1° prova: prologo
"Quando gli dèi vogliono punirci, esaudiscono le nostre preghiere."
(Oscar Wilde)
L'orologio continuava a ticchettare insistentemente e piccole gocce di sudore mi imperlavano il viso. L'ansia si era impossessata delle mie stanche e fragili membra tanto da farmi sanguinare il labbro a furia di morsi. Il tempo scorreva e non avevo altra scelta che attendere impazientemente il mio destino.
Avevo commesso uno sbaglio, un terribile sbaglio, e ne avrei dovuto pagare le conseguenze.
Il petto si abbassava e si alzava velocemente mentre il respiro, ogni secondo che passava, diventava più rumoroso.
"Essere o non essere, questo é il problema" affermava Amleto.
Ah quanto è vero! Sarebbe stato meglio non essere affatto, piuttosto che essere e subire ciò che mi spettava. La vendetta è un piatto che va servito freddo, ma quando fai un torto a una entità di tale calibro la vendetta non può che essere immediata.
Feci un respiro profondo e, guardando attraverso l'opaca e ingiallita finestra, mi rivolsi al cielo.
«O Padre, perché non mi aiuti?» citai il trentatreesimo canto dell'inferno di Dante, nel quale il figlio più piccolo del conte Ugolino getta l'ultimo disperato grido di aiuto al padre prima di esalare l'ultimo tragico respiro.
Un fulmine attraversò deciso il cielo facendomi sobbalzare.
Una lacrima solitaria mi rigò il viso, il mio stesso padre mi aveva rinnegata e mi aveva lasciata completamente sola.
Sedetti sconsolata sul polveroso letto di quella casupola e attesi a testa alta la mia buia sorte, buia come il cielo inasprito dal mio sleale e vile comportamento.
«oh Padre perdonami» sospirai tentando di placare la sua ira. Mi alzai incerta e mi diressi verso la porta che al mio tocco emise un leggero scricchiolio. Camminai esitante verso il lugubre portico che a quell'ora della notte pareva quasi monocromatico e piatto, inconsistente. La luce della luna illuminava gli alberi spogli che sembravano ancora più macabri del solito.
Sentii gracchiare in lontananza e allora capì che mancava pochissimo tempo: era arrivata la mia ora.
Il tempo sembrò rallentare e il battito del mio cuore cesso per qualche istante. La paura si era avvinghiata al mio collo e mi soffocava ogni secondo di più.
Mantenni il respiro per quella che mi sembrò un'eternità prima di udire il mio nome in lontananza.
Scesi dal portico e attraversai il prato incolto a piedi nudi.
«Padre, dammi un'ultima occasione, ti prego» implorai il cielo, un'ultima volta, prima di abbandonarmi al volere delle Furie che rapidamente mi raggiungevano.
Le "benevole" non avrebbero avuto pace finché la carne che mi componeva non avesse raggiunto l'Ade e non avevo le forze per contrastarle.
Ero stanca di scappare, stanca di tutto.
Senza l'aiuto di mio Padre non avrei potuto salvarmi.
«Ah, maledetta sia la notte in cui mi avventurai negli inferi più profondi e compii quella che è l'azione più infima al mondo! Maledetto sia il giorno in cui mi abbandonai all'istinto e non ascoltai mio Padre! E maledetto sia il Padre che salvò Eracle e non me!»
Inveii.
«Macaria!» sentii gracchiare.
Le furie mi avvolsero nelle loro ali demoniache e non potei fare altro che chiudere gli occhi e assistere al mio funesto destino.
@chiccaCom
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