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12 - Un buon rifugio non le bastava

C'erano due bambini forse sui nove anni, che stavano sempre insieme, forse erano fratelli anche in senso biologico, poi c'era una quattordicenne che si era fatta vedere solo un momento per poi dileguarsi al piano di sopra e una ragazza più grande, ma anche lei era entrata solo un momento per poi uscire di nuovo. I coniugi Paulson erano al centro di questa nuvola di gioventù, il loro non era un istituto come «I Figli dell'avvenire», erano una famiglia affidataria con una casa enorme e gli assistenti sociali facevano sì che le pratiche burocratiche dei bambini che gli davano si incagliassero, così da lasciarli lì, al sicuro, seppur condannati a una perpetua instabilità anagrafica. Francis aveva visto trucchi del genere in ogni angolo del paese, quello che contava era che i Paulson sembravano brave persone, la casa era pulita e c'era in effetti un sacco di spazio. Il sobborgo di Chicago dove si trovavano sembrava realmente tranquillo, tranquillo nella maniera che intendeva lui, ovviamente, ma anche tranquillo perché lì non si erano mai visti né fantasmi né streghe.

«Io ci penso ancora.» disse la signora Paulson «Non era una ragazzina felice. Non avrebbe potuto esserlo, con quello che le era capitato. Avevamo cambiato già due terapisti, non riuscivano a venirne a capo. Non parlava molto, ma era una brava ragazza, si prendeva cura dei più piccoli, ai tempi Oscar e Theodore avevano sei anni e l'adoravano, nonostante tutto.»

Erano nel loro salotto, in mezzo al tavolo c'erano tè e biscotti. Sylvia ascoltava con attenzione, ma ogni tanto si distraeva a guardare qualcosa. Dall'alto della sua esperienza Francis sapeva che Sylvia non aveva messo in conto che quella ricerca l'avrebbe messa a confronto con la sua situazione, con la perdita dei suoi genitori e con quello che era diventata la sua vita. Era già la seconda volta che la vedeva così stressata e timorosa.

«Ma quando è scappata di casa cosa avete fatto?»

«Abbiamo chiamato l'autorità, le solite cose. Ci sono altri ragazzi che l'hanno fatto, ragazzi che si sono fermati da noi meno tempo. Fa parte anche quello della routine, purtroppo qui non abbiamo molto modo di controllarli, ci fidiamo. Quando arrivano casi problematici che non vogliono adattarsi dopo un po' ce li tolgono e li mandano da qualche altra parte. Però quelli prima di lei che sono scappati li hanno trovati tutti, sono ragazzini, in fin dei conti. Lei non l'abbiamo mai trovata.» Profondo respiro. «Statisticamente spesso significa che le è successo qualcosa di brutto.»

«E' viva.» disse di getto Sylvia. «Solo che non si è fatta prendere.» Era un'affermazione piuttosto precisa. Poco dopo che erano entrati in casa era andata in bagno e aveva consultato il pod, quando era uscita per riunirsi a Francis l'aveva guardato e aveva annuito.

«Nessuno voleva farle del male.» disse il signor Paulson, quasi offeso.

«Voi no.» si limitò a dire Sylvia.

Francis capì che ne stava perdendo il controllo, le strinse una mano, facendola sobbalzare. «Sylvia, magari è meglio se parlo solo io con i signori, per il momento, magari puoi prendere una boccata d'aria, andare in giardino...»

Lei non avrebbe voluto muoversi, ma comprendeva di essere più dannosa che altro così uscì. In un lampo Francis si accorse che così avrebbe potuto controllare il perimetro, nel caso venissero attaccati di nuovo. Non era una cosa a cui avrebbe mai pensato prima di quello che era accaduto a Salt Lake City.

«Le sta molto a cuore.» spiegò «Anche lei ha vissuto un dramma simile, come sapete in certe situazioni estreme si vengono a creare dei legami strani, ma molto forti.»

«Kyoko non ci aveva mai parlato di lei.» disse la signora Paulson, quasi sospettosa. Poi scosse la testa. «In realtà non ci ha detto quasi niente del suo passato.»

Francis sorrise benevolmente. «Immagino crediate assurda la nostra pretesa di rintracciarla ora.»

«Se riusciste... voi non avete idea... quanto ci farebbe piacere.»

«L'aiuto di Sylvia potrebbe portare nuovi elementi su cui indagare, ma prima dovremmo sapere dove si è fermata l'indagine precedente.»

Il signor Paulson si prese la radice del naso. Sia lui che lei dovevano avere una cinquantina d'anni. Erano entrambi professori universitari, sembravano le persone più calme del mondo e considerando quello in cui si erano infilati probabilmente lo erano. «Non è difficile, l'ultimo avvistamento è stato un tizio convinto che lavorasse in quel bar... il nome non lo ricorderei se la polizia non fosse passata quindici giorni fa a parlarmene di nuovo. Rabbit Cafè, le scrivo l'indirizzo.» L'uomo prese un foglio e cominciò a scrivere in bella calligrafia, uno stampatello quasi indistinguibile da un foglio stampato.

«Perché la polizia lo ha tirato fuori quindici giorni fa?» chiese intanto Francis, incuriosito.

La signora Paulson sbuffò stizzita. «Perché sono degli idioti.»

«Angela, ti prego.» cercò di fermarla il marito.

«Mi hanno dato tanto l'impressione che volessero prenderci in giro. Streghe! Fantasmi! E vengono qui a cercare collegamenti con Kyoko.»

Francis sentì i peli della nuca drizzarsi. «Streghe e fantasmi?»

«Hanno aperto un'indagine su quell'ondata di allucinazioni che sta attraversando la città. Dicono che non possono escludere che ci sia qualcosa di vero o qualche malintenzionato che vuole sfruttare la diceria. Dicono che al Rabbit Café ci sono stati degli avvistamenti di streghe e che queste streghe, secondo loro, sarebbero ragazze dell'età di Kyoko. Naturalmente senza poteri di sorta.»

«Naturalmente.» rispose rapidamente Francis, mentre gli veniva irrazionalmente da ridere.

«Non ho capito nemmeno quale è la loro teoria. Secondo loro Kyoko è volata via con una scopa?»

Era giunto il momento di consultarsi con Sylvia, Francis non credeva che i Paulson potessero dirgli di più. Prese il foglietto su cui il signor Paulson gli aveva segnato tutte le informazioni che aveva e si alzò, dicendo che sarebbe andato a recuperare la ragazzina.

«Vi fermerete a pranzo, quindi?» chiese la signora Paulson, sorridendo. Francis sapeva per esperienza che quel tipo di famiglie non metteva mai limiti al numero di posti che poteva mettere intorno alla tavola. Annuì perché glielo aveva già promesso entrando, per ben disporli nei suoi confronti, dopodiché andò in giardino.

Sylvia non stava facendo nulla per apparire normale. Si era messa in un angolo distante da tutto, dove il giardino della casa dei Paulson finiva in un groviglio di cespugli e sterpi e fissava una specie di rovo come fosse qualcosa di eccezionale. Oscar e Theodore, i due ragazzini, a loro volta fissavano lei, affascinati. Francis le si affiancò. «Credo di doverti avvertire che sei strana.»

«Zitto!»

Sylvia si lasciò cadere in ginocchio e trattenne il respiro, continuando a fissare il terreno davanti a sé. Poi, con uno scatto fulmineo, affondò una mano nel terreno morbido, con la stessa prontezza necessaria a catturare una serpe. Quando tirò su la mano stringeva un pupazzetto di plastica di una ventina di centimetri. Era completamente bianco, con le fattezze di un centurione romano.

«Chissà da quanto tempo hanno perso quel giocattolo.» commentò Francis.

Lei si ritirò in piedi e allentò la presa, il pupazzetto prese a dimenarsi, girò la testa verso di lei e la guardò, le sue piccole mani strinsero sulle sue dita per aprirle.

«Cosa cavolo...»

Sylvia prese il pupazzo con entrambe le mani, coprendogli la faccia e stringendogli assieme le gambe, dopodiché tirò con tutta la forza che disponeva, spezzandolo in due. I tronconi si dissolsero in polvere finissima all'istante. «White Bishop.» disse, scrollandosi le mani per ripulirle. «Deve aver piazzato questa spia molto tempo fa, probabilmente voleva tenere sotto controllo Kyoko per conto di Joyjoy. Poi la ha lasciata per vedere chi veniva a cercarla.»

Francis si guardò intorno. «Sanno dove siamo.»

«White Bishop non è Golden Mariposa. Non ci attaccherà.»

«Cosa suggerisci di fare?»

Era evidente che Sylvia smaniava di usare il pod e trasformarsi, apriva e chiudeva la mano destra come fosse un tic. Francis gliela prese. «Se lei non attacca, noi non faremo niente di eccessivamente rumoroso.» spiegò.

In quel momento la signora Paulson uscì dalla casa. Solo per educazione finse che fosse normale che loro due fossero in un angolo a confabulare, con la ragazza tutta sporca di terra. «Tra un quarto d'ora se vi va bene saremmo pronti a mangiare.» annunciò, con un certo imbarazzo.

Francis e Sylvia si guardarono negli occhi. «Arriviamo.» fece lui.

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