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3. unbelievable
Un leggero rumore, tanto sonoro quanto impercettibile, perveniva dall'esterno di casa mia. Il mio essere scombussolato pensava questi provenisse dall'interno del mio subconscio, la mia mente era in tilt, volavo con la fantasia dissociandomi dalla realtà.
La festa precedente era stata a parer mio tanto intensa quanto breve, la mia permanenza per lo meno. L'atmosfera che, con quell'andirivieni di persone, s'era fatta più cupa ed intensa mi spezzava il respiro.
Intrinseca fra le coperte pensavo alla giornata che era in procinto di avviarsi, non ero proprio dell'umore per affrontare una singola ora all'insegna del trambusto. Avevo tanti di quei pensieri in testa che mi tiravano a sé non invogliandomi neppure ad alzarmi da quel materasso.
Ritornando a parlare di quella sera e a quanto fosse stata paragonabile ad un battito di ciglia, mi venne irrimediabilmente semplice notare la mancanza di mia sorella, l'avevo persa di vista sin dal primo istante.
Presa d'istinto avevo intrapreso un percorso lungo casa andando via senza dire niente a nessuno. Il mio essere non era dell'umore per andare a quella festa colma di persone, colma di confusione, colma di quelle cose effimere che, tante volte, odiavo tanto quanto riuscivo ad amare.
Arrivata a casa non ricordai nulla, se non guardandomi dritta allo specchio notai il mio viso abbastanza stremato colmarsi d'una sonnolenza e cadere, cadere in un terribile vortice nero.
Il che ci porta qui, le undici in punto segnava il mio orologio. Affondai la testa sotto il cuscino e poco dopo, con una gran nonchalance mi alzai dal letto e sporsi l'occhio al di fuori della finestra.
Oggi era una tipica giornata tutt'altro splendente e tipicamente uggiosa, il sole non splendeva in alto, le tapparelle non sopprimevano la candida luce che doveva entrare ad irradiare il mio letto. Bensì una sorta di nuvolone nero circondava il cielo tinto da quella sua fragranza di colori.
Scesi al piano inferiore, alzando gli occhi al cielo, feci una crocchia disfatta ed entrai in cucina. Mi voltai ma di Amélie captai non vi fosse neppure l'ombra, mi avvicinai alla macchinetta del caffè e iniziai a preparare questa bevanda inesauribile.
Non appena fu pronto presi a sorseggiarlo mentre milioni di pensieri mi irradiarono senza freno la mente.
Amélie era una di quelle ragazze che benché arrabbiata, benché triste, benché tutte le ragioni di questo mondo non sarebbe mai stata fuori tutta la notte senza avvisare e questo mi fece preoccupare.
Afferrai il mio cellulare speranzosa di un messaggio, ma appena accesi lo schermo non vidi altro che l'immagine di esso priva di notifiche.
Poggiai il mio caffè sul tavolo e iniziai a pensare, mi venne dopo poco un lampo di genio: chiamare Joe.
Ma nel momento in cui feci per digitare il suo numero, sentii svariati tuoni, seguitati dal campanello di casa mia suonare titubantemente.
Mi avvicinai velocemente afferrando una giacca poggiata sul braccio del divano.
Poggiai la mano sul pomello della porta e sentendo il rumore della pioggia cadere, aprii la porta.
«Belle! Belle!» Sentii la voce di Joe e lo vidi piuttosto preoccupato, i capelli bagnati fradici e il respiro affannato. Guardando il suo viso i miei battiti accelerano.
«Joe, cosa è successo?» Toccai la sua spalla e lo invogliai a parlarmi.
«Siamo qui con Amélie, ieri sera non so cosa le sia presto. Ha bevuto, bevuto, bevuto e devi aiutarmi.» Restai incredula nell'udire lievemente il suono di quelle parole scandite con ardore.
Restai un po' in silenzio, gli alberi non facevano altro che danzare beatamente sulle note del vento. Restai ad osservare il movimento di quelle foglioline per poi poggiare lo sguardo sui suoi occhi bramanti di un riscontro.
«Dov'è? È qui?»
«Si..» Rispose, si voltó ed andó indietro verso la macchina con cui era arrivato. Vidi fuoriuscire due ragazzi, tenevano stretti fra le loro braccia Amélie, mentre combattevano le goccioline di pioggia intente a cadere.
Senza esitare li feci entrare mentre un brivido percorse la mia spina dorsale.
Mi chiusi la porta alle spalle e osservai questi ragazzi che se ne stavano dietro Joe, che a sua volta cercava di calmare l'esuberante Amélie, occhi rossi, capelli arruffati e risatina a crepapelle.
«Mi viene da vomitare-» Disse mentre Joe le porgeva una bacinella e le carezzava la fronte.
«Perché Amélie? Perché ?» Domandai avvicinandomi per porgerle una coperta, mi guardò dicendo parole prive di senso, il suo braccio scoperto diede all'occhio tanto che non potei fare a meno di notarlo. Dalle mie labbra fuoriuscii un suono di stupore, paura..
Misi le mani fra i miei capelli andando nel panico. Giravo intorno a me stessa, sentii i miei occhi inumidirsi e quasi non scoppiai in lacrime.
«Hey hey.. stai tranquilla, d'accordo?»
Uno dei ragazzi si alzò fino a che me lo ritrovai dinnanzi lo sguardo. I suoi occhi d'un marrone intenso si scontarono con i miei, una leggera barbetta ed un paio di baffi contornavano il suo viso. Le sue mani erano intorno alle mie braccia. Osservai meglio la figura davanti e ripresi a respirare regolarmente.
«Io non ci posso credere... io..»
Stavolta non mi seppi contenere, non mi sarei mai aspettata che Amélie potesse fare una cosa del genere, irresponsabile e altamente ignara del male provocato. Da quando aveva iniziato a drogarsi?
«Joe, come è potuto succedere? Dov'eri? Tu dovevi occuparti di lei..» Mi sfogai in un pianto liberatorio accogliendo lo sguardo dei due ragazzi su di me.
«Belle... io non so...» Sospiró. « Ascoltami... ieri sembrava molto giù. All'inizio ci siamo divertiti fra un drink e l'altro, un bacio e l'altro. Al terzo drink di vodka tentai invano di fermarla. Era fuori di sé, la presi fra le mie braccia ma mi strattonò scappando via da me, la cercai per tutta la notte fin quando ad un certo punto decisi di mandare tutti a casa perché non riuscivo a trovarla.» Il suo sguardo era protettivo e implorevole.
«Ho bisogno di capire cosa le sia preso, ho bisogno che tu ti fida di me. Ho tutto sotto controllo come non mai.» Abbassó il suo sguardo.
«Me ne occupo io, fidati di me.. » Carezzando il mio ginocchio e io annuii. La mia testa era un vortice di dolori, di paure, di preoccupazioni. Vidi Joe legare i capelli di Amélie e prendersi cura di lei mentre le parole che scambiava con i due ragazzi mi parvero sempre più un lontano sottofondo.
«Ragazzi vado un sec-» Feci per alzarmi, il gesto fu troppo veloce che non sentii più nulla intorno a me. Le mie gambe cedettero ed ebbi un mancamento. Improvvisamente.
«Hey..»
La voce di quel solito ragazzo irruppe nella mia testa, così come il suo viso nella mia visuale. Sentii una mano poggiarsi su una mia guancia. Quel contatto freddo con la mia pelle calda mi provocó la pelle d'oca.
«Quando arriva Malik? Così da un'occhiata pure a Belle» Domandó premurosamente, osservando il mio viso pallido.
«Sta arrivando..» Disse Joe, mi alzai il capo mettendo le mani sulla testa dolorante.
«Mi sono alzata troppo in fretta..» Dissi simultaneamente al 'come ti senti' del castano. Mi voltai verso di lui, osservai profondamente i suoi occhi e le sue labbra. Ammiccando un sorriso continuai ad osservarlo.
«Sto bene, sarà stata il mio movimento brusco.» Sorrisi debolmente, fu in quell'attimo che sentii il campanello suonare.
«Alex puoi aprire?» Domandó Joe, feci per alzarmi ma Alex poggió una mano sulla mia gamba scoperta invogliandomi a stare ferma.
«Hey amico, ben arrivato.» Vidi la porta aprisi e capii finalmente solo osservando colui che era appena entrato chi era questo Malik.
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