Quaranta.
Se amarti è sbagliato, allora non voglio essere nel giusto.
//Prima di iniziare, volevo solo avvisarvi che troverete una canzone da accompagnare alla lettura della seconda parte, e per invitarvi a leggere le note in basso. Oggi sono importanti. Buona lettura.
Un gioco che Anita faceva sempre da bambina consisteva nell' immaginare che sua madre e suo padre non fossero davvero i suoi genitori. Era iniziato in modo assolutamente innocente, una sciocchezza infantile per far passare il tempo, come le gare fra le gocce di pioggia sul finestrino dell'auto.
Fantasticava di essere l'ultima erede di una famiglia nobile caduta in rovina che l'aveva abbandonata all'uscio della famiglia Grossi, la figlia di una gentile coppia di turisti scandinavi che l'aveva persa al supermercato. La lista era lunga, l'immaginazione sterminata.
Col passare del tempo, non saprebbe nemmeno dire esattamente quando, queste innocue fantasie si erano trasformate in desideri e il suo senso di curiosità era mutato in disagio.
Era gelosa delle sue compagne di classe, del modo in cui le loro madri sorridevano sempre e le lodavano senza apparenti motivi. Invidiava il modo spontaneo in cui si comportavano in loro presenza, il semplice fatto che non si sentissero in dovere di renderle orgogliose, che non avessero paura di deluderle.
Quando andava al cinema con la sua amica Sofia, una ragazzina con le trecce e una marea di lentiggini sul viso, Anita faceva finta che fossero sorelle e cercava ogni scusa possibile per fermarsi a casa sua il più a lungo possibile per finire i compiti.
Sofia non le stava nemmeno troppo simpatica, a dire il vero. Ma sua madre, oh, sua madre era dolcissima. Profumava di torta di mele e aveva sempre una parola gentile per lei, non la faceva mai sentire fuori posto, nemmeno quando Anita si autoinvitava a cena da loro pur di non tornare a casa sua.
Ogni volta, quando la salutava con un abbraccio prima di andare via, pensava: vorrei che fossi tu la mia mamma.
E si convinceva che, forse, se lo desiderava abbastanza intensamente, il suo sogno si sarebbe avverato.
Il problema, però, era che Anita si sentiva in colpa anche solo a pensare quelle cose. Perché la verità era che non voleva che la madre di Sofia fosse sua madre, ma che sua madre fosse come la madre di Sofia. Perché, nonostante tutto, anche se la faceva sentire in trappola, anche se non le faceva le carezze e non la incoraggiava a seguire i suoi sogni, Anita le voleva bene. Gliene aveva sempre voluto.
Era sempre stata brava ad amare le cose che nessun altro riusciva ad amare.
Il percorso di avvicinamento a Max era stato lungo e tortuoso, tutto in salita, ma Anita non si era mai resa conto di quanto in alto fosse arrivata. Non finché lui non è uscito dalla stanza sbattendosi la porta alle spalle e lei è caduta in picchiata. Si è sfracellata al suolo.
Ed è lì che resta, sul pavimento, fra le lacrime, incapace di fare nient'altro che non sia aspettare, paralizzata dalla consapevolezza di aver tirato troppo la corda. Di non essere stata in grado di mettere da parte le sue insicurezze e dire a voce alta quello che Max aveva bisogno di sentirsi dire. Di aver pensato, ancora una volta, che si potesse dare senza ricevere e che l'amore dovesse essere un sentimento unidirezionale. Sempre da lei e mai verso di lei.
Anita aspetta, con le ginocchia strette al petto, mentre il cielo si scurisce e si punteggia di stelle al di là del vetro della finestra.
Tornerà, deve tornare per forza.
Aspetta fino al mattino successivo.
Ma Max non torna mai.
La giornata del mercoledì trascorre lentissima e sfocata, come un sogno allucinato. Partecipa a tre riunioni, scrive quindici mail e ha un colloquio di due ore e mezza con un potenziale sponsor per il 2021, ma le sembra di guardarsi fare tutto dall'alto, come se fosse staccata dal suo corpo. Dentro si sente terribilmente, e all'esterno appare anche peggio.
Fortunatamente, ha pochissimi tempi morti per pensare a quello che è successo ma, quando ha un attimo per fermarsi a respirare, si tortura producendo scenari irrealistici in cui fa tutto diversamente e non salta a conclusioni affrettate e non ferisce Max.
Per la prima volta ha la certezza categorica che lui abbia ragione su tutta la linea. Si sente colpevole di tutti i capi d'imputazione, nessuno escluso. E per questo non sa cosa fare.
Crogiolarsi nella disperazione non aiuta più di tanto, ha scoperto.
Quando la sera rientra nella camera che avrebbe dovuto dividere con Max, parti di lei (patetiche lagnose insulse parti di lei) si illudono che lui sia lì ad aspettarla, con la schiena sul materasso e i piedi ben piantati a terra, la faccia seria e lo sguardo tagliente, ma con dentro l'ombra di un sorriso. Nonostante sappia benissimo che le probabilità che una cosa del genere si realizzi siano infinitesimali, parti di lei (affrante disperate umiliate parti di lei) soffrono quando viene accolta dal silenzio livido della stanza vuota.
La prima cosa che fa dopo aver lasciato il suo zaino sul pavimento è buttarsi di peso sul letto, affondando la faccia nel cuscino per lasciarsi andare ad un urlo liberatorio. Sceglie quello del lato di Max, però.
Almeno, si dice, ha il suo odore.
Dopo pochi istanti, sente il telefono vibrare nella tasca posteriore dei pantaloni, ed Anita cerca di afferrarlo il più in fretta possibile, ma non appena lo recupera lo schermo si annerisce e smette di suonare.
Il cuore le sprofonda nel petto.
Quando controlla il registro chiamate, con le mani che tremano e il cuore che le batte impazzito in gola, l'assale un'ondata di nausea.
Non è Max.
Non che ci contasse, ma sarebbe sciocco negare che ci avesse sperato.
Le chiamate perse dal numero di sua madre, adesso, sono diventate tre. Tre chiamate nel giro di due giorni dopo tre mesi che non si parlano. Dopo che l'ultima cosa che le ha detto è: Quando ti renderai conto che tutta questa storia è uno stupido capriccio spero per te che non sia troppo tardi.
Anita non sa cosa la spinga a farlo. Non sa se è la solitudine, o il senso di colpa, oppure ancora l'improvvisa consapevolezza di non essere esente dall'errore. Le sue mani si muovono più veloci del suo cervello. Prima ancora di chiedersi se sia la scelta giusta, le dita hanno già schiacciato la cornetta verde e hanno premuto il cellulare contro il suo orecchio.
Dopo due squilli, sua madre risponde. Sembra sorpresa, sorpresa in modo positivo, per certi versi. La immagina come l'ha sempre vista, con i capelli biondi striati di grigio legati in una crocchia bassa, appoggiata con la spalla contro lo stipite della porta, il cellulare in equilibrio precario. Dice pronto e ciao Anita e speravo proprio di sentirti.
Le parole che usa le suonano estranee all'orecchio, stranamente concilianti, ma non per questo sono meno pericolose. Da qualche parte, dentro di lei, Anita percepisce forte e chiaro il richiamo di una sensazione che aveva cercato di seppellire con tutte le sue forze. Il bisogno di compiacerla, di ottenere la sua approvazione.
Si schiarisce la gola, sperando di sciogliere il groppo che le si è formato alla base del collo e le impedisce di deglutire. Prega che la voce sia salda, che non la tradisca.
"Ho visto che hai chiamato" si arrischia a rispondere. Il tono è meno duro di quanto non volesse, ma almeno non sembra che sia sul punto di piangere. "Va tutto bene?"
La pausa che segue è così lunga che Anita deve controllare che sua madre non abbia buttato giù.
"Bene, sì" conviene, e suona maledettamente malinconica quando lo fa. Riesce a vederla chiaramente come se le stesse davanti. Le lentiggini su tutta la faccia. Le rughe attorno alle labbra rosso ciliegia, quelle attorno agli occhi acquosi e tristi che si spostano seguendo le ombre sul pavimento. "Il lavoro va bene, sempre il solito. Sono tornata da poco, sono molto stanca." Fa un sospiro, prima di cambiare registro e optare per qualcosa di più allegro. Confidenziale, addirittura, come se fosse una chiamata normale e quotidiana. "Abbiamo una bella novità. Non dirgli che te l'ho detto, ma credo che Jack abbia una ragazza. Non pensavo che avrei mai visto tuo fratello interessarsi ad un essere vivente con meno di due o tremila anni."
Ne ride, ed è strano per entrambe. Si sente soprattutto da come le risate si spengono in fretta, nel silenzio.
Anita si morde il labbro, con gli occhi rivolti al soffitto bianco. Non gliene fa una colpa, non deve essere facile cercare di istituire un contatto dopo così tanto tempo. Dopo così tante ferite.
Si sorprende da quanta poca voglia abbia di arrabbiarsi con lei.
Con il pollice accarezza il lenzuolo stropicciato dal lato in cui Max ha dormito due sere prima. Si domanda cosa le avrebbe detto se Daniel non fosse entrato, cosa le avrebbe consigliato di fare. È la cosa giusta?
Dice una cosa normale, che suona assurda visto il contesto.
"La nonna come sta?"
"Stiamo tutti bene, Ninni. Le solite cose, lo sai" le risponde sua madre.
Anita chiude gli occhi, sente in bocca il sapore delle lacrime.
"Adesso devo andare" mormora. Non riesce nemmeno a mettere in fila qualche altra parola, a usare una di quelle formule di cortesia che odia tanto, uno di quei falsissimi mi ha fatto piacere, è stato bello, dovremmo rifarlo. Questa telefonata non è andata come si aspettava. Nel bene e nel male. Le ha lasciato una grossa sensazione di vuoto.
"Aspetta" dice sua madre. Gioca con la collana che porta al collo, lo può sentire dal rumore che fa in sottofondo. È nervosa. "Papà mi ha detto della promozione."
Il cuore le accelera nel petto.
"Anita, io..."
L'istinto di sopravvivenza, primitivo e brutale, ha la meglio, così Anita la blocca prima che sua madre possa dire qualcosa che la ferisca. Non ha la forza per sopportarlo.
"Se stai per dire qualcosa di cattivo, non farlo, per favore, non oggi" la interrompe, e si vergogna di quanto la sua voce suoni piagnucolosa. Ha toccato davvero il fondo.
"Stavo per dire che sono molto orgogliosa di te."
Anita boccheggia, come se tutta l'aria fosse stata risucchiata dai suoi polmoni. È senza parole.
In nessuno scenario, nemmeno in quelli più inverosimili, si era mai figurata sua madre dirle una cosa simile.
"Sono sempre stata troppo dura con te, e non lo meritavi. Sei brillante e in gamba e anche se adesso se ne sono accorti tutti vorrei che sapessi che io non ho mai avuto dubbi." Le dice. Se non la conoscesse e non sapesse che è impossibile, sarebbe pronta a giurare che stia piangendo. "Sei destinata a fare grandi cose, Ani. Ma quanto gradi devi deciderlo tu. Mi dispiace non averlo capito prima."
Dice proprio mi dispiace, ed Anita mentirebbe se dicesse che non era quello che aspettava di sentirsi dire da tutta la vita.
"Io ti sono grata per tutto quello che hai fatto per me." Le risponde, e per un attimo si sente davvero più leggera. "Avevo solo bisogno di camminare con le mie gambe, fare qualcosa per me e non per te. Volevo solo..."
"...viaggi in giro per il mondo, carta e penna, qualcosa per andare veloce e sentirti libera."
È la frase conclusiva di uno dei suoi temi delle scuole elementari. La sua risposta ad una delle domande più difficili che si possano fare ad un bambino. Cosa vorresti fare da grande?
"Te lo ricordi" mormora, meravigliata.
"Non essere così sorpresa. Sono tua madre, certo che me lo ricordo."
Cade di nuovo il silenzio, ma questa volta è più intimo, quasi confortevole. Nell'immagine nella sua testa, sua madre si accarezza il sorriso che ha sulle labbra con la punta delle dita.
"Avevo paura di averti delusa." Confessa Anita, imitandola. All'orecchio le arriva un suono simile ad una risata.
"Non è il tuo sogno, ma ci va vicino, e non potrò mai essere delusa dal fatto che tu ti batta con tutta te stessa per le cose che sono importanti per te. Anche se non erano quelle che avevo immaginato io. È difficile accettare le tue scelte, ma spero che tu sappia che qualsiasi cosa farai, io ti vorrò bene comunque, anche se non sembra."
Lo sguardo di Anita si perde appena fuori dalla finestra, lontano anni luce da quella conversazione.
"Lo so, e ti voglio bene anche io, anche se non sembra."
L'equilibrio perfetto, esattamente a metà strada.
"Ti lascio andare, sarai molto stanca" è il congedo. Sua madre è tornata molto in fretta al suo canonico pragmatismo. Quella parvenza di tenerezza è stata solo una scintilla sporadica, da custodire. "Ci sentiamo."
Prima di chiudere, però, Anita ha bisogno di sapere un'altra cosa.
"Mamma?"
"Sì?"
"Come si chiamava lei?"
La pausa che segue è molto lunga, ma non c'è bisogno di aggiungere altro. Sanno entrambe benissimo di cosa stanno parlando.
"Si chiamava Alma." Il modo in cui lo dice, in cui la voce si incrina su quelle poche sillabe, tradisce un dolore celato per venticinque anni. "Tua nonna lo odiava, ma a me piaceva tantissimo. Amavo il modo in cui suonava quando lo pronunciavo, amavo che avesse un significato così profondo. Quando ho perso la mia anima, è arrivata una benedizione. Sei arrivata tu."
Per una persona da sempre in guerra con sé stessa, questo momento somiglia in maniera straordinaria alla pace.
*
https://youtu.be/nbcXvlEa7Wk
Nel bagliore accecante delle luci artificiali che circondano il circuito di Yas Marina, l'ultima gara della stagione sembra quasi chiudere un cerchio. O, probabilmente, aprirlo.
La fine di qualcosa, l'inizio di qualcos'altro.
A guardare le cose con lucidità, Anita deve ammettere che il 2020 l'ha fatta letteralmente a pezzi. L'ha allontanata fisicamente ed emotivamente dai suoi cari e dalle persone che ama. Le ha ricordato i suoi limiti e gliene ha fatti scoprire di nuovi. Ha demolito tutte le sue certezze dalle fondamenta e ha cambiato per sempre le sorti del suo futuro. Ha anche cercato di ammazzarla, ad un certo punto.
Le ha tolto tanto, è vero, ma forse è più importante concentrarsi su cosa le ha dato.
Materialmente, sì, ma anche in termini di consapevolezza.
Anita pensa che in fondo è vero quello che dicono. Che non puoi aspettarti che qualcosa cambi se continui a comportarti nello stesso modo. Che per ricostruirsi, alle volte, è necessario distruggersi.
Col pass al collo e le cuffie sulle orecchie, ai bordi della pista durante un Gran Premio di Formula Uno, non si è mai sentita più viva, forte, indomabile.
Mai sentita più libera.
Ed è tutto merito suo. Be', almeno in parte.
Le è impossibile fingere che Max- il suo sonno sconnesso, i suoi silenzi oscuri, il suo amore difficile- non abbia avuto un impatto su di lei, che conoscerlo non l'abbia aiutata a cambiare per sempre.
Parti di lei sperano di aver avuto su di lui lo stesso effetto e potrebbe perfino accettare di averlo perso, se avesse la certezza che il breve tempo in cui si sono voluti e desiderati lo abbia aiutato a trovare un po' di pace. Ad essere un po' più libero.
Per tutto il resto del weekend lui l'ha evitata e non ne ha fatto segreto. Deve aver mandato qualcuno a ritirare i suoi bagagli, perché quando è tornata in camera non ha trovato più niente, nemmeno una maglietta. Non si era mai spaventata così tanto.
Quando ha dato voce alle sue paure Lynn ha cercato di tranquillizzarla, assicurandole che Max stava bene, era insieme a Daniel e non era più insopportabile del solito. Se Jos si trovava negli Emirati, comunque, non si era fatto vedere sul circuito.
Dopo aver raccolto un po' di coraggio, Anita ha provato a parlargli più volte. Lo ha cercato, gli ha scritto e lo ha chiamato, ma Max si è mostrato sfuggente, inavvicinabile. Non l'ha degnata di uno sguardo.
Quando gli è stato possibile, ha fatto finta che lei nemmeno esistesse.
Il sabato pomeriggio, senza urli e senza strepiti, ha conquistato la sua prima pole position della stagione. Quando è sceso dalla macchina era soddisfatto, ma un po' assente, come se avesse tutt'altro per la testa.
Anita lo ha guardato da lontano, col cuore pesante. Si è soffermata sui dettagli che le mancavano di più. Il cipiglio serio, la bocca carnosa, gli occhi vibranti e terribili. Per il tempo di un battito di ciglia hanno incontrato i suoi e sembravano dirle: Visto? Non mi servi. So essere un campione anche senza di te.
La notte prima della gara –fra le due e le tre- lei ha aspettato per più di un'ora davanti alla porta della camera di Daniel, sperando di vederlo uscire, ma non è successo. Ha sperato che almeno adesso riuscisse a dormire bene, anche senza di lei.
Alla partenza, Lynn le tiene la mano e, diversamente dal solito, non la lascia andare. Riesce a percepire che non si tratta di una gara come le altre, che tutto sarà diverso alla fine, in un modo o nell'altro.
Guardano insieme Max sfilare davanti a tutti gli altri piloti e superare tutti i suoi limiti, un giro alla volta. Deciso, selvaggio e temerario come il tuono sopra la terra. All'ultima curva, mentre arriva sul rettilineo del traguardo, il box esplode in un grido di esultanza che li unisce tutti, indissolubilmente. I meccanici si abbracciano, e sgomitando si fiondano all'esterno, appena fuori dai cancelli del parco chiuso.
In cuffia Max urla di gioia, mentre la bandiera a scacchi svolazza e una pioggia di fuochi d'artificio lo accoglie, ruggente e trionfante. Primo.
Anita pensa che sia più o meno uno dei momenti più belli della sua vita, ad occhio e croce.
Lo aspetta sotto al podio, come ha sempre fatto. Lo guada tirare su il trofeo, sorridere con l'intensità di un'intera galassia, mentre l'inno olandese ancora risuona nell'aria rovente della sera.
Ripensa a quanto le era sembrato spaventato, appena una settimana prima, all'idea di fallire, di non riuscire a dimostrare il suo valore. Ripensa alle lacrime che ha versato, al piede sul freno, alla paura di farsi male e non vedere mai più la sua faccia. A quel ti odio palpitante, assoluto solo come il risentimento sa essere.
Un singhiozzo le spezza il petto e la ingobbisce. La risposta alle domande che la assillano da giorni è tutta lì, nel sorriso radioso che illumina il viso di lui mentre festeggia la sua decima vittoria.
Grazie a lei forse Max si è riscoperto più umano, ma senza di lei Max è luminoso, ardente, invincibile. Non è pronto a rinunciare alla gioia che gli dà essere il migliore per niente al mondo, nemmeno per lei.
E questa non è una colpa, è solo come stanno le cose. E per quanto voglia cambiarle, non può farlo.
Può solo lasciarlo andare.
Le sue braccia sono le prime che lo circondano, quando scende dal podio, ancora frastornato dall'insperato risultato. Anita non riesce a soffocare il pianto, mentre lo stringe a sé in un abbraccio veloce ed intimo che si conclude in un batter d'occhio, come uno strappo.
Ora viene la parte difficile.
"Max, io..." inizia Ani, con il viso rigato dalle lacrime ed il naso che cola. Non ha preparato un discorso preciso, sa solo che deve parlargli apertamente, chiarire le cose fra loro una volta per tutte. Prima che possa andare avanti, però, lui la prende per le spalle, fronteggiandola in modo da riuscire a guardarla dritta negli occhi.
Blu, di Anita, pieni di orgoglio, tormento e sofferenza.
Blu, di Max, gonfi di un'urgenza nuova.
"Parlo io" dice lui, dopo pochi istanti. Esita appena, come se cercasse di prendere coraggio, ma poi le parole escono come un fiume dalla sua bocca. Una tira l'altra e non è possibile fermarle, sassolino dopo sassolino fanno una montagna. "Cancella gli ultimi cinque giorni. Se non parlo adesso, Anita, giuro, non parlo più e devo farlo. Te lo devo e lo devo a me stesso." Inizia, ed è agitato come poche volte prima di allora. La presa sulle sue spalle è salda, la tiene su nonostante lei abbia le gambe molli che minacciano di cedere.
"Ho cercato di capire cosa fosse, questa cosa che abbiamo, sono diventato pazzo a furia di cercare di starti lontano. Come un idiota trovavo sempre il modo di tornare, anche quando ogni parte di me mi diceva di non farlo. Ho sempre creduto di non aver bisogno di nessuno accanto a me e quando ho sentito che qualcosa stava cambiando ho provato ad allontanarmi, a reprimere tutto questo casino. Ci ho provato, lo giuro, ci ho provato davvero. Semplicemente non riesco. Perché ti amo, cazzo. E non pensavo di poter amare nessuno, non so nemmeno come si fa ad amare qualcuno. Ma mi importa di te, vederti felice mi rende felice e dio solo sa quanto ho bisogno di vedere la tua stupida faccia quando scendo dalla macchina. Ogni singola volta. Lo sai che odio quando non mi guardi. Mi sono chiesto cosa cazzo significasse e l'unica spiegazione possibile è che ti amo. Nel solo modo in cui sono capace. E probabilmente è quello sbagliato. E non è quello che vorresti, né quello che meriti, ma sai cosa? Fanculo. Niente di tutto questo cambia come mi sento."
Max ha il fiatone, quando finisce di parlare, e le spalle si alzano e si abbassano veloci seguendo il ritmo sincopato del suo respiro. Max guarda Anita, e nonostante abbia vinto una gara oggi, e tutto intorno sia festa per lui, Max vede Anita e solo Anita. Davanti e tutto attorno a sé.
Anita ricambia lo sguardo e con le mani sale a stringere quelle del ragazzo, che la trattengono ancora per le spalle, per creare un contatto, un ponte a metà fra il mondo di Anita e il mondo di Max, che non potrebbero essere più lontani eppure finalmente sembrano comunicanti.
Non ci sono parole in grado di esprime come si senta in questo momento. Ancora una volta questo ragazzo le ha stravolto la prospettiva mettendosi al centro del suo universo. Sente che il cuore potrebbe scoppiarle nel petto.
Anita guarda Max, e nonostante chiunque sembri vedere solo distruzione in lui, lei vede Max e solo Max. Davanti e tutto attorno a sé.
"Non devi dire niente" specifica lui, ma i suoi occhi limpidi implorano una risposta.
La stretta sulle sue spalle diventa sempre più leggera, finché Max non lascia scivolare le mani lungo i suoi fianchi, in segno di resa.
Gli occhi di Anita sono pieni di lacrime, ma non distoglie lo sguardo. Anzi, cerca quello di lui.
Ama Max. Ama questo ragazzo imperfetto e bellissimo e forte e coraggioso e completamente fuori di testa. Lo ama per mille ragioni, ma soprattutto perché oggi, forse, si è reso conto per la prima volta che merita di essere ricambiato.
"Va bene se non è lo stesso per te." ci tiene a dirle lui, e ha la voce rotta dall'emozione. Non ci sono più muri né linee di difesa, nessuno schermo, nessun filtro. È puro, vibrante, disarmato. Anita gli prende una mano bianca fra le sue, e la stringe, forte, guardando e respirando e assorbendo Max con ogni cellula del suo corpo.
"Dannato Max Verstappen, tu sarai la mia rovina." Dice, e suona come una profezia. "Ma non importa, sai? Chi se ne frega. Io ti amo più della mia stessa vita."
Anita si è stupita la prima volta che ha visto Max davvero felice, dopo una gara andata bene: il volto sereno, il sorriso infantile, gli occhi espressivi e pieni di vita. Pensava che non lo avrebbe mai visto più felice di così.
Invece Max la stupisce ancora, perché dai suoi occhi di ghiaccio cadono lacrime copiose e scintillanti come scie di comete.
Ha già visto Max piangere, purtroppo. Lo ha visto piangere di frustrazione, di rabbia e di dolore. Ma non ha mai visto Max commosso. Grato. Completamente arreso al corso degli eventi.
Max piange, e piange senza ritegno, con il corpo scosso dai singhiozzi, come se avesse ancora quattordici anni e qualcuno gli stesse insegnando per la prima volta il significato della parola amore.
E Anita piange con lui, lo stringe, lo abbraccia, diventa tutt'uno con il ragazzo d'oro che brilla come un sole in questa notte araba.
Fine.
Circa.
Insomma, avete capito.
//Spazio autrice (sul serio)
Una sera di novembre, poco più di cinque mesi fa, ho scritto il prologo di Mad Max. Voleva essere una sfida personale, una storia senza pretese, da scrivere a tempo perso dopo anni in cui non avevo nemmeno provato a buttare giù qualcosa.
Chi mi conosce sa che sono l'incostanza fatta persona. Inizio mille progetti e non ne porto mai nessuno a termine. Con Mad Max, per fortuna, le cose sono andate un po' diversamente. Dedicarmi a questa storia mi ha ricordato quanto amassi le storie in generale, quanto mi piacesse immergermi in vite diverse dalla mia, quanto mi facesse stare bene giocare con le parole e metterle nero su bianco.
Questi personaggi sono stati i compagni delle mie giornate, i protagonisti dei miei sogni. Sono cresciuti e hanno amato e sofferto mentre io crescevo, amavo e soffrivo. Nessuno di loro mi somiglia, eppure sono venuti tutti da me, quindi questo dovrà pur contare qualcosa, no?
Per quanto sia fiera di aver messo un punto a questa storia, non credevo che l'addio sarebbe stato così doloroso. Per me, poi, che sono un insensibile che non piange per nulla.
Un ultima postilla qui in basso per dirvi grazie. Grazie, grazie grazie grazie. Per ogni stellina, ogni commento, per ogni volta che mi avete scritto e per ogni volta, perfino nel silenzio della vostra stanzetta in cui vi siete sentiti trascinati nella storia e vi si è stretto un po' il cuore a leggerla.
Come al solito ho esagerato. Le note sono più lunghe del capitolo. È che è difficile contenere l'amore e la gioia, quando nei sei pieno fino a scoppiare.
Ci vediamo prestissimo con l'epilogo, spero sia all'altezza della vostra immaginazione.
Mi trovate sempre su IG come @itstods_wattpad.
Vi abbraccio e vi mando baci esagerati,
T.
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