma non avrei più permesso che accadesse.
No, non avrei mai più commesso un errore così madornale.
Sentii le sue lacrime bagnarmi il collo e un singhiozzo scuotere il suo corpo troppo fragile.
«Non piangere», sussurrai, irrigidendomi appena, insicuro su come dovessi comportarmi per consolarla.
Non ero mai stato bravo con le dimostrazioni d'affetto tanto che tendevo ad evitarle il più possibile e, anche se lei era sempre stata l'eccezione alle mie molteplici regole, anche in quel momento non riuscivo a muovermi per darle il sollievo che avrei voluto.
Ero vissuto per anni in una immensa campana di cristallo che mi aveva impedito di essere influenzato dal mondo esterno, l'unico che poteva inculcare pensieri e opinioni nella mia mente era stato mio padre, il mio eroe.
Era stata lei, la Mezzosangue, a rompere quella campana e per farlo era bastato un pugno ben assestato il terzo anno.
Probabilmente l'avevo amata fin dal primo istante; quando l'avevo vista sul treno il primo anno.
Avevamo solo undici anni, eppure quegli occhi scuri e quei capelli indomabili mi avevano fatto un certo effetto. Era bellissima e così... determinata e libera.
L'avevo invidiata e desiderata fin dalla prima volta che avevamo parlato, odiando quella mia debolezza e nascondendola in un angolo nascosto del mio cuore per più di cinque anni.
E poi quell'anno non ero più riuscito a starle lontano...
Le sue mani, piccole ma forti, affondarono le dita affusolate tre i lembi della maglia del mio pigiama, mentre le lacrime continuavano copiose a bagnarmi il collo e la clavicola.
Era come se qualcuno mi avesse lanciato un "Pietrificus Totalus", impedendomi di dirle qualcosa per consolarla, per farla stare tranquilla.
Nessuno mi aveva mai consolato in vita mia, forse perché non avevo mai dovuto affrontare dei problemi e di conseguenza non avevo motivo di dispiacermi di qualcosa solitamente...
Ogni volta che volevo qualcosa i miei me la davano, non facendomi mancare nulla e sapevo che questo mi aveva portato ad essere così tanto viziato ed egoista.
Si strinse maggiormente a me, i singhiozzi che la scuotevano ed io, impotente, che mi sentivo morire ad ogni lacrima che fuoriusciva dai suoi occhi.
«Non piangere», ripetei, dandomi mentalmente del coglione, chiedendomi cosa ci fosse che non andava in me.
Pochi minuti prima, quando si era svegliata piangendo, l'avevo consolata, l'avevo stretta a me e le avevo sussurrato all'orecchio parole dolci per calmarla.
Perché non ci riuscivo più?
Cosa cazzo c'era di sbagliato in me?
Gemetti piano quando le sue unghie mi si conficcarono nella pelle attraverso la stoffa leggera del pigiama e cercai automaticamente di allontanarmi, appoggiando una mano all'altezza del suo gomito sinistro.
Toccandola sentii chiaramente la pelle ruvida dove si trovava la cicatrice che le aveva lasciato mia zia e strinsi automaticamente le dita della mano destra a pugno per la rabbia.
Seguii i contorni della cicatrice; ad ogni centimetro di pelle che toccavo mi odiavo un po' di più, fino a quando non giurai a me stesso che Bellatrix Lestrange avrebbe pagato per quello che le aveva fatto.
«N-non...», sussurrò, cercando di allontanare il braccio dalle mie dita, ma portandomi solo al aumentare ulteriormente la stretta e a chiudere gli occhi per cercare di rimanere calmo.
«Draco?»
Aprii gli occhi, notando come avesse spostato il viso, in modo da averlo ora alla stessa mia altezza. Aveva gli occhi arrossati e gonfi dal pianto e le gote rosate e bagnate da lacrime salate, le labbra atteggiate in una piccola smorfia e i capelli particolarmente indomabili.
Era bellissima anche così scarmigliata e in disordine, con quella semplice maglietta e la scritta "Mezzosangue" che spiccava rossastra rispetto alla sua pelle chiara.
Possibile?
Possibile che riuscisse a farmi innamorare di lei ogni istante di più?
Mi prese il viso tra le mani e mi accarezzò dolcemente le guance: «Promettimi che quello che ti sto per dire rimarrà dentro queste mura. Non dovrai dirlo a nessuno».
Annuii e sentii una sua mano spostarsi per afferrarmi con forza una ciocca di capelli in modo da avvicinare di più il viso al suo: «Promettilo», sussurrò, negli occhi una forza e una sicurezza che avrei voluto avere anche io.
«Lo prometto».
La vidi rilassarsi in parte e sentii la stretta tra i miei capelli diminuire.
«Su quel galeone ho posto l'Incanto Proteus che mi permette di comunicare con Harry e Ron, entrambi hanno una copia di questo galeone, solo che senza bacchetta mi è impossibile entrare in contatto con loro...»
Rimasi di stucco, letteralmente con la bocca aperta come un pesce lesso.
E io che pensavo avesse solo un qualche significato affettivo o comunque fosse un oggetto privo di troppa importanza.
"Ammettilo, Draco, la tua ragazza è molto più intelligente di te", mi disse una vocina dentro di me e non potei fare a meno di concordare con lei, anche se a voce alta non avrei mai pronunciato simili parole, nemmeno sotto tortura.
Tirai fuori dalla tasca il galeone e notai effettivamente che come cornice la circonferenza aveva l'intero alfabeto, invece che la scritta originale.
«Voglio aiutarti, ma non me andrò da Hogwarts», ammisi, fissandola dritto negli occhi.
«Cosa significa?», sussurrò con un filo di voce, aggrottando le sopracciglia.
Senza pensarci allungai una mano, passandole l'indice proprio al centro della fronte, in modo da distendere nuovamente la sua fronte.
«Significa che se me ne dovessi andare da qui tutti saprebbero che mi sono schierato con l'esercito avversario e i miei genitori, come anche i miei amici, rischierebbero di finire nei guai per colpa mia. Non voglio che ciò accada».
Vidi una scintilla di qualcosa d'indefinito nei suoi occhi e l'istante dopo le sue labbra erano contro le mie.
Fu il mio turno di aggrottare le sopracciglia: «Cosa ho fatto per meritarmi un bacio?»
«Te lo meriti perché penso che sia la prima volta che ti sento fare un ragionamento non egoistico».
Sbuffai scocciato, regalandole però poi un sorriso: «Ti ci dovrai abituare al mio egoismo».
«Ma io ci sono già abituata».
La sincerità nella sua voce mi provocò una fitta all'altezza del petto.
Come avevo potuto allungare una mano e prenderla per soddisfare un mio semplice capriccio? Ma soprattutto: come mi era potuto venire in mente che standoci insieme mi sarebbe passata l'ossessione che provavo nei suoi confronti?
Ero stato pazzo e cieco fin dal primo momento, non volendo capire e vedere che stavo rischiando di finire incastrato in qualcosa che non avrei saputo controllare e che mi avrebbe fatto male.
Ed ora eccomi lì: innamorato di Hermione Granger.
E il bello era che non mi facevo nemmeno schifo.
Che razza d'incantesimo mi aveva fatto? O aveva usato l'Amortentia?
«Rimango con te allora, li aiuteremo dall'interno», mormorò, facendomi l'occhiolino.
Le sue parole mi resero felice, anche se non avrei saputo dire precisamente il perché.
«C'è solo un problema», sussurrò, prendendo un altro biscotto dal vassoio della colazione e portandoselo in bocca.
Masticò piano, muovendo le labbra carnose in quel suo modo ingenuamente seducente, prima di scoccarmi un'occhiata seria e determinata: «Ho bisogno di una nuova bacchetta».
Aggrottai le sopracciglia a quella parole, sapendo perfettamente che non sarebbe stato affatto facile accontentarla.
Olivander si trovava imprigionato proprio in una delle stanze adibite a cella all'interno della scuola e, anche se l'avessi liberato non avrebbe potuto su due piedi costruirle una nuova bacchetta... avrei potuto commissionarne una però. Mio padre era amico di un giovane artigiano di bacchette bravo quanto Olivander e se gli avessi chiesto un favore forse...
«Potrei intanto provare la tua, magari funziona e a quel punto non avremmo bisogno di una nuova nell'immediato».
Aggrottai ulteriormente la fronte. Non era un mistero che odiassi condividere le mie cose; cosa le faceva pensare che le avrei fatto usare tranquillamente la mia bacchetta? E se me l'avesse rotta? Inorridii a quel pensiero, sbiancando in modo evidente.
«Non dirmi che hai paura che te la rompa!», urlò Hermione, guardandomi come se si fossi stato un bambino di due anni.
«Bisogna sempre considerare tutti i possibili scenari», spiegai, cercando di giustificarmi.
«Inizia allora a considerare lo scenario in cui, a partire da questa notte, dormi sul divano».
Sbarrai gli occhi, fissandola con un misto di sorpresa e incredulità.
Era impazzita? Non le avrei permesso di allontanarmi dal letto dove lei dormiva nemmeno se fossimo stati una coppia sposata che litigava ogni giorno. Cosa che in effetti eravamo... tranne che per il particolare di essere sposati. Ma per quello avevamo tempo...
Mi spaventò quel mio pensiero, che in effetti non avevo mai avuto il coraggio di formulare prima. Perché doveva spuntare proprio in quel momento?
Accantonai il problema, deciso a rielaborarlo in un futuro molto più lontano.
«Pensi che mi faccia spedire a dormire sul divano senza fiatare, Granger?», le chiesi, assottigliando lo sguardo.
Sul suo viso comparve quell'espressione che sembrava volermi sbattere in faccia quanto fosse superiore a me, quando tirava fuori quel suo sguardo altezzoso e saccente avrei voluto prenderla a schiaffi, per poi strapparle le mutande e...
«Non solo lo penso, ne sono certa», disse con tono ovvio, tirando fuori quella sua vocetta piena di sicurezza che odiavo con tutto me stesso.
«Temo che tu ti stia sbagliando di grosso, gattina», mormorai, abbassando apposta la voce sull'ultima parola, in modo da renderla maggiormente seducente, nettamente in contrasto rispetto al tono aspro con cui avevo pronunciato il resto della frase.
La vidi fremere e mi chiesi se per il desiderio o per la rabbia repressa: «Io penso invece che quello che si sta sbagliando di grosso sia tu, furetto».
Il suo tono acido mi fece ghignare: «Mettimi alla prova».
Vidi il suo sguardo assottigliarsi ulteriormente, tanto che mi era quasi del tutto impossibile vedere il colore scuro e tendente al colore del cioccolato amaro dei suoi occhi: «Va bene. Questa notte dormirai sul divano».
Si allontanò subito; sedendosi ad una quarantina di centimetri da me, ostentando uno sguardo freddo e impenetrabile. Ma io sapeva che tutto ciò che voleva era che facessimo la pace.
E io sapevo perfettamente come fare per levarle di dosso lo strato di ghiaccio che le era spuntato addosso nel giro di dieci minuti.
Senza pensare davvero a quello che stavo facendo le afferrai con forza la gamba sinistra, muovendola in modo da allontanarla abbastanza dall'altra così da potermici infilare in mezzo coi fianchi.
Era sconvolta, coi grandi occhi scuri sbarrati, ma nel suo sguardo lessi esattamente quello che speravo di trovarci: voleva essere sedotta.
«Solo se dormi sopra di me», le sussurrai all'orecchio, cominciando a baciarle piano il collo e la clavicola.
«Smettila», la sua protesta suonò debole alle mie orecchie, così continuai, sollevandole la maglietta, e ricevendo da parte sua un pugno sul braccio che mi fece solo ridere sommessamente.
Cominciai a leccarle con fin troppo interesse l'ombelico, sentendola tesa sotto di me, come se non volesse dimostrarmi quanto le piacevano le mie attenzioni.
"Fai la dura, Granger?", pensai, sfoderando il peggiore dei miei ghigni, mentre seguivo con le dita le fossette dei suoi fianchi, trovandole maledettamente sexy.
«Basta, Malfoy».
Possibile che la sua voce mi fosse sembrata un miagolio?
Ripensai a quando avevamo fatto l'amore e poi un pensiero improvviso mi attraversò la mente, facendomi sorridere contro la sua pancia: «Ho ancora un vecchio favore da ricambiare».
L'istante successivo avevo intrufolato una mano dentro le sue mutande, ormai tornate ad essere le mie, dato che l'incanto si era concluso.
Era calda bollente e... bagnata.
Le morsi piano la pancia, muovendo le dita dentro di lei.
Il suo forte gemito mi fece capire che avevo vinto.
«Vuoi ancora che dorma sul divano?», chiesi, raggiungendo con la bocca l'incavo tra i suoi seni, affondandoci il viso ed inspirando a fondo il suo odore.
«Sì», disse, riuscendo a ostentare abbastanza sicurezza da farmi ridere.
«Vuoi che mi ferma?»
«Sì», questa volta la sua sicurezza era letteralmente evaporata.
Ricordai quella volta che, durante la festa di Lumacorno a cui mi aveva invitato, lei aveva barricato entrambi in bagno e aveva deciso di giocare col mio "amico dei piani bassi".
Dire che avevo fantasticato per anni su un momento simile era un eufemismo e quella volta, se non ci avessero interrotti, ero certo che mi sarei divertito parecchio.
Ero indeciso se continuare o fermarmi proprio sul più bello, sarebbe stato appagante in qualsiasi caso per me, sia che lei fosse stata soddisfatta o meno.
Volevo sottometterla e ce la stavo facendo: cosa volevo di più dalla vita?
Le sue mani si aggrapparono una al mio braccio e l'altra ai miei capelli, spingendomi a baciarla.
Giocai con le sue labbra, continuando però a torturarla con le dita.
«Draco», ansimò, cominciando a muovere i fianchi per venirmi incontro.
Era così cedevole, come cioccolato fuso tra le mie mani: dolce e calda.
«Mi vuoi, Hermione?», sussurrai contro le sue labbra, mordendogliele piano.
Vidi nei suoi occhi un lampo di paura: «No»
Quell'unico monosillabo mi fece più male della maledizione Cruciatus e, ferito dal suo rifiuto, mi allontanai; allo stesso modo in cui un animale sanguinante si ritira in un angolo per leccarsi un taglio mortale.
Rimanemmo a lungo a guardarci, il suo sguardo allucinato, come se non si fosse ancora resa conto di quanto mi avesse fatto male...
Non riuscii a rimanere in quella stanza un minuto di più, le lasciai il galeone sul comodino, insieme anche alla mia bacchetta e corsi fuori dalla mia stanza, mettendo all'ultimo il mantello nero.
Una volta fuori mi resi conto di non sapere bene dove volevo andare, ma una cosa era certa: qualunque posto sarebbe stato meglio della mia camera da letto.

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Eccomi qua :)
Coma va? Spero tutto bene :)
Ah, buona Epifania (anche se ormai è passata... Cosa vi ha portato di buono la Befana? A me troppo cioccolato, come al solito ^^')
Parlando del capitolo, che ve ne pare? Spero vi sia piaciuto :)
Colgo l'occasione per ringraziare tutti voi che continuate a leggere le mie storie e a far brillare tante tante stelline *^* come farei senza di voi? Spero di non doverlo mai scoprire...

Un bacione grosso grosso ❤️

LazySoul_EFP

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