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Diciassette.

Noticina iniziale:

È una cosa che faccio molto di rado, ma vista la botta emotiva che mi ha causato scrivere questo capitolo, le mie ultime 3 riletture sono state accompagnate dalle note di "Concedimi" di Matteo Romano. Non credo sia particolarmente calzante con gli avvenimenti, però direi che aiuta a settare il mood giusto. It's lights out, and away we go. (ps. la playlist è ancora in fieri, è davvero difficile trovare qualcuno che racconti in musica questa storia)



Anita ricorda bene come si è sentita la prima volta che un ragazzo le ha chiesto di uscire. Aveva diciassette anni e la frangetta tagliata storta (a sua difesa, se l'era tagliata da sola in un atto di ribellione momentaneo). Ricorda la sorpresa, l'inconfessabile senso di gratitudine, la paura di non essere all'altezza delle aspettative. Ricorda di aver passato ore a prepararsi, impiastricciandosi il viso e cercando di far combaciare il suo aspetto con l'idea che lui poteva essersi fatto di lei. Bella, curata, elegante. Tante cose che non era ma che avrebbe voluto essere.

Adesso si guarda nel riflesso dello specchio del soggiorno del suo appartamento a Milton. Vede una ragazza con gli zigomi pronunciati e gli occhi irrequieti, troppo timorosa, altalenante, un pettirosso ingenuo e vulnerabile. Infila la mano nella borsa e le dita si stringono attorno ad un oggetto cilindrico, che le infonde immediatamente coraggio. Tira fuori il rossetto e si passa un sottile velo di colore sulle labbra. Il semplice movimento da destra verso sinistra e viceversa aiuta a farla sentire più sicura.

Si concede un ultimo sguardo.

Le cose che sono. Le cose che voglio essere.

Max ha provato a chiederle il suo numero, ma lei si è mostrata piuttosto restia a darglielo, così sono rimasti d'accordo che lui sarebbe passato a prenderla più o meno per le otto, più o meno lunedì, più o meno vicino al numero 48 di Wadesmill Lane.

Anita non è affatto sicura che lo troverà lì una volta aperta la porta di casa, e anzi una parte di lei sospetta che si tratti di un trucco, di una montatura, un modo perverso per prendersi gioco di lei e dei suoi sentimenti.

Qualsiasi essi siano.

Si dà una scrollata di spalle, prima di uscire, per scacciare quei pensieri. Si sente molto sciocca perché durante la pausa pranzo è andata a comprarsi un nuovo vestito, visto che ne aveva solo uno e le ricordava troppo Paul e quella serata al pub con Lynn e gli altri. Ne ha provati a decine, lunghi, corti, scollati, castigati, colorati e sbrilluccicanti. Non era certa di cosa le donasse di più, di cosa avrebbero fatto, e di cosa potesse piacere a uno come Max.

Il solo fatto di aver ammesso di preoccuparsi del fatto che lui la trovi attraente la fa sentire la regina delle idiote.

È solo un'uscita. Non significa niente.

Si chiude la porta alle spalle, con un tonfo, e mette le chiavi in borsa. È ormai agosto ma la sua pelle si ricopre istantaneamente di brividi per l'inatteso cambio di temperatura.

Per qualche frenetico minuto di panico si guarda attorno e non vede altro che la classica desolazione a cui è abituata. Le luci dei vicini sono accese, ma dalle loro case non proviene alcun rumore.

Ecco, si dice, avvampando, il figlio di puttana mi ha dato buca. Meno male che non poteva aspettare.

Dopo poco però un'auto scura e lucida si avvicina con un rombo ed accosta al marciapiede poco più indietro. Anita inclina il viso ed osserva la portiera aprirsi e rivelare una figura illuminata dai lampioni.

Max indossa una camicia bianca di lino appena sbottonata sotto il collo, e un paio di pantaloni chiari stretti che ne fasciano la figura. Ha un'espressione molto seria, imperscrutabile, con le sopracciglia aggrottate che si incontrano al centro della fronte.

Per un attimo Anita esita, indecisa, poi si liscia la gonna e fa un gesto con la mano come per dirgli: sono qua, e lo raggiunge a passo svelto, temendo di vederlo sparire di nuovo in macchina. Lui la osserva avvicinarsi, senza accennare nemmeno un sorriso o un cenno di saluto, la mano sinistra ancorata alla portiera aperta, gli occhi sgranati e un po' persi.

"Comunque buonasera" borbotta lei, una volta raggiunto, enfatizzando il concetto con un'alzata di sopracciglia. Prima che Max possa anche solo aprire la bocca per dire qualcosa, lei fa scattare la maniglia e si siede sul sedile del passeggero.

Ha il cuore che le galoppa nel petto, e non sa come comportarsi. Non ha intenzione di passare la serata a cavare parole dalla bocca dell'olandese, non le piace come lui eviti di incrociare il suo sguardo, come se non riuscisse a sostenerlo. La bocca le si piega in una smorfia scontenta quando Max le si siede accanto e mette in moto, senza risponderle nemmeno.

"Mettiamo le cose in chiaro" le viene fuori, mentre l'Aston Martin scivola silenziosissima lungo il vialetto. "Non so a che gioco stai giocando, ma in ogni caso sono più brava di te. Basta sapere le regole."

Anita è seria, tiene le braccia incrociate al petto, e il mento leggermente all'insù, ma lui deve trovare quello che ha detto incredibilmente divertente, perché un sorriso gli si apre sul viso e si lascia scappare una risatina nervosa.

"Non sto giocando a nessun gioco, Anita" le risponde, con voce allegra, e per un lungo tratto non aggiunge altro. C'è silenzio nell'abitacolo, ma non è piacevole come quello sul jet. Questo silenzio è pieno di cose non dette, di tensioni irrisolte.

"Hai almeno intenzione di dirmi dove andiamo?"

Max continua a sorridere, guardando dritto davanti a sé. Ha le ciglia chiare e lunghissime, che si incrociano ogni volta che sbatte le palpebre.

"Ti fidi di me?"

Anita scuote la testa, categorica, anche se ha la pelle d'oca: "Sei serio, Verstappen? Nemmeno un po'."

Lui scrolla le spalle, e le dà un'occhiata rapida. Il buio della macchina lo protegge, ma è difficile non notare che sta diventando paonazzo.

"Ti sto portando in un bel posto." Rimarca, imboccando l'autostrada. "È sempre rincuorante sapere che nutri tutta questa fiducia nei miei confronti."

Lei lo guarda di sottecchi, spiandone i movimenti. La sua guida è stranamente rilassata e piacevole. Evidentemente, quando il tuo lavoro consiste nello sfidare i limiti di velocità che la tua macchina può raggiungere, non hai molta voglia di sfidare i limiti imposti dalla legge nel tempo libero.

"Hai alzato l'asticella delle aspettative, pensa che mi ero imbellettata così per una scampagnata notturna nei boschi di Milton." Dice Anita, ma il suo tono si è addolcito. Scioglie perfino le braccia, portando la mano sinistra sul sedile, vicino alla sua coscia scoperta. Sente il bisogno di accorciare le distanze fra loro, anche se non osa toccarlo, come se fosse fatto di fiamme e il contatto potesse ustionarla.

"Non ero sicuro di trovare l'appartamento, ho girato come un coglione per venti minuti." La confessione è del tutto spontanea, ma non si ferma lì. "Se mi avessi dato il tuo numero di telefono sarebbe stato più semplice."

"Il fatto che tu non sia riuscito a procurartelo in altro modo mi fa pensare che le tue risorse non siano così infallibili."

Ridono, e poi per un attimo l'abitacolo è di nuovo silenzioso. Anita è un po' nervosa, mentre lui sembra essersi rilassato dopo il loro breve scambio. Non le capita spesso di sentirsi così tesa e non le era mai capitato con Paul, nonostante si sentisse molto attratta da lui. Max ha il potere di annullare ogni sua sicurezza.

Dopo poco, per fortuna, arrivano a destinazione.

Il ristorante, ha modo di constatare Anita, è un ristorante italiano decisamente chic e pretenzioso, con grandi lampadari e ingombranti centrotavola di design. Non riesce a fare a meno di pensare che lui, il suo ex, avrebbe criticato ogni cosa di quel posto, avrebbe detto: guarda, quella è una copia di una Thonet, quello è un pezzo kitsch da rigattieri, hanno i soldi ma non hanno gusto, non capiscono l'arte.

Max, invece, sembra molto soddisfatto di concederle il fianco e seguire il cameriere in un tavolo appartato all'esterno, lontano dalla ressa. Nonostante non voglia darlo a vedere in nessun modo si vede che è molto imbarazzato, e continua a punzecchiarla con battute infantili, per dissimulare.

Quando le loro mani si sfiorano per caso, mentre camminano, sente come una scossa, una forte elettricità.

Sotto le luci soffuse del ristorante, il profilo tagliente del viso di Max ha qualcosa di irripetibile, e proietta ombre ipnotiche tutt'attorno. La curva delle sopracciglia, il tratto acuto del naso, la mascella squadrata e le labbra a cuore. Ogni angolo di lui assume una connotazione diversa, e per Anita è come scoprirlo di nuovo.

Lo aveva già visto in questa veste, fuori dalla sua corazza, nella loro serata a Monaco con Daniel, ma allora le era sembrato il solito Max, distante, imbronciato.

Il ragazzo che le siede di fronte, sorseggiando vino da un calice delicatissimo, è estremamente rilassato, compiaciuto, quasi. Le lancia occhiate lunghe e decisive, mentre ascolta quello di cui parla, con le dita incrociate davanti al viso, sembra dirle: ancora non sai quanto ti sei sbagliata sul mio conto, vedi?

Anita non sa a cosa credere, perciò lo studia guardinga, mentre spezza un grissino e ne regge in mano un'estremità. Hanno ordinato, parlato di sciocchezze e perfino scherzato sull'alzare un po' troppo il gomito, quando lei ha riportato l'attenzione sul grande elefante nella stanza.

"Non ti negherò che questo invito mi ha stupita" dice, prendendo un lungo sorso. I capelli biondi lunghi le sfiorano le spalle e le incorniciano il viso, proteggendola come uno scudo.

"Davvero?" le risponde lui, sornione. "E pensare che mi era sembrato di essere stato abbastanza esplicito a Silverstone."

Il vino le va di traverso.

"Anche Silverstone mi ha stupita." Boccheggia Anita, avvampando, mentre il cameriere si accosta al tavolo porgendole il suo piatto.

"Ci vieni spesso?" prosegue, facendo segno in tondo con l'indice, per sviare la conversazione.

Lui esita un istante, prima di rispondere. Opta per la verità.

"Mai. Preferisco sempre mangiare a casa." Fa una piccola pausa, prima di aggiungere a bassa voce: "Ho pensato che ti saresti arrabbiata."

Anita soppesa quell'informazione, avvolgendo gli spaghetti attorno alla forchetta. Max ha indirettamente ammesso che si è preoccupato di fare una bella impressione, e questa non è decisamente una cosa da lui. Inizia a pensare che non ha davvero idea di chi sia la persona che le siede di fronte, ma questo anziché spaventarla sembra infonderle una scarica di adrenalina.

Anita straparla, come ogni volta che si sente nervosa, e nasconde le sue insicurezze dietro a divertentissimi aneddoti della sua infanzia, commenti sul cibo e sulle sue serie tv preferite. Si accorge solo dopo che il cameriere ha portato via i piatti che Max ha parlato molto poco. Si è limitato ad annuire, farle qualche domanda ed intervenire brevemente quando ha nominato la Ferrari, con un "quel pallone gonfiato di Leclerc".

Quando è fuori dal suo elemento naturale, diventa improvvisamente silenzioso, introverso, taciturno, ben lontano dal ragazzo sicuro di sé che l'ha invitata il giorno prima. E questo non fa altro che renderlo ancora più inafferrabile.

Lei si copre la bocca con una mano, nascondendo il sorriso: "Ho parlato troppo, ormai mi conoscerai a memoria." Poi poggia entrambe le mani sul tavolo, sporgendosi verso di lui. "Adesso raccontami qualcosa di te, me lo devi."

Me lo devi. Da dove le è venuto fuori?

Gli occhi di Max si stringono in due fessure, e si spalla contro lo schienale della sedia, come per cercare di recuperare gli equilibri fra loro.

"Mi piace la velocità, in qualsiasi campo. Sono un pilota, corro da quando ero piccolo e..."

Lei lo interrompe, allacciando i loro sguardi in una morsa stretta. Questo le provoca un fastidiosissimo sfarfallio al petto, ma la voglia di prevalere in questo braccio di ferro continuo ha la meglio.

"Non voglio parlare di lavoro, voglio sapere chi sei fuori dalla macchina."

Lui si stringe nelle spalle, il labbro inferiore fra i denti: "Normale, uno qualunque."

Anita fissa la mano di Max, a pochi centimetri dalla sua. Se solo allungasse le dita potrebbe sfiorarne il dorso, toccare la sua pelle liscia e tesa, sentirne il calore. Vorrebbe farlo.

Deglutisce, sforzandosi di riportare lo sguardo in alto, e si sorprende da sola per la sua sincerità: "Sei decisamente tutto, fuorché uno qualunque."

Adesso è il turno di Max di scuotere la testa e abbassare lo sguardo, improvvisamente malinconico.

"Ti annoierai"

"Prova." Dice Anita, con gli occhi che brillano.

Così, Max, si fida.

Non butta giù i muri e non rinuncia alla sua armatura, ma apre dei piccoli spiragli nella sua vita, ed è già qualcosa. Le parla di suo padre, di quanto loro siano legati e di come lui lo abbia da sempre accompagnato nel mondo delle corse. Le parla di sua madre e di sua sorella, della loro separazione precoce, della gravidanza, del senso di appartenenza. C'è qualcosa, ed è facile da intuire, che lo tormenta, ma non ne fa mai menzione.

Anita ha notato subito il modo che Max ha di parlare di sé e delle cose che lo riguardano, come se si guardasse dall'esterno e non fosse mai il vero protagonista di niente. Per la prima volta, davanti ad una fetta di torta e ad una candela consumata, le sembra davvero coinvolto, ed ha la strana sensazione che sia anche la prima volta che dice quelle cose ad alta voce.

Cose come "Non vedo spesso mia madre ma le voglio molto bene".

Quando si alzano dal tavolo, un'ora più tardi, l'opinione di Anita su Max Verstappen è più confusa che mai.

Nel Max che le cammina accanto, oltre l'arco dell'ingresso e nel parcheggio, non c'è traccia del ragazzo stizzito e arrogante che l'ha insultata davanti a Paul, né del pilota instabile che ha mandato in frantumi un divisorio per la rabbia. È misurato, quasi insicuro, come se temesse di rovinare ogni cosa.

Arrivano alla macchina, e lui si ferma, la guarda, esita.

"Sono stata bene stasera" dice Anita, mordendosi l'interno della guancia.

"Anche io." Soffia Max, combattuto, e si avvicina verso di lei, lentamente, facendola arretrare fino a che non tocca il metallo freddo con la schiena.

Si china verso di lei, inspira il suo odore, a fondo. Anita pensa: adesso mi bacia.

Ma non lo fa.

È lei ad essere debole, a desiderare di trattenerlo ancora per un istante a sé, di sentirlo vicino. Con il cuore in gola, allunga la mano e gli sfiora il polso con la punta delle dita, per scivolare in basso e stringere la sua mano piccola nella sua.

È un gesto piccolo, intimo, riservato, che spera possa aiutarlo a trovare un po' di pace.

Anita guarda verso di lui, trattenendo il respiro, ma Max ha gli occhi chiusi, le labbra serrate.

Il viaggio di ritorno è ancora più silenzioso di quello di andata, nonostante la radio accesa a riempire il vuoto e la distanza che si è creata fra i due. Questa volta Max va veloce, molto veloce. Superano presto i duecento all'ora, la strada è buia, libera e non c'è un'anima. Accelera sempre di più, fino a che i loro corpi non sono schiacciati contro il sedile e l'esaltazione si mischia alla paura e a qualcos'altro, più difficile da decifrare.

Alla fine, rientrano in Wadesmill Lane, e Max inchioda bruscamente davanti al numero 48. Ha il fiatone.

Anita sente un velo di lacrime annebbiarle la vista. Si sente confusa, e stranamente agitata.

"Non pensavo avessi così tanta fretta di liberarti di me" mormora, e la voce le trema un po'.

Max non prova a consolarla, ma è perentorio nella sua risposta.

"Non è come credi."

Lei si slaccia la cintura, senza riuscire a trovare il coraggio di voltarsi e guardarlo negli occhi. Forse perfino spaventata all'idea di farlo.

"Forse è stato uno sbaglio." Dice, la voce ridotta ad un bisbiglio. Non vede l'ora di rientrare in casa e lavarsi di dosso il suo odore, di dimenticarlo e proseguire la sua vita.

Anita fa scattare la maniglia dall'interno e spalanca la portiera, pronta a scendere, ma la mano di lui corre a trattenerla per il braccio, con urgenza.

Lotta con sé stessa per resistere, ma è debole, cede. Si volta verso di lui, e lascia che Max guidi la sua mano in alto a sinistra, sul suo petto, dove il suo cuore martella velocissimo. Le preme il suo palmo aperto sul dorso della mano, a lungo, prima di lasciarla andare. Dice solo: "Ci vediamo presto."

Quando Anita rientra in camera, confusa e annebbiata, trova un bigliettino nella sua borsa, con un numero di telefono e tre lettere in stampatello: Max.


//Spazio autrice (si, come no)

Scrivere questo capitolo è stato un parto plurigemellare. Ho perso il conto delle volte che ho cancellato tutto e ricominciato, riscritto, ampliato, sfrondato, modificato. Non è stato solo difficile a livello narrativo, ma anche emotivo. Anche in questo caso, forse è ancora presto per rendervi conto di dove questi avvenimenti porteranno, ma potete iniziare ad intuire che c'è sotto qualcosa di grosso, che spero di riuscire a trattare nel modo giusto.

Non voglio tediarvi con note lunghissime (cosa che faccio sistematicamente, scusate) ma questo capitolo è davvero importantissimo e spero vi abbia lasciato qualcosa, perché custodisce per sempre un pezzettino del mio cuore. Leggete, votate, commentate, ditemi la vostra se vi va.

Dovremmo essere più o meno a metà. Ci rivediamo al GP del Settantesimo anniversario.

Buon 2021, vi voglio bene, e grazie.

Vostra vostra vostra T.


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