9. Un odio da svelare
Il viaggio di ritorno sta durando troppo poco e, quando le villette cominciano a lasciare spazio ai palazzi, sento il tempo farsi sempre più breve.
"Dimmi chi sono" le ordino per la terza volta, inutilmente.
Kathleen non spreca energie per rispondermi e continua a degnare di tutta la sua attenzione la sola strada. Allora, ancora preda dell'irritazione, accendo la radio e comincio a cambiare le stazioni senza mai fermarmi su di una per più di tre secondi, costringendo la maestra dell'anima a stringere con forza il volante fino a far sbiancare le nocche, pur di sopportarmi.
"Piantala."
"Perché dovrei? Sei tu che devi smettere di fare tanto la misteriosa e spiegarti, una volta tanto."
"Ti ho già detto che quella ragazza non è qualcuno che dovresti frequentare. Sono più esperta di te, quindi fidati e basta." Senza aggiungere altro torna nel silenzio e svolta con forza per uscire dalla strada principale, costringendomi a tenermi per non sbattere contro lo sportello.
È del tutto inutile cercare di discutere con Kathleen, ormai lo so bene. Durante le poche volte in cui le ho parlato ho avuto la costante impressione di essere valutata e di non essere considerata all'altezza. All'altezza di cosa, poi?
Ormai rassegnata mi convinco che sia meglio diacuterne con Erin, però, nell'esatto momento in cui lo penso, la macchina inchioda.
La bionda si gira subito verso di me, con gli occhi spalancati e le labbra serrate. "Non pensarci neanche per sogno."
In un primo momento rimango spiazzata da quell'affermazione, non riuscendo a ricollegarla al discorso, ma poi tutto si fa chiaro e un sorriso amaro mi piega le labbra, mentre constato che lo schermo creato questa mattina non è servito poi a molto.
Lei aggrotta la fronte. "Che c'è?"
"Non immagini neanche quanto vorrei entrare nella vostra testa almeno una volta e farvi capire cosa mi fate provare."
È solo dopo queste mie parole che, guardandola, noto quanto sia spaventoso il volto semi illuminato della maestra quando è arrabbiata.
"Una persona immatura non riuscirebbe a farlo" dichiara, mentre rimette in moto l'auto.
"Lo so." Non riesco a trattenermi, anche se la prudenza mi suggerisce di farlo, e aggiungo: "è per questo che parlerò degli Sprenger a qualcuno più maturo di me... e di te."
Per fortuna del povero guidatore alle nostre spalle, Kathleen non inchioda di nuovo. Al contrario, tenendo una mano sul volante per poter continuare a guidare, chiude l'altra sulla mia spalla e, nonostante il pesante cappotto a protezione, ho l'impressione di sentire la pelle bruciarmi proprio nel punto che lei sta toccando. "Erin ha altro a cui pensare e parlare di quella famiglia di sciagurati le darebbe solo altri problemi" mi dice, scurendosi in volto. "Hai un problema con me. È da codardi coinvolgere altre persone."
"Tu hai coinvolto la mia migliore amica nel tuo inspiegabile odio."
"Non sono io che ho cominciato il conflitto."
"Conflitto? Ma quale? Di cosa stai parlando!?" Mi passo le mani tra i capelli, mentre affondo nel sedile e lei parcheggia la macchina.
Colgo questa occasione per scendere, senza che lei abbia ancora spento il motore, e correre su per i gradini. Devo arrivare per prima da Erin, altrimenti non avrò più modo di chiederglielo, però il mio piede si blocca e cado sul portico. Le mie mani attutiscono il rumore dell'impatto, ma non il dolore. Massaggiandomi il ginocchio mi alzo e fronteggio Kathleen, che ora si trova alla base della breve scalinata, con una mano protesa nella mia direzione e l'aria di trionfo che traspira da tutto il suo corpo.
"Sei stata tu" le sibilo.
Lei annuisce senza vergogna e avanza, per poi sorpassarmi. Prende la chiave di casa dalla borsa e si blocca prima di inserirla nella serratura. "Ti sto chiedendo un favore, Sheridan. Non fare domande a Erin."
Combattuta da quella improvvisa richiesta fatta con voce calma e soprattutto modesta, mi mordo il labbro e stringo i pugni. Potrei ignorare il favore che mi ha chiesto e parlare con l'altra maestra, perché ora ho come il presentimento che non riuscirebbe a impedirmelo, dal momento che si è abbassata a chiedermelo per favore, ma non sono così meschina e decido di rimandare il mio interrogatorio.
Tuttavia, mentre entro in casa, un dubbio mi balena davanti e sussurro il nome di Kathleen, facendola girare. "E se Erin mi legge la mente?"
Anche lei sembra valutare solo in questo momento l'eventualità che accada, ma è tranquilla mentre mi spiega cosa devo fare, sussurrando a sua volta. "Ho visto che prima di venire a cena hai creato una schermatura. Era buona per una principiante, ma contro un cristallo la devi rafforzare di più. Innalza un altro schermo come quello di prima e i tuoi pensieri non se ne andranno a zonzo per la casa. Erin non cercherà di penetrarlo se non gliene darai motivo." Una volta spiegato il piano fa per andarsene, ma poi si ferma e si irrigidisce. "Grazie."
Non ho la forza di risponderle, sia perché la rabbia nei suoi confronti è ancora presente, sebbene in piccola quantità, sia per il timore che possa rimangiarsi quella parola tanto sofferta. E così mi limito a concentrarmi per poter rialzare nuovamente una protezione contro la lettura dei pensieri.
Nonostante si sia mostrata molto interessata al benessere di Erin, una volta entrata in casa la bionda si limita a salutare l'altra donna, che sta guardando un film nel salotto, poi si defila subito in camera sua. Io, invece, poggiata la borsa sul pavimento, mi siedo sul divano accanto a lei. "Sera."
"Ormai è notte" mi corregge. "Allora? Com'è andata la serata?"
"Ma lo sapete tutti?!" esclamo esasperata.
Scuote la testa. "Deduco non sia stata una delle migliori cene di famiglia."
"Non immagini quanto." Il ricordo dello sguardo pieno d'odio che Kathleen ha rivolto a Pauline riaffiora, insieme alla voglia di raccontare tutto. Non ho colpe se voglio sapere il perché una donna centenaria odi la famiglia di un'amica così cara.
Mentre combatto contro me stessa per resistere alla tentazione, Erin rompe il silenzio. "Mi dispiace. Ho scoperto io della cena e temevo fossi ancora troppo scossa da noi."
Mi sporgo verso di lei e aggrotto la fronte, scrutando il suo volto illuminato dalla flebile luce della televisione. "Come lo hai saputo?"
Proprio quando finisco di chiederglielo il piccolo Chim fa il suo ingresso nella stanza e salta agilmente sulle ginocchia della sua padrona, che si China per stampargli un bacio delicato sulla fronte. "Chim è il mio terzo occhio e orecchio. Sono anni che mi aiuta a gestire la casa."
Riflettendoci attentamente mi ricordo che, mentre parlavo al cellulare con mia madre, lui era lì. "Piccolo traditore" mugugno.
Erin ridacchia e se lo avvicina al petto. "È andata così male?"
Annuisco, passandomi una mano sul viso. "Perché è venuta proprio Kathleen? Lei è così..." Gesticolo nel tentativo di trovare un termine adatto, che la maestra individua prima di me.
"Autoritaria." Sospira e si lascia ricadere sullo schienale del divano, poi prende il telecomando e abbassa il volume del film. "Dopo di te è la maestra dell'anima più giovane in casa e pensavo che stare in famiglia l'avrebbe fatta sentire meglio."
"Ti sei sbagliata di grosso" le rispondo irritata, ma lei non mostra la minima reazione.
"Che ha combinato?"
"Ha passato tutta la sera a dirmi cosa fare e a trattare male una persona a me cara."
"Tipico di quella testa calda." A questo punto Erin mi osserva, senza perdere quel suo atteggiamento spensierato. "So che non vuoi entrare nei particolari." Attende qualche secondo per avere una conferma, che tuttavia io non le do. "Quando vuoi sono qui, sappilo. Kath è una grande donna, ma non è il suo forte adattarsi. Sarà che ha poco più di duecentocinquanta anni. Anche se può sembrarti brusca in verità vuole solo aiutarti. Vede in te quello che lei è stata in passato."
"Puoi star certa che non vedo in lei quello che sarò nel futuro."
Lei sopprime l'ennesima risata e mi si avvicina. "Bambina, se c'è una cosa che ho imparato negli anni è che il futuro non si controlla." Senza preavviso alza la mano e mi scompiglia i capelli. "Proprio per questo devi vivere il presente al massimo."
Per quanto voglia tenere il broncio ed esternare così il mio malessere, non riesco a impedirmi di provare un improvviso sollievo stando accanto a Erin. Passiamo la notte a guardare un vecchio film d'epoca, interrotto dai costanti commenti di questa donna così diversa da Kathleen.
Tra una battuta e l'altra mi lascia anche sapere che lei è vissuta più del triplo del tempo della maestra bionda, nonostante il suo atteggiamento suggerisca tutto il contrario.
Lo stupore lascia ben presto spazio alla stanchezza, quando il giorno dopo riesco a fatica a tenere gli occhi aperti a causa di quell'ennesima notte insonne. Sbadiglio rumorosamente, mentre mi stropiccio gli occhi per la centesima volta e, poggiato un boccale sul bancone, mi appoggio al muro, chiudendo gli occhi.
Quando sento uno scossone li riapro di scatto, mettendo a fuoco dopo qualche secondo la figura di Kale, che mi osserva dall'alto con le mani puntellate sui fianchi. "Principessa, c'è la notte per dormire e non ti pago per sognare." Mi dà una pacca sulla spalla, poi si incammina tra i tavoli.
Mentre le guardo dispensare saluti mi torna in mente il giorno in cui lo conobbi, senza sapere che sarebbe diventato ben presto il mio capo. Proprio come adesso, la sua folta barba rossa e incolta troneggiava su un viso dai tratti duri, eppure, in contrasto con quel volto scontroso, Kale è una delle persone più gentili che conosca e il suo notevole carisma lo ha portato, a soli trent'anni, a essere il proprietario di uno dei pub più gettonati di Dublino.
È con sollievo che mi accorgo che la birra servita a un signore poco fa è a malapena cominciata, quindi non devo essermi addormentata per molto. Subito dopo una chioma rossa alquanto familiare mi salta all'occhio dal fondo della sala e con il fiato sospeso abbandono il bancone e mi avvicino titubante alla ragazza. Sono costretta a evitare un ragazzo ubriaco, il che mi fa scontrare contro un altro uomo che mi tossisce in faccia.
"Signore, la invito ad andare nella zona fumatori se desidera fumare" gli comunico atona, essendo abituata a momenti del genere, e gli passo una mano davanti al viso pallido per dissolvere il fumo.
"Come dici, bella?" biascica questo.
"Che non può fumare qui" ripeto con più severità.
"Male male, non succede niente se sto qui." Allunga una mano nella mia direzione, che per fortuna viene bloccata quando è già arrivata a sfiorarmi i capelli.
Kale è accanto a noi e con un gesto brusco restituisce l'arto al suo proprietario, facendolo indietreggiare. "La prego di non fumare qui."
L'uomo gli risponde soffiandogli in faccia un'altra nuvola di fumo e il mio capo cambia drasticamente metodo. Fa un cenno a James, uno dei buttafuori, e gli indica sia il fumatore che gli amici di quest'ultimo, che intanto si sono avvicinati. "Porta i signori fuori, per favore" gli ordina quando si è avvicinato abbastanza.
Con riluttanza il fumatore non può fare altro che cedere davanti alla stazza di James che, presi i loro giacchetti, li invita a seguirlo fuori dal locale. I tre si allontanano scalciando e imprecando, tra gli sguardi curiosi dei clienti e il silenzio che l'accaduto ha fatto piombare nella sala, a cui Kale rimedia alzando un boccale in aria e urlando: "continuiamo a goderci questa splendida serata, signori!" Tutti rispondo positivamente all'incitazione e riprendono a divertirsi.
Tra il vociare generale mi scuso con lui e subito un'altra pacca mi colpisce la spalla, accompagnata dal suo sorriso. "Soliti incidenti di percorso. La serata è appena cominciata. Su, vai a buttare l'immondizia al volo e rimettiti a lavoro."
Non trovando più la ragazza dalla chioma rossa, mi incammino verso il retro dell'edificio con un sacco nero tra le mani, più ingombrante che pensante. Dubito che quella ragazza fosse Pauline, altrimenti sarebbe venuta a parlarmi.
Quando noto delle ombre all'inizio della stretta via che collega il retro dell'edificio alla strada principale, sussulto, riconoscendo gli uomini che abbiamo cacciato dal locale poco fa.
Mi avvicino in fretta alla porta e ruoto la maniglia, però uno di loro è più veloce e mi blocca, premendo poi la sua mano fetida sulla mia bocca.
"Zitta" mi ordina.
Provo a liberarmi, ma non riesco a fare molto contro un uomo ben piazzato, che mi strattona e mi spinge contro la parete, accompagnato dagli sghignazzi del suo amico.
"Per colpa tua ci troviamo qui al freddo. Ci meritiamo il premio di consolazione" sussurra il viscido, mentre passa lo sguardo sul mio corpo e io comincio a tremare.
Ho il cuore che mi martella il petto e le gambe tremano, non riuscendo più a sostenere il mio peso. Kale non si accorgerà mai in tempo della mia assenza.
Mentre le mie possibilità si fanno sempre più rade, un vento simile a quello che si era alzato in camera di Bryan comincia a ululare tra le mura dei palazzi, facendo sorprendere i miei aggressori. Approfitto dell'occasione per mettere le mani sul petto dell'uomo che mi blocca alla parete e spingerlo. Con sorpresa, questo gesto basta per farlo inciampare e indietreggiare quel tanto che basta per potermi liberare e correre verso la fine della via. Ed è in questo momento che vedo due occhi dorati brillare proprio laddove si trova la mia salvezza.
Senza chiedermi il perché si trovi qui, anzi, ringraziandolo silenziosamente per questa sua apparizione, lo raggiungo e mi tengo al suo giacchetto a causa delle gambe ancora deboli.
Bryan passa un braccio intorno alle mie spalle e mi aiuta a proseguire verso la strada principale, ignorando i miei aggressori che ci corrono dietro, però, proprio quando mancano appena una ventina di metri, un'auto entra nel vicolo e blocca la nostra via d'uscita.
Quando scende dal veicolo, riconosco il biondo che mi ha fumato in faccia e mi maledico per non aver pensato prima al fatto che in tutto fossero in tre e che avessero cercato di aggredirmi solo due di loro.
Il terzo faceva da guardia.
Il maestro dell'anima lascia cadere il braccio dalle mie spalle, mi sposta, mettendomi con la schiena al muro, e si posiziona a qualche metro da me, con la macchina sulla sinistra e i due aggressori sulla destra. "Preferirei davvero non dover passare alla forza" confessa ai tre uomini, stringendosi le mani.
In risposta il biondo sputa nella nostra direzione.
Bryan lancia un lungo e rumoroso sospiro, divaricando le gambe e piegando leggermente le ginocchia. "E io che speravo in un sano dialogo."
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