Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Ventidue.

Quella domenica sera, dopo quasi due anni, Anita riprende da zero il suo percorso di disintossicazione dalle relazioni sentimentali. È una grossa sconfitta, perché si era ripromessa che non ci sarebbe cascata mai più. Quando si è avvicinata a Max credeva, ingenuamente, di essere abbastanza stabile da riuscire a godersi l'eccitazione e l'adrenalina del momento senza legarsi, senza farsi trascinare a fondo.

La realtà delle cose è molto diversa.

Il lunedì spegne il telefono e passa la giornata a guardare serie tv abbozzolata nelle coperte mangiando patatine da una busta di plastica riflettente, provando pena per sé stessa. Non vuole cedere alla tentazione di riscrivergli, di rimangiarsi tutto quello che ha detto. In fondo, si dice, lo ha solo battuto sul tempo. Lui stava già cercando di dirle che, qualsiasi cosa avessero intrapreso, andava troncata sul nascere.

Il martedì Anita è talmente disgustata da quanto ha mangiato il giorno prima che non ingerisce niente se non una bottiglia di vino rosso che ha ordinato a domicilio, che le è arrivata con una coccarda e un messaggio di auguri in francese. Accende il telefono solo per avvisare i suoi genitori che è ancora viva e per dire a Lynn che sta bene.

Il che è una bugia, ma non è quello il punto.

Il mercoledì ha il suo primo tampone negativo, ed è sul punto di violare la quarantena per andare a comprare un pacco di sigarette, o forse una stecca intera. Sa che le fumerebbe tutte e venti, una in fila all'altra, un po' per noia, un po' per necessità, un po' per disperazione. Per completare il quadretto, riceve una chiamata dal suo proprietario di casa a Milano, che la informa che ha trovato una nuova inquilina per l'appartamento e che è gentilmente pregata di venire a prendere i suoi averi quanto prima.

Anita pensa a tutte le sue cose, ancora in giro per la casa. Alle foto di lei e Rebecca appese storte al muro, ai peluche delle fiere, alla macchina per il cappuccino, al top di velluto che si sono scambiate infinite volte, fino a smettere di ricordare chi lo avesse comprato delle due. Pensa a quando le metterà in un sacco e le spedirà a casa sua, a quando vedrà la sua migliore amica per l'ultima volta, prima di non vederla mai più.

Quello è il giorno del cedimento, il giorno in cui si sente emotiva e sente il bisogno di rileggere e riascoltare i vecchi messaggi, di riguardare le fotografie. Quello è il giorno in cui vorrebbe chiamare Rebecca e sfogarsi per ore con lei al telefono, raccontarle ogni cosa, farsi proteggere da quello che sente.

La notte fra il mercoledì ed il giovedì si arrende al fatto che, per quanto assurdo possa sembrare, Max le manca e lei non può farci proprio niente. Le riesce difficile ammettere che in qualche modo si senta legata a lui, che non sia pronta a lasciarlo andare. La foga del momento non le ha dato modo di pensare alle implicazioni di quello che gli stava dicendo.

Va contro ogni suo principio e contro ogni logica, ma a mente fredda darebbe qualsiasi cosa per sentirgli dire: Sto arrivando da te.

Ha questa brutta sensazione alla bocca dello stomaco che non va via.

Cristo, Ani, hai rovinato tutto.

Si infila due dita in gola per cavarsi il male da dentro.

Sei senza speranza.

Non migliora.


*


Anita atterra a Milano sabato mattina, sul tardi. Le ultime due settimane sono state le più difficili della sua vita, e le sembra così assurdo stare lì ad aspettare la sua valigia rossa come se nulla fosse, in mezzo a turisti e uomini d'affari, con la mascherina premuta sul viso. Le ricorda il momento parallelo, tre mesi prima, quando è arrivata a Londra per la prima volta. Il tempo scorre in modo molto bizzarro quando hai una vita così frenetica, ha scoperto.

Il tempo vola quando ci si diverte.

Le viene da ridere.

Passa tutto il tragitto dall'aeroporto ai giardinetti del quartiere a rimuginare sulla sua vita. Negli ultimi giorni ha pensato seriamente all'idea di rescindere il contratto con la Red Bull e tornare a casa. Rimettersi a studiare seriamente, finire l'ultimo anno di università, dare gli ultimi esami e laurearsi. Trovare un lavoro ben pagato in una multinazionale nel reparto di Marketing. Fare come le ha detto sua madre.

Non ha mai sbagliato, lei.

Il cielo è stranamente limpido sui palazzi signorili dell'isolato, e le temperature sono davvero alte rispetto al Belgio. Per il resto è la solita vecchia Milano alla fine dell'estate, letargica e congestionata, identica a come l'aveva sempre vista e a come la ricordava.

Sente un brivido lungo la schiena mentre si avvicina al portone, con le ruote della valigia che raschiano il marciapiede. Poggia le mani sul legno scuro e dà una spinta leggera, sperando di sentirla cedere, ma non succede nulla. Devono averla fatta riparare, in questo frangente che è mancata. Forse è vero che niente rimane come lo lasciamo, che, prima o poi, tutto cambia.

Si rovista nella tasca e le mani le tremano un po' quando infila la chiave nella toppa. Anita sale le rampe di scale con il cuore in gola, preoccupata più dall'incontro con Rebecca che dall'imminente trasloco mastodontico che la aspetta. Le sembra impossibile che sia bastato un piccolo screzio a causare una spaccatura così grande fra loro, che si erano sempre dette indivisibili.

Indugia sullo zerbino colorato, l'indice sul campanello dove c'è ancora il suo cognome.

Forse, si dice, alcune cose restano.

Potrebbe usare le chiavi, ma non lo ritiene giusto, le sembrerebbe di colpirla alle spalle.

Si fa coraggio e preme il bottoncino rettangolare. Sente un "Arrivo!" concitato provenire al di là della porta, e si immagina Rebecca sciogliersi i capelli e infilare qualcosa per coprire il pigiama. Non sa se si aspetta una visita, se il proprietario l'ha avvisata del suo arrivo o se la coglierà totalmente di sorpresa.

Dopo qualche istante, la porta si spalanca rivelando la figura della ragazza bionda con una vestaglia rosa legata stretta in vita e un'espressione sbigottita dipinta in viso.

"Anita?"

Si guardano senza sapere bene come prendersi, senza avere idea di come ripartire da dove si sono lasciate. Sono sempre state l'una lo specchio dell'altra.

"Proprio io" conferma lei, ondeggiando la testa imbarazzata.

"Vuoi entrare?" le chiede Rebecca dopo un po', facendosi di lato. Anita non riesce a cogliere nessuna particolare sfumatura nel suo tono di voce, non saprebbe dire se sia infastidita o meno dalla sua presenza. Annuisce brevemente, prima di seguirla nell'appartamento.

Tutto sembra essere rimasto come lo ha lasciato l'undici giugno, incasinato ed essenziale. L'ingresso stretto con l'appendiabiti stracolmo, il divano colorato, il tavolino coperto di riviste con il posacenere pieno di mozziconi. Nonostante questo, Anita ha la strana sensazione che ci sia qualcosa che non vada, come se qualcuno avesse smosso le loro cose e avesse lasciato qualcosa fuori posto.

"Sei tornata?"

Gira istintivamente la testa di scatto per guardare Rebecca, che è ancora ferma davanti alla porta chiusa con le mani intrecciate in grembo. La sta studiando, guardinga, ma non sembra intenzionata a muovere un passo. Non è abituata a questa freddezza fra di loro ma non si aspettava niente di diverso. Vorrebbe scoppiare in lacrime e abbracciarla, ma non sa se ne ha il diritto.

"Tutto il contrario." le risponde, rivolgendole un sorriso triste. Si mordicchia il labbro quando sente che sta per piangere. "Me ne sto andando per sempre."

Cade un silenzio pesante. Si guardano negli occhi, ma Anita è costretta a distogliere lo sguardo perché non riesce a sopportare quel modo analitico che ha Rebecca di scrutarle dentro.

L'ha sempre capita prima di tutti, senza bisogno di parole. Conosce tutti i suoi segreti, tutte le sue debolezze. Per questo fa così male che abbia cercato di usarle contro di lei.

"Vado a preparare due cappuccini" dichiara la ragazza, dopo qualche istante. Ed è come una tregua, in un certo senso. Un modo per tornare davvero a casa.

Li sorseggiano da due tazze gemelle, entrambe sbeccate, affacciate dal balcone come due vecchie signore. Il tram si ferma alla fermata all'angolo e due ragazzini sfrecciano con le loro biciclette, il caldo è appiccicoso ma sa di casa.

È Anita a spezzare per prima il silenzio, a fare il primo passo. Non sa se sarà possibile ricucire gli strappi laddove si sono creati, ma le sembra assurdo non provarci nemmeno.

"Come va con Gian?"

Rebecca prende un lungo sorso prima di risponderle, ed in ogni caso non la guarda.

"Io e Gian ci siamo lasciati."

Lo dice con calma, come se si fosse rassegnata da tempo alla realtà dei fatti. È talmente razionale che non le sembra nemmeno la stessa Rebecca che ha conosciuto, quella melodrammatica che cantava Tove Lo sbronza marcia davanti al portone di casa di Gian, quella che le ha giurato milioni di volte che nonostante tutto lui sarebbe rimasto per sempre.

"Chi ha chiuso dei due?" domanda a bruciapelo.

"Lui." Mormora Rebecca, facendo una smorfia.

"Mi dispiace" le viene da dire, ma tutto quello che suscita è una risata.

"Ma per favore, Ani. Sappiamo entrambe che è una cazzata"

"Beccata" ammette, scuotendo piano le spalle. Le mani le si stringono attorno alla tazza, e il suo tono si addolcisce. "Continuo a pensare che stargli lontano ti faccia solo bene. Ma è la tua vita Bebi, puoi fare quello che vuoi."

"E tu puoi dirmi che me lo avevi detto"

Ci sarebbero tante cose da dire, tante domande da fare, spiegazioni da pretendere. Nonostante questo, Anita decide che possono aspettare, che l'unica cosa giusta da fare in quel momento è allungare la mano e stringere il braccio della sua amica, dargli conforto, farle capire che a prescindere da tutto le vuole bene. E che questa cosa non cambierà.

"Mi dispiace Ani, veramente."

"Lo so."

La successiva cosa di cui ha percezione, è la testa della sua migliore amica che le crolla sulla sua spalla, mentre lei inizia a singhiozzare e si rifugia fra le sue braccia. Tutta la tensione accumulata si scioglie violentemente in quell'esatto istante. Paul, il sesso e la gelosia, le liti con sua madre, il peso della solitudine, il nuovo lavoro, Max che c'è e, soprattutto, Max che non c'è.

"Non volevo dirti quelle cose, giuro. Non so cosa mi è preso, sono diventata scema da quando sei andata via" singhiozza Rebecca.

Ma lei non riesce a dire niente, le parole non le vengono. Così la stringe, la stringe e basta.


Non fanno finta che non sia successo nulla, ci vorrà un po' di tempo per riportare i livelli di fiducia al punto in cui erano. Si stanno vicine, però, mentre chiudono pacchi pieni delle sue cose, delle loro cose. Si dicono tutto quello che non si sono dette nelle settimane precedenti, si arrendono al fatto di non poter fare davvero a meno l'una dell'altra.

Rebecca le parla di come la sua nuova breve parentesi con Gian le abbia incasinato la vita e la sessione. Di come lui l'abbia usata e manipolata e abbandonata, in ultima analisi, ancora una volta. Le confessa di essere arrivata molto vicina all'idea di abbandonare l'università.

Anita racconta tutto, di Milton, di Monaco e di Barcellona. Non tace niente, nessun dettaglio, nemmeno quelli che non credeva sarebbe mai riuscita ad ammettere a voce alta. Parla di Max, dell'appuntamento, del bacio, della notte in macchina e del tetto. Della telefonata, del litigio, di quel "questa cosa non va bene e deve finire". Dire tutto questo a voce alta scioglie i nodi di ansia nel suo cuore e riesce a farla sentire immediatamente più leggera, come se si fosse tolta un macigno dalle spalle. Anche se le manca, forse, un po' di più.

Sapeva che Rebecca avrebbe capito.

"È come con Teo, vero?"

Rebecca è l'unica persona che chiami ancora lui per nome.

Anita scuote la testa.

"No, è molto peggio." È costretta ad ammettere. "Lui era carismatico, romantico e affascinante. Max è...Max." si stringe nelle spalle. "Non chiedermi di essere più specifica, non potrei. So solo che per la prima volta dopo tanto tempo, mi fa sentire qualcosa di vero".

L'amica la guarda di sottecchi, con le ciocche di capelli che sfuggono dalla coda che le vanno sugli occhi. Strappa un pezzo di nastro da pacchi con i denti, prima di chiudere l'ennesimo cartone.

"Ani, non fraintendermi." Inizia a dire, cauta, cercando il suo sguardo con insistenza. "Io non lo conosco e non so niente di lui e sono sicura che ha le sue ragioni..."

Anita si mordicchia il labbro inferiore, visibilmente agitata. Questo modo di girare attorno alle cose senza arrivare mai al punto la manda fuori di testa.

"Rebe, dillo e basta" sbotta, incrociando le braccia al petto, nel tentativo di proteggersi da una cosa che non vuole sentire.

"Okay, okay..." concede, poggiando il nastro sul pavimento e tirandosi le ginocchia al petto. "Non credi che, forse, magari, lui possa avere ragione? Che questa cosa non stava portando da nessuna parte?"

Anita è costretta a mordersi la lingua per impedirsi di dare una delle sue solite risposte taglienti. Una parte di lei sa che, razionalmente parlando, ha ragione. Che dovrebbe sentirsi sollevata all'idea di aver troncato una relazione problematica sul nascere.

Un'altra, al tempo stesso, è delusa dal fatto che Rebecca, l'incarnazione dell'emotività e dell'irragionevolezza, le stia chiedendo di essere razionale e non le stia dicendo buttati, tuffati, vivi questo sentimento fino in fondo finché lo senti, al diavolo se ti distruggerà dopo.

"Quand'è che sei diventata così saggia?" le risponde, con tono canzonatorio.

Rebecca la guarda dritta negli occhi, serissima: "Quando te ne sei andata ho dovuto cercare di non combinare troppe cazzate."


Bevono vino stravaccate sul divano, con la televisione in sottofondo che manda programmi di abiti da sposa, accendendosi una sigaretta dopo l'altra. Anita ha tentennato un attimo, prima di inspirare, quasi temendo di sentire di nuovo quel bruciore al petto, ma non è successo. Solo la sensazione avvolgente e rassicurante del fumo dentro e fuori di lei.

Le sembra di essere tornata ad un'altra vita. Bere vino scadente, fumare, chiacchierare di tutto e di niente con una persona che la conosce e la capisce fino in fondo.

Le è mancato tutto questo.

Rebecca in uno slancio di fiducia, sull'onda dell'ebbrezza e del silenzio della sera, le confida un segreto che la lascia sconvolta.

Perché non mi hai detto niente? Sei pazza? Le ha detto Anita.

Non volevo che pensassi che mi dovevi qualcosa. Le ha risposto lei.

Si addormentano alle prime luci dell'alba, fanno sogni congiunti e opposti. Mani che colpiscono, mani che accarezzano. Mani che benedicono una volta e maledicono per sempre.


La mattina dopo, quando si svegliano, è quasi ora di pranzo e non c'è traccia di imbarazzo. Il silenzio che c'è fra loro è un silenzio consapevole. Non ci sono state l'una per l'altra in momenti molto difficili, e questo non c'è modo di cancellarlo, ma possono esserci d'ora in poi.

Anita apre le persiane e lascia che la luce pallida di Milano illumini il soggiorno, mentre Rebecca cucina qualcosa, ed ha una strana sensazione di già vissuto. Da qualche parte, in Toscana, in quello stesso momento, Max si sta preparando a calarsi nella sua monoposto per prendersi la sua rivincita, con o senza di lei.

L'indomani tornerà a Milton, o almeno quelli sarebbero i piani. L'idea di abbandonare questo nido felice e tornare nel suo appartamento sudicio non è così allettante. Nonostante i pacchi pronti, Anita non ha ancora deciso cosa fare, non sa se questa vita fa per lei, se la vuole davvero o se stava solo cercando di dimostrare qualcosa.

Il solo pensiero di vedere di nuovo Max e quello di non vederlo mai più sono ugualmente insostenibili, le provocano una stretta allo stomaco.

"Vuoi vedere il Gran Premio?" le chiede Rebecca, accendendo la televisione. Il suo tono è condiscendente, quasi materno. Anita si tormenta le mani e serra la bocca, prima di scuotere la testa vigorosamente.

"Meglio di no" mormora. "Ho bisogno di non pensarci, ancora per un giorno, almeno uno."

E sa che è la cosa giusta.

Pranzano in silenzio con una serie tv in sottofondo, ed il cellulare di Anita che non la smette di suonare. All'inizio lo ignora, convinta che sia Paul o peggio sua madre, ed è sul punto di spegnerlo, infastidita, quando si rende conto che il mittente è piuttosto insolito. Lynn.

La sua collega la inonda di messaggi e la videochiama in continuazione, ma non la chiama mai al telefono. Deve essere qualcosa di importante se lo ha fatto sei volte.

"Lynn?" chiede, portandosi il telefono all'orecchio. "Va tutto bene?"

"Hai visto? Stai guardando?"

La sua voce è concitata, allarmatissima, quasi non si capisce cosa dice.

"Lynn, no, non sto guardando. Frena un attimo, cosa è successo?" chiede, con la voce stridula e il cuore stretto in una morsa.

"Ani, è fuori. Max, è fuori. Sta dando di matto Ani, devi venire subito."


//Spazio autrice (si certo dai ok)

Con DUE giorni di anticipo, un nuovo lunghissimo capitolo. Tento l'undercut sperando di riuscire a pubblicare di nuovo entro lunedì ma non prometto nulla. Questo capitolo è molto importante per me e spero davvero di essere riuscita a trasmettervi le emozioni giuste.

Continuavo a scrivere e scrivere e aggiungere ogni volta che rileggevo il capitolo per pubblicarlo. Non volevo finisse mai, perché da qui in poi cambia tutto.

Negli ultimi giorni un paio di voi mi hanno scritto dei commenti molto belli e volevo davvero ringraziarvi, perché riescono a strapparmi un sorriso anche in una giornata difficile come quella di ieri. Leggete, votate, commentate. Voglio parlare con voi, sapere TUTTO quello che pensate per sconvolgervi ancora di più!

Vi abbraccio strettissime,

Vostra T.



Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro