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Sedici.

Le cose più pericolose sono quelle di cui non sapevi di non poter fare a meno, perché spesso la loro mancanza ti logora e non riesci nemmeno a capire il perché.

La settimana di pausa prima del Gran Premio di Silverstone, Anita si è sentita spesso irrequieta, quasi ansiosa, ed ha attribuito la sua instabilità a tutto quello che era successo a Monaco, alla situazione-Paul e all'improvvisa sparizione di Verstappen.

È solo quando è arrivata nel paddock il venerdì mattina molto presto che, invece, si è resa conto che la sua impazienza era tutta per lui, il circuito, il weekend di gara. A mancarle era l'atmosfera concitata del garage, l'andirivieni di meccanici ed ingegneri, l'odore degli pneumatici surriscaldati, il celestiale suono dell'accelerazione a poche centinaia di metri da lei.

Ha ignorato per anni suo padre ed i suoi goffi tentativi di inculcarle la sua più grande passione, (tutti quei vieni a Monza con me? E Lui è un vero campione) solo per rendersi conto che il suo cuore già sapeva di appartenere a questo sport.

Il sabato il cielo è coperto da un manto di nuvole che oscura il sole, filtrando la luce e generando la tipica atmosfera ovattata delle fresche mattine inglesi. È un'estate che sa poco d'estate, ma ad Anita non dispiace più di tanto.

Nei giorni precedenti lei e il resto del team hanno fatto avanti e indietro da Milton per conferenze e prove libere, ma ha preferito prendere una stanza per l'ultima parte del weekend, di modo da potersi muovere senza dipendere da nessuno ed arrivare lì prima degli altri.

Anche, si dice, ma non vorrebbe ammetterlo, nella speranza di vedere Max.

Ha pensato a lungo alla conversazione che ha avuto con Lynn la settimana precedente riguardo ai suoi trascorsi con Daniel, senza riuscire a dare risposta ai tanti interrogativi che ha sollevato.

Prova qualcosa per Max? Pensa che fra loro possa succedere qualcosa?
E, ancora più importante, lo vorrebbe? Sarebbe giusto?

Non ne può più di prendere decisioni sbagliate facendosi guidare dal suo istinto. Forse è il momento di tirare i remi in barca ed essere razionale. E il suo cervello le dice che sarebbe meglio non immischiarsi dei guai di Max Verstappen. I segnali d'allarme ci sono tutti e sono grossi, rossi ed inequivocabili.

Anita arriva al paddock verso le nove, con il pass al collo e il caffè in mano per guardare le ultime fasi delle prove libere. Il venerdì le vetture Red Bull si sono dimostrate promettenti e sono tutti su di giri per questa gara. Sono anni che la Mercedes domina a Silverstone, e sarebbe doppiamente gratificante battere Lewis Hamilton nel suo Gran Premio di casa.

Sognare non costa niente.

Lynn tiene in mano il suo i-Pad e le sta facendo vedere le nuove grafiche che ha preparato con le statistiche dei tempi registrati il giorno precedente, ma Anita è distratta, e la sua attenzione è totalmente catturata dal movimento alle sue spalle. Un ristretto gruppo di persone sta facendo il suo ingresso nel garage Red Bull, e dal rumore che fanno si direbbero essere quelli che tutti stanno aspettando.

Nel momento esatto in cui i suoi occhi si posano sulla figura alta e slanciata del ragazzo olandese, con la tuta slacciata per metà e il casco sotto braccio, il bicchiere di carta le sfugge dalle mani, riversando il contenuto scuro sul pavimento.

"Cazzo, Ani"

Ha aspettato questo momento per giorni, eppure ora si sente pietrificata, come se braccia e gambe avessero dimenticato come coordinarsi. Ha pensato così tanto a Max Verstappen che ora che è a pochi metri da lei non sa cosa dirgli, come parlargli, come intavolare il discorso, perfino.

Vorrebbe essere naturale e spontanea, ma ha paura della sua reazione. Non riesce a smettere di pensare a quello che si sono detti, a quanto naturale le fosse sembrato stargli vicino, a come si sia sentita dopo il loro viaggio insieme. Sa che dovrebbe lasciar perdere, dimenticare tutto e tirare avanti.

Sarebbe molto più facile. Sarebbe molto più sano. Se solo riuscisse ad ignorare la vocina che le urla: va', parlaci, adesso.

Lui, si rende conto con disappunto, l'ha vista, ma non sembra intenzionato a venire a parlarle. È Anita ad andargli contro, chissà come, piena di speranze.

"Ciao."

Le viene fuori un po' più meccanico di come lo aveva immaginato, ma abbozza un sorriso per stemperare l'imbarazzo, e si mette una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

"Ciao." Risponde lui, circospetto. Si passa la punta della lingua sul labbro superiore e sembra stranamente impacciato, come se non sapesse cosa altro dire.

"Volevo solo..." inizia a dire Anita, ma poi si ferma. Sente una strana tensione fra loro ed è costretta a fare un passo indietro per non sentirsi soffocare. Max si acciglia, confuso, perciò lei decide di riformulare. "Pronto per le qualifiche? Ci vediamo. Dopo, dico."

Chiude gli occhi e stringe le palpebre per un istante. È davvero la conversazione più imbarazzata ed imbarazzante che abbia mai intrattenuto con un'altra persona, e non riesce a capire perché. Probabilmente sono entrati talmente in confidenza da aver superato un limite invisibile, e non c'è modo di tornare indietro a prima.

Anche Max, l'imperturbabile Max, sembra in difficoltà.

"A dopo." Le risponde, con un sorriso, che somiglia più ad una smorfia di dolore. Poi, si tira su la tuta e va via, pronto a salire in macchina.

Quando Anita torna da Lynn, la sua collega la guarda sconvolta.

"Cos'era quello?"

Anita alza gli occhi al cielo, arrossendo.

"Dio, Lynn, credimi. Non lo so neanche io."

*

L'hotel è molto silenzioso il sabato sera, dopo cena, e Anita rabbrividisce nella sua felpa quando apre la porta della terrazza e uno sbuffo d'aria fresca la investe. Anche questa volta ha dovuto rinunciare al balconcino in camera, quindi la sua pausa sigaretta solitaria dovrà consumarsi necessariamente negli spazi comuni dell'albergo.

Non che le dispiaccia, visto che non c'è un'anima.

La vista in lontananza della città illuminata non può fare a meno di ricordarle una sera di maggio, di quella che le sembra ormai un'altra vita. Lei e la sua migliore amica affacciate ad osservare le insegne luminose e le strade deserte, fumando e bevendo e parlando del suo imminente trasferimento a Milton. Pensare a Rebecca le provoca sempre una dolorosa fitta al petto. Forse, si dice, dovrebbe chiamarla, inghiottire l'orgoglio e chiederle se sta bene, se Gian c'è ancora, se è sparito di nuovo. Poi pensa a quel ti voglio bene a cui nemmeno ha risposto, interrompendo la chiamata, e il cuore le si indurisce un po'.

Nuvole di fumo lasciano le sue labbra, mentre la cenere scende in spirali giù dalla sigaretta nel buio della sera.

"Anita?"

È come svegliarsi da un sogno.

Sente la muscolatura della sua schiena e del collo irrigidirsi, e trattiene il fiato, mentre qualcuno alle sue spalle le si avvicina lentamente. Il modo che ha di pronunciare il suo nome, con quella sfumatura aspra tra la i e la t, è inconfondibile.

"Avevi detto ci vediamo dopo, ma non riuscivo a capire quanto dopo intendessi" mormora lui, ridacchiando.

Volta appena il capo per assicurarsi che non sia frutto della sua immaginazione, ma che sia proprio Max ad aver parlato. Lui, dritto e fiero come un fuso, le restituisce un sorriso brillante sotto la luce dei led che costeggiano la terrazza, e Anita stringe gli occhi per catturare quell'immagine per sempre.

"Touché"

Lui rotea gli occhi: "Non sono un fan del francese."

Ha la bocca carnosa piegata in una smorfia polemica, che gli distorce i tratti del viso, ma che non riesce a renderlo meno affascinante.

Lei si allontana la sigaretta dalle labbra e la scuote con un gesto automatico del pollice, interrompendo il contatto visivo finché lui non la affianca. Sono a poche decine di centimetri, se lui allungasse la mano potrebbe quasi toccarla, ma decide di non farlo.

"Sei soddisfatto?" decide di chiedere lei, mentre continua a guardare le ombre vuote e lontane della città. Non le serve specificare altro, perché lui capisca dove vuole andare a parare. "Il risultato è stato buono, alla fine."

"Scherzi?" le risponde Max, serio, con una nota alterata nella voce. "Terzo non è buono, terzo è a malapena accettabile, e solo perché ho una macchina di merda."

Lo dice come se fosse un dato di fatto, senza possibilità di interpretazione, e lei si gira a guardarlo per cogliere qualche traccia di emozione della sua espressione.

"Perché sei così duro con te stesso? Non capisco, illuminami."

Gli occhi di Max sono torbidi, come il fondo smosso di uno stagno, e le parole escono dalla sua bocca con una veemenza tale da lasciarla senza parole.

"Devo essere il migliore, non ci sono vie di mezzo. Se non posso essere il migliore, non ha senso nemmeno salire in quella cazzo di macchina."

Si fronteggiano, si studiano, tastano il terreno alla ricerca di falle. Anita stringe gli occhi, arricciando il naso ed inspirando a fondo.

Non sa cosa le scatti nel cervello, perché decida di provocarlo.

"Questa sarebbe la mentalità del vincente? Sempre insoddisfatto, mai felice veramente?"

La sigaretta le trema fra le labbra, e Anita nasconde il viso, girandosi, prima che Max possa accorgersi che la sua spavalderia è solo simulata, che è solo una ragazza insicura affascinata dalle cose pericolose.

Le sue conversazioni con lui sono sempre una lotta all'ultima stoccata, una sfida a chi si spingerà più in là, a chi toccherà per primo un punto scoperto. L'adrenalina che prova in quel momento è paragonabile a quella di un paracadutista sul bordo dell'elicottero, in procinto di lanciarsi nel vuoto.

Non può vedere Max, ma può percepire chiaramente i suoi occhi luccicare nella notte con l'intensità di una supernova.

"Mi tiene motivato. Mi dà uno scopo."

Anita spegne la sigaretta sul bordo del parapetto, e si volta ad affrontarlo. Pochi centimetri fra loro. Un passo basterebbe a colmare le distanze, ma la tensione che li avvolge rende difficile ogni movimento.

Attrazione, repulsione, bisogno, mancanza.

"Lo scopo non dovrebbe essere arrivare alla fine?" dice lei, con un sorriso tagliente. E poi pensa, tocca a te, vienimi a prendere Max.

È difficile leggere le sue espressioni, perfino decifrare il movimento impercettibile delle sue dita nel vuoto, ma la mascella è tesa come quella di un predatore pronto all'attacco.

En garde, prêt, allez.

Si china verso di lei, conquistandosi piccoli preziosi centimetri, finché le loro labbra non sono così vicine che Anita pensa di essere ad un passo dal perdere per sempre la sua ragione, e tutto quello che vede, sente e percepisce è Max.

"Esci con me." Le soffia, sulle labbra. "Se vinco, esci con me."

Chiude gli occhi, ed istintivamente con la mano cerca il suo petto, contro cui poggia il suo palmo aperto. Sente il suo cuore pompare sotto gli strati di tessuto che li separano. Il contatto è caldo, bruciante, piacevole in modo quasi doloroso.

Vorrebbe dirgli hai vinto, baciami, finiscimi.

Dischiude le labbra e si dice che tutto quello che si è ripetuta non ha alcuna importanza, adesso. Che non può niente contro questa sensazione, questo momento. Fa male ammettere di non riuscire a rinunciare al contatto con il corpo di Max, a volerne di più. Sempre di più.

Fa ancora più male quando lo sente allontanarsi, e si sente privata del tepore del suo corpo come di una parte essenziale di sé stessa. Si avvicinano solo per allontanarsi ancora di più, vicini ma mai abbastanza per toccarsi davvero.


Il giorno dopo, allo spegnimento dei semafori, Anita si ritrova con le mani strette al petto ed un desiderio inconfessabile di vedere la vettura 33 tagliare per prima il traguardo nel cuore.

Albon ha un incidente nel primo giro e tutti nel box restano con il fiato sospeso, fino a che non è chiaro che potrà continuare. È una gara senza eventi e con pochissimi sorpassi, ma sul finire tutti i piloti sembrano avere problemi con l'usura delle gomme, tranne Max che sfila fino al secondo posto, superando Bottas dopo lo scoppio di una delle sue anteriori.

Lewis Hamilton è un puntolino nero, lontano, praticamente irraggiungibile. Provare a batterlo è un'impresa disperata, e solo un folle come Verstappen può intraprenderla.

Mi dà uno scopo, ha detto.

A metà dell'ultimo giro, però, qualcosa nel piano infallibile dell'impresa perfetta del numero 44 sembra andare fuori posto. Le vibrazioni che lamenta sempre si fanno più intense, l'anteriore cede. È bucata.

Horner quasi urla nel microfono.

Max Emilian Verstappen, vai a prenderlo.

Si sente solo la sua risata gracchiante nella cuffia.

Anita ci spera fino alla fine, con il fiato sospeso, mentre guarda Max guidare come un folle per cercare di chiudere un gap impossibile, dando tutto sé stesso e cercando il suo scopo.

Alla fine la fortuna infinita di Hamilton dimostra di non averlo abbandonato, e lo fa concludere in testa, su tre ruote, con l'olandese ormai praticamente alle sue calcagna.

Ha fatto tutto quello che poteva, ma non è bastato.

Quando esce dalla vettura, gli ingegneri lo accolgono e festeggiano come se avesse vinto. Dopo il risultato deludente del suo compagno, un secondo posto con giro migliore è la più bella notizia in cui potessero sperare. Anita lo guarda dentro lo schermo, cercando di cogliere gesti di rabbia o di stizza nel suo atteggiamento.

Nonostante si renda conto dell'ottimo risultato, oggi anche lei si sente strana, intimamente insoddisfatta. Felice, ma. Felice ma delusa, perché aveva sognato una vittoria rocambolesca. Felice ma dispiaciuta, perché una parte di lei aveva sperato in quella scommessa che Max aveva fatto con sé stesso.

Se vinco, esci con me.

Lo guarda inzupparsi di Champagne sul podio, insieme a Lewis e Charles Leclerc, lo guarda sorridere alle telecamere, spensierato e indomabile, e pensa che davvero non ha visto niente di più bello fino a quel momento.

Non osa nemmeno pensarlo, ma dentro di lei già sa che sarà la sua rovina.

Si sta innamorando di Max Verstappen, e questo non porterà a nulla di buono.

Lo aspetta comunque, fuori dalla sua stanzetta, dopo le interviste. Vuole salutarlo, dirgli complimenti, sarà per un'altra volta ma lui la sorprende, andandole in contro con un sorriso da un orecchio all'altro.

Le dice: "Un vero campione sa attendere. Oggi non ho vinto, ma vincerò." E le suona così diverso dal Max con cui ha parlato la sera prima. Ma gli occhi sono gli stessi, e si domanda come facciano due iridi glaciali come quelle ad ardere di un fuoco così divampante. "Ma sono un uomo impaziente, Anita. E voglio davvero uscire con te."


//Spazio autrice (si, certo)

Buonasera a tutte e ben ritrovate con un nuovo capitolo, che mi ha fatta penare più di quanto non avessi immaginato in un primo momento. Descrivere questo momento è stato davvero difficile, anche perché come avrete notato Max e Anita non sono due persone esattamente facili.

Finalmente, un appuntamento. WAAOH (cit. Gené).

Mad Max ha raggiunto e superato le 2mila letture ed i 200 voti. Che dire? grazie, davvero. Ero molto soddisfatta dallo scorso capitolo, ma a quanto pare è stato quello con meno interazioni di tutta la storia, quindi mi chiedo cosa stia andando storto... :(

Se avete tempo e voglia, leggete, votate, commentate. Mi fa sempre piacere parlare con voi nei commenti, mi dà anche molti spunti per proseguire con la storia. Se c'è qualcosa che ho imparato è che avere uno scheletro di base funziona solo se sei disposta a modificarlo in base a come i personaggi crescono e si sviluppano!

Questo sarà l'ultimo capitolo del 2020. Per il successivo, ci vediamo l'anno prossimo. A voi l'arduo responso.

Baci esagerati,

Vostra T.


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