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Quattro.

Le guance non smettono di bruciarle dalla rabbia nemmeno dopo che il giovane Verstappen ha fatto la sua uscita di scena e lei e Paul restano soli nella stanza semi buia. Svuotata di lui e del suo ego smisurato sembra improvvisamente vuota.

Paul si passa una mano sulla faccia, visibilmente preoccupato, e Anita non ha idea di cosa fare.

"Mi dispiace." È la prima cosa che riesce a dire, tenendo lo sguardo basso.

Il tono con cui lo dice è tutt'altro che dispiaciuto, ma Anita si rende conto che probabilmente ha esagerato, e che quella scenata potrebbe costarle il posto. Anche se non sembra, Paul è un suo superiore e Max è più ricco di quanto entrambi saranno mai. È stata una vera mossa del cazzo sbottare così.

"Non so cosa mi sia preso." Continua, guardandosi la punta delle scarpe da ginnastica chiare. "È solo che...dio, si può essere più odiosi di così?"

Anita non vede Paul, ma può sentirlo sospirare sonoramente, e percepisce il suo corpo muoversi nello spazio. Quando alza lo sguardo, lui ha le mani intrecciate dietro la nuca e la bocca contratta in una smorfia.

"No, Anita, dubito che si possa, davvero." Mormora, come ripescando dalla memoria decine e decine di altri episodi spiacevoli. C'è dell'altro. "Però, ecco, vedi...Max è Max."

Lo dice perentorio, come se questo costituisse un passe-partout per trattare chiunque come più ne ha voglia, e l'ingiustizia le fa salire un'ondata di nervosismo che cerca di reprimere.

Gli occhi gelidi e terribili del pilota continuano a lampeggiargli sinistri nella memoria. Lo odia, ne è certa.

"So cosa ti ho detto riguardo allo stage" prosegue Paul, cercando il contatto visivo. "Ma se stai cercando di farti cacciare, metterti contro il pupillo dell'azienda potrebbe essere un buon modo per tornare in Italia prima del previsto."

Bene, meraviglioso, perfetto.


Il resto della giornata procede placidamente, senza grossi avvenimenti. Lynn le consegna il suo telefono aziendale, al quale sarà contattata solo per motivi di lavoro e solo in caso di urgenza, che dovrà usare per monitorare l'andamento dei social e visionare le richieste di contatto. È molto gentile nel farle notare che deve limitare al minimo ed evitare qualsiasi tipo di interazione quando usa il profilo ufficiale.

Per una grossa parte della mattina, fino al pranzo, Paul non si fa vivo, e Anita ascolta le indicazioni della ragazza bionda in maniera distratta. Non riesce a smettere di chiedersi che fine abbia fatto lui e spera davvero che non sia stato richiamato per via del suo ridicolo siparietto con Coso Verstappen.

Nessuno in ufficio fa commenti sulla giacca a vento, che Anita non toglie nemmeno quando si siedono al tavolo della mensa per consumare un lauto pasto, a base di quello che, in tempi remoti, doveva essere stato pesce. Dopo essersi seduta, tira le maniche su dai gomiti, per evitare di sporcarle, e con la coda dell'occhio cerca volti conosciuti fra i tavoli, due in particolare, ma nessun viso gli restituisce la persona sperata. Si sente mortalmente in colpa e non sa cosa farci.

"È tutto okay?" le chiede Lynn, a un certo punto, e Anita si chiede quanto facile debba essere per gli altri leggere le sue emozioni. Croce e delizia della sua vita, è sempre stata un libro aperto, incapace di mascherare gioie e dolori, interessi e antipatie.

La guarda con occhi spauriti, tenendo la forchetta a mezz'aria.

Lynn è stata incredibilmente carina con lei per tutto il giorno, probabilmente in nome di una sorta di solidarietà fra giovani donne in un ambiente spiccatamente maschile. Questo piccolo atto di gentilezza, però, è ben lontano dall'essere una prova di fiducia. Gli occhi della collega sono limpidi e la invitano ad aprirsi, ma Anita non è sicura che la sincerità sia la strada migliore

Cosa penserà di lei, se dovesse confessarle quanto è successo quella mattina?

Prima di essere in grado di accampare qualche scusa su quanto sia stanca dopo il viaggio, si ritrova a sbrodolarle tutti gli accadimenti della mattinata, con una estrema dovizia di particolari. Le parole le risalgono dalla gola e vengono fuori senza che sia in grado di controllarle, di getto. E si odia, per questo.

Lynn la guarda tutto il tempo senza mutare espressione, con il bicchiere di succo d'arancia ancora in mano. Quando il fiume di parole si interrompe, le rivolge un sorriso comprensivo, e allunga una mano verso di lei, come se volesse stringergliela.

"Fidati di me, Paul è molto in gamba, spiegherà tutto a Christian." Le dice, con voce quasi materna. Poi solleva un sopracciglio e abbassa il tono della voce, in tono confidenziale. "Max è Max, ma non è il capo della baracca."

L'ondata di sollievo che avvolge Anita è paragonabile solo al grande imbarazzo di aver dato troppo peso a quella che è ordinaria amministrazione della situazione Verstappen.

Ringrazia Lynn con un sorriso e cerca di distrarsi, ma una parte di lei continua a chiedersi per tutto il pomeriggio quanto si debba essere distaccati dalla realtà per credere di potersi comportare così senza che ci siano conseguenze.

Sulla via del ritorno, quando il sole è ancora alto nel cielo, si ferma a comprare le cose essenziali per sopravvivere al resto del weekend, sperando di rientrare in possesso delle sue cose il prima possibile. Mentre si aggira circospetta per il reparto detersivi, il telefono le vibra nella tasca e ci mette qualche istante (di puro panico) a rendersi conto che non è quello aziendale.

Tira un sospiro di sollievo, accettando la chiamata.

"EHI" la voce della sua migliore amica le arriva all'orecchio estremamente su di giri. "sono venti minuti che ti chiamo!"

Anita spinge il carrello un po' più avanti, per liberare il passaggio.

"Sono felice di sentirti anche io" le risponde, ridacchiando. È davvero contenta di sentire Rebecca, specialmente visti gli eventi della giornata. Ha bisogno di sfogarsi con lei e di risollevare un pochino il suo morale, visto che la attendono due giorni chiusa nel suo schifoso appartamento a mangiare chili di gelato e guardare serie tv demenziali.

"Dove sei?" chiede l'amica, dopo una breve pausa.

"Al supermercato" risponde Anita, lanciando un'occhiataccia alla signora con la mascherina abbassata che sta attraversando il corridoio. "Non puoi capire che giornata ho avuto..."

"Oh, davvero?"

Ed è in quel momento, quando è sul punto di confidarsi con Rebecca, che Anita nota una sfumatura strana nella voce dell'amica e capisce che non è una chiamata di cortesia. La conosce come le sue tasche: c'è qualcosa che non sa come dirle.

Chiude gli occhi e fa un sospiro, prima di dire: "Avanti, Rebe, sputa il rospo."

"Ti arrabbierai con me."

Anita inizia ad avere una mezza idea di quello che sta per dirle, e le duole ammetterlo, ma Rebecca ha ragione. Si arrabbierà eccome.

"Come fai a saperlo? Fatto qualcosa che non dovevi?"

"Okay, hai vinto." Fa una pausa, ed Anita può benissimo figurarsela camminare avanti e indietro per il loro appartamento. "Stasera esco con Gian."

Non solo non è quello che aveva immaginato, ma è addirittura peggio. L'unica cosa positiva della quarantena era essere riuscita a trascinare Rebecca fuori dalla relazione tossica con quel coglione di Gian. Dopo mesi e mesi di delusioni, raggiri, bugie spudorate e sesso (fantastico sesso, avrebbe detto Rebecca) come unico mezzo per risolvere i problemi, aveva messo un punto. Certo, Anita aveva perso il conto delle volte in cui Rebecca aveva "chiuso" con lui, ma sperava che questa fosse quella definitiva.

"Di nuovo?" chiede, stancamente, dirigendosi verso la cassa.

L'entusiasmo nella voce dell'amica è completamente svanito, coperto da una patina di dispiacere.

"Non deve succedere per forza qualcosa." Ma sanno entrambe che è una cazzata, è già successo un centinaio di volte.

Quando Gian vuole Rebecca, è sempre tutto molto intenso e passionale. La riempie di attenzioni e regali, la porta in posti stupendi e la fa sentire una regina. È quando Gian non vuole più Rebecca, che subentra Anita. E Anita è stanca di raccogliere i pezzi.

"Potevi aspettare almeno quarantotto ore dalla mia partenza, prima di fare cazzate" le viene fuori, più duro di quanto non avrebbe voluto.

La risposta arriva dritta al punto, al cuore di Anita, e affonda in lei con la forza di una sciabola.

"Senti da che pulpito viene la predica."

Rebecca e Anita sono sempre amiche nel senso più profondo del termine, hanno sempre trovato conforto e rifugio l'una nell'altra, nelle loro somiglianze e nelle loro divergenze, e su questo si è sempre basato il loro rapporto. Adesso, mentre sono a un migliaio di chilometri di distanza, per la prima volta la loro amicizia vacilla, e nessuna delle due è sicura che l'altra non la stia giudicando.

Anita è arrivata alla cassa automatica. Vede uno spiraglio per chiudere questa conversazione che, lo sa bene, non porterà a nulla di buono.

"Adesso devo andare." Mormora, stancamente. "Ti voglio bene."

Ma Rebecca ha già riattaccato.

*

Dicembre 2018

Mentre si dirige verso il luogo dell'appuntamento, i suoi pensieri sono dello stesso materiale del cielo di Milano.

È il periodo più cupo della sua vita. Nel corso degli ultimi due mesi, la sua intera esistenza è andata letteralmente a rotoli. È iniziato tutto quando ha scoperto che l'amore della sua vita, il ragazzo con cui aveva condiviso i ricordi più belli, aveva da anni una doppia vita, con un altro telefono, un'altra casa, un'altra "Luce dei miei occhi". Da lì è stata tutta in discesa, o per meglio dire, in caduta libera. Ha perso ogni certezza e ogni stimolo, ha pensato di lasciare gli studi e tornare a casa. Poi non lo ha fatto, ma semplicemente perché sua madre ha minacciato di diseredarla se avesse fatto una follia del genere per uno "sciocco ragazzo, bugiardo come tutti".

Sarebbe falso dire che se n'è fatta una ragione.

Anita attraversa il viale alberato a grandi falcate, con solo un leggero cappotto rosso a proteggerla dal freddo pungente. Non si è mai sentita così insicura, sperduta e sola nella sua città.

Una parte di lei, non saprebbe dire quale e quanto preponderante, sa benissimo che sta sbagliando a cadere nella sua trappola. Lui, che non ci ha pensato due volte a ferirla a morte, non può semplicemente essersi pentito di ciò che ha fatto. Lui, che le ha mentito guardandola negli occhi, non può dirle che ha intenzione di sistemare le cose e aspettarsi che lei ci creda.

Una settimana prima si è presentato sotto casa sua con un mazzo di fiori e l'aria da cane bastonato, sperando di riconquistarla. Rebecca non lo ha fatto entrare, ma lui ha minacciato di sfondare la porta. Per questo è scesa. Lui non ha detto nulla, le ha solo chiesto di incontrarlo a casa sua, un piccolo appartamentino che gli hanno comprato i genitori in Moscova. Le ha messo letteralmente la chiave in mano, pregandola in ginocchio di pensarci seriamente.

"Vieni da me, in qualsiasi momento. Se ti ritrovi a pensare che forse, da qualche parte, hai il coraggio di perdonare uno come me, semplicemente vieni. Io sarò là ad aspettarti."

Dopo rabbia, dolore e frustrazione, in Anita è subentrata un'emozione molto più pericolosa: la nostalgia. Rebecca ha tentato di dissuaderla in ogni modo, ma alla fine ha fatto di testa sua.

Così ha preso la metro, e si è presentata da lui.

Non ha pensato neppure per un istante di suonare al campanello. Il punto è proprio quello, no? Semplicemente vieni, io sarò lì ad aspettarti.

Il cognome di lui scintilla elegante su una targhetta dorata, accanto alla prima porta sulla destra al terzo piano del palazzo. Anita raccoglie il coraggio e infila la chiave nella toppa.

È stata ingenua, questo deve ammetterlo, almeno con sé stessa. È stata stupida, e sprovveduta.

Quando la porta si apre sul salottino, capisce subito che lui è in casa.

E che non è da solo.

Due calici vuoti sono appoggiati al tavolino basso, una giacca ed una borsetta appesi al bracciolo della poltrona art-déco che hanno comprato quando sono stati insieme a Parigi.

Le lacrime si addensano nell'angolo interno dei suoi occhi, e si lascia scappare un singhiozzo dalle labbra serrate. Vorrebbe essere arrabbiata con lui, invece si sente solo patetica.

Una piccola rivincita deve prendersela, però.

Bussa piano alla porta della camera da letto, prima di spalancarla, aprendo un cono di luce nell'oscurità ed illuminando due figure avvinghiate.

Guardare il viso sconvolto di lui è l'unico regalo che si fa, prima di lanciargli contro la chiave e uscire per sempre dalla sua vita.


//Spazio autrice (sì, certo)

Voglio dedicare le primissime righe di questo spazio autrice per ringraziarvi. Mad Max ha superato le cento visite e devo dire che è decisamente più di quanto mi aspettassi, dopo soli quattro capitoli. Stasera vi regalo un capitolo molto più lento del precedente, ma altrettanto importante. In origine anche questo doveva essere enormemente più lungo, ma ho deciso di spezzettare il tutto ulteriormente per non lasciarvi troppo a lungo senza aggiornamenti.

Vi chiedo di pazientare ancora un pochino, avremo capitoli full Max molto presto e, credetemi, non siete ancora pronti per il fardello emotivo che ne conseguirà.

Mi taccio, e vi abbraccio tutti. Leggete, votate, commentate, ma solo se vi va. Io sono grata in ogni caso.

Vostra, T.

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