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Due.

Here comes the sun, do, dun, do, do
Here comes the sun, and I say
It's all right

Se il buongiorno si vede dal mattino, doveva aspettarsi che questa sarebbe stata l'alba di una giornata di merda.

La sveglia suona alle sei.

È ancora buio ma la sua stanza è una vera fornace, ha la nuca sudata e il suo cuscino ha la temperatura specifica del Sole, nonostante le finestre spalancate e le pale del ventilatore che girano placide e ronzanti. È l'undici giugno, fra poche ore ha un esame, dieci post da revisionare e un aereo da prendere.

Little darling, it's been a long cold lonely winter
Little darling, it feels like years since it's been here

Le ultime settimane sono state davvero intense, e deve ammettere che ha riposato molto meno di quanto avrebbe dovuto, ma ha imparato tanto e si sente in qualche modo fiduciosa. Per ora non l'hanno ancora messa a fare nulla di pratico, ma sta cercando di dimostrarsi attenta e intraprendente e spesso fa a Paul delle proposte di copy per i contenuti social, revisiona le bozze si coordina con i fotografi ufficiali via mail. Lui è estremamente disponibile (oltre che estremamente bello, ma questo Anita non si arrischia quasi a pensarlo, figurarsi a dirlo ad alta voce) e si è imposto con l'Amministrazione per averla in azienda sin dalla riapertura. Hanno un incontro preliminare quella sera stessa, ed una parte di lei deve ammettere che è davvero elettrizzata all'idea di incontrarlo.

(Potrebbe o no aver immaginato una cenetta a lume di candela, fiumi di champagne e un colpo di fulmine folgorante, ma questa è un'altra faccenda).

Sun, sun, sun, here it comes
Sun, sun, sun, here it comes
Sun, sun, sun, here it comes
Sun, sun, sun, here it comes
Sun, sun, sun, here it comes

Here comes the sun è già alla seconda ripetizione, e dovrebbe davvero alzarsi a spegnere la sveglia, ma non ci riesce. Si gira sul fianco e affonda il viso nel cuscino, cercando di riacchiappare gli ultimi strascichi del sogno bellissimo che stava facendo. Si è infilata sotto le lenzuola solo un paio d'ore prima, d'altronde che male potrebbero farle cinque minuti in più?


Tranne per il fatto che non sono cinque minuti.

Ma due ore e un quarto.

E sono le otto e quindici, e il suo esame è fra quarantacinque minuti, le valige non del tutto pronte e le chiamate perse circa venti.

Il disastro dei disastri.

Prima che abbia il tempo di piangersi addosso e darsi dell'idiota, Anita schizza fuori dal letto alla velocità della luce, colpendo in pieno il ventilatore che si accascia con un suono gracchiante e smette di girare. Non ha tempo nemmeno per sentirsi in ansia, ma ha il cuore che le batte praticamente fuori dal petto.

Le ci vogliono sette minuti per farsi la doccia, asciugarsi e infilarsi qualcosa di pulito, altri venti per riempire la valigia per metà e solo una quindicina per ripassare un argomento che aveva tralasciato nel suo ultimo ripasso. Mentre accende il pc con le mani tremanti per l'adrenalina, quasi sente di avere di nuovo tutto sotto controllo, ma è solo un'illusione e non dura tanto.

Quando Rebecca si affaccia alla porta della sua stanza, assonnata e coi capelli biondi tutti arruffati, quasi le prende un colpo. Anita, in camicia e pantalone a maniche lunghe, è china in una marea di vestiti spiegazzati e cerca disperatamente di far entrare ancora qualcosa in una valigia già strabordante. Nel mentre, il pc è acceso sulla scrivania, ed è aperto in un meeting zoom particolarmente animato.

"Non si è ancora fatto vivo" dice, con voce stridula, alzando a mala pena lo sguardo da quello che sta facendo. "Ci credi? Il bastardo non si è fatto vivo."

Sono le nove e quaranta.

Il volo di Anita parte da Malpensa a mezzogiorno e un quarto, e Dio solo sa se riuscirà a mettere il culo su quell'aereo, se il professore non si dà una mossa. Ha pianificato tutto nel più minimo dettaglio, perfino premurandosi di avvisare i suoi compagni che avrebbe dovuto essere la prima ad essere interrogata, calcolando gli orari dei tram, della navetta e anticipando perfino quanto traffico avrebbe trovato. Ha previsto ogni possibile disguido e contrattempo, tranne quello che sta per esserle fatale.

Chiude la valigia, sconsolata, e controlla di avere con sé tutto il necessario per il viaggio, mascherina e documenti. Le arriva anche una notifica sull'applicazione di messaggistica interna all'azienda, ed il suo cuore fa una capriola quando vede che è Paul-Meraviglioso-Harris che le chiede se è già in viaggio.

Anita è quel tipo di persona che idealizza gli sconosciuti fino ad innamorarsene perdutamente, salvo poi conoscerli davvero e rendersi conto che non sono affatto come li aveva immaginati. È quello che è successo con il suo ex, conosciuto sul tram la prima settimana di lezioni del suo primo anno di università. Si erano rincorsi e cercati e desiderati per mesi, baciati di sfuggita contro i portoni dei palazzi quasi fosse un segreto di Stato. Lei lo aveva sempre considerato l'uomo più brillante e romantico che avesse mai conosciuto, ma dopo tre anni aveva scoperto che solo a Milano c'erano almeno altre tre ragazze che avrebbero potuto dire lo stesso.

Anita controlla l'orologio in modo ossessivo. Ha qualche problema, in generale, con l'essere in ritardo.

Si siede alla scrivania, accavallando le gambe, e continua a sfogliare i suoi appunti, cercando di infondersi fiducia. La testa le gira vorticosamente per il caldo, lo stress e il poco riposo. Ingoierebbe dieci aspirine per farla smettere di martellare.

Alle dieci e venti, quando il professore non si è ancora fatto vivo e i suoi compagni di corso sono ormai sull'orlo di una crisi di nervi, Anita prende una decisione coraggiosa e chiude il pc. Ancora una volta ha dimostrato a sé stessa che è incapace a gestire più di un impegno e che quando si fissa su qualcosa è disposta a mandare tutto il resto al diavolo pur di perseguirla.

Ormai è troppo in ritardo per prendere i mezzi, quindi chiama un taxi che le costerà come sei mesi di bollette e la cosa la secca non poco. Mentre lo aspetta, raccoglie le sue cose e ne approfitta per salutare la sua migliore amica, che le tiene il muso da ore (più per la loro colazione d'addio saltata, che per la sua partenza, a suo parere).

"Quindi stai andando davvero?" le dice Rebecca, mentre aiuta Anita a portare le valige al piano di sotto.

"Così pare." Risponde, controllando l'orario per l'ennesima volta, mentre chiude il portone alle sue spalle. Dieci e trentadue. È in ritardo mostruoso. "Sempre che io riesca a partire"

"Tu sei completamente pazza" dice Rebecca, scuotendo la testa e abbracciandola forte.

Anita sbuffa nell'abbraccio ma la stringe forte di rimando.

"Non fare cazzate" la ammonisce, tirando su col naso. "Me lo devi promettere."

Non fare cazzate, ripete a sé stessa.

"Mi mancherai" mormora Anita, annusandole l'incavo della spalla, che sa di casa più di qualsiasi altra cosa.

"Tu invece per niente" dice Rebecca, ma la voce rotta dal pianto. "Non vedevo l'ora sloggiassi. Ho già in mente di subaffittare la tua stanza"

Alza gli occhi al cielo. Devono sempre fare finta di non volersi bene, ma sono riluttanti a sciogliere l'abbraccio.

Un taxi accosta dolcemente a qualche passo da loro e ne esce un uomo sulla cinquantina con una pancia molto prominente e pochi capelli rimasti, che carica la grossa valigia nel bagagliaio e chiede solo: "Entrambe?"

Le due ragazze si scambiano un ultimo sorriso sul marciapiede.

"Solo io"

Quello è il congedo.


Il tragitto è lungo, ma piacevole. L'abitacolo profuma di pulito e l'uomo è particolarmente discreto e gentile. Tiene su la mascherina tutto il tempo ed evita di farle domande e fare conversazione per un buon tratto. Ha su una playlist di vecchi pezzi cantautorali particolarmente piacevole, che tiene lontana Anita dal controllare l'orario e la distrae un po'.

"Oggi c'è un gran traffico" è l'unico commento che fa, alle undici in punto.

Il paesaggio urbano scorre rapido sotto i suoi occhi, e il lampeggiare dei freni delle auto che li precedono non fa presagire nulla di buono.

"La mia solita fortuna" si ritrova a dire lei, ma il suo tono ormai è stanco, più che arrabbiato.

"Dove sta andando, se posso chiedere?"

Anita si morde la lingua, e istintivamente sblocca il cellulare per vedere se Paul le ha risposto all'ultimo messaggio, quello in cui lo avvisava che potevano esserci dei problemi col suo volo. Quasi sovrappensiero si ritrova a rispondergli: "Milton Keynes"

La risposta la sorprende, e la sorprende perché non aveva minimamente pensato all'evenienza che l'autista potesse avere idea della localizzazione geografica della città.

"È dove c'è la sede della Red Bull, vero?"

"Uhm...sì" è la sua risposta, e si risolve di restare il più vaga possibile. "È un viaggio di lavoro, infatti"

Da lì in poi si lanciano in una conversazione lunga e piuttosto accesa, ed Anita ringrazia mentalmente suo padre per averle fatto un ripasso molto rapido degli episodi precedenti. Non può lavorare in Red Bull e non avere idea di chi siano i piloti in pista, quanto e dove abbiano vinto. Ha fatto i compiti a casa, e ora sembra estremamente preparata: ecco cos'ha fatto, anziché studiare per l'esame di Economia dei mercati emergenti.

Complimenti come sempre, Ani.

*

Quando si allaccia la cintura di sicurezza e si abbandona contro il sedile dell'aereo, ad Anita sembra di non dormire da qualcosa come dieci anni. Si massaggia le tempie e le palpebre con indice e medio, per scacciare il mal di testa e i brutti pensieri.

Ha passato gli ultimi dieci minuti al telefono con sua madre, profondamente delusa dal fatto che non abbia sostenuto l'esame e sinceramente costernata dalle sue scelte di vita. Non che si aspettasse qualcosa di diverso.

Anita e sua madre hanno uno strano rapporto: lei la spinge sempre al di là dei suoi limiti, ed è severa nei giudizi quanto moderata con le lodi. Non le viene in mente neppure un'occasione in cui l'abbia difesa o supportata o consolata dopo una batosta. Alle volte pensa di odiarla, altre si dice che senza di lei a pungolarla costantemente, forse non avrebbe davvero concluso un cazzo, nella vita.

Ora però, mentre distende le gambe sotto al sedile davanti al suo, non vuole pensarci. Il mondo si è impegnato per mettere i bastoni fra le ruote di Anita Grossi ma lei ha schivato tutti gli ostacoli, e adesso tutto andrà come deve.

O almeno è quello che si ripete senza sosta per tutto il volo.


Al suo arrivo a Luton, due ore e mezzo dopo, scopre che al peggio non c'è mai fine.

Ha atteso senza successo che la sua valigia rossa facesse la sua comparsa sul nastro trasportatore: ha aspettato e aspettato, finché ognuno dei passeggeri non ha recuperato il suo bagaglio ed è rimasta la sola persona in piedi nell'androne. È sudata e stanca morta, i suoi averi sono chissà dove, spersi per il mondo, e lei si augura stiano avendo una giornata migliore della sua.

L'unica cosa positiva dell'emergenza sanitaria è che le code all'ufficio smarrimento sono davvero esigue, quindi riesce a fare la denuncia molto in fretta. Le dicono che si impegneranno a cercare il suo bagaglio e farglielo recapitare all'indirizzo indicato in qualche giorno, ma che non possono darle informazioni certe.

È dunque molto probabile che passerà le sue prime 72 ore nel Regno Unito con il contenuto del suo zaino. Ringrazia la buona stella che le ha fatto mettere almeno un paio di mutande nella tasca interna, per ogni evenienza.

Il telefono le vibra nella tasca, ed è un altro messaggio di Paul, che le chiede se è arrivata sana e salva all'appartamento e se le va di andare a pranzo insieme. Lei gli risponde che ne avrà ancora per molto, e rilancia molto in fretta chiedendogli se è libero per una tazza di tè nel pomeriggio.

Lui le risponde con un'emoji e le lascia il numero: "Chiamami quando arrivi".

Per parlare di lavoro, si intende.


Nonostante la situazione surreale, è felice di non dover aspettare quella sera prima di conoscere Paul di persona. Non vuole saltare a conclusioni affrettate, ma è stato davvero gentile con lei nelle ultime settimane e vagamente troppo disponibile per essere del tutto disinteressato. Ma, probabilmente, sono solo sue stupide fantasie.

Passa tutto il tragitto verso Milton Keynes a mandare stupidi messaggi a Rebecca per lamentarsi delle sue sfortune, del tempo uggioso e del fatto che questa volta non ha davvero niente da mettere per il suo non-appuntamento con Paul-Meraviglioso-Harris.

L'idea di poterlo finalmente vedere, in carne ed ossa, allevia perfino la stanchezza e il malumore.

Arriva a Caldecotte alle quattro e dieci, e si infila in una via piuttosto tortuosa composta da piccoli appartamenti in mattoni costruiti uno appiccicato all'altro. La visuale, con il cielo plumbeo e le aiuole ben curate, rappresenta la classica cartolina inglese, malinconica e un po' desolata.

Il suo appartamento è al numero 48 di Wadesmill Lane, e a vederlo da fuori è veramente grazioso. Le chiavi sono sotto ad un vaso all'ingresso, come indicato dalla proprietaria, ma il cancelletto è semiaperto e la terra del piccolo giardino piena di erbacce.

Anita si lega i capelli in una coda bassa, infila le chiavi nella toppa e fa entrare uno spiraglio di luce all'interno dell'appartamento. L'odore di stantio la investe con la forza di un pugno.

Quello che si trova davanti non si avvicina nemmeno lontanamente alle foto sul sito: la moquette color crema è strappata in più punti, la poltrona in salotto malconcia e polverosa, al tavolo manca una gamba e i mobili sono tutti mangiati dai tarli. Potrebbe tranquillamente figurare in una puntata di Hotel da Incubo, non fosse che per ora non vi è traccia di animali. O almeno è quello che si augura.

È davvero troppo.

Anita chiude immediatamente la porta con un colpo secco e crolla in ginocchio sullo zerbino, per poi scoppiare in un pianto disperato. Non ha idea di come e quando tutto abbia iniziato ad andare per il verso sbagliato, ma si pente di tutto, specialmente di aver accettato questa stupida proposta del cazzo e di essersi infilata in questa assurda situazione del cazzo, perché ora vive in una bettola, non possiede nulla se non il portatile, il portafoglio e due paia di mutande. Pure brutte.

Paul le ha appena inviato un altro messaggio in cui le chiede se ha bisogno di un passaggio e lei risponde con la vista appannata dalle lacrime.

"Sì, ti prego."

E, come nella più scontata delle scene madre nelle commedie romantiche, Paul arriva.


//Spazio autrice (sì, certo)

Il capitolo di oggi è veramente lunghissimo per i miei standard. Ci sto lavorando da giorni e non ero mai sicura di dove interrompere la narrazione perciò eccolo, così com'è, un po' in cliffhanger. Il GP del Bahrein mi ha provata emotivamente e fisicamente, perciò la nota sarà più breve del solito: finalmente la povera Anita approda a Milton Keynes. Sarà la fine delle sue sventure o solo l'inizio? Restate sintonizzati per scoprirlo, e commentate, se vi va.

Io, vi abbraccio e vi bacio,

Vostra T.

p.s. sì, quello è Paul Meraviglioso Harris.

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