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𝟮𝟴 | 𝗠𝗲𝗿𝗱𝗮, 𝗺𝗶 𝗵𝗮 𝗿𝗶𝗰𝗼𝗻𝗼𝘀𝗰𝗶𝘂𝘁𝗮!

«Cosa cuciniamo per pranzo?» mi chiede James, mentre si sdraia sul divano occupando tutto la spazio disponibile.

Alzo un sopracciglio, e lo guardo scettica, cercando di capire se scherza o meno.
È serissimo.
Parla davvero sul serio?
«Mi stai dicendo che tu vorresti cucinare di nuovo, dopo che abbiamo bruciato tutti i pancakes finché non è finito l'impasto?» chiedo, confusa.

Mi guarda. «E cosa vorresti mangiare? Le sedie? E poi i pancakes si sono bruciati perché, mentre li cucinavo, tu mi distraevi» ribatte.

Spalanco la bocca. «Ma te la spacco in testa, la sedia.» Incrocio le braccia al petto, offesa. «E poi non è vero che ti distraevo.»

«Sì che è vero.»

«No, invece.»

«Sì, invece.»

«No.»

«Sì.»

«E sentiamo genio, come avrei fatto a distrarti?» chiedo.

Lui gesticola. «Continuavi a ballare in quel modo ridicolo. Per un momento ho pensato che avessi preso una scossa.»

Lo guardo sconcertata. «Il mio modo di ballare non è ridicolo.» Gli punto un dito contro. «E poi potevi anche non guardarmi.»

Alza un sopracciglio. «Se non ti avessi guardata, quando sei inciampata avresti sbattuto la testa contro al tavolo perché io non avrei avuto i riflessi pronti per prenderti in tempo come, invece, ho fatto, e a quest'ora saresti morta.»

Distolgo lo sguardo. «Resta il fatto che il mio modo di ballare non è ridicolo» borbotto.

Poi ritorno a guardarlo. «Comunque, il pranzo lo ordiniamo.»

James sospira. «Va bene. Chiamiamo il ristorante cinese?»

«No. Mio cugino ci ha fatti cacciare. Si sono segnati l'indirizzo perché così non "avrebbero perso tempo a venire". Loro testuali parole.»

James mi fissa scioccato. «Come...?»

«Rissa con il cameriere» lo interrompo.

Lui sospira. «Ti piace il sushi?»

«Siamo stati cacciati anche da lì.» Mi fissa in attesa che io continui. «Colpa di mia madre.»

Ci sono degli attimi di silenzio, in cui lui è pensieroso.

Eh, probabilmente sta valutando l'idea di scappare da qua senza sembrare scortese.

Il suo sguardo si illumina.

«Ci sono!» esclama. «Perché non andiamo a mangiare al ristorante italiano qua vicino?»

Non ci sei proprio per niente.

«Beh...» inizio a dire, e deve aver intuito qualcosa dal mio sguardo, dato che il suo sorriso si spegne piano piano.

Sospira. «Fammi indovinare, siete stati cacciati anche da lì?»

Mi gratto la nuca, imbarazzata, e sposto il peso del mio corpo da un piede all'altro.
«Hai presente la vetrina del ristorante?»

«Sì...» fa lui, non capendo dove voglio arrivare.

«E hai presente che qualche anno fa, durante la notte, avevano rotto il vetro e svuotato la cassa, e quindi avevano messo degli allarmi?» chiedo, retoricamente.

Il suo sguardo da confuso diventa scioccato, perché deve aver capito cosa sto per dire.

«Indovina chi sfondato il vetro con la macchina, dopo aver sbandato per evitare di investire un animale che è corso in mezzo alla strada, facendo così attivare l'allarme e arrivare due volanti della polizia, i proprietari, un'ambulanza, un elicottero, la cia, la Nasa e un prete per l'esorcismo?» dico, sarcastica.

James sbatte gli occhi velocemente. «Io non ho parole.»

Mi fissa e sembra rassegnato. «Ordiniamo una pizza o avete deciso di dare fuoco alla pizzeria?» chiede sarcastico.

Simpatico, davvero.
Dovevi sapere che la mia famiglia è stata maledetta.
Dovevi saperlo.

«Rilassati, non abbiamo dato fuoco al locale, però mio padre ha tipo rotto il naso ad un cameriere perché continuava a fissare la scollatura di mia madre. Però è successo più di un anno fa e non ci avevano chiesto dove abitavamo, quindi potremmo provare a ordinare la pizza da asporto» dico pensierosa.

James mi fissa, aprendo e richiudendo la bocca più volte, incerto della nostra sanità mentale.

«Okay, proviamo» dice poi.

Ordiniamo le pizze, chiedendo anche a gli altri come la vogliono, e aspettiamo.

Nel frattempo abbiamo acceso la televisione per passare il tempo, e James ha deciso di occupare nuovamente tutto il divano.

No, ma fai come se fossi a casa tua.
Mi casa es tu casa.

Lo guardo con sufficienza. «E io dove dovrei mettermi, scusa?»

Scuote la mano in aria. «Non lo so. Mettiti per terra.»

«Ma mettiti te per terra, questa è casa mia» ribatto.

Mi sorride diabolico. «Sì, ma io sono l'ospite.»

«Non mi interessa. Puoi anche essere Obama o Trump, io voglio essere comoda.»

«Al momento non è un problema mio.»

«Bene», dico semplicemente.

Sto per buttarmi a peso morto su di lui, quando suonano alla porta.

Faccio una smorfia, dopodiché vado ad aprire.
Davanti a me c'è un uomo vestito da pizza. E non scherzo.

Spero lo paghino bene per andare in giro vestito così.

L'uomo socchiude leggermente gli occhi, mentre mi fissa. «Tu?!» esclama ad un certo punto.

«Tu?!» gli faccio eco, nonostante non abbia la minima idea di chi sia.

Lo osservo per un po', e quando noto che il suo naso è leggermente storto, capisco di chi si tratta.

È l'uomo a cui mio padre ha rotto il naso.
Ma non faceva il cameriere?
Comunque, cara sfiga, non c'è bisogno che ogni giorno mi dimostri che esisti.
Questo lo so già.

Faccio finta di non essermi accorta niente. «Quanto le devo?»

«Lei dieci dollari, suo padre un nuovo naso.»

Merda, mi ha riconosciuta!

«Voldemort è senza naso eppure è famoso lo stesso. Ma di che si lamenta?» ribatto.

«Chi?» fa lui.

«Lasci perdere.» Prendo i soldi e glieli porgo, dopodiché mi giro per chiamare James e farmi dare una mano a portare le pizze in casa, ma vedo che era già dietro di me e che fissava male l'uomo.

Non c'è bisogno di dire niente che James mi aiuta e poi chiude, praticamente in faccia all'uomo, la porta.

Lasciamo le pizze sul tavolo e lo guardo, in attesa che capisca da solo e mi dia una risposta.

«Quello era il pervertito che fissava tua madre giusto? Ci sarà un motivo se tuo padre gli ha rotto il naso» dice.

Non dico niente, mentre lui mi mette un braccio intorno alle spalle e mi porta verso il divano.

«Siamo amici, giusto?»

«Giusto.»

«E tu sei una ragazza, giusto?»

«Fino a prova contraria» dico, e ridiamo entrambi.

«Sappi che io sono molto protettivo nei confronti dei miei amici e della mia famiglia.»

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