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Venti.


INNAZITUTTO, FINALMENTE, IL TRAILER.

VI RICORDO CHE NON È INDICIZZATO, QUINDI POTETE TROVARLO SOLO QUI SU O CLICCANDO SUL LINK CHE TROVATE IN BASSO. NON VEDO L'ORA DI SAPERE COSA NE PENSATE, IO LO GUARDO OGNI GIORNO DA DIECI GIORNI.

https://youtu.be/vP1ji_yGKPg

ED ORA, IL CAPITOLO.


C'era stato un tempo, prima che lui le rovinasse la vita, in cui era stato tutto diverso. Anita era stata una persona diversa. Erano stati anni meravigliosi in cui il peso delle aspettative dei suoi genitori non la schiacciava minimamente, anni in cui era tutta sentimento, farfalle e profondi ideali.

Era ingenua e genuina, piangeva davanti ai film romantici, aveva sogni irrealizzabili e si accendeva per qualsiasi cosa o persona riuscisse a toglierle il fiato. A diciannove anni si poteva dire innamorata allo stesso modo delle giacche con le perline, di Teo e dei quadri di Gauguin.

Lui lo aveva incontrato per caso anche se, dopo quanto avevano condiviso, le risultava difficile ricordarsi ch'era stato solo uno sconosciuto sul tram. Alto, distinto, probabilmente più grande di lei, con una zazzera scompigliata di ricci castani. Portava occhiali tartarugati un po' scesi sul naso, un libro in mano con il dito indice a tenere il segno. Gli amori difficili di Calvino.

Le erano bastati questi piccoli dettagli per convincersi di conoscerlo profondamente e per desiderare di averlo accanto per sempre.

Al contrario, ci erano voluti due anni di ripetuti tradimenti per convincersi che, in realtà, non aveva idea di chi fosse, e per desiderare di non vederlo mai più.

Dopo la loro rottura, Anita aveva cercato in ogni modo di staccarsi di dosso quell'immagine pulita e patinata che l'aveva accompagnata negli anni, di disimparare tutte le abitudini che lui le aveva instillato e, più di tutto, aveva provato ad eradicare quel bisogno che aveva sempre avuto di arrivare al cuore delle persone.

E ci è riuscita, in un certo senso. O almeno lo ha creduto.

Si è destreggiata in una serie di relazioni vuote e impersonali, incontri sessuali occasionali, flirt annacquati come i cocktail dei bar per studenti. Non ha più cercato quel guizzo speciale negli occhi delle persone che la circondavano, ha smesso di desiderare di conoscere i pensieri nelle loro teste, di stabilire una connessione intima e di immaginare futuri impossibili. Ha tenuto le distanze. Si è indurita.

Quando si è resa conto che nessuno si sarebbe mai aperto con lei come lei avrebbe fatto con loro, ha iniziato a chiudersi a riccio, a nascondere la persona che era stata dietro a battute taglienti e risultati impeccabili. Ha lavorato tanto su questo, lo ha fatto davvero.

Max, la sua figura altèra e costruita, il suo sguardo affilato e la bocca terribile, si sono rivelati un piccolo passo falso nel suo cammino di guarigione, e hanno risvegliato in lei sentimenti sopiti, soffocati con forza per sopravvivere.

Si è detta che non avrebbe dato peso agli ultimi avvenimenti, che avrebbe vissuto momento per momento senza nessuna aspettativa. Uno come Max non lascia spazio a pronostici a lungo termine.

È lì finché è lì, poi, semplicemente, non c'è più.

Sotto il cielo limpido e la calura spagnola, in quei brevi momenti che si sono ritagliati fra i loro mille impegni, Anita ha quasi creduto di aver stabilito un contatto con lui, qualcosa di vero.

Il sabato notte, prima della gara, è venuto a bussare alla sua porta. Anita era ancora sveglia a lavorare su alcuni contenuti per il sito che le stavano dando non pochi problemi, e gli ha aperto un po' stranita. Non si aspettava di vederlo lì.

Max aveva lo sguardo un po' perso, si tormentava le mani. È rimasto fermo impalato sulla soglia anche quando lei lo ha invitato ad entrare.

"Va tutto bene?" ha chiesto Anita, accigliata. Ha lanciato occhiate alle spalle del ragazzo per essere sicura che nessuno lo avesse visto affacciato alla sua stanza nel cuore della notte.

"Ho bisogno di prendere un po' d'aria." Le ha risposto lui. Aveva un tono mesto, ma sempre tranquillo.

Mai una sbavatura. Niente fuori posto.

"Max, sono quasi le due, domani hai la gara. Dovresti davvero dormire."

Lui le ha lanciato uno di quegli sguardi carichi di emozioni oscure ed indecifrabili, che le fanno contorcere le viscere e a cui, semplicemente, non ha imparato a dire di no.

Si è chiusa la porta alle spalle con uno schiocco secco, addosso uno strano completo coordinato che si è portata dietro per dormire, e lo ha seguito attraverso i corridoi lunghi e tranquilli dell'albergo. Hanno imboccato le scale e sono saliti, dapprima lentamente, poi quasi di corsa, fino all'ultimo piano.

Anita non ha chiesto niente, si è lasciata guidare nel silenzio più assoluto, seguendolo come la sua ombra. Max non si è mai girato, nemmeno una volta, come se avesse dato per certo che lei gli sarebbe andata dietro, ovunque e senza fare domande.

Ha dato una spinta alla porta antipanico, che si è aperta su una terrazza spoglia e trascurata. Ha inspirato l'aria della sera a pieni polmoni, prima di stendersi sul brecciolino. Lei lo ha imitato, occupando il suo fianco.

Hanno guardato le stelle dal tetto.

Anita ha sempre pensato che fosse poetica la certezza che, ovunque nel mondo, il cielo sulla propria testa sia sempre lo stesso. L'unico paesaggio che trovi in ogni posto. Alzi la testa e ce lo hai lì, stelle, pianeti e satelliti. Non ti delude mai.

Per una piccola frazione di secondo ha pensato che Max sarebbe stato uno spettacolo migliore da osservare, ma si è guardata bene dal voltarsi, come temendo di vederlo sparire. Una cometa passeggera.

"Perché trattieni il fiato?" le ha chiesto lui, ad un certo punto.

Anita si è morsa le labbra, si è data della sciocca.

"Paura" ha risposto, semplicemente, senza specificare paura di cosa. Ha tenuto gli occhi chiusi, mentre aspettava che lui continuasse, ma non lo ha fatto. Avrebbe avuto voglia di allungare il braccio e toccarlo, anche solo per un istante. Cercare conforto. "Tu sembri uno che non ha paura di niente."

"È più o meno vero." Ha mormorato Max. La sua voce si è confusa nel vento. "Tranne per una cosa, ma se te la dico poi dovrò ucciderti."

"Posso correre il rischio"

Ha fatto una risata, ma somigliava più ad un colpo di tosse.

"Riderai di me."

Anita ha sentito le sue guance tendersi in un sorriso spontaneo: "Poco ma sicuro."

Max ha cincischiato per un po' con il piede, e il rumore della gomma della suola contro la pietra l'ha trascinata al centro di un ricordo molto nitido della sua infanzia. È il suono del cortile, delle vacanze, della timidezza.

"Ho paura dell'insuccesso." Ha proseguito lui, all'improvviso, riportandola con forza al suo presente, a quell'istante, a quella sera. "Voglio essere il migliore, in tutto, sempre. Costi quel che costi."

Anita ha riso. Forse lo ha offeso. Poteva aspettarselo, glielo aveva già detto.

"È una paura un po' del cazzo, se posso permettermi." Ha dichiarato. "Io mi aspettavo una cosa imbarazzante e insospettabile, tipo che avevi paura delle sedie a dondolo o dei dinosauri di plastica."

Non ha potuto fare a meno di cedere ai suoi meccanismi di sicurezza.

"Ci avrei scommesso che avresti avuto da ridire"

Per qualche secondo è stato di nuovo silenzio. Anita ha cercato di mettere in fila dei pensieri coerenti, anche se era stanca e se avrebbe voluto solo che fra loro potesse esserci qualcosa di semplice e normale. Pensieri egoisti, in qualche modo. Poggiare la testa sul suo petto. Dormire cullata dal battito del suo cuore.

"L'insuccesso fa paura a tutti, Max. Nessuno vuole fallire."

Ed erano le parole più vere che avesse da dargli. La risposta di lui non ha tardato ad arrivare, misurata e coerente con il resto.

"Per me è sempre stato diverso."

Anita ha girato il volto verso di lui. Ha osservato il suo profilo di sbieco, le ciglia lunghe e chiare, il naso dritto, la linea della mascella, l'ombra della barba.

"Cosa intendi?" ha chiesto. Gli angoli della bocca di Max si sono piegati all'ingiù.

"Lascia perdere, non capiresti."

"Provaci" lo ha incalzato.

"Se vivi per qualcosa, per quel qualcosa sei disposto a dare tutto, anche la vita. Se non basta, sei fregato."

Ed il suo tono era molto diverso da quello che aveva usato l'ultima volta che ne avevano parlato.

C'era tanto dolore nelle sue parole che non bastava il cielo di Montmelò a trattenerlo.

Anita ha sentito uno squarcio aprirglisi nel petto. Poi si è alzata, puntellandosi sui gomiti, ed ha guardato gli occhi di Max riempirsi di lacrime.

Si è detta: sono vicinissima al suo cuore, non sarò mai più vicina di così.

Poi la notte è passata, e anche il Gran Premio, e Anita si è resa conto che non è ancora brava a capire le persone, men che meno Max.


*


Vorrebbe dire che non se lo aspettava, ma mentirebbe. Sapeva benissimo che sarebbe successo. Questo, però, non rende la cosa più sopportabile.

Il mercoledì, mentre è in taxi, Anita prova a chiamare Max un paio di volte, ma lui non risponde. Non si vedono da dopo la gara, si sono scritti un paio di volte durante la settimana ma le conversazioni sono colate a picco dopo un paio di messaggi di circostanza, e lei ha cercato di ignorare il fastidioso presentimento che non si trattasse di una semplice casualità.

È una cosa stupida, ovviamente, ma fa accendere un piccolo campanello d'allarme nel suo cervello, un'insicurezza di fondo impossibile da dissipare. Quando riprova a contattarlo poco più tardi, scatta immediatamente la segreteria. Sente un sapore acido in bocca, la testa girare. Ha buttato giù.

Probabilmente è solo molto occupato. O stanco. O una combinazione delle due.

Si sente patetica ad aprire la loro chat per constatare l'ovvio. Che Max è online e semplicemente la sta ignorando.

Cerca di autoconvincersi che non le importa, che non è una cosa fondamentale. È un po' delusa, forse. Ma da sé stessa, più che da Max. Ha sempre saputo che non significava niente.

Quanto si era sbagliata. Aveva pensato di aver smosso qualcosa in lui, quella notte, ma aveva a malapena agitato la superficie. Si erano avvicinati solo per separarsi ancora di più.

Anita detesta la sensazione di non riuscire a trattenerlo, di sentirselo sgusciare dalle mani come acqua di un torrente.

Una parte del suo cervello, quella che di solito ha la meglio, sente l'urgenza di chiarire la situazione, di mettere dei paletti, di tagliare il male alla radice. Un'altra, però, è del tutto certa che Max scapperebbe a gambe levate da un discorso del genere, e l'idea di vederlo uscire per sempre dalla sua vita ora che ci si è infilato in mezzo le sembra a dir poco intollerabile.

Pensa che, se questo è l'unico modo che ha per averlo, le va bene così, anche se la ferisce in modi che mai avrebbe pensato, le toglie il fiato.


Quando si sveglia la domenica del trenta agosto nella sua camera d'albergo a Spa, in Belgio, quelle parole acquistano un significato completamente diverso.

È un peso sul petto a toglierle il fiato, a impedirle fisicamente di gonfiare i polmoni e respirare.

Per una manciata di secondi è come annegare. Ha la gola chiusa, stretta, sente un bruciore sordo che la consuma dall'interno, come se si fosse tuffata nell'acqua gelida e non riuscisse più a venirne fuori. Annaspa alla ricerca di aria, ma qualcosa le blocca il respiro, è un incubo.

Non ha tempo di realizzare cosa sta succedendo. In quegli attimi dolorosissimi, si dimentica dov'è e cosa sta facendo. C'è spazio solo per il terrore.

A fatica riesce a mettersi a sedere, fra le lenzuola disordinate, e tossisce, lottando per respirare. Più tossisce e più si sente libera, svuotata, e meglio respira. Dopo qualche minuto il peso si è attenuato, e con lui la sensazione di soffocamento. Ogni volta che gonfia il petto per prendere fiato, però, avverte una fitta dolorosa che non lascia presagire niente di buono.

Quando è appurato che non sta davvero soffocando, subentra il panico.

Dio, non può essere, non deve essere. Sono fregata, finita per sempre. Lo siamo tutti.

Chiude gli occhi, cercando di tirare lunghi respiri profondi che le fanno male, e stringe i pugni per impedire alle sue mani di tremare.

Sono giorni che è più stanca e affaticata del solito, ma non ci ha dato peso. È il weekend di un Gran Premio molto importante, è oberata di lavoro e deve fare i conti anche con Max, che non le parla, che le fa muro, che è intrattabile con tutti e specialmente con lei. Dopo le qualifiche ha avuto uno scontro verbale violentissimo con il suo ingegnere di pista e quando Anita è andata a cercarlo nella sua stanzetta, lui non le ha nemmeno aperto.

È da allora che non si vedono e, forse, è stato meglio così.

Allunga la mano sul comodino e stacca il telefono dal caricabatteria, lasciandolo pendere sul pavimento.

Come si aspettava, non ci sono chiamate né notifiche di messaggio. Il giorno della gara per Max è sacro. Deve chiudersi nella sua bolla ermetica e dimenticarsi di tutto quello che non sia il circuito, la macchina, la vittoria. Non ci può essere spazio per altro.

Ogni respiro le costa un po' più fatica, e nella sua mente ormai si fa strada l'unico pensiero possibile. Il peggiore, il più pericoloso.

Chiama Lynn, la avvisa che non si sente molto bene, che guarderà la gara dalla stanza e aggiornerà il profilo in tempo reale. Cerca di mantenere il respiro regolare, anche se questo le causa fatica e dolore. Non vuole sganciare una bomba così a cinque ore dal Gran Premio, far preoccupare i ragazzi del team e causare problemi a tutti. A Max per primo.

"Ani, sicura sia tutto okay? Mando qualcuno?" le chiede la collega, circospetta. Il suo tono è vagamente allarmato, anche se non vuole darlo a vedere. Deve aver intuito che le sta tacendo qualcosa di importante.

"No, assolutamente." Replica Anita, forse troppo in fretta. Sa che lei la capirebbe, che vorrebbe solo aiutarla, ma conosce bene il protocollo e se è quello che teme meno persone lo sanno, meglio è. Guarda fuori dalla finestra: il cielo è cupo e tempestoso, pioverà.

Poi, tenendo la voce ben salda, aggiunge: "Non deve venire nessuno Lynn, me lo devi promettere."

Quando chiude la chiamata, stremata, si riaddormenta.


Per un attimo, distesa, con gli occhi chiusi, Anita si convince che sia tornato tutto al suo posto, che si sia trattato solamente di un brutto sogno un po' troppo realistico, di una suggestione momentanea.

La realtà è ben diversa.

Il suo primo respiro, da sveglia, è puro fuoco.

Ormai è praticamente certa che non potrà tenerlo nascosto ancora a lungo, cerca solo di resistere quel tanto che basta. Non sa se ci riuscirà, ma ci prova.

Le ore sono lunghe, non passano mai, anche se Anita comincia a scivolare dentro e fuori da uno stato di incoscienza, in cui paranoia e dolore si mescolano in un cocktail spaventoso.

Mi troveranno qui morta solo perché volevo far correre un fottuto Gran Premio a Max, è il pensiero più ricorrente.

È stata disattenta, se lo merita, anche se non sa come sia potuto succedere. Proprio a lei? Proprio adesso?

Il piccolo schermo del suo computer mostra le immagini della gara, ma le appaiono confuse e nebulose, le sembra un'altra vita. Le espressioni deluse sui volti dei meccanici le appaiono prive di senso. Le curve si susseguono dandole un senso di nausea, i rumori sono troppo forti, la stanza soffocante.

A un certo punto si addormenta, crede, ed è l'ultima cosa che si ricorda.


Anita è svegliata da un rumore sordo e ripetitivo. All'inizio lo confonde con il battere ritmico del suo cuore, ma è decisamente troppo forte per provenire da sé stessa.

Batte le palpebre un paio di volte, allungandosi nel suo bozzolo di coperte, prima di rendersi conto che qualcuno sta bussando alla sua porta.

La prima cosa che entra nel suo campo visivo è il telefono, il cui schermo continua a lampeggiare, riportandole notifiche e avvisi di chiamata. Lynn deve essersi preoccupata, non le ha più dato sue notizie. Sono quasi le sei di sera. Ha passato l'intera giornata a letto, ma si sente ancora peggio di prima.

Chiunque sia dall'altra parte della porta continua a picchiare con il pugno contro il legno, tanto forte che sembra volerlo sfondare.

"Anita? Lo so che sei dentro" urla una voce, attutita e lontanissima, nonostante sia a pochi passi. Non ha la forza per tirarsi su, quindi aspetta inerme che il rumore si fermi da solo.

Lo schermo del cellulare si riaccende. È Max.

Anita scorre con il dito sullo schermo, e viene investita dalla voce furente del ragazzo: "Si può sapere dove cazzo sei?"

Parlare le costa una fatica indicibile.

"Max..." prova a mormorare.

Lui dice cose che lei non capisce.

"Perché non c'eri? Perché cazzo non c'eri? Me lo devi cazzo, me lo devi" quasi urla.

Quelle parole.

Me lo devi.

"Max..."

"Anita apri questa cazzo di porta"

La rabbia cieca, la disperazione.

"Max, non respiro"

"Si può sapere cosa stai dicendo?"

La confusione, il dubbio.

"Chiama aiuto"


//Spazio autrice (rieccoci)

Buonasera amici, come promesso eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo. Questa altalena emotiva mi ha già causato non so quanti infarti e quanto crepacuore, quindi non immagino voi che non sapete cosa verrà dopo quanto siate sconvolti!

Questo capitolo, apparentemente piuttosto piatto, raccoglie invece la vera essenza di questa storia, i suoi persoaggi. Se siete alla ricerca di personalità lineari, qui non ne troverete, ma spero si percepisca bene tutta la loro imperfezione e umanità.

I momenti di Anita e Max sono da leggere e vivere come istantanee, fotografie. Non sapremo mai cosa fanno in ogni istante di ogni momento, ma abbiamo piccoli sprazzi, giusto il necessario per seguirli e innamorarci di loro e con loro.

Non ho mai promesso che sarebbe finita bene.

NON DICO ALTRO, ma aspetto i vostri commenti, come al solito, perché mi danno la spinta e mi fanno felice. In questo momento servirebbe davvero tanto. Leggete, votate, scrivetemi pure se viva. Vi mando baci stellari,

Vostra T.


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