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Ventiquattro.

(nota importante in basso)

C'è un'intera pagina sul taccuino smangiucchiato di Anita che è dedicata ai minuti immediatamente successivi alla lite fra Max e suo padre. È scritta di getto, con grafia arrotolata, fitta e sbilenca. È un flusso di coscienza involuto e gonfio dell'urgenza di mettere tutto su carta prima di dimenticarlo.

Era da molto tempo che non ci scriveva nulla, perché ha preferito vivere ogni istante degli ultimi mesi senza analizzare troppo i suoi pensieri e le sue reazioni alle cose. Quel momento lì, però, non lo vuole dimenticare mai. Nel resoconto che stila, i dettagli sono minuziosi e le emozioni traspaiono dalla carta come se fossero tangibili.

Le capiterà di rileggerla spesso, anni più tardi, e di rivivere quelle stesse sensazioni turbolente come se non fosse passato neppure un istante.

Quella è stata la prima volta che ha visto Max spezzarsi davvero, ma non è stata l'unica.


Nonostante non ne abbiano mai parlato, Anita ha ripensato molto a quello che è successo al Mugello, e forse è per questo che le è così difficile varcare la soglia del bar, quella sera di fine settembre. Perché non sa cosa la aspetta. O forse, si dice, lo sa troppo bene.

Tornare a Milton dopo tre settimane di assenza si è rivelato più difficile di quanto non avesse sperato, e non è stato esente da pianti, dubbi e ripensamenti. La casa al 48 di Wadesmill Lane l'ha accolta immutata, col solito tanfo di umidità e con una sbuffata di polvere accumulata sui mobili e nella moquette.

Paul si è offerto di aiutarla a portare in casa tutta la sua roba, che è arrivata con il corriere espresso il giorno dopo il suo ritorno, e nonostante l'imbarazzo Anita si è vista costretta ad accettare. Non che avesse molte alternative.

Hanno scaricato la macchina di lui in silenzio, e hanno trascinato i cartoni gonfi di roba su per i gradini, gomito a gomito, fino all'ingresso. Lì lo ha congedato, con un grazie impacciato stretto fra i denti, la mano che rimetteva rapida una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

"Posso restare ad aiutarti" ha aggiunto il suo collega, ma lei ha scosso la testa. Le cose fra loro sono ancora molto strane, per via del loro litigio al telefono, quella mattina di alcuni mesi prima, a Monaco. Lavorano insieme, ma Anita cerca di limitare al minimo sindacale i contatti con lui. Sarebbe tutto molto più semplice, se riuscisse a tornare a prima di aver fatto sesso con Paul, ma non ci riesce. Esiste solo dopo.

Ci ha messo tre giorni a svuotare tutti gli scatoloni e a trovare un posto adatto ad ogni singolo oggetto contenuto in essi, ma alla fine in qualche modo assurdo e bizzarro la casa le sembra diversa, e perfino la sua tristissima camera da letto sembra avere acquisito un'anima.

Il merito, si dice, deve essere per forza di Rebecca. Le deve davvero più di quanto non si immagini.

Sul fondo di uno degli ultimi scatoloni ha trovato il famoso top di velluto che si sono scambiate infinite volte, assieme ad un bigliettino spiegazzato che diceva: "Consideralo un regalo, o un vuoto a rendere. Fanne buon uso, ovvero usalo solo per cose molto perverse. Ti vorrò sempre bene, Bebi".

Anita ha sorriso, nel leggere quelle poche righe, ma era un sorriso un po' nostalgico. Ha avvicinato al viso il top e ne ha inspirato l'odore: profumava di lavanda, sapeva di casa. Lo ha indossato sotto la giacca prima di uscire, come un amuleto, un porta fortuna, per ricordarsi che in qualche modo non sarebbe mai stata sola.

Spera che basti.

Indugia ancora un attimo sulla soglia, poi spinge la porta con entrambe le mani, e si immette nell'atmosfera fumosa e calda del locale, con lo sguardo che naviga inquieto fra i tavoli, alla ricerca della ragione per cui, in fin dei conti, si trova lì.

L'unico problema è che non c'è, lui non è da nessuna parte. Il suo cuore perde un battito e sente il suo stomaco contrarsi dolorosamente, mentre la disillusione si espande in ogni angolo del suo corpo.

È sul punto di girare sui tacchi e tornare a casa, quando lo vede. Lo riconosce dalla postura, dal profilo solenne della nuca, movimentato dai capelli scompigliati biondo cenere.

E non è da solo.

Max indossa una felpa blu tirata su sulle maniche, e siede al tavolo con altri due ragazzi immersi in una conversazione molto animata, da cui lui sembra escluso. Si regge la testa con le mani, immobile e un po' assente, con la sua solita aura intimidatoria che si spande tutto intorno a macchia d'olio.

Anita avverte una strana fitta al petto, quando lui entra nel suo campo visivo, che sa di apprensione, mancanza e timore. A cosa deve prepararsi? Quale Max sarà oggi? Ha bisogno di lei o l'ha invitata solo per avere una punching ball su cui sfogare le sue frustrazioni?

Cerca di reprimere l'ondata di delusione che la investe, di assumere un'aria allegra e amichevole per introdursi nella conversazione. Certo non si aspettava che sarebbero stati in compagnia.

Quando ha ricevuto il suo messaggio, di ritorno dalla fabbrica un paio d'ore prima, per poco non ha creduto di esserselo immaginato. Diceva solo: sono a Milton per qualche giorno, possiamo vederci?

E dopo settimane di silenzi, come poteva dirgli di no? Sapeva che non ci avrebbe messo molto a ricascarci, sperava solo di sbagliarsi.

Con il cuore che le batte violentemente contro la cassa toracica, si destreggia fra i tavoli nella penombra, fino a raggiungere il gruppetto. Uno dei due ragazzi, l'unico che riesce a vedere in faccia, fa un cenno nella sua direzione, ma Max non accenna a muoversi nemmeno di un millimetro. Mentre cammina verso di lui, sente le ginocchia tremarle e la bocca inaridirsi.

Quando ormai gli è alle spalle, Anita poggia la mano sinistra sulla sua spalla, e Max gira la testa con una lentezza disarmante, fino a che lei non può vedere dritto nei suoi occhi, iniettati di sangue.

È ubriaco fradicio.

Per un attimo ha la sensazione che la sua bocca si stia per schiudere in un sorriso, ma il viso di Max rimane impassibile. Le rivolge uno sguardo vacuo e biascica qualcosa che somiglia ad un: "Sei qui."

La sua voce è atona, non tradisce nessuna emozione.

Anita si morde il labbro inferiore, sotto la mascherina, prima di rispondere: "Certo che sono qui, mi hai chiesto di venire."

Max annuisce piano, prima di voltarsi di nuovo, indicandole con un gesto il posto vuoto di fronte a lui.

Uno dei due ragazzi, quello con i capelli ricci e una maglietta dei Pink Floyd, si alza per primo, e il suo compagno lo segue a ruota, infilandosi la giacca. Anita sposta lo sguardo da loro al pilota, disorientata.

"È stato un piacere!" dice il primo, allungando un pugno verso Max, che lo fa scontrare mollemente con il suo.

"Anche per me amico" aggiunge l'altro, e se ne vanno senza farle nemmeno un cenno di saluto.

Anita muove ancora qualche passo, circumnavigando il tavolo, fino ad essere di fronte a Max, che tiene lo sguardo basso, puntato sul suo bicchiere mezzo vuoto.

"Chi erano?" gli domanda, facendogli sollevare la testa per una frazione di secondo.

"Non ne ho idea." farfuglia, soffocando una risatina.

Ancora una volta, si dice mentre si accomoda sulla sedia di metallo, non ha capito nulla di Max. In nessuno degli scenari che aveva dipinto nella sua mente era riuscita ad immaginarselo ubriaco in un bar alle dieci di sera con due sconosciuti, sorpreso di vederla arrivare dopo averle dato l'indirizzo e averle chiesto di raggiungerlo.

Lo guarda di sottecchi, gli studia ogni centimetro del viso, le ombre sotto gli occhi, l'accenno di barba. E non può che trovarlo bello in un modo che la ferisce.

"Vuoi bere qualcosa?" le chiede lui, all'improvviso, succhiando rumorosamente dalla cannuccia, fino a svuotare il bicchiere.

"Sono a posto così, grazie."

Max alza gli occhi al cielo, girandosi di centoottanta gradi per rivolgersi al barista e indicando il suo bicchiere vuoto.

"Io ne prendo un altro"

"Non mi sembra una grande idea, Max" mormora Anita sotto voce, chinandosi sul tavolino per non farsi sentire da nessun altro. A giudicare dalla parlata strascinata e dai suoi movimenti rallentati, non deve aver fatto altro che bere per tutta la serata.

"Perché devi essere così pallosa?" la rimbecca lui, ma non c'è astio nella sua voce impastata. Oscilla la testa al ritmo della canzone sparata a tutto volume dalle casse del locale, guarda dappertutto tranne che nei suoi occhi.

Anita decide di ignorare la frecciatina e di andare al punto. Se ha messo da parte l'orgoglio e si trova lì è perché è davvero preoccupata per lui.

"Come stai?"

"Bene."

"Non dovresti essere a Monaco?" lo incalza lei, intrecciando le mani poggiate sul ripiano freddo del tavolo.

"Prossima domanda?"

Lei esita un istante prima di proseguire, cercando il suo sguardo.

"Hai parlato con tuo padre?" si arrischia a chiedere, ma se ne pente nel momento esatto in cui chiude la bocca. Prova ad allungare una mano sul tavolo per prendere una delle sue, ma Max si ritrae, algido, quasi avesse paura di toccarla. Si strofina gli occhi con le mani prima di rivolgerle un'occhiata torva.

"Non ti ho chiamato per farmi il terzo grado" la apostrofa "anzi, sinceramente nemmeno mi ricordo perché l'ho fatto."

È difficile fingere che le sue parole non la feriscano.

"Posso andare se non mi vuoi" gli risponde lei, troppo in fretta. Non riesce ad impedirsi di suonare lamentosa e petulante, e si odia per le sue debolezze.

"Al contrario."

La conversazione si interrompe bruscamente quando il barista si avvicina con un altro bicchiere dal contenuto trasparente, e lo lascia davanti a Max, che lo ringrazia sottovoce prima di sfilare la cannuccia e portare il vetro direttamente a contatto con le labbra, svuotandolo per metà.

"Non capisco." Dice Anita, imbronciata, incrociando le braccia al petto. Sa che sta avendo una reazione esagerata, ma non vede davvero il punto.

"Come al solito" la canzona lui, divertito, lanciandole un'occhiata beffarda che la fa scattare in piedi come una molla. "Ani, Ani, Ani. Non capisci mai un cazzo."

Non riesce a credere di essersi fatta fregare un'altra volta. Pensava davvero che dopo quello che era successo fra di loro avrebbe rinunciato a quell'aria strafottente e avrebbe smesso di comportarsi come se niente potesse scalfirlo.

Sì è sbagliata. È evidente.

Mentre guarda i suoi occhi azzurri e vuoti, grigi più che mai nell'atmosfera soffusa del locale, si sente patetica. Patetica per aver creduto che lui potesse avere bisogno di una come lei. Patetica per essere lì a farsi giudicare e ridere in faccia senza poter dire niente.

Sente le lacrime pungerle agli angoli degli occhi e il desiderio di andare via, via il prima possibile.

"Dove stai andando?" le urla dietro Max, mentre Anita imbocca l'uscita e lascia la porta di legno schiantarsi alle sue spalle.

L'aria fresca della sera la investe all'improvviso, spezzandole il fiato. È tardi e il cielo è blu notte, senza nemmeno una stella. Solo la fila di lampioni traballanti rischiara l'atmosfera con i suoi piccoli aloni di luce. Le lacrime le rotolano sulle guance senza che lei possa fare nulla per fermarle.

"Possiamo solo fare finta che non sia successo?"

Anita smette di camminare, come raggelata. La voce di lui le arriva all'orecchio strascicata dall'alcol. Si porta la manica della giacca sul viso, per cercare di trattenere il pianto.

"Non deve cambiare niente"

È più vicino, ora. Sente il calore del suo respiro sulla spalla. Le sfiora il polso con la mano, la spinge a girarsi.

Lei sente il cuore battere feroce, minacciando di rivoltarsi contro di lei e squarciarle il petto. Lo guarda a lungo negli occhi, senza controbattere. Questo lo spinge ad avvicinarsi ancora di più, finché le sue labbra non sono premute contro il suo orecchio.

"Ani" la chiama, e lei rabbrividisce al suono del suo nome pronunciato in quel modo inconfondibile.

Pensa: ripetilo ancora.

Pensa: potrei morire adesso.

"Voglio baciarti" biascica Max, strofinando il viso contro il suo petto. Ha la bocca impastata dall'alcol, dalla vodka, dal senso di colpa. "Voglio davvero baciarti. Per favore."

Il battito accelera, prende il ritmo di un tamburo battente. Lui è completamente ubriaco e le si appoggia contro con urgenza, premendole addosso il suo corpo. È nuovo, inaspettato, elettrizzante.

Anita lo desidera come non lo ha mai desiderato, ma non vuole approfittare di quel momento per sentire le sue labbra sulle sue ancora una volta. Anche se vorrebbe, si dice, non è giusto. Max non si merita questo.

Anche se domani non si ricorderà di tutto questo. Anzi, proprio perché domani non se ne ricorderà.

"Per favore, per favore, per favore." Ripete lui, con voce sconnessa, al suo orecchio.

Max, semplicemente, non chiede mai il permesso per fare qualcosa.

Anita gli stringe le braccia attorno ai fianchi, per sorreggerlo, per farselo più vicino. Fa aderire il suo petto al proprio, lo sente abbandonarsi contro di lei con tutto il suo peso. Non riesce a negare a sé stessa quanto, nonostante tutto, questo contatto fortuito la faccia sentire felice e viva come non lo era da settimane.

"Max, sei ubriaco."

"Non fa niente, voglio solo che mi baci"

Si china su di lei, strofina la bocca sulla spalla, dolcissimo. E sembra quasi un miracolo averlo così vicino, aderito al corpo in ogni centimetro, dentro e fuori.

"Guardami" la prega, tirando su la testa in modo da guardarla direttamente negli occhi. Il movimento rapido sembra dargli le vertigini, perché stringe la presa sui suoi fianchi. La luce dei lampioni gli dipinge ombre soffuse sul viso, gli regala nuove sfumature. "Odio quando non mi guardi"

Ed io odio quando lo fai, si dice lei, trattenendo il respiro. Perché quando mi guardi, io non sono più mia.

Il cuore di Anita potrebbe scoppiare di gioia, ma è una gioia pericolosa, come tutto quello che riguarda Max. Non se lo ricorderà. Non si ricorderà di niente, neppure del loro ultimo abbraccio nella dressing room. Dimenticherà di volerla baciare come ha dimenticato di averla chiamata. Sparirà come ha sempre fatto. Tornerà ad odiarla, a non voler mandare avanti questa cosa che hanno, qualsiasi essa sia.

"Max, non mi approfitterò di te" gli sussurra, poggiando una mano sul suo petto per spingerlo via delicatamente, facendolo barcollare all' indietro. È più difficile del previsto staccarsi da lui. "Domani non lo vorrai."

"Domani lo vorrò ancora di più"

Poi fa una cosa che Anita non si aspetta.

Max le mette le mani a coppa attorno al viso, sbilenco, e le preme con forza le sue labbra contro le sue. Basta solo quel contatto elettrico per impedire ad Anita di pensare razionalmente e lasciarsi andare. È corto circuito nella sua testa.

Mancanza, bisogno. È come il primo respiro dopo una lunga apnea.

Forse sbagliato, ma che importa.


Dormono insieme, quella notte, sul materasso bitorzoluto buttato nell'angolo della sua stanza da letto. O meglio, Max dorme, rivolgendole la schiena e abbracciando il cuscino. Anita lo guarda e basta, lasciando un po' di spazio fra i loro corpi, con la mano allungata ad accarezzargli la pelle nuda del braccio, come un ponte. Osserva il suo profilo nella penombra fino a consumarlo, fino a lacerarsi il cuore dal bisogno di sentire il suo calore addosso.

Sembra così rilassato mentre dorme, come se non avesse un singolo pensiero al mondo.

Cosa stiamo facendo? Si chiede, ma non sa darsi alcuna risposta. Cerca di muoversi il meno possibile, per non svegliarlo.

Prova a riposare, ma nonostante sia notte fonda il sonno tarda ad arrivare. Potrebbe essere l'ultima volta che sono così vicini, non vuole sprecare nemmeno un istante del tempo che le è stato concesso. Ad un certo punto, però, non saprebbe dire quando, le palpebre si fanno davvero troppo pesanti, e gli occhi si chiudono.

Il mattino dopo, quando si sveglia, Max non c'è più.

C'è la sua maglia sul cuscino, però.

E c'è un messaggio sul suo cellulare. Solo tre parole.

Avevo ragione io.


//Spazio autrice (è lei il clown)

Buona sera a tutte e ben ritrovate! Chiedo venia per la lunga attesa ma devo dirlo: ci son cascata di nuovo. Dovevo scrivere tutt'altro ma non riuscivo a fare a meno di pensare a questo capitolo, a questa scena specifica. Questo incasina tutto? Sì, assolutamente. Me ne pento? Per nulla.

È un capitolo molto diverso dal solito, ma lo sento già irrinunciabile all'interno della storia. Max si scioglie in ogni senso, ma questo non semplifica le cose. Aspetto di sapere cosa ne pensate e di chiacchierare con voi sul futuro prossimo di Mad Max.

Come sempre, vi ringrazio per tutto il supporto. Non sarebbe lo stesso senza di voi.

Leggete, commentate, votate se vi va. Mi fate sempre felicissima.

Vostra T.

ps. la playlist è in fieri ma è già disponibile, la trovate su spotify a nome MAD MAX.

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