17. Trappola carnivora
Restarono in silenzio, seduti sotto gli alberi per un paio d'ore. Era piacevole, nonostante il freddo pungente, ascoltare la natura che li circondava.
Vari canti di uccelli, allietavano le loro orecchie.
Impossibile, per Majo, dare un nome a quegli uccelli. Ava lì sapeva riconoscere dal loro canto; avrebbe saputo dire se a cantare ora era la Cinciarella, il Pettirosso o uno Scricciolo.
Lei non aveva mai potuto imparare, anche se lo aveva desiderato tanto. Ava le diceva che ci sarebbe stato tempo per quelle frivolezze e che invece doveva impegnarsi a studiare la magia.
Perché sapeva che riconoscere il canto di un uccello rispetto a un altro, non le sarebbe servito a niente.
Era solo una perdita di tempo, nel suo caso.
Non era arrabbiata con lei, anzi. Ora che sapeva tutto, le era grata per averla tenuta lontana dai suoi pari, per non averle permesso di affezionarsi a nessun altro che non fosse lei e nonostante questo, di averle comunque insegnato che tutte le emozioni sono importanti, che tutti i sentimenti verso gli altri esseri viventi esistono. Disposizioni d’animo che vanno coltivate e mai sottovalutate, mai date per scontate.
Le aveva insegnato anche a non essere timida, ad essere sicura di sé stessa e della sua Magia, le aveva insegnato ad essere sola e forte, caparbia e responsabile. Le aveva insegnato a vivere senza di lei e nessun altro.
Capiva ora ogni decisione che aveva preso, ogni gesto che le aveva negato, la severità di cui si era servita in molte occasioni. Pensò che al suo posto, avrebbe fatto lo stesso.
Un sasso lanciato verso l’albero che le era di fronte, la fece uscire dai suoi pensieri. Arthur, poco distante, sembrava immerso in profonda riflessione tanto quanto lei. Cambiava espressione del viso e lanciava sassi, ora più forte, ora più piano, con la mente chissà dove : era buffo.
Ridacchiò e Amarok alzò il capo dalle sue gambe, infastidito. Abbaiò.
“Scusa, non volevo svegliarti così” rise Majo, accarezzandolo.
Lui la leccò su una guancia e lei lo baciò sul muso. Scodinzolò, felice e si alzarono entrambi, stiracchiandosi.
“Va meglio?” chiese Arthur.
“Meglio” confermò Majo.
L’ideale sarebbe stato dormire, ma andava bene anche così.
Xander tornò, annunciato dall’accecante luce dorata. Sembrava riposato anche lui.
“Torniamo al villaggio, allora?” chiese.
Majo, in tutta onestà, non aveva voglia di tornarci. Voleva andare avanti. Ora che aveva i tre cristalli, doveva sbrigarsi a mettere a punto il suo personale Disegno Magico e raggiungere il Regno di Antaria, che non era più tanto lontano.
Lo disse ai ragazzi, sincera come sempre riguardo la questione.
“Per me non c’è problema” disse subito Xander.
“Saremo più lenti senza i cavalli, ma possiamo sempre procurarcene altri. La nostra roba ce la siamo portata dietro per fortuna: se vuoi procedere, andiamo. Anche se, mi dispiace lasciare il Clan degli Erbana in questo modo” argomentò Arthur.
“Gli Erbana non si offenderanno, vedrai. Lo sanno che dobbiamo procedere e poi li rivedrete al ritorno e non solo: avete delle questioni da discutere, a quanto ho inteso” disse Majo.
“Li rivedrete? Li rivedremo, vuoi dire” la corresse Arthur, accigliato.
“Si, certo!” sorrise Majo, il cuore che batteva forte per l’errore commesso.
Per uscire dall’impaccio, disse che per non girovagare inutilmente nella foresta e perdere tempo, avrebbe disegnato un cerchio magico con dentro una freccia che avrebbe indicato la direzione da seguire per uscirne fuori. Non ricevette risposta, solo sguardi sospettosi.
Ogni tanto, quando era necessario, faceva ricomparire il cerchio e procedevano nella direzione indicata.
Questo comportava tenere attiva la pietra di ametrino per tutto il tempo, ma per Majo valeva la pena spendere quella energia.
“Quindi, ora che abbiamo i tre cristalli, dobbiamo solo raggiungere la città di Antaria e potrai eseguire la tua Magia?” chiese Arthur, dopo diversi attimi di silenzio.
Majo confermò ma Xander intervenne: “Non mi avevi detto che dovevi cercare anche i simboli del Dio?” domandò.
Si dimenticava sempre quanto quei ragazzi fossero attenti ai dettagli.
“Ce li ho già. Li ho sempre avuti in un certo senso” rispose.
“Oh, bene!” si congratulò Arthur.
“Majo, mi hai detto chiaramente che dovevi trovare degli elementi, dei simboli del Dio e della Dea. Non ce li avevi affatto!” ribatté Xander.
Majo sbuffò: “Non sapevo di averli già, l’ho scoperto in seguito” disse.
“E perché non ce lo hai detto?” insisté Xander.
“Non potevo” rispose.
“Ovviamente” alzò gli occhi al cielo lui.
“Ora puoi dircelo?” chiese Arthur.
“Non è il momento” disse, procurando un verso rassegnato in Xander.
Francamente riteneva che fossero pronti a saperlo, ma sentì un sussurro interiore che le suggeriva di aspettare.
Era l’influenza del cristallo nero, forse.
Sul far del tramonto, iniziò a piovere finemente e i rombi di tuono del temporale si aggiunsero a quelli provocati dai loro stomaci affamati.
Si fermarono per dare modo a Majo di eseguire l’incantesimo della vista notturna sui loro occhi e, sguardo attento, cercarono un luogo adatto per sistemare un riparo di fortuna.
Con la vista disturbata dalla pioggia, Majo si fermò all’improvviso, scrutando davanti a sé. La freccia aveva indicato che dovevano procedere dritti, verso quell’intrico di erba alta e incolta e le sembrava di intravedere qualcosa, al di là.
Ad oscurare la visuale, oltre alla pioggia, c’erano una moltitudine di lunghi steli che ospitavano innumerevoli fiori di colore bruno-giallo dal forte odore dolciastro e zuccherino.
Gli steli senza fiori erano invece caratterizzati, a intervalli regolari, da foglie grandi e larghe, la base a forma di scudo, la punta come una lancia e il margine esterno ondulato; erano avviluppate attorno agli alberi che erano intorno.
Oltre quell’ erba fitta, c’era qualcosa ed era lì che la freccia stava indicando di andare.
Arthur finì quasi addosso a lei, quando si fermò.
“Scusa” alzò le mani.
“Non vedo niente con questa pioggia. Perché ti sei fermata?” chiese a voce alta, per sovrastare il rumore della gocce sulle piante.
“Mi sembra di vedere qualcosa laggiù. Una costruzione in pietra” disse, indicando con l’indice.
“Sembra di si” confermò Xander, aguzzando la vista.
“Andiamo allora. Attendiamo lì che smetta di piovere” disse Arthur.
Dovevano per forza passare attraverso quell’alta erba, tra quei strani fiori, per raggiungere il riparo. Majo, aprendosi un varco con l’aiuto del bastone, affondò per prima il piede nel mezzo di quel verde; l’erba e gli steli fioriti che le arrivavano alla spalla.
Xander alla sua destra e Arthur a sinistra, si facevano strada spostando con le mani tutto quel verde.
In modo inatteso, Majo sentì che qualcosa si attorcigliava stretto attorno alle sue gambe, poco sotto al ginocchio, inchiodandola sul posto. Quell’erba, quei lunghi steli adorni di foglie, le si attorcigliarono anche attorno ai polsi.
Era in trappola.
Inutile avvertire del pericolo: la stessa sorte era già toccata ai suoi compagni, solo che Xander riuscì a sguainare la spada in tempo, prima che gli steli si attorcigliassero attorno alle sue braccia, fino al polso.
“Che succede?” esclamò Xander, osservando sorpreso la lama della sua spada: era bianca smagliante.
Pareva fatta d’osso.
Majo sorrise nonostante la situazione tragica. Aveva avuto ragione nel pensare che fossero pronti, peccato che quello non fosse proprio il momento adatto per le spiegazioni.
Arthur starnutì.
“Possiamo pensare dopo alla tua spada, Xander?” si arrabbiò.
Diversi steli carichi di fiori si erano allungati verso di lui, a carezzagli il volto, mentre un altro stelo gli si avvinghiava attorno alla vita e alle braccia, avviluppandolo in un abbraccio stretto.
Inutilmente, si divincolava.
“Fatemi pensare, fatemi pensare” bisbigliò Majo.
Chiuse gli occhi, respirando piano, a cercare la calma in mezzo a quel groviglio di guai. Si ricordò del racconto di Levine della sera prima, che parlava di una pianta carnivora che stavano tenendo d’occhio perché cresciuta a dismisura.
Era questa, senza dubbio.
Si soffermò a sentire le onde e le vibrazioni che da essa provenivano.
Aprì gli occhi.
Sapeva cosa fare.
In quei pochissimi attimi in cui aveva chiuso gli occhi, la situazione era già peggiorata. Alcuni fiori erano cresciuti in fretta, diventando ciò di cui Levine e i suoi amici avevano raccontato: la trappola.
Si trattava di una coppa lunga, ovoidale, che permetteva alla pianta di ingerire la preda designata. Diventava sempre più grande, seguendo una crescita accelerata. Normalmente, la crescita sarebbe stata lenta e graduale e si sarebbe arrestata una volta giunta alle sue classiche dimensioni, giuste per rinchiudere dentro un grosso ratto, il suo pasto preferito ma, ora invece, continuavano a crescere e presto sarebbero stati chiaramente in grado di intrappolarli e ingurgitarli per intero.
Xander, muovendo con difficoltà i polsi, riuscì a colpire con la spada uno stelo pieno di fiori che gli era davanti e che non era ancora in trasformazione ma, non successe nulla.
La spada non lo recise, come se fosse fatta di carta.
“La spada non funziona!” urlò, disperato, continuando a colpire.
Guardò terrorizzato verso Arthur, il più vicino alle trappole in crescita.
“Xander non colpire i fiori! La tua spada non può uccidere” urlò Majo.
“Perché no? Cosa significa?” domandò.
“Ascoltatemi attentamente!” esclamò a gran voce ai compagni.
“Xander, devi occuparti delle trappole, di quei contenitori che stanno crescendo. Arthur, tu invece devi attaccare i fiori. Sguaina la spada!” ordinò.
“Non posso! Sono bloccato!” urlò Arthur, nel panico.
Majo guardò Xander.
“Vai!” disse, e lui agì.
Mosse la spada come meglio potè verso la trappola più vicina.
Ma non la colpì con forza. Si fermò a sfiorarla appena.
Grande quasi quanto la sua testa, essa bloccò la sua crescita, si staccò dal suo picciolo e cadde a terra.
Continuando a sfidarle in questo modo, riuscì a liberare le proprie gambe dagli steli, avanzare e raggiungere Arthur. Riuscì ad eliminare le trappole che lo avevano circondato e, quando lo stelo appartenente a una delle trappole arrese lasciò al Principe le braccia libere, egli sfoderò la sua spada, la cui lama era completamente nera.
Senza fermarsi alla vista di quella novità, la usò con forza e violenza contro i fiori, recidendoli.
Xander e Arthur, lottando insieme uno affianco all’altro, si avvicinarono a Majo che si trovava al centro di quell’intrico di fiori e trappole. Quando anche lei fu libera, uscirono dal corpo di quell’enorme pianta, dalla parte opposta da dove erano entrati, sfiorando e recidendo al loro passaggio le vittime che gli spettavano.
Majo uscì svelta con un salto da quella terribile insidia e disegnò con il bastone, nella terra, il cerchio con il simbolo dell’equilibrio; svincolò i fiori dal troppo bene e le trappole dal troppo male.
La pianta carnivora, dopo essere stata immersa nella luce viola dell’incantesimo per alcuni minuti, tornò se stessa, quella che era sempre stata; immobile.
Majo, Xander e Arthur, con il fiatone, disordinati, bagnati fradici dalla pioggia che non aveva smesso di battere, graffiati e spaventati, si lasciarono cadere a terra, seduti.
Si scambiarono solo degli sguardi, senza proferire parola.
Majo, ormai stremata, spense la pietra di ametrino, raccolse un lungo legno da terra e, nonostante fosse bagnato, lo accese, con la magia, spegnendo invece la vista notturna per lei stessa e i ragazzi: non riusciva più a reggerla.
Nel buio totale, con quell’unica piccola fiammella a fare luce, si rialzarono.
“Mettiamoci al riparo” disse Majo, indicando la costruzione in pietra che si stagliava a pochi passi da loro.
Trascinando i piedi, arrivarono di fronte alla misteriosa costruzione che per raggiungere gli era quasi costata la vita.
Arthur zoppicava ma liquidò la preoccupazione dei suoi compagni con una smorfia indifferente : "Non è grave; solo una storta" disse.
A obiettivo raggiunto, capirono di trovarsi di fronte ad un minuscolo Tempio.
La pietra usata per innalzarlo era ormai verde di muschio e l’erba era cresciuta selvaggia tra le crepe e ai suoi piedi. Non c’era la porta, l’ingresso era libero da impedimenti.
In alto, inciso nella pietra c’era un simbolo. Majo si illuminò quando lo vide.
“Quello è il simbolo del Dio” informò i ragazzi, sorridendo.
“Direi che non c’è luogo più adatto di questo per mettervi a conoscenza dei fatti” si passò una mano sugli occhi stanchi.
“Quali fatti? Ci mostrerai i suoi simboli, quelli di cui parlavamo prima?” chiese Arthur.
“Si. Capirete come usarli” rispose, lo sguardo puntato sul Tempio.
“Li dobbiamo usare noi? Io e Arthur?” chiese Xander, in tono sorpreso.
“Esatto” confermò Majo, entrando nel Tempio.
Simbolo del Dio:
Il Simbolo della Dea:
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