10. Tribolazioni
Camminando piano, il corpo che iniziava a sentire il peso della magia usata fino a quel momento, Majo raggiunse la taverna e trovò Arthur e Amarok fuori.
Quest'ultimo steso, alzò la testa quando la sentì arrivare; il Principe camminava avanti e indietro con aria preoccupata:
“Majo!” esalò, sollevato.
Amarok barcollò da lei, lasciandosi accarezzare ma Xander prese presto il suo posto. Tenendosi il fianco ferito, afferrò Majo per il colletto del mantello e con espressione arrabbiata le disse: “Non ti azzardare mai più a impedirmi di tornare, Strega!”.
Majo lo guardò senza impressionarsi della sua minaccia.
“La questione non ti riguardava. Dovevo tenerti fuori” disse, fredda.
Arthur si avvicinò e allontanò Xander dalla ragazza.
“Majo ti ho assecondata però non capisco: non bastava chiamare il Demone per sistemare le cose? Quella donna poteva occuparsi da sé del figlio a quel punto” disse, accigliato.
Majo era troppo stanca per inventare storie.
“Quella Guaritrice credeva davvero quello che ha detto sui gemelli e la madre era troppo debole e spaventata da quella credenza per poter ribattere. Non sarebbe cambiato niente. Li avrebbero divisi” disse, sbrigativa.
“Ma che ti importa?” sbottò Xander, voltandosi verso di lei.
Majo si infuriò, suo malgrado.
“Perché so cosa vuol dire!” urlò in faccia a Xander.
“L’assenza costante e dolorosa di un gemello non passa mai. Ti rimane per sempre! Molti credono che essere gemelli, soprattutto di sesso diverso, sia un male. Ma non è vero! Io non ho ricordi del mio gemello ma sento la sua assenza molto forte. Sempre!”.
Xander distolse lo sguardo per primo; schioccò la lingua e le voltò le spalle. Raggiunse il muro e vi si appoggiò, di nuovo pallido.
“Majo…. Mi dispiace! È successo anche a te, vi hanno separati?” chiese Arthur, stringendole una spalla, comprensivo.
“No. È morto insieme ai miei genitori e a tutto il resto del Clan, la notte del rogo a Shalm” rispose, guardandolo.
Non era necessario che la ragazza dicesse altro. Conoscevano tutti quella storia: il pazzo Re Heinrick che durante la Grande Guerra, terrorizzato dall’idea che il Clan del Caos potesse ostacolare il suo folle piano di conquista, ne ordinò lo sterminio.
Sorprese durante la notte, con l’aiuto di un Mago e una Strega votati alla magia Nera, le streghe non avevano avuto scampo.
“Come è possibile che hai un gemello maschio? Non sei la primogenita? Non dovresti avere una gemella?” chiese Xander, in tono neutro.
Arthur lo guardò male, come a rimproverargli quella domanda priva di tatto ma Majo rispose, dopo aver preso fiato e ripreso il controllo di sé :
“È una storia rara infatti. Mia madre era una Strega del Caos, mio padre un Mago del Cielo. I due Clan non si frequentavano molto, proprio per evitare queste unioni: ognuno vuole un primogenito come successore magico. Ma i miei genitori si amavano e non gli importava di primeggiare per avere un erede. Volevano solo avere un figlio. Poi scoprirono che mia madre aveva due cuori dentro di sé ma mai si sarebbero aspettato che fossimo di sesso opposto” raccontò, togliendosi il cappello è rigirandoselo tra le mani.
“Da subito abbiamo mostrato i nostri poteri, situazione rara anche questa e sicuramente possibile proprio perché gemelli. Senza dubbi, io ero una strega del Caos e lui era un Mago del Cielo” agganciò il cappello alla cintura e si passò una mano sugli occhi stanchi.
Come se niente fosse, cambiò argomento. Non voleva più discutere di questo.
“Hai preso una stanza?” chiese ad Arthur, che annuì.
“Adesso ascoltami bene, Xander” si avvicinò a lui e gli puntò l’indice sul petto, guardandolo torva.
“Togliti di torno e lascia che mi occupi di Amarok. Invece di una settimana, gli basteranno due o tre giorni al massimo per guarire. Tornerai solo e soltanto quando te lo dirò e non provare a ribellarti o sarò costretta a usare le maniere forti. Kirio mi ha avvertita di non perdere troppo tempo” disse.
Si scambiarono uno sguardo ostile, prima che la luce dorata si prendesse Xander.
Il proprietario della taverna, tale signor Goro, un anziano dalla faccia arcigna che zoppicava svelto, non era d’accordo affinché il lupo entrasse nel suo locale ma Arthur, grazie al suo status di principe, fu d’aiuto e ottennero il permesso.
Adagiato sul letto, Amarok si lasciò coccolare da Majo per poi attendere con pazienza che organizzasse il necessario per curare la sua ferita.
Di media profondità, già pulita e disinfettata dalla Guaritrice della Clinica, Majo vi applicò delle foglie di Erba della Tigre e fasciò il tutto con delle nuove bende che Arthur si era fatto procurare.
Il sollievo della cura balenò negli occhi di Amarok che manifestò la sua gratitudine strofinando il muso sulle gambe di Majo.
Arthur ottenne anche che fossero serviti della cena nella loro stanza e la consumarono quasi in silenzio, molto provati dalla giornata.
Arthur infatti, poco più tardi, si distese accanto al lupo tirando fuori un sospiro stanco. Nascose gli occhi dietro un braccio e protese l’altro verso Amarok, dedicandogli una carezza. Lasciò la mano affondata tra il suo pelo.
Anche Majo, sfinita, si sdraiò dall’altro lato del suo famiglio, che le dedicò un sguardo intenso.
Arthur si alzò all’improvviso, facendo sobbalzare Amarok e Majo.
“Vado nella mia stanza” annunciò.
“Hai preso un’altra stanza?” chiese Majo.
“Certo. Non è… appropriato che io rimanga qui per la notte” disse.
Majo ridacchiò: “Puoi rimanere Arthur. Amarok e Xander lo vorrebbero e io non ho niente in contrario”.
Il Principe sembrava combattuto ma alla fine si stese di nuovo: “Resto per un altro po' magari” borbottò.
Di nuovo calò il silenzio.
Ma, l’atmosfera calda e tranquilla che si era creata grazie alla fuoco acceso nel piccolo camino, non riuscì a rilassare la mente di Majo che rimaneva concentrata sul pensiero dei gemelli: contenta di aver risolto la questione, lasciò però che la sua ferita abbandonasse il nascondiglio mentale in cui l’aveva relegata. Si strofinò piano il fianco destro, avvertendo il familiare brivido di nostalgia.
“Probabilmente il tuo gemello si trovava alla tua destra mentre eravate nel ventre di vostra madre” le disse la nonna, quando lei rivelò quella strana sensazione che non riusciva mai veramente a scrollarsi di dosso.
“Vi consiglio di non perdere tempo in inutili romanticherie” la voce profonda di Kirio sostituì quella dolce della nonna.
Facile a dirsi!
Majo sospirò: davvero non si aspettava che questo viaggio fosse anche un pellegrinaggio tra emozioni e sentimenti, ricordi e lotte interiori.
Di certo non avrebbe mai immaginato di avere al suo fianco due compagni.
L’ultima volta, la Magia era stata compiuta da tre Streghe del Caos ma ogni storia è a sé e, in mancanza di altre Streghe del Clan, Arthur e Xander erano stati scelti.
Due ragazzi che non sapevano veramente a cosa stavano andando in contro; due estranei alla magia in generale e alla Magia Meika in particolare; due giovani eroi così diversi e così uguali e a cui toccava spiegare ogni cosa a poco a poco.
Era piuttosto stancante e a tratti seccante, ma allo stesso tempo averli al suo fianco era confortante e divertente, sorprendente e nuovo.
Ma Kirio aveva ragione.
Doveva restare concentrata; niente più deviazioni di percorso, basta con le romanticherie.
Se la situazione stava cambiando così in fretta come il Demone aveva detto, e gli credeva ciecamente, significava che presto si sarebbero trovati di fronte non più a questi atti deplorevoli ma comunque ancora da considerarsi ‘ordinari’, ma a molto peggio.
Demien, Maher e Cassio, gli abitanti della Casa dei bambini e le Donne della Carità erano appena all’inizio del loro agire ma, più il tempo passava, più la situazione si aggravava, più la differenza si rimarcava. Sempre di più il Bene e il Male si allontanavano l’uno dall’altro.
Si girò dall’altro lato, verso Amarok e vide che era sveglio. Il lupo poggiò una zampa sulla sua mano, a confortarla.
Anche Arthur era sveglio: lo sguardo triste, tormentava il ciondolo del bracciale che Majo aveva creato per lui.
Non fu difficile per la strega capire i suoi pensieri.
Decise di intervenire.
Non era una romanticheria quella.
Solo un aiuto necessario alla causa.
“Arthur” lo chiamò.
Lui si voltò di scatto, come se si fosse dimenticato della sua presenza.
“Sei in perfetto equilibrio. Lo sei sempre stato” disse, sorridendo.
“Sei sicura?” chiese, apprensivo.
“Quello che stai provando in questo momento ne è la prova” confermò.
Arthur tornò a guardare il ciondolo e annuì.
“Non avevo mai tolto la vita a nessuno e sono scosso ma non quanto mi aspettassi. Una parte di me è soddisfatta per quello che ho fatto” confessò in un bisbiglio, sempre senza guardarla.
“Ho sentito un fuoco dentro di me. Volevo ucciderli tutti e l’ho fatto, senza preoccuparmi di niente. E sono deluso di me per non aver salvato Igeo. Sono arrivato tardi per lui”.
Majo invece si vergognò per un attimo di se stessa: aveva completamente dimenticato Igeo.
“Non è colpa tua se Igeo è morto” disse, costringendosi a non piangere.
“Avrei dovuto aspettare che tu facessi l’incantesimo. Forse quei tre si sarebbero salvati. La giusta punizione per loro era quella di essere consegnati alla Legge” parlò di nuovo Arthur, dopo qualche attimo di silenzio.
Majo si alzò a sedere, lo afferrò per il braccio e lui si voltò a guardarla.
“Hai agito secondo quanto la situazione richiedeva di fare. Se non li avessi uccisi, loro avrebbero ucciso noi” disse.
“Lo so, però, se avessi tenuto a bada la mia rabbia, se avessi solo impedito loro di farvi del male senza uccidere, come stava facendo Xander, tu li avresti potuti liberare. Doveva andare così” si tormentò.
Majo dovette fare appello a tutta la sua determinazione per non rispondere come avrebbe voluto. Erano già arrivati alla questione ma non poteva ancora rivelare nulla; non era tempo. Prese un respiro, prima di rispondere.
“Li avrei liberati ma non è certo che li avrei salvati. Forse sarebbero morti comunque. Non possiamo saperlo” specificò Majo.
“Con questo non sto dicendo che hai fatto bene a ucciderli ma non hai nemmeno sbagliato. È solo successo perché la situazione è precipitata. Capisco come ti senti ma crogiolarti nel senso di colpa non ti porterà da nessuna parte. Hai ucciso per salvare. È quello che accade durante la guerra, e questa situazione in un certo senso lo è” concluse con un sospiro.
Amarok abbaiò come a dire che era d’accordo.
Arthur sorrise alla Strega.
“Le tue parole e i tuoi consigli hanno sempre il giusto senso” disse, stringendole la mano che lei ancora aveva sul suo braccio.
“Quando sarò Re, mi piacerebbe averti al mio fianco come Consigliera” annunciò.
“Dovrai scegliere un Mago del Cielo, lo sai” rispose Majo, distogliendo lo sguardo e sfuggendo alla sua presa.
Avvertì un peso nel petto; non voleva parlare del futuro.
“Cambierò le regole” alzò le spalle, ridacchiando.
Il suo umore era migliorato.
“Offerta allettante principe, ma non passerò la mia vita a badare a te” cercò di scherzare.
Il mattino successivo, Majo si svegliò abbracciata ad Amarok e Arthur non c’era. La ragazza non si era nemmeno accorta che era andato via e tanto meno ricordava di essersi addormentata.
Restarono in quella taverna per altri due giorni. Non si separavano mai e Amarok migliorava a vista d’occhio, accudito e coccolato dai due amici, soprattutto da Majo.
“Li stai viziando troppo, Majo” la rimproverò Arthur, parlando al plurale.
Il principe, poggiato al muro con una spalla, le braccia incrociate, guardava fuori dalla finestra le cui imposte, di tanto in tanto, sbattevano a causa del forte vento. Sbadigliando annoiato, lasciava vagare lo sguardo sulla strada deserta.
La sera era giunta da un pezzo e avevano anche già cenato.
Seduta sul tappeto rosso di fronte al fuoco, Majo leggeva il suo Libro, reggendolo con una sola mano mentre con l’altra accarezzava il testone di Amarok, poggiato sulle sue gambe.
Ogni tanto il lupo faceva involontariamente uscire dei versi di approvazione.
“Quando si è malati è un bene ricevere qualche attenzione in più” rispose, senza staccare gli occhi dal libro.
Amarok alzò la testa per ringhiare il suo disappunto verso Arthur, poi tornò nella posizione di prima.
Arthur ridacchiò.
All’ennesimo sbadiglio del principe, Majo chiuse il libro facendo sbattere rumorosamente le due parti tra di loro e le cinque candele, inserite nel portacandele argentato poggiato sul cassettone, si accesero, in contemporanea alle altre cinque, inserite nel portacandele posto sul piccolo tavolinetto tondo, accanto alla porta.
“È il momento di controllare la ferita, Amarok” disse Majo.
Arthur li raggiunse sul tappeto, osservando i lenti e delicati movimenti della ragazza. Soddisfatta, con un gran sorriso afferrò Amarok per la testa e lo baciò sul muso.
“Ci vediamo presto lupetto” sussurrò, guardandolo negli occhi.
“Xander, puoi tornare ora” ordinò con decisione.
La consueta luce dorata apparve immediatamente e Majo si trovò tra le mani il volto del ragazzo.
“Ciao, Cavaliere” lo salutò.
“Ciao, Strega” sorrise lui, la voce un po' arrochita: dopotutto non parlava da tre giorni.
Si alzò in piedi e si stiracchiò per bene.
“Come ti senti?” si informò Arthur, affiancandolo.
“Non ero mai stato così tanto tempo dentro Amarok. Mi sento strano!” esclamò.
“Ma sono in ottima forma” specificò, alzando le braccia, i pugni chiusi, a mostrare i muscoli.
“Bene!” esclamò Majo, le mani poggiate sui fianchi.
“Xander, tu e Amarok vi dovete separare” annunciò, a sorpresa.
Basta perdersi in inutili romanticherie.
Quello che doveva essere fatto, doveva essere fatto e basta.
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