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Trentanove.

//nb. non è l'ultimo!

La notte in cui il jet di Max atterra negli Emirati, mentre tiene la testa sulla sua spalla, Anita fa un sogno che non aveva mai fatto prima. È al centro della pit lane del circuito di Abu Dhabi, le monoposto sono ancora tutte nei box e gli spalti sono vuoti. Il cielo è plumbeo, denso di nuvole scure e pesanti. Tutto è immobile e lei è l'unica persona nel raggio di centinaia e centinaia di metri. L'unico suono che sente nel silenzio spettrale che la avvolge è quello della tempesta che si sta per scatenare. Vorrebbe muoversi, ma i suoi piedi sono incollati all'asfalto, dunque può solo stare lì, in attesa. Gradualmente, al rombo dei tuoni si affianca un rumore ritmico ed incalzante, dapprima lontanissimo e poi sempre più vicino. Passi. Qualcuno cammina, marcia, corre verso di lei. E Anita sa solo che non ha paura, anche se dovrebbe. Sente distintamente chiamare il suo nome. Un fulmine squarcia il cielo, illuminando a giorno il circuito deserto. E Max è la prima e l'ultima cosa che vede.


"Ani?"

Qualcosa la trascina fuori dal sogno senza preavviso, lasciandola intontita e disorientata, ed è tutto così repentino da farle girare la testa. Spalanca gli occhi di scatto e per qualche secondo guarda fisso davanti a sé senza vedere assolutamente nulla, ancora sopraffatta dall'atmosfera creata dalla sua mente. Sembrava così reale.

"Ani, qualcosa non va?"

Labbra. Si muovono, la sfiorano. Una voce.

È a malapena un sussurro a un niente dal suo orecchio, che le fa venire i brividi su tutta la pelle.

La prima cosa che registra è che devono essere atterrati, perché l'abitacolo del jet è illuminato, silenzioso ed immobile. Anita batte le palpebre un paio di volte per abituarsi all'intensità delle luci artificiali, ma quando porta le mani agli occhi per strofinarli sente le sue guance umide, come se avesse pianto. Si fissa i palmi, borbottando qualcosa di incomprensibile a mezza voce. Cosa cazzo è successo? Non saprebbe dirlo. Nelle narici sente ancora l'odore di gomma bruciata.

Ha lasciato il sogno, ma il sogno non ha lasciato lei.

"Anita" la voce è molto più alta, adesso. E non è solo il volume ad essere diverso, ma anche il tono. Tradisce un'incertezza di fondo, un'inquietudine malcelata.

Solo allora gira il viso verso il ragazzo che le siede accanto, che la guarda con gli occhi arrossati spalancati dall'apprensione. Max ha una mano poggiata sulla sua coscia, appena sopra al ginocchio, e con il pollice fa dei movimenti lenti e appena accennati, come per confortarla.

Lei ricambia lo sguardo, la confusione evidente in ogni angolo del suo viso.

"Tutto bene" mormora, scuotendo le spalle. Non è la verità ma non è nemmeno una bugia. Non sa in che modo giustificarsi, in realtà. "Solo un brutto sogno, credo."

Un brutto sogno in cui c'eri tu.

Max tira su un sopracciglio, interrogativo, ma non aggiunge altro. Le spalle si distendono, o almeno così le sembra. Non smette di accarezzarle la gamba, però, nemmeno quando lei gira la testa per dare una rapida occhiata fuori dal finestrino.

"Che ore sono?" domanda, trattenendo a stento uno sbadiglio.

Lui tira fuori il cellulare dalla tasca, e la cosa sembra costargli parecchio sforzo, perché deve cambiare posizione e smettere di toccarla. Anita si rende conto del calore e della pressione che esercitava la sua mano solo quando lui la sposta e la priva del contatto fra i loro corpi.

Le sembra una buona metafora del loro rapporto, in qualche modo, accorgersi di quanto lui le faccia bene solo quando non gliene fa più.

Max gira il telefono verso di lei, abbagliandola con la luce dello schermo. Le tre e cinquanta. Si lascia andare ad un lamento. Facendo un breve calcolo, la sua sveglia suonerà fra poco più di tre ore, quindi non ha alcuna speranza di riuscire a riposare ancora per molto. Tanti cari saluti al sonno di bellezza.

Si slaccia abilmente la cintura con una mano e si stiracchia quando si rimette in piedi. Le gambe sono ancora piuttosto indolenzite e sente il collo rigido per la posizione in cui ha dormito.

"Cosa fai lì impalato?" gli chiede, un po' brusca, quando nota che Max non si è mosso di un millimetro. È ancora seduto con le braccia allineate sui braccioli del sedile in pelle, il capo reclinato sul poggia testa, il cellulare in equilibrio sulla coscia. È taciturno, concentrato.

"Ti guardo." Le risponde lui, e ha gli occhi scuri ed insolitamente docili mentre lo dice. Le labbra a forma di cuore sono piegate in quello che sembra l'accenno di un sorriso criptico, anche se il resto del viso appare assolutamente impassibile. "Che c'è, non posso guardarti?"

Il modo in cui una frase semplice come quella le sconquassi il petto dall'interno lo trova assolutamente senza precedenti. Quello che prova per lui, è senza precedenti.

Anita non trattiene il sorriso e lo scavalca con una gamba, per sedersi sulle sue ginocchia dritta come un fuso. I capelli biondi, ormai lunghissimi, le piovono ai lati della testa come due tendine, avvolgendole le spalle, avvolgendoli entrambi. Mentre lo studia (le loro fronti quasi si sfiorano, per quanto sono vicini) è sicura di intravedere un lampo di eccitazione e sorpresa passare nei suoi occhi.

"Per guardarmi meglio" si spiega, in tono di sfida. Il sorriso sul suo volto si fa più largo ogni secondo che passa. Soprattutto quando sente la reazione che il corpo di Max ha a quel contatto.

È desiderio allo stato puro. Istantaneo, prepotente.

"Ti odio" mormora lui, emettendo un lamento strozzato. È addirittura arrossito. "Ti odio davvero tanto."

In qualche maniera però, il modo in cui lo dice- il modo in cui la voce gli trema mentre lo dice- la turba. Le fa lo stesso effetto di un graffio su un vinile che fa inceppare il giradischi, interrompendo il tuo pezzo preferito sul più bello.

Anita si alza in tutta fretta, superandolo con un saltello e recuperando il suo borsone dalla cappelliera aperta. Le parole che lui le ha rivolto domenica sul circuito le bruciano ancora sulla pelle. Non perché l'abbiano ferita, ma perché ne ha percepito il peso e le implicazioni.

"Sì, lo hai già detto" bisbiglia, ma non è sicura che lui l'abbia sentita e forse è meglio così. Non si sente pronta a parlarne adesso, anzi, sospetta che non sarà pronta per parlarne mai. Anche se non lo sa, Max ha involontariamente confermato la sua paura più grande. Lui la considera una debolezza. Un difetto fatale. Quanto ci vorrà perché lei diventi la causa di tutti i suoi insuccessi, il capro espiatorio di tutti i suoi sbagli?

È tardi, però. Sono le quattro di notte e pensare a queste cose non può portare a niente di buono.

È così stanca che non controlla nemmeno il telefono, non finché non sono fuori dall'aeroporto, in attesa dell'autista.

Quando finalmente lo fa, vorrebbe non averlo fatto.

Sente una strana fitta all'altezza dello stomaco e tutt'un tratto vorrebbe solo vomitare.

La mano di Max sulla schiena è l'unica cosa che le impedisca di crollare.


La cenere si accumula rapidamente sulla punta della sigaretta che tiene appoggiata fra l'indice e il medio. Resiste il più possibile, producendo un sottile filo di fumo scuro, finché la colonnina non si spezza e si disintegra nel vento. Dopo qualche minuto, il mozzicone si spegne in un soffio anche se Anita nemmeno se ne accorge, assorta com'è.

Seduta sul balconcino antistante alla suite del nuovo albergo, tiene lo sguardo fisso sul suo cellulare, a metà fra l'incredulo e lo spaventato, come scottasse o se ci fosse il rischio reale che ne venisse fuori ogni genere di mostri.

È Max a riscuoterla, poggiandole una mano sulla spalla. La lieve stretta -la pressione delle dita, il calore del suo corpo- la rassicura, in qualche modo, anche se non riesce ad eliminare il nodo in gola che le si è formato e che le rende difficile deglutire.

Anita appoggia quel che resta della sigaretta nel posacenere e si gira verso di lui, mordicchiandosi il labbro. Sapeva che prima o poi questo momento sarebbe arrivato. Che non avrebbe potuto continuare a ignorare la cosa per sempre.

"Hai...intenzione di dire qualcosa?" le chiede lui. La sta guardando con un sopracciglio sollevato, come se si aspettasse davvero una risposta, che però non arriva.

Il fatto è che Anita non sa da dove cominciare.

L'argomento famiglia è un argomento che non tocca mai con Max, soprattutto dopo quanto è successo in Bahrein. Nonostante sia convinta che lui possa essere l'unica persona al mondo in grado di capire davvero i suoi problemi, non si sente in diritto di condividerli con lui, di metterli sullo stesso piano dei suoi.

Semplicemente non può lamentarsi del rapporto di merda che ha con sua madre, non con una persona che ha subito abusi e che ha vissuto quello che ha vissuto Max. Non dopo averne visto i segni che porta addosso.

È per questo che non ha menzionato nemmeno una volta come non abbia più avuto contatti con sua madre dopo il rientro dall'Italia, tre mesi prima. Né tantomeno come i suoi siano ad un passo dal divorzio perché sua madre disapprova il fatto che suo padre abbia appoggiato la sua scelta di rimanere a Milton Keynes.

Sono cose che la fanno soffrire, che la fanno sentire sola.

Ne ha parlato con Rebecca, ovviamente, ma la sua migliore amica ha sempre avuto la tendenza a minimizzare. Quelli che hanno dei genitori che li appoggiano in tutto quello che fanno senza colpevolizzarli o svalutarli lo fanno sempre. Non è colpa loro. Non lo sanno come ci si sente, a vivere con la consapevolezza di essere in debito perenne. A dover rispettare i progetti di qualcun altro senza possibilità di replica. A non avere scelta.

Quindi Rebecca, in ultima analisi, le vuole bene, ma non la capisce.

Con Max, si dice, è diverso. Lo è sempre stato.

Quando lo guarda, con il labbro inferiore fra i denti ed in bocca il sapore del sangue, Anita si dice che Max capirebbe se solo lei gli desse la possibilità di farlo.

Ed anche se le piace pensare di poter affrontare tutto senza l'aiuto di nessuno, deve togliersi questo peso dal petto. Se non lo dice, impazzisce.

"Mi ha chiamato mia madre." Confessa Anita, con una smorfia. "Ieri, quando eravamo sul jet."

Max annuisce, lentamente, senza scomporsi. Non dice cose tipo e quindi?, o è un bene. Non fa commenti, né insinuazioni. Ciò che le restituisce è una domanda molto specifica, che le infonde una sensazione impagabile di calore al petto e le fa pensare di aver fatto la scelta giusta.

"E tu vuoi richiamarla?"

Lei sospira, dice: "Non lo so" ed è vero. Quando ha visto la notifica di chiamata il suo cuore ha perso un colpo. Ha pensato immediatamente che fosse successo qualcosa di brutto a suo padre, così gli ha scritto, nel cuore della notte, chiudendosi nel bagno dell'albergo per non farsi trovare sveglia da Max. Suo padre le ha risposto un po' confuso, ricordandole che era fuori per un viaggio aziendale, chiedendole se andasse tutto bene. Lei è stata vaga, ha detto e adesso devo andare e ti voglio bene.

Però non ha smesso di pensarci. Soprattutto quando, più tardi, quella sera, le chiamate perse dallo stesso numero sono diventate due. È stata completamente assente per la maggior parte del tempo, a fissare il telefono e a chiedersi cosa sarebbe stato giusto fare.

Max è stato quanto mai paziente, le ha lasciato il suo spazio. Ha fatto trascorrere un intero giorno prima di chiedere spiegazioni per il suo silenzio, e questo è più di quanto si aspettasse, più di quanto lei potesse chiedere.

"Se pensi che possa farti bene, credo dovresti farlo." Le suggerisce lui. È molto serio, quando parla. "Ma se sai già che ti farà arrabbiare con lei più di quanto tu non lo sia già, forse è meglio lasciare le cose come stanno. Se ti sta bene, ovviamente."

Il silenzio fra di loro è confortevole, come una coperta calda. Sa di casa e di sostegno e di tutte le cose che sono mancate ad entrambi nella loro vita.

"Non so perché ho così tanta paura." ammette Anita, con un sospiro. Si passa una mano fra i capelli, stringendo le ciocche bionde fra le sue mani. "Ho trovato il mio equilibrio. Sono soddisfatta dei miei risultati. Non so se ho voglia di vederli demoliti e sminuiti. Non so se ho voglia di sentirmi una delusione. Non so se ne ho la forza, Max."

Lui apre la bocca, come per dire qualcosa, e Anita è certa che lui saprà trovare le parole giuste per dirle cosa fare, ma viene preceduto da un rumore attutito proveniente dall'interno. Qualcuno sta bussando alla porta della stanza, e lo sta facendo in maniera piuttosto insistente.

Max le rivolge uno sguardo pieno di scuse, ma non sembra seccato. C'è una sola persona che ha il potere di interrompere Max Verstappen e sopravvivere per raccontarlo.

"Aspetta qui" le dice solo, prima di rientrare. Lo fa in fretta, come se non volesse darle tempo di processare l'informazione.

Anita ignora la richiesta e lo segue a ruota, chiudendosi la finestra alle spalle, giusto in tempo per vederlo scostare appena la porta prima che venga spinta violentemente verso l'interno dall'ospite inatteso.

Daniel Ricciardo entra nella stanza come un tornado, stupendoli entrambi, animato da un'energia incontenibile. Ha un sorriso sfolgorante che gli attraversa la faccia da un orecchio all'altro.

Coglie Max di sorpresa, abbracciandolo forte e sollevandolo di peso. Ha una risata calda e accogliente, che fa venire voglia di imitarlo anche se non si sa perché. L'altro non si lamenta, anzi, non prova nemmeno a trattenere il sorriso che gli si apre sul volto e gli illumina gli occhi. Ed è così strano vederlo così allegro. Sembra proprio felice.

Ed è chiaro che Anita si è persa qualcosa di molto importante, ma per quanto si sforzi non riesce ad immaginare di cosa si tratti.

Osserva tutto in disparte, in qualche modo esclusa dal momento intimo che i due stanno vivendo. Per un bel pezzo Daniel è tutto sonore pacche sulle spalle e frasi senza senso come congratulazioni amico o sono così contento, ma non appena lo rimette a terra, Max sembra non vedere l'ora di cacciarlo fuori dalla stanza. Mentre ancora gli sta parlando, lentamente gli va in contro, facendolo indietreggiare di qualche passo.

"Grazie per essere passato Dan" dice, indicandogli la porta appena alle sue spalle. Ha l'ombra di un sorriso ancora presente sul volto, ma i suoi occhi sono vigili e inflessibili. Il linguaggio del corpo molto difensivo. "Ti scrivo dopo."

Daniel non sembra cogliere l'invito, perché resta fermo sulla soglia, sorridente, con le mani giunte appoggiate sotto il mento, la testa che annuisce leggermente.

"Così bello. Così felice. Neanche quando è successo a me, Max, incredibile" mormora, gli occhi scuri gli brillano. Anita aggrotta le sopracciglia, confusa più che mai.

"Ne parliamo dopo ti ho detto."

Viene fuori in modo brusco, ma Daniel non ci fa caso.

"Sto veramente diventando vecchio, Maxie" gli dice, invece. Ha un tono nostalgico. "Non avrei mai creduto che saresti entrato nel team zii fighi così presto. Quando Vic mi ha scritto ero sconvolto. Voglio assolutamente-"

La ruga di espressione che si era formata sulla fronte di Anita, si distende improvvisamente. Oh.

Max si passa una mano sulla faccia. Per sua sfortuna, non lo aiuta a tele trasportarsi in un'altra galassia.

"Dan, che cazzo" lo interrompe, spazientito.

Il pilota australiano sposta per la prima volta il suo sguardo su Anita, appena più indietro, e nel momento esatto in cui nota la sua espressione il sorriso gli scompare immediatamente dalla faccia. Le sopracciglia si inclinano verso l'alto. La bocca si spalanca.

"Ho fatto la più grande figura di merda della storia, vero?"

Lo sguardo che Max gli riserva non è aperto ad interpretazioni.

"Adesso ci lasci soli sì?"

Senza aspettare che Daniel gli risponda, letteralmente gli sbatte in faccia la porta, che si chiude con uno schianto facendoli sobbalzare entrambi.

È alle sue spalle che Anita parla, con la voce che le trema. Al profilo della sua nuca, piegata in avanti. Ai suoi capelli biondi sparati in tutte le direzioni.

"Perché non me lo hai detto?" bisbiglia, e il modo in cui la sua voce si spezza alla fine della frase risucchia tutta la felicità di cui si era riempita la stanza.

Max sospira, rumorosamente.

"Non sono stupido." Dice, girandosi verso di lei. Tiene le braccia piegate e le mani coi palmi rivolti verso l'alto. Per una volta non è il leone, ma il domatore. "Sapevo che qualcosa non andava."

"Ed hai pensato di? Tenerlo segreto?" prosegue lei. Lo guarda con i pugni stretti lungo i fianchi. Adesso è Max a non riuscire a sostenere il suo sguardo inquisitorio.

E all'improvviso Anita capisce.

"Oh mio Dio." Sussurra, a mezza voce. Sente un dolore sordo al centro del petto, all'altezza del cuore. Pronunciare a voce alta la frase successiva le fa male fisicamente. "Pensavi che non sarei stata felice per te"

Lui ha la mascella serrata. Il viso duro ed impassibile mentre scuote la testa a destra e sinistra per scacciare le parole di lei come se fossero uno sciame di insetti fastidiosi.

"Non mettermi in bocca parole che non ho mai detto, Ani"

"Ma lo hai pensato" lo incalza lei, coprendosi il viso con la mano. Max stringe la bocca, non sa replicare. Il silenzio è benzina sul fuoco, la infiamma come nient'altro. "Lo hai pensato."

Anche solo ripeterlo ha un effetto disastroso su di lei, la fa partire a ruota libera. "So essere felice per te anche quando la mia vita va di merda. So starti vicino anche quando sono a pezzi. È quello che ho fatto ogni volta che è servito nelle ultime settimane. Ogni volta che ne hai avuto bisogno." Stringe le labbra, come per impedirsi di proseguire, ma le parole sanno di bile, non può trattenerle. "Sai cosa? Tieniti i tuoi cazzo di segreti Max, chi se ne frega."

Si sente patetica a confessargli queste cose, ma non riesce a farne a meno. Muove un paio di passi per raggiungere la porta. Deve uscire da lì. Se rimane, finirà male. Molto male.

La mano sinistra di Max si chiude attorno al suo gomito, quando lei gli passa accanto. Dal modo in cui la stringe, Anita percepisce la foga del momento.

"Parli tanto di quello che io ho pensato, ma ti sei mai preoccupata di dirmi cosa accidenti passava per la testa a te?" la apostrofa lui, duro. I muscoli sono in tensione, all'erta. "Dici sempre che non hai nessun segreto, ma è una cazzata. Io di te mi sono fidato ciecamente. Tu ci hai messo trenta ore a dirmi una cosa che avevo capito dopo cinque secondi."

Il cuore le batte furioso nel petto, mentre il respiro le si spezza con un rantolo. Nonostante sia in mezzo alla stanza e rivolta verso l'uscita, si sente con le spalle al muro. Max l'ha appena messa davanti a tutte le sue mancanze. Le ha dato la mazzata finale, il colpo di grazia. Schietto, chirurgico, dritto al punto.

"Ti piace fare finta che io sia il cattivo e vedi il marcio in ogni cosa che faccio. Eppure sei ancora qui. Cosa ti fa rimanere? Ti faccio pena? È questo?" il tono della sua voce è grave, somiglia al rombo dei tuoni del sogno che ha fatto. La morsa sul braccio con cui la trattiene è un laccio emostatico, lascerà un segno. Ma la frase che dice dopo, quella lascerà una cicatrice. "Io non voglio che tu stia con me perché pensi che qualcuno dovrebbe, ma perché tu vuoi farlo."

Se ci sono cose da dire, parole da usare per sistemare le cose, Anita non le trova.

Vorrebbe andarsene, ma è Max a farlo.

Per adesso o per sempre, non le è dato saperlo.


//Spazio autrice (tardi come sempre, ma lo sapete ormai)

Eccoci. Per fortuna non è la fine, giusto?

Non so cosa mi sia saltato in mente, ma quando ho deciso di aggiungere un capitolo le cose mi sono lievemente sfuggite di mano. Ed è successo questo.

Inatteso eh? Alcune di voi lo avevano visto arrivare, altre speravano di non vederlo mai.

Come sempre mi scuso per l'orario improponibile, ma spero che qualcuna sia ancora sveglia perché, insomma, come faccio a dormire dopo aver scritto questo capitolo? Aspetto i vostri feedback (anche se verrete a prendermi coi forconi), e vi ringrazio come sempre perché se siamo arrivati al capitolo 39 è anche e soprattutto merito vostro.

Leggete, votate, commentate se vi va. Altrimenti, ci vediamo come sempre su instagram (@itstods_wattpad) per chiacchiere e commenti e canzoni depresse.

Vostra sempre, T.



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